La Grande Migrazione e la politica estera
Tra il 1900 e il 1915 l'Italia visse il fenomeno della Grande Migrazione, con un'intensificazione dei flussi migratori già iniziati nell'Ottocento. Partivano principalmente uomini tra i 18 e i 45 anni, provocando disgregazione familiare e riduzione della manodopera, ma anche minor disoccupazione e aumento dei salari per chi restava.
Molti emigranti erano costretti all'emigrazione prepagata: il viaggio era finanziato dal futuro datore di lavoro e doveva essere rimborsato, creando situazioni di semi-schiavitù. Per proteggere gli emigranti, nel 1901 venne approvata una nuova legge che imponeva norme di tutela prima e dopo la partenza, abolendo le agenzie che spesso sfruttavano i migranti.
In politica estera, Giolitti cercò di avvicinarsi alla Francia per espandere il territorio coloniale italiano. Nel 1902 fu raggiunto un accordo italo-francese che definiva le aree d'influenza in Africa: la Francia controllava il Marocco mentre l'Italia poteva conquistare la Libia. Nel 1911, l'Italia dichiarò guerra alla Libia dividendo l'opinione pubblica tra sostenitori (nazionalisti e socialisti riformisti) e oppositori (socialisti ortodossi).
💡 Il nazionalismo di Enrico Corradini sosteneva che l'Italia dovesse trasformarsi da nazione "proletaria" a "plutocratica" attraverso l'espansione coloniale, una visione che influenzò profondamente la politica estera giolittiana.
La guerra in Libia risultò costosa in termini economici e umani, e nel 1914 Giolitti si dimise cedendo il posto ad Antonio Salandra, liberale moderato con un approccio più autoritario. La fine dell'era giolittiana fu marcata dalla "settimana rossa", quando le proteste operaie e contadine furono sedate con violenza, segnalando un cambiamento nell'approccio dello stato verso i conflitti sociali.