La Sera del Dì di Festa: Malinconia e Tempo che Fugge
"La sera del dì di festa" condivide con "L'infinito" l'idea dell'indeterminato e del vago, ma qui il sentimento di tranquillità nasce dalla contemplazione della notte lunare dopo un giorno festivo. Il componimento, scritto nella primavera del 1820, si lega alla sofferta esperienza biografica del poeta durante la crisi del 1819.
Il testo si apre con un notturno che solo successivamente si rivela essere la sera di un giorno festivo. Questo componimento di 46 endecasillabi sciolti esprime il profondo pessimismo leopardiano attraverso la forza delle illusioni che resistono di fronte alla consapevolezza del vero.
L'analisi dettagliata de "L'infinito" rivela la maestria tecnica di Leopardi: parole come "ermo" (solitario), "ultimo" (estremo), "interminati" creano un lessico specializzato dell'indefinito. Il verso "il cor non si spaura" richiama i Pensieri di Pascal sul silenzio eterno degli spazi infiniti.
Il gioco di deittici dimostrativi "queste/quello/questa" sostiene il continuo rimando tra realtà e immaginazione. Quando il poeta sente il vento tra le fronde, ha l'impressione di trovarsi di fronte all'infinito temporale, cogliendo il senso dell'eternità in contrapposizione alla finitezza umana.
Il verso finale "m'è dolce" esprime il piacere dell'immergersi in un mare immaginato, dell'abbandonarsi a un flusso indeterminato di sensazioni e idee.
Capolavoro assoluto: "L'infinito" riesce a trasformare un momento quotidiano (sedersi davanti a una siepe) in una delle più profonde meditazioni sull'esistenza umana!