La bufera e altro: dalla speranza al pessimismo
"La bufera e altro" (1956) nasce da un contesto completamente diverso: la tragedia della guerra ha dissolto l'atmosfera culturale fiorentina. Si aggiungono esperienze private dolorose come la morte della madre e la lontananza di Irma Brandeis.
Stilisticamente, la raccolta abbraccia un maggiore plurilinguismo: elementi prosastici, termini tecnici e persino dialettali. Ritorna la donna-angelo, ora con valori scopertamente cristiani e la possibilità di salvezza universale.
Ma questa speranza si rivela impossibile nel mondo degradato del dopoguerra. Montale opera allora una svolta fondamentale: recupera l'infanzia ligure attraverso la rievocazione dei cari morti. Alla figura di Clizia si contrappone Volpe (Maria Luisa Spaziani), una sorta di "anti-Beatrice" più sensuale e terrena.
Nelle "Conclusioni provvisorie" emerge un profondo pessimismo. Il poeta proclama la sua estraneità alle "due chiese" dominanti (democristiana e comunista) e in "Il sogno del prigioniero" descrive una condizione di prigionia esistenziale da cui si può uscire solo attraverso il sogno.
Svolta decisiva: Il pessimismo di queste conclusioni implica l'impossibilità stessa della poesia. Infatti, dopo "La bufera" segue un lungo silenzio poetico, e quando Montale riprenderà a scrivere, la sua poesia sarà completamente diversa.