Le Operette Morali: La Prosa del Pessimismo Cosmico
Le Operette morali sono il frutto della "conversione filosofica" del 1819, quando Leopardi abbandona temporaneamente la poesia per la prosa. Segnano il passaggio definitivo al pessimismo cosmico: la natura non è più madre benigna, ma matrigna indifferente.
Il genere è quello antico dell'apologo morale, sul modello dei dialoghi di Platone. La maggior parte è in forma di dialogo, altre sono favole mitologiche, prose liriche, raccolte di aforismi o piccoli trattati. Nel complesso formano una sintesi unitaria delle riflessioni pessimistiche sparse nello Zibaldone.
Lo stile non è magniloquente, ma comico-fiabesco, intriso di buonsenso e ironia. Lo sguardo è distaccato ma non freddo, capace di esporre con leggerezza la dolorosa verità dell'esistenza. Il riso assume una funzione liberatoria: ridere dei "mali comuni" può essere di conforto.
"Dialogo della Moda e della Morte" presenta due figure che si scoprono sorelle, entrambe figlie della Caducità. Leopardi riflette sul potere della moda, che può spingere a comportamenti irragionevoli e pericolosi. Il tema è attualissimo: seguire la moda significa rinunciare alla propria individualità.
"Dialogo della natura e di un Islandese" segna la svolta decisiva verso il pessimismo materialistico. Per la prima volta la natura appare come madre matrigna indifferente. Un islandese che ha sempre evitato i piaceri e i dolori incontra la natura personificata, che spiega che la vita è solo un "perpetuo circuito di produzione e distruzione".
Messaggio centrale: Anche conducendo una vita di rinunce, l'uomo non può evitare la sofferenza perché gli è imposta dalla natura stessa.