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La crescita economica a partire dall’XI secolo

5/10/2022

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La crescita economica a partire dall'XI secolo
Il clima migliora e la popolazione cresce
Una nuova fase di ripresa
Intorno al Mille, dopo se

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La crescita economica a partire dall'XI secolo Il clima migliora e la popolazione cresce Una nuova fase di ripresa Intorno al Mille, dopo secoli di stagnazione demografica, la popolazione dell'Europa cominciò di nuovo a crescere, secondo alcune stime discusse dagli studiosi, si passò da circa 23 milioni di abitanti nel 950 a 46 milioni nel 1050: la popolazione, dunque, raddoppiò in soli cento anni. Parallelamente alla crescita impetuosa degli esseri umani ci fu un aumento della produzione agricola. I motivi di questo incremento non sono stati ancora del tutto rit L'innalzamento della temperatura ambientale, che era di media un grado superiore a quella attuale, influì certamente. Il clima più mite e la maggiore disponibilità di manodopera permisero di coltivare porzioni più ampie di terra e di migliorare il rendimento dei raccolti. conviene ricordare anche altri fattori di questo processo come la diminuzione delle epidemie e progressiva riduzione delle incursioni di popolazioni in armi. Un cambiamento passato inosservato Gli uomini dell'XI secolo non ebbero l'immediata percezione di vivere sotto un cielo migliore rispetto al passato. L'uomo del Medioevo non aveva la possibilità di mettere a confronto statistiche relative alle variazioni climatiche. Non dobbiamo stupirci perciò che nelle cronache di quei tempi venisse dato un grande rilievo, più che a mutamenti di lungo periodo, a eventi climatici improvvisi, come piogge torrenziali, inondazioni e siccità....

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Didascalia alternativa:

Questi scritti provengono di solito dai monasteri, perché una delle attività principali dei monaci era la redazione di cronache. Essi però amavano drammatizzare il racconto e, soprattutto, cercavano sempre di interpretare ciò che accadeva intorno a loro fosse una manifestazione del volere di Dio. Per questo segnalavano disordini climatici e cataclismi, epidemie e carestie, che ritenevano prove della punizione celeste, per convincere gli uomini a pentirsi dei loro peccati e a fare penitenza. con lo stesso atteggiamento annotavano e disegnavano apparizioni di comete ed eclissi di sole e di luna, ritenute segni profetici di sciagure imminenti. Il mito della fine del mondo STORIA CULTURALE Il mito della fine del mondo pesso si sente dire che gli uomini intorno all'anno Mille vivessero nel terrore perché credevano immi- nente la fine del mondo. Quei tempi erano sicuramen- te percorsi dall'attesa, continua e inquieta, della fine del mondo, che sarebbe giunta con il Giudizio Universale. Nei Vangeli, infatti, stava scritto che un giorno Cristo sareb- be ritornato sulla Terra a giudicare i buoni e i cattivi. Per giunta nell'Apocalisse (il libro del Nuovo Testamento che racconta la fine del mondo) si leggeva che, dopo mille anni, Satana sarebbe riuscito a liberarsi dalle proprie catene sarebbe scoccata l'ora dell'Anticristo: sofferenze e altre catastrofi avrebbero colpito l'intera umanità. Se è indubitabile che le Sacre Scritture potessero ali- mentare paure, è sufficiente leggere alcune testimonianze dell'epoca per comprendere come la realtà fosse diversa. Nel 998 - quindi due anni prima dello scadere del mil- lennio - l'abate Abbone di Fleury-sur-Loire (oggi Saint- Benoît-sur-Loire, vicino a Orléans, in Francia) scriveva, ricordando la sua giovinezza: «Mi è stato raccontato che nell'anno 994, a Parigi, alcuni preti annunciavano la fine del mondo. Questi preti sono pazzi. Basta aprire il testo sacro, la Bibbia, per constatare come Gesù abbia detto che mai si sarebbe saputo né il giorno, né l'ora>>. Se scorriamo le cronache sia prima sia dopo l'XI secolo, vediamo segnalate qua e là catastrofi climatiche, epidemie e carestie; non si rileva però un infittirsi di sciagure intor- no all'anno Mille. Sappiamo anche che nell'anno 999 alcuni contadini stipularono con dei signori dei contratti di 29 anni per la concessione di terre da coltivare, cosa che non avrebbero mai fatto se avessero pensato che di lì a poco sarebbe finito il mondo. Infine dobbiamo chiederci: la gente sapeva di essere nell'anno Mille? La risposta è: generalmente no, perché chi aveva bisogno di "fissare" date e calendari erano solo gli uomini di Chiesa, non la popolazione comune. I terrori dell'anno Mille, insomma, sono frutto di una leggenda. Furono gli storici del XIX secolo, in epoca romantica, ad aver ricostruito l'attesa del nuovo millennio in termini di panico collettivo, falsando la realtà delle cose. Una leggenda alimentata anche dal poeta Giosuè Carducci. Nello Svolgimento della letteratura nazionale, dopo aver ricordato un insieme di fosche profezie concludeva: «Tutti questi terrori, come nubi diverse che aggrappandosi fan temporale, confluirono su il finire del Millennio cristiano in una sola e immane paura>>. ◄Una raffigurazione della bestia scarlatta dell'Apocalisse con sette teste e dieci corna. Miniatura di Beato di Liébana, 1220. (New York, Morgan Library) I progressi dell'agricoltura Un diverso impiego degli animali Nell'XI secolo l'espansione demografica fu accompagnata da una serie di innovazioni nelle tecniche di coltivazione e nell'attrezzatura agricola che Ottimizzarono l'uso dell'energia motrice meccanica e animale. Per molti secoli l'energia per lavorare la terra era derivata quasi esclusivamente dalle braccia dell'uomo. Nell'antichità, l'unico aiuto era stato fornito dai buoi, che tuttavia sono animali molto lenti e adatti solo per alcuni lavori, come Paratura dei terreni. Tiravano l'aratro con il giogo che veniva appoggiato sul garrese e fissato da una cinghia che passava sotto il collo; in tal modo, tutto lo sforzo dell'animale era esercitato proprio su questa parte del corpo. Gli antichi romani avevano utilizzato come animale da tiro anche il cavallo, apprezzato per la sua velocità e agilità, ben superiori rispetto al bue. Tuttavia il cavallo, privo del garrese, poteva tirare solo per mezzo di una cinghia di cuoio tenero passata intorno al collo, per cui un carico troppo pesante poteva provo- carne il soffocamento. Inoltre il cavallo è un animale costoso da mantenere perché richiede molte cure e si nutre di avena, al contrario del bue, che mangia fieno. Dal Mille in poi furono introdotti miglioramenti fondamentali che favorirono un più diffuso impiego del cavallo nel lavoro dei campi. Fu adottato un collare rigido e imbottito, detto "di spalla" perché fissato intorno al petto dell'animale e non più intorno alla gola; grazie a questa innovazione il cavallo era in grado di tirare con una potenza cinque volte superiore rispetto a prima. Inoltre, dall'XI secolo si iniziò a proteggere i suoi fragili zoccoli con la Ferratura, cioè con un ferro inchiodato direttamente sulla spessa unghia del piede. Infine, con un'altra innovazione medievale, la rotazione triennale dei campi, i contadini riuscirono a disporre di sufficienti quantità di avena per il mantenimento di questi animali. L'aratro a versoio e il mulino La maggiore energia animale a disposizione fece sì che anche l'aratro fosse perfezionato, divenendo però assai più pesante. L'aratro utilizzato in precedenza era essenzialmente di legno e si limitava a tracciare un solco leggero attraverso il vomere, una lama che taglia la terra orizzontalmente. Intorno al Mille l'aratro fu dotato di un coltro, una specie di coltello che incide la terra in profondità e permette al seme di insediarsi bene. se il seme rimanesse in superficie, potrebbe essere beccato dagli uccelli di passaggio, oppure potrebbe non riuscire a trovare abbastanza umidità per far germogliare le radici. Ma la vera novità fu l'aggiunta di un versoio, una sorta di grande orecchio in metallo in grado di rivoltare e spostare grandi zolle: in questo modo si Otteneva una maggiore ossigenazione del terreno e quindi un raccolto migliore. se il terreno da arare si trovava in pianura, all'aratro venivano aggiunte anche le ruote. oltre all'aratro, divennero di uso comune l'erpice, utilizzato per chiudere i solchi dopo la semina, falci e altri attrezzi in metallo con i quali i contadini estirpavano, con molta pazienza, le erbacce che soffocavano le giovani spighe in crescita. per macinare il grano si costruirono mulini ad acqua, che erano stati messi a punto già dai romani, ma non venivano adoperati perché nelle campagne all'e-poca c'erano schiavi in abbondanza. Per secoli il massiccio impiego di manodopera servile nei campi non rese necessaria la ricerca di nuove forme d'energia. I poveri schiavi sfruttati come bestie ostacolarono, seppure involontariamente, il progresso agricolo. A partire dal X secolo, invece, i mulini furono usati in tutte quelle attività che richiedevano molta forza fisica, ad esempio nella spremitura delle olive, nella segatura del legname, ma anche per muovere magli e mantici per la lavorazione dei metalli, gualchiere e telai per la manifattura tessile e conciaria, pompe per estrarre l'acqua dalle miniere. La loro diffusione fu molto rapida: nel 1086, quando Guglielmo il conquistatore fece eseguire in Inghilterra il censimento riportato nel Domesday BOOK, i mulini ad acqua del regno erano 5624, uno ogni 50 famiglie. A partire dal XII secolo comparvero anche i mulini a vento, che avevano il vantaggio di non risentire né del congelamento dei corsi d'acqua d'inverno, né dei periodi di piena e di siccità. L'aumento delle aree coltivabili I progressi esaminati finora andarono di pari passo con un cambiamento della società. I grandi proprietari, laici ed ecclesiastici, di fronte a una manodopera in costante aumento e alle innovazioni tecnologiche, si accorsero di poter realizzare maggiori profitti se incoraggiavano i contadini a sfruttare meglio i terreni loro affidati, ad esempio impiantando una vigna o estendendo la superficie arabile. I contadini, dietro mandato del Signore, combatterono spesso una dura battaglia per rendere coltivabili aree fino ad allora inutilizzate: disboscarono distese di fitta vegetazione, facendosi largo in mezzo all'intrico di cespugli spinosi, bonificarono paludi, dissodarono aree marginali fino ad allora trascurate, colonizzarono territori prima scarsamente abitati. Questo processo fu particolarmente intenso in Italia, nella pianura padana, dove furono scavati molti canali per irrigare le terre, e nelle Fiandre (una regione dell'attuale Belgio), dove una grande quantità di terreni fu strappata al mare per mezzo di dighe e chiuse e messa a coltura (polders). un ruolo importante per l'aumento delle aree coltivabili fu svolto dai nuovi ordini monastici, in particolare quello cistercense. I monaci cistercensi, che desideravano il raccoglimento e la pace per meditare e pregare, si insediavano di preferenza in luoghi selvaggi e inospitali che trasformavano in breve tempo in campi fertili mediante grandi opere di dissodamento e di bonifica. Un nuovo regime alimentare Nell'Alto Medioevo le risorse delle foreste, soprattutto la selvaggina, erano State sufficienti perché la popolazione era molto scarsa. Ma con la riduzione degli spazi boschivi e il contemporaneo aumento della popolazione e della produzione agricola, il regime alimentare lentamente cambio.Lamaggiorpartedellepersonepassòdaunadietaincuilacarneaveva un posto importante (completata da frutta, miele, latte e formaggi) a una dieta essenzialmente cerealicola, a base di pane e di zuppe di farina e legumi. Le coltivazioni di cereali esauriscono però rapidamente i principi nutritivi dei terreni e lo scarso concime disponibile all'epoca non era sufficiente a reintegrarli. Perciò, già nel mondo romano e nei primi secoli del Medioevo, i contadini praticavano la rotazione biennale dei campi: una parte di essi veniva coltivata e l'altra lasciata a maggese, cioè a riposo, affinché la terra si rigenerasse. L'anno successivo le posizioni s'invertivano e restava a maggese la parte dei campi precedente- mente coltivata. Il largo impiego del cavallo, prima in guerra e poi nei lavori agricoli, richiese però una produzione più abbondante di foraggi, in particolare di avena (molto coltivata nel Medioevo: si seminava in primavera ed era pronta in tre mesi). Accanto all'avena, si cominciarono a coltivare intensamente altri cereali primaverili come l'orzo, il miglio e il panico, già pronti per essere mietuti all'inizio dell'estate. Aumento anche la produzione dei legumi: piselli, ceci, lenticchie e fave, che si seminano anch'essi in primavera. I legumi sono abbastanza ricchi di proteine e garantiscono una buona alimentazione anche a chi mangia poca carne. La rotazione triennale Il bisogno di aumentare la resa agricola portò a un nuovo e più razionale Sistema di sfruttamento dei campi, detto rotazione triennale, che incremento di circa il 33% la disponibilità di terreno coltivabile. un campo veniva diviso in tre strisce. Il primo anno la prima striscia era coltivata a cereali di semina invernale che, a seconda dei climi e dei luoghi, erano pronti era giugno e agosto (frumento e avena); la seconda striscia a foraggio, legumi e cereali di semina primaverile (avena, orzo, miglio, panico), pronti già alla fine della primavera; la terza parte era lasciata a maggese. Il secondo anno la prima striscia era coltivata a foraggio, legumi e cerea- li primaverili, la seconda era lasciata a maggese, la terza era coltivata a cereali estivi. Il terzo anno la prima parte era lasciata a maggese, la seconda era coltivata a cereali estivi, la terza a foraggio, legumi e grani primaverili. E poi si ricominciava. In questo modo solo un terzo della terra riposava, e non la metà come accadeva in precedenza. Inoltre la possibilità di avere due raccolti all'anno metteva al riparo dagli effetti delle catastrofi climatiche. Una società in movimento: le campagna Un nuovo modo di gestire le terre prima dell'XI secolo i signori rurali, grandi possidenti terrieri, dirigevano proprietà molto ampie, costituite da migliaia di ettari di terreni agricoli e vaste aree boschive: decisero però di frazionare i propri possedimenti e di affidarli ai contadini, per farli fruttare di più. Diventati più ricchi, alcuni di questi contadini ebbero i mezzi per acquistare piccole aree di terreno oppure per prenderle in affitto. Per convincere i contadini ad abbandonare le proprie case e costruirne di nuove nel cuore delle foreste da dissodare, i signori offrivano loro condizioni di favore e consistenti vantaggi, spesso concedendo la libertà a quelli che erano in condizione di servitù. Queste erano definite "carte di Franchigia" O di "libertà”, cioè una serie di garanzie scritte che limitavano i "diritti" dei potenti sui coloni. Intorno all'XI secolo tramonto dunque il Sistema curtense. La nascita di nuovi Villaggi I coloni, diventati liberi e proprietari di una parte di bosco, avevano tutto Pinteresse a far rendere al massimo il proprio terreno. I tempi di questa trasformazione sociale furono lenti e non uniformi; ma si aprì uno spiraglio nelle loro condizioni di vita, spesso miserevoli. Molti contadini iniziarono a darsi regole di vita in comune e ad associarsi; associandosi potevano, ad esempio, comprare un attrezzo costoso come l'aratro con ruote e versoio, tirato da molti animali: un contadino da solo non avrebbe potuto permettersi un tale investimento. Nacquero così nuovi villaggi: il nome di questi insediamenti ricorda ancora oggi che questi sorsero dove prima c'erano dei boschi o che furono nuove Fondazioni o che i coloni usufruirono di particolari privilegi come la franchigia. Molti di questi nuovi villaggi sorsero poi a ridosso delle abbazie e delle grange (i magazzini per il grano delle abbazie cistercensi), verso cui i contadini erano attratti dalla prospettiva di lavorare sotto la protezione dei monaci. Un circolo virtuoso POSSiamo dire che tre diversi processi si collegarono in un circolo virtuoso: una popolazione più densa, con legami più stretti di vita comune, rese possibile un intenso disboscamento e l'estensione dei campi coltivati, grazie anche all'uso di attrezzi più efficaci. A loro volta l'aumento della superficie coltivata e una migliore tecnologia favorirono la crescita della popolazione; meglio nutriti, gli uomini divennero più resistenti alle malattie e alle epidemie ed ebbero più energia per lavorare. L'insieme delle innovazioni fece si che l'agricoltura si aprisse sempre di più al mercato, cambiando anche la mentalità di signori e sottoposti, che da tradizionale e conservatrice si fece più innovativa e imprenditoriale. La rinascita delle citta nuovi protagonisti animano le città Nel corso dell'Alto Medioevo, le città dell'Europa continentale avevano visto indebolirsi il loro ruolo di centri propulsori dell'economia e della vita politica, che avevano in epoca romana. Questo indebolimento era dovuto alla "ruralizzazione" dei ceti dirigenti, (spostamento nelle campagne di chi aveva il potere). Intorno all'XI secolo la città tornò a essere il centro della vita economica e politica dei territori europei e ritornò ad essere un polo d'attrazione per la popolazione. Da questo momento, gli uomini non vivevano più soltanto del lavoro della terra, di prodotti consumati sul posto, né si dedicavano più al Solo mestiere delle armi o al servizio di Dio (in quanto monaci o preti). cominciò ad affermarsi una nuova figura, quella del mercante, che trasportava e vendeva le eccedenze dei campi di mercati o alle grandi fiere che si svolgevano subito fuori dalle mura delle città, perlopiù in occasione delle feste religiose. Qui i beni agricoli erano scambiati con i prodotti degli artigiani della città: Si vendeva lana e si acquistava stoffa, si portavano pelli e si compravano cinture e borse e così via. Le fiere più famose e animate furono quelle delle Fiandre, della regione francese della champagne e della Pianura padana, tre aree collegate tra loro da un intenso flusso mercantile. La rivoluzione agricola esercitò dunque un benefico influsso sulle città, che si animarono attirando sia i grandi proprietari terrieri (signori e milites), sia quei contadini che speravano di migliorare la loro condizione, entrambi desiderosi di abbandonare le campagne. Artigianato specializzato e nuove professioni Migliorando il tenore di vita si moltiplicarono i bisogni da soddisfare. I ricchi che avevano condotto imprese militari fortunate desideravano possedere prodotti più raffinati di quelli disponibili nei villaggi e nei castelli. col passare del tempo in campagna i contadini e i pastori smisero di dedicarsi ad altre occupazioni e si dedicarono a coltivare la terra e badare agli animali: perché mentre prima potevano fare tutto, dopo il Mille aumentò la richiesta di artigiani molto più abili, con molti anni di esperienza. Il fabbro, il pittore, lo scultore, il tessitore, ognuno si dedicava a un solo mestiere, e tutti abitavano in città. Anche i mestieri legati all'edilizia ripresero vigore. In particolare, le chiese in legno dell'Alto Medioevo furono sostituite da chiese di pietra e di marmo bianco, più belle e più sicure (meno soggette al rischio di incendi), per la cui costruzione si utilizzarono materiali provenienti dai grandi edifici di epoca classica ormai in rovina, una preziosa provvista di blocchi già squadrati, spesso scolpiti in modo raffinato. Borghi e borghesi Dopo il Mille cominciarono a sorgere insediamenti Stabili di mercanti. Il piccolo nucleo abitato costruito accanto alle mura venne chiamato borgo. Qui vennero a stabilirsi anche gli artigiani e i piccoli rivenditori. Nei documenti dell'XI secolo quelli che abitavano all'interno della città erano chiamati cives (Cittadini della città vescovile), mentre burgenses, borghesi, (mercanti arrivati da poco che abitavano fuori dalle mura). Nel XII secolo i due termini divennero equivalenti, perché "Cittadini" e "borghesi" erano ormai divenuti una cosa sola. Il processo seguiva due tappe: 1. Si costituiva una doppia città, con due centri: il vecchio dentro le mura e il nuovo al di fuori 2. veniva costruita una nuova cinta di mura più ampia, che inglobava il nuovo insediamento dei mercanti e degli artigiani. Nasce così la nuova città medievale. A Firenze l'aumento demografico fu talmente impetuoso che fu necessario ampliare le mura cittadine tre volte in due secoli (attorno al 950, nel 1078 e nel 1173). L'espansione del commercio marittimo Le correnti d'oro per tutto il periodo successivo all'Impero carolingio, in Europa erano state coniate monete d'argento svilite (contenenti solo una piccola parte di metallo prezioso). L'oro all'inizio dell'XI secolo era sparito dall'Europa occidentale. Dal XII secolo grazie alla crescita dell'economia e al nuovo protagonismo delle città occidentali, le città ripresero il conio di monete di metalli preziosi, che avevano il vantaggio di evitare di mercanti l'uso di grandi quantità di monetine di ferro per acquistare i costosissimi oggetti di lusso in circolazione e rendevano più agili i pagamenti. In una prima fase furono coniate nuove monete d'argento (i "grossi") per uniformare i sistemi di pagamento all'interno di un'economia molto dinamica; poi, nel secolo successivo, ricomparvero anche le monete d'oro. Questo metallo prezioso veniva recuperato dai mercanti delle città marinare italiane attraverso il commercio con Bisanzio e con il mondo islamico. verso la fine dell'VIII secolo l'Impero bizantino aveva accresciuto moltissimo le sue riserve auree: la lotta contro le immagini sacre (icono- clastia) aveva permesso agli imperatori bizantini di impadronirsi dell'oro tesaurizzato nelle chiese. Tra il VIII e il IX secolo si era concentrata una grande quantità di metalli preziosi nelle mani dei musulmani, che oltre a sfruttare le risorse dei territori che conquistavano, controllavano le miniere d'oro della Nubia e quelle d'argento del caucaso e del caspio. La circolazione di monete preziose fece aumentare le possibilità di vendere e comprare e determinò un avanzamento di tutta la civiltà europea. Le importazioni dall'Oriente L'oro rappresentò lo strumento essenziale per la ripresa del commercio e per la circolazione delle merci preziose che dall'oriente confluivano a Bisanzio o nei paesi islamici, e da qui in occidente. Nel Medioevo cannella, noce moscata, zenzero, chiodi di garofano, cardamomo, grani del paradiso entravano nella preparazione di tutti i Cibi, del vino aromatizzato e di molti farmaci. Le spezie provenivano da: India, cina, siria e Egitto. Era molto richiesto l'incenso, utilizzato nelle pratiche liturgiche in chiesa, che veniva importato dalla penisola arabica e dall'Africa orientale. Le zanne degli elefanti africani, fornivano l'avorio per scolpire ornamenti e piccole Statue, oppure, calcinato e ridotto in polvere, veniva usato per costosissime medicine. Per quanto riguarda le pietre preziose: Egitto: smeraldi; Asia: rubini, diamanti, turchesi, giade e lapislazzuli; GOIFO Persico e ceylon: le perle. Molto richiesti erano anche i tessuti: i tappeti arrivavano dall'Asia Minore e dalla persia, mentre un po' da tutto l'oriente provenivano i tessuti di seta: in occidente le mogli e le figlie dei ricchi signori o mercanti ne facevano uno Sfoggio tale che furono emanate leggi (inefficaci) per limitare lussi tanto costosi e Serenati. Le importazioni dall'Occidente Per poter acquistare le merci orientali, l'occidente doveva vendere prodotti altrettanto preziosi. Gli europei esportavano schiavi, in prevalenza slavi: venivano prelevati, per mezzo di razzie, dalla Germania, dalla Dalmazia, lungo le coste tirreniche, adriatiche e dall'Asia. venivano poi rivenduti nella spagna arabizzata, nell'Africa e in Egitto. Gli Schiavi uomini erano addestrati all'uso delle armi e costituivano l'esercito, mentre donne schiave erano costrette a popolare gli harem (parte della casa riservata a donne e bambini). Gli Schiavi erano richiesti anche dai ricchi come domestici. La Pianura padana e la Puglia trafficavano il frumento che veniva venduto all'Impero bizantino. Al mondo islamico veniva venduto il legname per le navi e armi; le armi venivano dalla Lombardia, dalla stria e dalla corinzia. I veneziani erano esperti vetrai; gli abili mercanti vendevano in oriente le loro perle colorate di vetro (ma anche gemme false). Infine in oriente vi era una forte richiesta di panni di lana (esportati in grandi quantità dalle Fiandre) e di Stoffe di lino, tinte di vari colori. I nuovi strumenti della navigazione Nel Medioevo d'inverno le navi restavano in secco, ben protette, e si approfittava di questo periodo per ripararle. Quando si riprendeva la navigazione si seguiva la costa (Si evitava il mare aperto perché era rischioso); la sera le navi venivano ancorate o tirate in secco. Le imbarcazioni erano di due tipi: le galee (o galere) e le navi da trasporto. Le galee erano navi da combattimento: sottili e veloci, venivano chiamate biremi o triremi a seconda del numero di vogatori per ogni remo, erano lunghe anche 50 metri. spesso irematori erano dei condannati incatenati ai remi, costretti a rimanere per tutta la vita sulla galea (da galea deriva galera). Dato che la ciurma era numerosa in questo tipo di imbarcazione la capacità di carico era ridotta; inoltre le galee erano poco stabili in caso di mare grosso perché erano leggere. Le navi da trasporto si muovevano a vela ed avevano pochi remi, che servivano per: le manovre, entrare/uscire dal porto o in assenza di vento. Intorno al VII secolo fu inventata la vela latina, cioè triangolare, più manovrabile di quella quadrata dell'antichità. Le navi da trasporto erano corte e tozze, e trasportavano merci, uomini, cavalli; in caso di necessità erano anche pronte per il combattimento: rovesciavano proiettili sulle navi avversarie. Al XIII secolo risale l'invenzione del timone girevole (mediante una barra), che era fissato alla poppa della nave con un supporto di metallo, rendeva più facile manovrare la nave, soprattutto in condizioni di avversità atmosferiche. chi guidava la nave si serviva dei portolani, carte di approdo che descrivevano lunghi tratti di costa, rotte e scali. Per stabilire la posizione della nave in alto mare si impiegava l'astrolabio, uno strumento che basava il calcolo sulla posizione delle stelle. La bussola, inventata dai cinesi nel IV secolo, fu perfezionata fra il 1100 e il 1200 dai marinai amalfitani, che la unirono alla rosa dei venti e la diffusero nel Mediterraneo durante i loro viaggi verso la siria e l'Egitto. Compagnie e commende I mercanti cominciarono a riunirsi in società, dette corporazioni, che offrivano condizioni di maggiore sicurezza nello svolgimento delle attività mercantili rispetto all'iniziativa individuale. Le corporazioni si dotarono anche di strumenti giuridici per meglio finanziare e tutelare le proprie imprese: il commercio terrestre si organizzò in compagnie, cioè associazioni di capitali che garantivano la continuità nel tempo di alcuni scambi; per il commercio marittimo, più costoso e rischioso, si ricorse alla commenda, una forma di finanziamento collettivo che, al ritorno delle navi, garantiva agli investitori la restituzione del capitale anticipato più una percentuale sui profitti realizzati. La Hanca In Francia e in Italia le corporazioni si svilupparono sempre all'interno di una sola città. Invece nell'Europa settentrionale le città lungo le rive del mare del Nord e del mar Baltico che erano collegate alle città costiere da intensi rapporti commerciali, fra il XII e il XIII secolo si unirono in una lega sovranazionale chiamata Hansa O Lega anseatica. LA HANSA (parola che significa "schiera”, “associazione», e più tardi "associa- zione commerciale") controllava i traffici commerciali e le aree di pesca di una vastissima area. La Lega anseatica tutelava non solo i propri commerci, ma difendeva anche la vita dei mercanti che si recavano all'estero per svolgere la loro attività. Nei paesi stranieri i mercanti dell'Hansa potevano contare su propri fondaci e commerciare al riparo da abusi di potere da parte delle autorità locali. Nel periodo di maggior prosperità la Lega anseatica riuni novanta città e rag-giunse una grande potenza economica, anche se le città rimasero di fatto sempre autonome puna dall'altra. Il centro più prestigioso della Hansa era Lubecca, che presiedeva l'assemblea comune della lega e ne conservava gli archivi; il suo potere e la sua ricchezza erano tali che l'imperatore nel 1226 le concesse il titolo di "Città libera". Altri importanti centri della Lega anseatica furono Amburgo, Brema, Königsberg, Riga e stoccolma. Le città marinare italiane Una vocazione marittima Quando in occidente aumentò la richiesta di prodotti di lusso, i mercanti più intraprendenti non si accontentarono di andare di città in città: molti di loro non esitarono ad affrontare il mare, i pirati, i pericoli di un lungo viaggio. In Italia fu importantissimo il ruolo giocato da alcuni centri urbani costieri, le cosiddette città marinare: Amalfi, venezia, Genova e Pisa. Queste Città svilupparono una vocazione marittima perché costrette, non potendo espandersi nell'entroterra. Le città marinare, dominatrici con le loro navi dei traffici del Mediterraneo, Stabilirono scambi regolari con l'Impero bizantino e i paesi d'oriente. Amalfi, Pisa e Genova La prima ad assumere importanza fu la Città di Amalfi nell'XI secolo: gli amalfitani contribuirono all'arte della navigazione perfezionando la bussola e creando il più antico codice commerciale marittimo, le Tavole amalfitane (XI secolo). Amalfi fu anche la prima città marinara a perdere centralità economica: fu conquistata dai normanni, aggredita e saccheggiata da Pisa, rimpicciolita da frane e mareggiate. su due lapidi della facciata della cattedrale di Pisa sono ricordate le imprese della città contro i saraceni, attuatecon l'aiuto di Genova. La vittoria fu Ottenuta al prezzo di terribili Stragi compiute a Reggio Calabria, sardegna e Annaba (Africa). Ma i pisani si dedicavano alla pirateria: nel 1063 Si impadronirono di sei navi che si trovavano nel porto di Palermo. Motivi di concorrenza commerciale portarono Pisa a rompere l'alleanza con Genova, fino a farle un'aspra guerra. sconfitta da Genova nella battaglia navale della melòria nel 1284, Pisa dovette riconoscere la supremazia sul mare della rivale, ma continuò a essere un'importante città dell'Italia. Genova conobbe una rapida crescita della sua egemonia sul mare grazie alla prima crociata, dalla quale ottenne privilegi che le permisero di stabilire basi commerciali in sardegna, in corsica e in oriente. Dopo aver sconfitto Pisa alla melòria, si scontrò più volte con venezia, fino alla decisiva guerra di Chioggia (1378-1381), dalla quale uscì ridimensionata come potenza marinata. La grandezza di Venezia venezia sorse al tempo delle grandi migrazioni germaniche del VI e VII secolo. Quando sulla terraferma passarono le carovane degli invasori le famiglie Si ripararono sulle isolette, protette dalla cintura sabbiosa della laguna. Andare ad abitare in laguna fu certamente una scelta coraggiosa: non c'erano campi da poter coltivare e non c'erano pietre per costruire, l'unica ricchezza era la barca attaccata al muro di ogni casa. L'isolamento però assicurò la salvezza.nei secoli arrivarono altre ondate di fuggitivi e venezia si trasformò in una città quando carlo Magno divenne padrone dell'Italia venezia dichiarò che avrebbe obbedito soltanto all'imperatore dei romani o meglio dei bizantini.così decide il suo destino perché si stacco per sempre dall'Italia. La fedeltà Bisanzio permise a venezia di essere allungo la più avvantaggiata intermediaria tra oriente occidente e, finché nel 1082 l'imperatore bizantino le concesse con un documento chiamato crisobolla la più totale libertà di commercio in tutto il territorio dell'impero. venezia era una città comunale del tutto speciale. Il governo della città era Oligarchico: a capo del comune c'era il doge eletto dai consigli, assemblee dei Cittadini di cui facevano parte i membri delle famiglie più potenti. venezia trasportava i suoi carichi a pavia, da pavia le merci raggiungevano Francia e Germania. Il controllo sul Mar Adriatico era simboleggiato nella fastosa cerimonia politica dello "sposalizio del mare". Il giorno dell'ascensione (40 gg dopo Pasqua) il doge versava in mare un vaso di acqua benedetta e vi gettava un anello dicendo: "sposiamo te, mare nostro, in segno di vero e perpetuo dominio".