L'economia coloniale: sfruttamento e ricchezza
L'economia delle colonie americane si basava su uno sfruttamento sistematico. Nelle haciendas (aziende agricole) gli indigeni lavoravano come schiavi coltivando prodotti per l'esportazione. Il contatto tra Vecchio e Nuovo Mondo rivoluzionò l'agricoltura: dall'America arrivarono pomodoro, patata, mais, peperoni, fagioli, cacao - alimenti che cambiarono per sempre le abitudini alimentari europee.
Ma il vero oro erano le miniere d'argento, soprattutto quella di Potosí. Dopo il 1570, grazie a nuove tecniche di raffinazione, la produzione decollò. Anche qui la manodopera era costituita da indigeni sfruttati, che garantivano grande produzione a bassissimo costo.
L'economia coloniale però era puramente estrattiva: si sottraevano risorse senza creare investimenti locali. I metalli partivano per la Spagna, mentre arrivavano beni di lusso per i dominatori. Il commercio era sottoposto al monopolio regio: nel 1503 fu creata a Siviglia la Casa de Contratación, l'ufficio che controllava tutti i traffici con l'America.
Questo sistema creò ricchezze enormi per la Spagna, ma condannò le colonie a rimanere economicamente dipendenti per secoli.
Il paradosso coloniale: Le terre più ricche del mondo rimasero povere perché le loro risorse finivano altrove.