Manzoni parla di tutti gli strati della società, dai popolani ai nobili e cardinali, con lo scopo di giudicarli alla luce della fede cristiana.
Renzo Tramaglino, onesto, cordiale e impulsivo, incarna la mobilità, in quanto la strada è il luogo delle sue avventure. La sua vicenda, al termine della quale saprà rinunciare alla vendetta in nome della fiducia nella provvidenza.
Lucia è invece timida e devota, si muove solo in spazi chiusi, in casa, il convento di Monza, il castello dell'Innominato, ecc. ed è animata da una fede incontrollabile. Lucia fa fronte alle circostanze avverse con coraggio e tenacia.
Esponenti del clero che hanno un ruolo in primo piano sono:
- La negatività di Don Abbondio e la corruzione della Monaca di Monza che viene compensata con l'eroismo di fra Cristoforo e del cardinale Borromeo.
Infatti Manzoni dipinge questi due ultimi come due persone umili, oneste e pronte ad aiutare, e non come venivano descritti nel Medioevo i frati, avidi e disonesti.
Il male dei Promessi Sposi si presenta come ingiustizia sociale, sotto forma di sopruso compiuto da un nobile, ai danni di due popolani. Si va dalla violenza fisica a quella psicologica, e inoltre Manzoni mette in scena lo scatenarsi della peste, non riconducibile a colpe degli esseri umani, a meno che non si creda alla leggenda degli untori, e quindi si ritorna ancora una volta a fare i conti con la volontà divina.
Il morbo ha una funzione risolutiva nella loro vicenda, poiché grazie a questa il loro avversario Don Abbondio muore e i due riescono a sposarsi. Nonostante ciò, Manzoni crede che Dio colpisca anche gli innocenti, ed è necessario abbandonarsi alla grazia, consapevoli che la sventura possa essere provvida, che consente all'uomo di assicurarsi un posto in paradiso.
Inoltre i due protagonisti affrontano entrambi un percorso di formazione. Renzo riesce a scacciare la tentazione di farsi giustizia da solo e perdona Don Rodrigo. Lucia invece scopre che l'innocenza non basta e il male colpisce anche chi non ha colpe.
Per comprendere l'ideologia cattolica, dobbiamo un attimo fermarci su Fra Cristoforo. Egli si chiamava Lodovico ed era un assassino che decise di prendere la via della penitenza, chiedendo perdono alla famiglia dell'ucciso. In quest'ottica, il perdono concesso da Renzo a Don Rodrigo rappresenta il capolavoro di Fra Cristoforo.
Il romanzo consente all'autore di porre in primo piano gli umili. Si stanno delineando in chiave drammatica le ingiustizie subite da due popolani onesti e religiosi. Non si tratta di divertire solo i lettori, ma di usare la narrazione a fini pedagogici. L'interessante deve aprire la via all'utile.
In questo contesto resta fondamentale l'aggancio al "vero" garantito dalla decisione di calare la vicenda nel Seicento, al tempo della dominazione spagnola sulla Lombardia. Fonti principali sono i provvedimenti legislativi emanati dal governo di Milano.
Sceglie il periodo del 600, secolo della peste, di estrema decadenza per la Lombardia, in balia dei governanti spagnoli incapaci e corrotti. Manzoni inizia a scrivere il 24 aprile 1821, in cui c'è tutta l'intera società di un'epoca travagliata da conflitti, carestie, rivolte e da una terribile pestilenza.
Manzoni inizia a raccontare il processo a due presunte persone che sono accusate di aver diffuso il morbo con unguenti velenosi. Riscrive l'opera nel 1824 e da un lato riduce gli episodi più scandalosi, modifica i profili di alcuni personaggi, e agisce sulla voce narrante.
Dopo il 1827, Manzoni parte con la famiglia per la Toscana, in cui si rende conto di dover revisionare l'opera dal punto linguistico ed è orientata verso il fiorentino colto.
Ad arricchire l'opera vi è anche la presenza della storia della colonna infame, l'appendice sulla peste scritta per Fermo e Lucia. Qui con lo spirito illuministico l'autore esprime il sentimento di orrore etico e religioso per l'ignoranza e la superstizione degli uomini, poiché i giudici avrebbero potuto
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