Emancipazione Femminile ed Età Giolittiana
A metà '800 nessuna donna poteva votare in alcuno Stato. I primi movimenti femminili per l'emancipazione nacquero in questo periodo, mentre il mondo maschile considerava il ruolo femminile puramente materno e domestico.
Emmeline Pankhurst nel 1903 creò la Women's Social and Political Union, movimento che si diffuse prima negli Stati Uniti poi in tutta Europa. Le suffragette lottavano per il diritto di voto femminile. L'Australia fu il primo paese a concederlo (1902), seguita da Finlandia, Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti (1920). In Italia arrivò solo nel 1946 con il referendum.
Negli anni '60-'70 le teorie femministe di Simone de Beauvoir e Betty Friedan analizzarono l'oppressione femminile e i meccanismi che la perpetuavano: monopolio maschile della cultura, esclusione dai centri decisionali economici, consumismo domestico.
L'età giolittiana iniziò quando Giovanni Giolitti affrontò con abilità la questione sociale: la gestione dei problemi legati al proletariato industriale. Garantì maggiore libertà ai lavoratori, promosse legislazione assistenziale e previdenziale, creò il Consiglio superiore del lavoro e limitò il lavoro notturno femminile e minorile.
Realizzò la nazionalizzazione delle principali ferrovie e lo Stato si fece carico dell'istruzione elementare. Nel 1912 estese il suffragio universale maschile, causando preoccupazioni nella Chiesa per un'avanzata della sinistra.
Patto Gentiloni: Accordo informale del 1913 sostenuto dal Vaticano: i cattolici avrebbero votato per candidati liberali disposti a seguire iniziative gradite alla Chiesa.
La questione meridionale rimase irrisolta: l'espansione industriale e il protezionismo accrebbero il divario Nord-Sud, mentre i rapporti clientelari del ceto politico meridionale rimanevano inalterati.