Virtù e fortuna - Capitolo XXV
La fortuna non è il destino divino del Medioevo, ma il puro caso. E la bella notizia? Influisce solo su metà delle nostre azioni. Per l'altra metà comandiamo noi con la virtù.
Machiavelli usa una metafora geniale: la fortuna è come un fiume in piena che devasta tutto, ma si possono costruire argini e canali per limitare i danni. Nel caso dell'Italia, questi argini dovevano essere le milizie cittadine invece dei mercenari stranieri.
La virtù principale del principe? Saper cambiare a seconda delle circostanze. Essere "respettivo" (prudente) quando serve, "impetuoso" quando necessario. Facile a dirsi, difficilissimo a farsi: cambiare natura è la cosa più dura per un uomo politico.
L'esempio di papa Giulio II è perfetto: sempre impetuoso, sempre vincente. Se avesse dovuto diventare prudente, sarebbe andato in rovina. Fortuna sua che morì al massimo della potenza!
Finale controverso: la fortuna "è donna" e va "battuta e urtarla". Meglio essere audaci che troppo prudenti. Un pensiero misogino tipico dell'epoca, ma il concetto politico resta valido.
💡 Modernità pura: Machiavelli rompe definitivamente con la visione medievale della fortuna come volontà divina. Qui l'uomo è padrone del proprio destino.