L'imperativo categorico
L'imperativo categorico è il cuore dell'etica kantiana. Non è un invito o un consiglio, ma un comando assoluto della ragione. Kant lo formula in diversi modi, ma la sostanza rimane la stessa.
La prima formulazione dell'imperativo categorico è: "Agisci in modo che la massima della tua volontà possa valere sempre come principio di una legislazione universale". In altre parole, prima di agire, chiediti: "Se tutti facessero ciò che sto per fare, sarebbe un mondo in cui vorrei vivere?".
Questa formulazione è formale, cioè non indica un contenuto specifico ma solo un metodo per verificare la moralità delle nostre azioni. Non dice cosa fare, ma come valutare ciò che facciamo.
La seconda formulazione è: "Agisci in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo". Questa formulazione mette in luce la dignità umana: ogni persona ha un valore intrinseco che va rispettato.
💡 Kant non vieta di "usare" gli altri come mezzo, poiché nella società tutti in qualche modo ci serviamo reciprocamente. Ciò che vieta è ridurre l'altro a mero strumento, dimenticando che è anche un fine in sé, dotato di dignità e libertà.
L'etica kantiana è stata criticata per il suo rigorismo: sembra esigere che si faccia il proprio dovere a ogni costo, senza considerare le conseguenze. Inoltre, essendo un'etica formale, non fornisce contenuti specifici per guidare l'azione.
Kant critica le morali basate sul sentimento, come quella cristiana dell'amore, perché i sentimenti sono mutevoli e soggettivi. Critica anche le morali eteronome, cioè quelle in cui la legge morale viene dall'esterno, come le morali religiose.
Il dilemma tra virtù e felicità rimane irrisolto nell'etica kantiana: fare il proprio dovere non garantisce la felicità, anzi spesso richiede di sacrificarla. Gli stoici sceglievano la virtù a scapito della felicità, gli epicurei il contrario. Per Kant, la virtù viene prima, anche se ciò significa rinunciare alla felicità.