"La sera del dì di festa" e "Il sabato del villaggio"
"La sera del dì di festa" ci mostra Leopardi in una notte serena ma tormentata dal pensiero della sua condizione. Mentre la donna amata dorme tranquilla, lui veglia e riflette sulla propria infelicità. La poesia si divide in due parti: prima il dolore personale, poi la riflessione universale sul tempo che cancella tutto.
L'immagine dell'artigiano che torna ubriaco dalla festa scatena una meditazione profonda: anche le glorie di Roma antica sono svanite, "tutto è pace e silenzio, e tutto posa il mondo, e più di lor non si ragiona". Il finale richiama un ricordo d'infanzia con lo stesso senso di malinconia.
"Il sabato del villaggio" presenta invece una metafora geniale: il sabato è la giovinezza, la domenica è l'età adulta. Tutti i personaggi (la donzelletta, la vecchierella, i bambini, il zappatore) pregustano la festa del giorno dopo, ma Leopardi sa che la domenica porterà "tristezza e noia".
Il poeta si rivolge direttamente a un fanciullo con un monito toccante: "Godi, fanciullo mio; stato soave, stagion lieta è cotesta". Ma aggiunge enigmaticamente: "la tua festa ch'anco tardi a venir non ti sia grave" - un invito a non avere fretta di crescere.