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Le origini della letteratura latina

Le origini della letteratura latina

 Letteratura Latina
Le origini della
letteratura latina
1. Le testimonianze preletterarie in poesia
• Forme espressive arcaiche
Nei secoli (

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Sintesi dal libro “Libri et homines 1”

 

3ªl

Sintesi

Letteratura Latina Le origini della letteratura latina 1. Le testimonianze preletterarie in poesia • Forme espressive arcaiche Nei secoli (III secolo a.C.) in cui la civiltà romana incominciava a costituirsi e ad affermarsi si elaboravano lentamente le più antiche forme letterarie. Si tratta di forme preprosastiche, cui appartengono i documenti ufficiali e le prime testimonianze dell'analistica o dell'oratoria, e prepoetiche, vale a dire i carmina (di vario tipo) e un'embrionale produzione teatrale. • I carmina Con il nome generico di carmen si designarono preghiere, canzoni popolari, composizioni conviviali, elogi funebri, canti celebrativi. Dal punto di vista formale, il carmen era una forma espressiva a metà strada tra la prosa e la poesia; possiamo definirla una prosa ritmica o <<commatica>>, un componimento quindi che veniva pronunciato con ritmo che rendeva facile la memorizzazione e affascinante l'ascolto. Per ottenere questo effetto parliamo di due fenomeni in particolare: quello d'equivalenza, secondo il quale si costruiva il verso con uno schema metrico quantitativo, e quello del parallelismo, che consisteva nelle ripetizioni di figure di suono, di figure morfologiche e di figure sintattiche. I carmina risultarono, grazie a questi fenomeni, caratterizzati da effetti fonici molto particolari, analoghi a quelli delle formule della legge o della magia. • Il saturnio Il saturnio è il più antico verso della poesia latina. Il nome significa semplicemente <<italico>> e racchiude un riferimento...

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alla remota età dell'oro, ai temi miti del regno di Saturno. Si tratta della più originale creazione della letteratura arcaica, parlando di metrica, e fu utilizzato da Livio Andronico per l'Odusía e da Nevio per il Bellum Poenicum; in saturni troviamo anche gli elogia sepolcrali di Lucio Cornelio Scipione, console nel 259 a.C., e di suo padre, console omonimo del 298 a.C. Secondo una prima ipotesi il saturnio sarebbe un metro assimilabile a quelli greci e,dunque, di natura quantitativa; strutturalmente sarebbe formato da due unità (cola) divise da una pausa (dieresi). Una seconda ipotesi invece ci dice che il saturnio avrebbe natura ritmico- accentuativa. Unʼultima, avanzata recentemente, è quella del <<ritmo verbale>>: nel Letteratura Latina saturnio ci sarebbero blocchi di parole che costituirebbero delle vere e proprie unità ritmiche in grado di imprimere al verso un andamento ripetitivo. • Carmina religiosi I Romani, prima dell'influenza greca, avevano una visione della religione concreta e utilitaristica. A ogni azione o situazione umana corrispondeva una divinità con un suo profilo distinto. Inoltre, la relazione con il divino era intesa in una dimensione di scambio diretto tra la protezione richiesta e il sacrificio offerto come ringraziamento: dare in cambio alle divinità il giusto compenso per il favore ottenuto. Queste formule o preghiere sono le prime forme di carmina di cui ci è giunta memoria. Poiché il culto era pubblico o domestico, esistevano formule utilizzate ufficialmente, ad esempio nelle festività, e preghiere pronunciate dal pater familias nella propria casa, che proteggevano la propria gens. ● I Feziali e la devotio I Feziali erano un collegio sacerdotale preposto all'osservanza del diritto sacro relativo ai trattati di alleanza e alle dichiarazioni di guerra. Dovevano disporre di un preciso formulario che usavano durante le cerimonie ufficiali, come testimonia Livio. Ancora Livio riferisce della pratica della devotio, terribile preghiera formulata da un comandante prima della battaglia, con la quale si offriva la propria vita insieme a quella degli avversari agli Inferi, perché questi trascinassero nell'oltretomba i nemici. • Carmen Saliare Il carmen Saliare apparteneva alla liturgia ufficiale dei Salii, sacerdoti di Marte e di Ercole, che si distinguevano in due collegi, di dodici membri ciascuno: i Salii palatinie i Salii quirinales. Il loro santuario custodia dodici ancilia, scudi bronzei fatti costruire secondo la tradizione dal re Numa Pompilio. Si narrava infatti che sotto il suo regno fosse caduto dal cielo un ancile, che venne considerato dal re dono dello stesso Marte alla città di Roma. Affinché lo scudo non venisse rubato dai nemici, Numa Pompilio ordinò di costruirne altri undici identici, in mezzo ai quali confondere quello vero. I Salii, in relazione con il verbo salio (<<saltare>>), eseguivano annualmente una danza guerriera rituale basato sul salto, detta tripudium poiché caratterizzata dal ritmo ternario. Durante la cerimonia, celebrata a marzo, i sacerdoti invocavano le divinità protettrici di Roma. La più importante preghiera dei Salii, detta carmen Saliare, è stata conservata dai grammatici e risulta in una lingua così arcaica da non essere compresa nel suo significato neppure dagli stessi celebranti già durante l'età repubblicana. • Carmen Arvale Legato alle cerimonie per favorire la fertilità dei campi è il carmen Arvale, recitato dai fratres Arvales, un colleggio di sacerdoti costituito da dodici membri, il cui nome è collegato alla parola arva, <<campi>>. Veniva celebrata da questi, annualmente, Letteratura Latina all'inizio di maggio, la festa degli Ambarvalia per propiziare la fecondità della terra. Nei tre giorni di festa c'erano sacrifici, preghiere e processioni. Gli scavi archeologici effettuati nel sito in cui sorgeva il santuario di questi sacerdoti hanno portato alla luce una pietra che ricorda le cerimonie del 218 d.C. Il testo è riportato nella lingua originale degli acta dei sacerdoti per il ritiro di purificazione dei campi. La lingua è fortemente arcaica, la struttura è caratterizzata dalla ripetizione ternaria delle invocazioni e delle formule, tripudium. Probabilmente la recitazione era accompagnata dalla danza e dalla musica; il metro era il saturnio. ● Carmen Lustrale Parlando di forme di culto privato, parliamo di forme che si concentravano sulla devozione ai Lari, protettori della famiglia, il cui fulcro era il focolare, e ai Penati, protettori della dispensa (penus) e personificazione degli antenati. Catone nel suo trattato sull'agricoltura ha tramandato in lingua latina il testo di un carmen Lustrale, carmen purificatorio recitato dal pater familias durante la processione nella festa degli Ambarvalia. A Marte si sacrificavano un maiale, una pecora e un toro per chiedere un abbondante raccolto. • Carmina popularia I carmina popularia sono espressione poetica legata intimamente alla vita quotidiana. • La poesia celebrativa Un ultimo abito nel quale vediamo usato il carmen è quello celebrativo, di cui sono esempi le neniae, i carmina convivalia, gli elogia e i carmina triumphalia. Le neniae erano eseguite durante i funerali ed erano accompagnate dal suono del flauto. In essi tema principale era il rimpianto per il defunto, la celebrazione delle sue virtù e le lodi generiche. Eseguite da parenti o da prefiche (donne pagate per piangere) contribuirono alla formazione di un repertorio di leggende e miti, contribuendo alla formazione della tradizione epica latina. I carmina convivalia sono anch'essi legati alla trasmissione della memoria; erano eseguiti durante i banchetti, in cui venivano cantate le imprese degli antenati di famiglie illustri. Erano, inoltre, un modo per ribadire l'appartenenza alla gens e per dimostrare, attraverso il ricordo di faccende private, l'importanza dei maiores della propria famiglia anche in ambito pubblico. Gli elogia erano le incisioni sui monumenti sepolcrali di iscrizioni più articolate per lasciare ai posteri memoria dei defunti appartenenti alle famiglie più illustri. Di questa tipologia poetica ci sono stati conservati due testi: l'elogio di L. Cornelio Scipione Barbato e quello di suo figlio Lucio Cornelio Scipione. • I carmina triumphalia Canti celebrativi eseguiti dai soldati che accompagnavano l'imperator lungo il trionfo. Letteratura Latina Questi canti non avevano solo un fine di esaltazione, ma anche una funzione apotropaica: molti lanciavano contro di lui insulti, scherni e versi licenziosi, con cui si credeva di poter allontanare il malocchio che si pensava colpisse per invidia di chi era all'apice del successo. • Tra eloquenza e vita pubblica Nel mondo romano repubblicano chiunque avesse compiti legislativi, amministrativi o militari doveva essere anche un buon oratore. Per lo stretto legame che esisteva tra eloquenza e vita pubblica Cicerone fece coincidere la nascita dell'oratoria con quella della repubblica stessa, immaginando che uno dei primi oratori fosse stato quel Bruto che aveva assunto l'incarico di primo console di Roma, dopo la cacciata dell'ultimo re etrusco Tarquinio il Superbo. • Laudatio funebris Era un discorso elogiativo, recitato in conclusione della cerimonia funebre, funus, di un patrizio; poteva essere tenuto da un membro della famiglia o da un magistrato. Era un vero e proprio discorso scritto, il cui testo veniva successivamente conservato negli archivi di famiglia. 2. Il teatro italico delle origini • I fescennini Le prime forme embrionali di teatro le troviamo in occasione di festività religiose collegate ai lavori dei campi. Particolare diffusione ebbero i fescennini, vivaci scambi di battute, spesso molto volgari, accompagnati da una mimica accordata all'oscenità della situazione. I versi fescennini contenevano in nuce tutti gli elementi del futuro teatro romano: dialoghi salaci, danza, metrica e canti. Il nome va connesso con Fescennia, località tra l'Etruria e il Lazio, che avrebbe dato origine a questa tradizione buffonesca. Secondo altri, invece, la parola fescennini era legata al termine fascinum, che designava contemporaneamente il malocchio e il fallo, quest'ultimo considerato il miglior rimedio contro il malocchio (moderni cornetti napoletani). È per il loro aggancio alla fecondità che i fescennini trovarono una collocazione anche nelle cerimonie nuziali, proteggendo la fertilità della ragazza e la forza generativa dello sposo. Possiamo quindi parlare di una comicità rituale, che sta alla base del teatro stesso, fusa tra comicità e sacralità. • La fabula Atellana Lo storico Livio afferma che, quando da gioco improvvisato la satura si trasformò in ars, i romani la lasciarono ai professionisti e si volsero alle primitive forme di comicità. Queste si intrecciarono con quelle originarie della città campana di Atella, dando vita alla fabula Atellana, denominata exodium (<<spettacolo di uscita>>) Atellanum, Letteratura Latina poiché recitata alla fine di una commedia alla greca. Gli intrecci erano ispirati ad avvenimenti popolari di vita quotidiana e recitati da quattro personaggi che indossavano maschere fisse e improvvisavano le loro battute sulla base di un canovaccio prestabilito. Le maschere utilizzate in particolare erano: Maccus, lo sciocco sempre affamato; Pappus, il vecchio rimbambito e vizioso; Bucco, un ciarlatano millantatore; Dossennus, il gobbo astuto e malvagio. L'Atellana suscitava allegria e grande partecipazione emotiva tra gli spettatori, ai quali i personaggi e i loro stereotipati comportamenti erano familiari. 3. La prosa letteraria • Le prime testimonianze linguistiche Solo a partire dal VII secolo a.C. si incontrano le prime testimonianze scritte. Il più antico documento pervenutoci in alfabeto latino sembra essere la fibula Praenestina, una fibbia in oro del VII secolo a.C., ritrovata in una tomba a Preneste, con su una scritta dedicatoria. Molti sono stati i dubbi sulla sua autenticità, ma nel 2011 grazie a una serie di indagini scientifiche, è stato dimostrato che il manufatto è perfettamente compatibile con le tecniche orafe etrusche coeve. Alla fine del periodo monarchico (575-550 a.C.) risale una scritta epigrafica (sulla pietra), il cosiddetto cippo del Foro, ritrovato nel Foro Romano sotto un tratto di pavimentazione in marmo nero di un piccolo santuario dedicato a Vulcano fondato, secondo la tradizione, da Romolo. L'iscrizione è in alfabeto arcaico e risente in modo evidente dell'influsso greco ed etrusco. La scrittura ha carattere bustrofedico, le linee procedono alternativamente da sinistra a destra e viceversa, come i solchi tracciati dai buoi nell'aratura. L'avvio fa pensare a una maledizione a chi viola il tempio, ma attualmente si ritiene che l'iscrizione contenesse un avvertimento ai passanti perché sciogliessero i buoi aggiogati, se l’araldo avesse ordinato: un augure infatti non doveva imbattersi in una coppia di animali legati. Al VI secolo a.C. risale il lapis Satricanus, scoperto durante gli scavi nel sito archeologico del tempio dedicato alla Mater Matuta (dea italica dell'Aurora, al cui culto erano ammesse le vergini o le donne sposate una sola volta e non ancora vedove, poiché il divorzio era molto frequente) nell'antica città di Satricum. Il testo fa intravedere una dedica votiva a Marte. La terza iscrizione pervenutaci, anch'essa databile al VI secolo a.C., ritenuta su un vaso di bucchero formato da tre recipienti rotondi conglobati e noto come vaso di Duenos. L'iscrizione non ha interruzione tra una parola e l'altra (scriptio continua), e corre da destra a sinistra. Probabilmente il vaso doveva servire a contenere un filtro magico e la scritta dettava istruzioni per l'utilizzo del contenuto. Un'altra antica iscrizione si trova su un recipiente cilindrico di bronzo, decorato con incisioni che rinviano al mito degli Argonauti e sormontato da tre statuette (Dioniso e due satiri): la cista Forconi, dal nome dell'antiquario che la scoprì a Preneste. La cista, risalente al IV secolo a.C., serviva a conservare gioielli o altri oggetti di toilette femminile e riporta sul coperchio Letteratura Latina una scritta nelle quali vengono indicati il nome della committente, quello dell'artigianato che la costruì e la destinataria, la figlia, per cui forse il manufatto rappresentava un dono di nozze. La sua bellezza artistica e il soggetto mitico scelto indicano che l'artigiano che lo costruì doveva essere di provenienza greca. • Alle origini dei generi Le prime testimonianze preletterarie scritte: le laudationes funebres e le orazioni posso essere considerate forme archetipali della successiva oratoria o i carmina del primo gusto poetico. Si vanno fissando forme embrionali della comunicazione letteraria di cui si studierà l'evoluzione e su cui si innesterà il confronto con altre produzioni più mature, come quella della cultura greca. • Commentarii, fasti e annales Ogni magistrato romano aveva il compito di registrare i provvedimenti più significativi della sua magistratura. All'inizio queste note ebbero carattere privato e vennero conservate negli archivi familiari. Successivamente assunsero rilevanza pubblica e furono custodite in sedi ufficiali. Il termine commentarius designò più precisamente la registrazione di avvenimenti, mentre liber si indicò l'insieme di norme di carattere rituale, di protocolli e di statuti. Da essi furono ricavate le liste dei consoli dette fasti consulares. Queste liste, note come Fasti Capitolini, sono pervenute a noi in forma epigrafica e si trovano ancora oggi in Campidoglio. Ai pontefici era demandato il compito di conservare e aggiornare l'archivio ufficiale dello Stato. Appartenenti a tutte le famiglie patrizie, i pontefici si tramandavano, oralmente, statuti e regole concernenti il funzionamento dello Stato, istituendo così tra potere politico e religioso con uno stretto legame che caratterizzò a lungo la società. Nel calendario annotavano i dies fasti, i giorni in cui si poteva amministrare la giustizia, trattare gli affari politici, celebrare festività religiose, i ludi, e i dies nefasti, considerati infausti per le diverse attività. Il pontifex maximus (come Cesare), inoltre, esponeva davanti alla propria residenza una tabula dealbata, tavola bianca, su cui annotavano i consoli e gli altri magistrati dell'anno in corso e gli avvenimenti salienti di quel periodo con la relativa data. Questa registrazione divenne regolare a partire dal 249 a.C., dando origine agli annales. Dal momento che le tabule dealbatae, al termine dell'anno venivano conservate negli archivi, verso il 123 a.C. il pontefice Publio Mucio Scevola raccolse in 80 volumi gli annales dei precedenti 280 anni (dal 403 a.C.). Questa raccolta venne denominata Annales Maximi e fu la principale fonte degli avvenimenti storici dell’età repubblicana, perché fornì il modello a cui si sarebbero attenuti gli storici romani nella distribuzione della loro materia. È da questi annales che la storiografia latina ereditò lo schema annalistico. • I testi giuridici Un primo codice di leggi, noto come leggi delle Dodici Tavole, fu redatto nel 451-450 Letteratura Latina a.C., a opera di un organismo appositamente istituito, i decemviri legibus scribundis. Per la tradizione queste 12 tavole bronzee, andate distrutte in un incendio durante l'incursione dei Galli, fossero esposte nel Foro e che i ragazzi romani le imparassero a memoria. Il loro contenuto è stato citato spesso da storici e giuristi delle epoche successive e quindi siamo in grado di ricostruirne i caratteri. Da sempre considerate base del diritto romano costituirono una conquista per le classi più deboli, perché sottraevano il giudizio all'arbitrio dei singoli giudici. Lo stile in cui le leggi sono scritte si caratterizza per una prosa asciutta, essenziale, in cui si nota la presenza del parallelismo fonico e sintattico, utile per la memorizzazione. 4. Appio Claudio Cieco, uomo di legge e di cultura • Le notizie biografiche Appio Claudio Cieco fu uomo politico, scrittore e oratore. Prese parte alla guerra contro i Sanniti, a quella contro gli Etruschi e quella contro Taranto e Pirro. Rivestì la carica di censore dal 312 al 307 a.C. e quella di console nel 307 e nel 296 a.C. Favorì i plebei e riformò le regole relative allo status civico, introducendo nel senato anche i figli di schiavi liberati. Nel 312 a.C. fece costruire il primo tratto della via Appia. Celebre è l'orazione da lui pronunciata in senato contro le proposte di pace dell'ambasciatore di Pirro. • Il primo autore di cui si ha notizia Di Appio sono stati conservati 3 frammenti di una raccolta di proverbi, probabilmente in saturni. Fra di esse la più famosa è <<ognuno è artefice del proprio destino>>. Oggi si ritiene che le massime raccolte da Appio Claudio non siano originali ma che derivino da opere del teatro comico greco. In età ellenistica i personaggi della commedia chiudevano spesso le loro battute con frasi proverbiali, che trasmettevano un insegnamento. Legislatore e grammatico Vanno ricordate la composizione di un trattato dal titolo De usurpationibus e la pubblicazione dello ius Flavianum, una raccolta di norme giuridiche con la quale venivano sottratti ai pontefici antichi privilegi che permettevano loro atti di prevaricazione. Ad Appio risale anche una riforma in campo ortografico. L'autore diede soluzione ad alcuni problemi ortografici, sostituendo -s- intervocalica con la re abolendo la z. La sua personalità versatile e poliedrica fa di lui il primo <<intellettuale romano>>. Non sappiamo con certezza quante orazioni Appio Claudio Cieco abbia pronunciato o scritto in tutta la sua vita, ma si suppone siano state numerose.

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Unʼultima, avanzata recentemente, è quella del <<ritmo verbale>>: nel Letteratura Latina saturnio ci sarebbero blocchi di parole che costituirebbero delle vere e proprie unità ritmiche in grado di imprimere al verso un andamento ripetitivo. • Carmina religiosi I Romani, prima dell'influenza greca, avevano una visione della religione concreta e utilitaristica. A ogni azione o situazione umana corrispondeva una divinità con un suo profilo distinto. Inoltre, la relazione con il divino era intesa in una dimensione di scambio diretto tra la protezione richiesta e il sacrificio offerto come ringraziamento: dare in cambio alle divinità il giusto compenso per il favore ottenuto. Queste formule o preghiere sono le prime forme di carmina di cui ci è giunta memoria. Poiché il culto era pubblico o domestico, esistevano formule utilizzate ufficialmente, ad esempio nelle festività, e preghiere pronunciate dal pater familias nella propria casa, che proteggevano la propria gens. ● I Feziali e la devotio I Feziali erano un collegio sacerdotale preposto all'osservanza del diritto sacro relativo ai trattati di alleanza e alle dichiarazioni di guerra. Dovevano disporre di un preciso formulario che usavano durante le cerimonie ufficiali, come testimonia Livio. Ancora Livio riferisce della pratica della devotio, terribile preghiera formulata da un comandante prima della battaglia, con la quale si offriva la propria vita insieme a quella degli avversari agli Inferi, perché questi trascinassero nell'oltretomba i nemici. • Carmen Saliare Il carmen Saliare apparteneva alla liturgia ufficiale dei Salii, sacerdoti di Marte e di Ercole, che si distinguevano in due collegi, di dodici membri ciascuno: i Salii palatinie i Salii quirinales. 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La più importante preghiera dei Salii, detta carmen Saliare, è stata conservata dai grammatici e risulta in una lingua così arcaica da non essere compresa nel suo significato neppure dagli stessi celebranti già durante l'età repubblicana. • Carmen Arvale Legato alle cerimonie per favorire la fertilità dei campi è il carmen Arvale, recitato dai fratres Arvales, un colleggio di sacerdoti costituito da dodici membri, il cui nome è collegato alla parola arva, <<campi>>. Veniva celebrata da questi, annualmente, Letteratura Latina all'inizio di maggio, la festa degli Ambarvalia per propiziare la fecondità della terra. Nei tre giorni di festa c'erano sacrifici, preghiere e processioni. Gli scavi archeologici effettuati nel sito in cui sorgeva il santuario di questi sacerdoti hanno portato alla luce una pietra che ricorda le cerimonie del 218 d.C. Il testo è riportato nella lingua originale degli acta dei sacerdoti per il ritiro di purificazione dei campi. La lingua è fortemente arcaica, la struttura è caratterizzata dalla ripetizione ternaria delle invocazioni e delle formule, tripudium. Probabilmente la recitazione era accompagnata dalla danza e dalla musica; il metro era il saturnio. ● Carmen Lustrale Parlando di forme di culto privato, parliamo di forme che si concentravano sulla devozione ai Lari, protettori della famiglia, il cui fulcro era il focolare, e ai Penati, protettori della dispensa (penus) e personificazione degli antenati. Catone nel suo trattato sull'agricoltura ha tramandato in lingua latina il testo di un carmen Lustrale, carmen purificatorio recitato dal pater familias durante la processione nella festa degli Ambarvalia. A Marte si sacrificavano un maiale, una pecora e un toro per chiedere un abbondante raccolto. • Carmina popularia I carmina popularia sono espressione poetica legata intimamente alla vita quotidiana. • La poesia celebrativa Un ultimo abito nel quale vediamo usato il carmen è quello celebrativo, di cui sono esempi le neniae, i carmina convivalia, gli elogia e i carmina triumphalia. Le neniae erano eseguite durante i funerali ed erano accompagnate dal suono del flauto. In essi tema principale era il rimpianto per il defunto, la celebrazione delle sue virtù e le lodi generiche. Eseguite da parenti o da prefiche (donne pagate per piangere) contribuirono alla formazione di un repertorio di leggende e miti, contribuendo alla formazione della tradizione epica latina. I carmina convivalia sono anch'essi legati alla trasmissione della memoria; erano eseguiti durante i banchetti, in cui venivano cantate le imprese degli antenati di famiglie illustri. Erano, inoltre, un modo per ribadire l'appartenenza alla gens e per dimostrare, attraverso il ricordo di faccende private, l'importanza dei maiores della propria famiglia anche in ambito pubblico. Gli elogia erano le incisioni sui monumenti sepolcrali di iscrizioni più articolate per lasciare ai posteri memoria dei defunti appartenenti alle famiglie più illustri. Di questa tipologia poetica ci sono stati conservati due testi: l'elogio di L. Cornelio Scipione Barbato e quello di suo figlio Lucio Cornelio Scipione. • I carmina triumphalia Canti celebrativi eseguiti dai soldati che accompagnavano l'imperator lungo il trionfo. 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Era un vero e proprio discorso scritto, il cui testo veniva successivamente conservato negli archivi di famiglia. 2. Il teatro italico delle origini • I fescennini Le prime forme embrionali di teatro le troviamo in occasione di festività religiose collegate ai lavori dei campi. Particolare diffusione ebbero i fescennini, vivaci scambi di battute, spesso molto volgari, accompagnati da una mimica accordata all'oscenità della situazione. I versi fescennini contenevano in nuce tutti gli elementi del futuro teatro romano: dialoghi salaci, danza, metrica e canti. Il nome va connesso con Fescennia, località tra l'Etruria e il Lazio, che avrebbe dato origine a questa tradizione buffonesca. Secondo altri, invece, la parola fescennini era legata al termine fascinum, che designava contemporaneamente il malocchio e il fallo, quest'ultimo considerato il miglior rimedio contro il malocchio (moderni cornetti napoletani). È per il loro aggancio alla fecondità che i fescennini trovarono una collocazione anche nelle cerimonie nuziali, proteggendo la fertilità della ragazza e la forza generativa dello sposo. Possiamo quindi parlare di una comicità rituale, che sta alla base del teatro stesso, fusa tra comicità e sacralità. • La fabula Atellana Lo storico Livio afferma che, quando da gioco improvvisato la satura si trasformò in ars, i romani la lasciarono ai professionisti e si volsero alle primitive forme di comicità. Queste si intrecciarono con quelle originarie della città campana di Atella, dando vita alla fabula Atellana, denominata exodium (<<spettacolo di uscita>>) Atellanum, Letteratura Latina poiché recitata alla fine di una commedia alla greca. Gli intrecci erano ispirati ad avvenimenti popolari di vita quotidiana e recitati da quattro personaggi che indossavano maschere fisse e improvvisavano le loro battute sulla base di un canovaccio prestabilito. Le maschere utilizzate in particolare erano: Maccus, lo sciocco sempre affamato; Pappus, il vecchio rimbambito e vizioso; Bucco, un ciarlatano millantatore; Dossennus, il gobbo astuto e malvagio. L'Atellana suscitava allegria e grande partecipazione emotiva tra gli spettatori, ai quali i personaggi e i loro stereotipati comportamenti erano familiari. 3. La prosa letteraria • Le prime testimonianze linguistiche Solo a partire dal VII secolo a.C. si incontrano le prime testimonianze scritte. Il più antico documento pervenutoci in alfabeto latino sembra essere la fibula Praenestina, una fibbia in oro del VII secolo a.C., ritrovata in una tomba a Preneste, con su una scritta dedicatoria. Molti sono stati i dubbi sulla sua autenticità, ma nel 2011 grazie a una serie di indagini scientifiche, è stato dimostrato che il manufatto è perfettamente compatibile con le tecniche orafe etrusche coeve. Alla fine del periodo monarchico (575-550 a.C.) risale una scritta epigrafica (sulla pietra), il cosiddetto cippo del Foro, ritrovato nel Foro Romano sotto un tratto di pavimentazione in marmo nero di un piccolo santuario dedicato a Vulcano fondato, secondo la tradizione, da Romolo. L'iscrizione è in alfabeto arcaico e risente in modo evidente dell'influsso greco ed etrusco. La scrittura ha carattere bustrofedico, le linee procedono alternativamente da sinistra a destra e viceversa, come i solchi tracciati dai buoi nell'aratura. L'avvio fa pensare a una maledizione a chi viola il tempio, ma attualmente si ritiene che l'iscrizione contenesse un avvertimento ai passanti perché sciogliessero i buoi aggiogati, se l’araldo avesse ordinato: un augure infatti non doveva imbattersi in una coppia di animali legati. Al VI secolo a.C. risale il lapis Satricanus, scoperto durante gli scavi nel sito archeologico del tempio dedicato alla Mater Matuta (dea italica dell'Aurora, al cui culto erano ammesse le vergini o le donne sposate una sola volta e non ancora vedove, poiché il divorzio era molto frequente) nell'antica città di Satricum. Il testo fa intravedere una dedica votiva a Marte. La terza iscrizione pervenutaci, anch'essa databile al VI secolo a.C., ritenuta su un vaso di bucchero formato da tre recipienti rotondi conglobati e noto come vaso di Duenos. L'iscrizione non ha interruzione tra una parola e l'altra (scriptio continua), e corre da destra a sinistra. Probabilmente il vaso doveva servire a contenere un filtro magico e la scritta dettava istruzioni per l'utilizzo del contenuto. Un'altra antica iscrizione si trova su un recipiente cilindrico di bronzo, decorato con incisioni che rinviano al mito degli Argonauti e sormontato da tre statuette (Dioniso e due satiri): la cista Forconi, dal nome dell'antiquario che la scoprì a Preneste. La cista, risalente al IV secolo a.C., serviva a conservare gioielli o altri oggetti di toilette femminile e riporta sul coperchio Letteratura Latina una scritta nelle quali vengono indicati il nome della committente, quello dell'artigianato che la costruì e la destinataria, la figlia, per cui forse il manufatto rappresentava un dono di nozze. La sua bellezza artistica e il soggetto mitico scelto indicano che l'artigiano che lo costruì doveva essere di provenienza greca. • Alle origini dei generi Le prime testimonianze preletterarie scritte: le laudationes funebres e le orazioni posso essere considerate forme archetipali della successiva oratoria o i carmina del primo gusto poetico. Si vanno fissando forme embrionali della comunicazione letteraria di cui si studierà l'evoluzione e su cui si innesterà il confronto con altre produzioni più mature, come quella della cultura greca. • Commentarii, fasti e annales Ogni magistrato romano aveva il compito di registrare i provvedimenti più significativi della sua magistratura. All'inizio queste note ebbero carattere privato e vennero conservate negli archivi familiari. Successivamente assunsero rilevanza pubblica e furono custodite in sedi ufficiali. Il termine commentarius designò più precisamente la registrazione di avvenimenti, mentre liber si indicò l'insieme di norme di carattere rituale, di protocolli e di statuti. Da essi furono ricavate le liste dei consoli dette fasti consulares. Queste liste, note come Fasti Capitolini, sono pervenute a noi in forma epigrafica e si trovano ancora oggi in Campidoglio. Ai pontefici era demandato il compito di conservare e aggiornare l'archivio ufficiale dello Stato. Appartenenti a tutte le famiglie patrizie, i pontefici si tramandavano, oralmente, statuti e regole concernenti il funzionamento dello Stato, istituendo così tra potere politico e religioso con uno stretto legame che caratterizzò a lungo la società. Nel calendario annotavano i dies fasti, i giorni in cui si poteva amministrare la giustizia, trattare gli affari politici, celebrare festività religiose, i ludi, e i dies nefasti, considerati infausti per le diverse attività. Il pontifex maximus (come Cesare), inoltre, esponeva davanti alla propria residenza una tabula dealbata, tavola bianca, su cui annotavano i consoli e gli altri magistrati dell'anno in corso e gli avvenimenti salienti di quel periodo con la relativa data. Questa registrazione divenne regolare a partire dal 249 a.C., dando origine agli annales. Dal momento che le tabule dealbatae, al termine dell'anno venivano conservate negli archivi, verso il 123 a.C. il pontefice Publio Mucio Scevola raccolse in 80 volumi gli annales dei precedenti 280 anni (dal 403 a.C.). Questa raccolta venne denominata Annales Maximi e fu la principale fonte degli avvenimenti storici dell’età repubblicana, perché fornì il modello a cui si sarebbero attenuti gli storici romani nella distribuzione della loro materia. È da questi annales che la storiografia latina ereditò lo schema annalistico. • I testi giuridici Un primo codice di leggi, noto come leggi delle Dodici Tavole, fu redatto nel 451-450 Letteratura Latina a.C., a opera di un organismo appositamente istituito, i decemviri legibus scribundis. Per la tradizione queste 12 tavole bronzee, andate distrutte in un incendio durante l'incursione dei Galli, fossero esposte nel Foro e che i ragazzi romani le imparassero a memoria. Il loro contenuto è stato citato spesso da storici e giuristi delle epoche successive e quindi siamo in grado di ricostruirne i caratteri. Da sempre considerate base del diritto romano costituirono una conquista per le classi più deboli, perché sottraevano il giudizio all'arbitrio dei singoli giudici. Lo stile in cui le leggi sono scritte si caratterizza per una prosa asciutta, essenziale, in cui si nota la presenza del parallelismo fonico e sintattico, utile per la memorizzazione. 4. Appio Claudio Cieco, uomo di legge e di cultura • Le notizie biografiche Appio Claudio Cieco fu uomo politico, scrittore e oratore. Prese parte alla guerra contro i Sanniti, a quella contro gli Etruschi e quella contro Taranto e Pirro. Rivestì la carica di censore dal 312 al 307 a.C. e quella di console nel 307 e nel 296 a.C. Favorì i plebei e riformò le regole relative allo status civico, introducendo nel senato anche i figli di schiavi liberati. Nel 312 a.C. fece costruire il primo tratto della via Appia. Celebre è l'orazione da lui pronunciata in senato contro le proposte di pace dell'ambasciatore di Pirro. • Il primo autore di cui si ha notizia Di Appio sono stati conservati 3 frammenti di una raccolta di proverbi, probabilmente in saturni. Fra di esse la più famosa è <<ognuno è artefice del proprio destino>>. Oggi si ritiene che le massime raccolte da Appio Claudio non siano originali ma che derivino da opere del teatro comico greco. In età ellenistica i personaggi della commedia chiudevano spesso le loro battute con frasi proverbiali, che trasmettevano un insegnamento. Legislatore e grammatico Vanno ricordate la composizione di un trattato dal titolo De usurpationibus e la pubblicazione dello ius Flavianum, una raccolta di norme giuridiche con la quale venivano sottratti ai pontefici antichi privilegi che permettevano loro atti di prevaricazione. Ad Appio risale anche una riforma in campo ortografico. L'autore diede soluzione ad alcuni problemi ortografici, sostituendo -s- intervocalica con la re abolendo la z. La sua personalità versatile e poliedrica fa di lui il primo <<intellettuale romano>>. Non sappiamo con certezza quante orazioni Appio Claudio Cieco abbia pronunciato o scritto in tutta la sua vita, ma si suppone siano state numerose.