Giuseppe Ungaretti: La Parola come Illuminazione
Giuseppe Ungaretti rivoluziona la poesia italiana partendo dalla sua esperienza di guerra sul Carso. Nato ad Alessandria d'Egitto, formato a Parigi dalle avanguardie europee e dalla filosofia di Bergson, porta nella nostra letteratura tecniche espressive completamente nuove.
La sua poesia non è propriamente ermetica (come sostenne a lungo la critica), ma incisiva e carica di significato. Ungaretti usa la parola come strumento di "illuminazione": ogni termine deve folgorare il lettore come un fulmine a ciel sereno, spingendolo a riflessioni profonde e improvvise.
Le analogie sono il suo procedimento espressivo fondamentale: mettono in contatto immediato immagini apparentemente slegate, facendo vedere "l'invisibile nel visibile". La parola poetica penetra intuitivamente il mistero della realtà e diventa l'unica forma di conoscenza possibile.
Sul piano formale, questa ricerca si traduce in una "scarnificazione" dell'enunciato: sintassi ridotta all'essenziale, versi liberi e brevissimi, lessico astratto capace di trasferire la realtà su un piano superiore. La parola diventa pura e spesso coincide con la misura del verso.
La produzione ungarettiana si divide in tre fasi: L'Allegria (esperienza autobiografica di guerra), Sentimento del Tempo (recupero della metrica tradizionale e tema del tempo), Il Dolore (morte del figlio e valori religiosi).
Il poeta-sacerdote: Ungaretti si considera il "sacerdote della parola", un essere privilegiato che sa cogliere i nessi segreti delle cose e attribuisce alla poesia un significato magico ed esoterico.