La crisi di fine secolo e l'inizio dell'età giolittiana
Il ritorno di Crispi (1893) fu un disastro. Represse militarmente le proteste siciliane e riprese l'avventura coloniale, ma l'Etiopia rifiutò la sua interpretazione del trattato di Uccialli. La spedizione militare italiana si concluse con la battaglia di Adua (1896): 16.000 italiani contro 70.000 etiopi, 7.000 morti e 3.000 prigionieri. Una carneficina che costrinse Crispi al ritiro definitivo.
La crisi economica intanto affamava il popolo. Nel 1898, quando il prezzo del pane aumentò, esplosero manifestazioni in tutta Italia. La più grave fu a Milano il 6 maggio: il generale Bava Beccaris ordinò di cannoneggiare la folla, causando un centinaio di morti. Il re Umberto I lo decorò per questo!
Il governo Pelloux tentò di limitare le libertà di stampa e riunione, ma fallì grazie all'opposizione. Nel luglio 1900 l'anarchico Gaetano Bresci uccise il re Umberto I per vendicare i morti di Milano. Il nuovo re Vittorio Emanuele III affidò il governo a Zanardelli, con Giolitti ministro dell'interno.
Iniziò così l'età giolittiana (1901-1914), periodo di grande sviluppo industriale. La crescita si concentrò nel triangolo industriale Torino−Milano−Genova grazie alle commesse statali e al protezionismo. Nelle città arrivarono elettricità, trasporti pubblici e acqua corrente, ma anche sovraffollamento e degrado.
Giolitti ebbe un atteggiamento rivoluzionario verso gli operai: consentì gli scioperi e mantenne la neutralità del governo nei conflitti sindacali. Limitò l'orario di lavoro a 10 ore, riorganizzò le pensioni e tutelò maternità e lavoro minorile (età minima 12 anni).
Punto chiave: L'atteggiamento di Giolitti verso le lotte operaie fu lungimirante: meglio permettere proteste legali che spingere alla ribellione armata.