I Grandi Idilli: la maturità poetica
Dopo il periodo dell'arido vero dedicato alla prosa, Leopardi torna alla poesia nel 1828 con i cosiddetti "Canti pisano-recanatesi" o "Grandi Idilli". Questi componimenti ("A Silvia", "La quiete dopo la tempesta", "Le ricordanze", "Il sabato del villaggio", "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia", "Il passero solitario") segnano il passaggio definitivo al pessimismo cosmico.
Le tematiche rimangono simili alle opere precedenti (amore, giovinezza, precarietà della vita), ma ora le illusioni sono completamente decadute. Il linguaggio diventa meno patetico e più sentito, evidenziando la tragica lotta dell'esistenza. La scelta metrica è la canzone libera (endecasillabi e settenari senza schema fisso), che diventa un semplice canto poetico per esprimere l'intimità.
Gli enjambements spezzano il ritmo creando vaghezza e indeterminatezza, scandendo il ritmo dell'animo leopardiano. Nonostante parta da una condizione soggettiva, il messaggio vuole essere universale: Leopardi si fa portavoce dei dolori di tutta l'umanità.
"La sera del dì di festa" anticipa temi che ritroveremo nei Grandi Idilli, contrapponendo la serenità degli altri alla propria disperazione. Il paesaggio serale e lunare diventa scenario per riflettere sulla vanità delle cose e sulla perdita dell'immaginazione nei tempi moderni.
Evoluzione stilistica: Nei Grandi Idilli Leopardi trova l'equilibrio perfetto tra immaginazione e ragione, tra sentimento e riflessione filosofica.