L'età giolittiana: progresso e contraddizioni
Giovanni Giolitti domina la politica italiana dal 1901 al 1914, un periodo che coincide con il decollo industriale del paese. Il tasso di crescita arriva al 6,5% e nasce il famoso triangolo industriale Torino−Milano−Genova. Migliorano siderurgia, industria elettrica e meccanica, ma solo al Nord.
Giolitti ha un "doppio volto": democratico al Nord, conservatore al Sud. Al settentrione permette scioperi, mantiene neutralità del governo nei conflitti sindacali e fa importanti riforme: orario massimo di 10 ore, Cassa Nazionale per invalidità e vecchiaia, tutela della maternità.
Al Sud invece usa clientele e corruzione per controllare i voti. I prefetti impediscono comizi agli oppositori, le forze dell'ordine arrestano sindacalisti, i salari scendono. Lo storico Salvemini lo definisce "ministro della malavita".
Conseguenza drammatica: Il divario Nord-Sud provoca la grande emigrazione. Dal 1876 al 1900 partono 5,3 milioni di persone, dal 1900 al 1914 altri 9 milioni! Un esodo biblico per un paese di 27 milioni di abitanti.
Giolitti cerca l'alleanza con i socialisti riformisti di Turati contro i massimalisti di Mussolini, ma non ci riesce. Nel 1912 introduce il suffragio universale maschile (da 3,3 a 8,6 milioni di elettori) e fa il Patto Gentiloni con i cattolici: loro votano i liberali purché difendano la Chiesa.
La guerra di Libia (1911-1912) contro la Turchia porta prestigio ma anche tensioni. Quando scoppia la crisi internazionale del 1914, l'età giolittiana è finita e Antonio Salandra sostituisce Giolitti con metodi molto più autoritari.