La coscienza infelice e la ragione
La "coscienza infelice" emerge dal fallimento dello stoicismo e dello scetticismo. È lo spirito che, avendo negato ogni verità nella natura, cerca la verità in un oltre, in Dio. Ma questa coscienza è infelice proprio perché percepisce la verità come irraggiungibile, essendo collocata in un Dio trascendente e separato dal mondo.
Questa separazione radicale tra soggetto e Dio ha origine, secondo Hegel, nell'ebraismo, che concepisce Dio come totalmente altro rispetto al mondo. Il cristianesimo medievale tenta di superare questa divisione con la figura di Cristo, che rende Dio incarnato e quindi accessibile. Tuttavia, questa accessibilità rimane solo apparente.
La coscienza raggiunge il culmine della sua infelicità nella figura degli asceti medievali, che mortificano il proprio corpo nel tentativo estremo di annullarsi per trovare Dio. Questo tentativo fallisce, portando lo spirito a comprendere che Dio non va cercato all'esterno, ma all'interno del soggetto stesso.
Finalmente, la coscienza si eleva a ragione, sintesi di coscienza e autocoscienza, in cui lo spirito riconosce l'unità tra soggetto e oggetto, tra individuo e natura. Storicamente, questo passaggio corrisponde alla transizione dal mondo medievale (dove la religione era il fondamento della società) all'età moderna (caratterizzata dalla nascita della nuova scienza).
Suggerimento: Prova a pensare a momenti nella tua vita in cui ti sei sentito "diviso" tra ciò che sei e ciò che vorresti essere. La coscienza infelice di Hegel descrive proprio questa condizione esistenziale, quando cerchiamo la pienezza fuori di noi invece che riconoscerla nella nostra stessa natura!
La ragione rappresenta dunque un momento cruciale nello sviluppo dello spirito: è quando l'individuo inizia a riconoscere che la realtà esterna non è estranea a sé, ma è parte della stessa sostanza spirituale di cui egli è manifestazione.