Il pessimismo: dolore, piacere e noia
Ora arriva la parte "dark" della filosofia di Schopenhauer. Se tutto è manifestazione di una volontà infinita, allora la vita è dolore per essenza. Perché? Semplice: volere significa desiderare, e desiderare significa trovarsi in uno stato di mancanza e tensione.
Il desiderio è per definizione assenza, vuoto, dolore. E l'uomo, avendo una volontà più cosciente degli altri esseri, è il più bisognoso e destinato a non trovare mai un appagamento autentico. Quello che chiamiamo "piacere" o "gioia" non è altro che una temporanea cessazione del dolore.
Ma c'è di peggio: quando non stiamo soffrendo per qualche desiderio insoddisfatto, ecco che arriva la noia. La vita umana è come un pendolo che oscilla continuamente tra dolore e noia, con solo brevi momenti di sollievo che chiamiamo piacere.
Il dolore universale non riguarda solo gli umani, ma tutte le creature. Schopenhauer racconta l'esempio paradossale della formica australiana che, se tagliata a metà, vede le sue due parti combattere fino alla morte. Anche l'amore, che potrebbe sembrare una consolazione, è in realtà solo un trucco biologico per la procreazione - un modo per perpetuare la vita e quindi il dolore.
Nota bene: Schopenhauer considera l'amore procreativo come "il maggiore dei delitti" perché genera altre creature destinate a soffrire.