Novelle rusticane e Mastro-don Gesualdo
Le Novelle rusticane (1883) segnano un'evoluzione nella poetica di Verga. Non ci sono più eventi drammatici ma la "poetica del fatto qualunque": morte, malattie e tragedie diventano fatti ordinari di cui contano solo le conseguenze economiche.
Lo sguardo si allarga dalla vita arcaica dei poveri alla piccola borghesia paesana, svelando inganni e soprusi. Tutti gli uomini sono impegnati nella stessa lotta spietata per il predominio, e tutti vanno incontro alla sconfitta.
Verga usa la tecnica del "montaggio di punti di vista" multipli e opposti per rappresentare la complessità dell'ambiente borghese. Vengono smascherati i miti risorgimentali di Progresso, Benessere e Libertà - tutto nasconde il solo vero obiettivo: l'interesse materiale.
Mastro-don Gesualdo (1889) è il secondo romanzo dei "Vinti". Racconta di un muratore che diventa ricco proprietario terriero, ma resta sempre infelice e solo. Verga distrugge il mito dell'uomo che si fa da sé.
Messaggio amaro: Anche se tutto cambia nella vita di Gesualdo, non cambia nulla di sostanziale - la sua infelicità resta immutata!
La storia di Gesualdo Motta è quella di un uomo consumato dal desiderio di "roba". Sposa una nobildonna impoverita (Bianca Trao) per ascesa sociale, ma lei muore di tisi. La figlia Isabella, probabilmente non sua, si vergogna di lui e lo sposa a un duca.
Gesualdo muore di cancro, solo e abbandonato nel palazzo del genero a Palermo, guardando come vengano sperperati i suoi soldi in cerimoniali inutili. È un personaggio senza evoluzione: appare già dall'inizio infelice, affannato e condannato alla solitudine.
Il romanzo dimostra che nell'ambiente familiare non esistono più affetti autentici ma solo calcolo economico - una visione ancora più cupa rispetto ai Malavoglia.