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Ungaretti, Montale, Quasimodo

13/3/2023

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GIUSEPPE UNGARETTI
LA VITA
Nasce nel 1888 ad Alessandria d'Egitto. Dove i genitori, provenienti da Lucca, gestivano un forno di
pane. Egli f

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GIUSEPPE UNGARETTI LA VITA Nasce nel 1888 ad Alessandria d'Egitto. Dove i genitori, provenienti da Lucca, gestivano un forno di pane. Egli frequenta l'Ecole Suisse Jacot e inizia a occuparsi intensamente di letteratura, leggendo i maggiori scrittori moderni e contemporanei, da Leopardi e Nietzsche. Di questi anni rimarrà in lui anche la memoria di un paesaggio fantastico e irreale. Nel 1912 si reca a Parigi, dove ha modo di approfondire la conoscenza della poesia decadente e simbolista, da Baudelaire a Mallarmé, l'autore che più lo suggestiona. Frequenta gli ambienti dell'avanguardia, scrivendo anche versi in francese e conoscento alcuni tra i maggiori artisti come Picasso. Nel 1914 prende contatto con i principali esponenti del gruppo futurista fiorentino, grazie ai quali pubblica nel 1915 le sue prime poesie su "Lacerba". Nel 1914 Ungaretti era venuto in Italia per partecipare con entusiasmo alla guerra. Arruolatosi come volontario in un reggimento di fanteria, è inviato a combattere sul Carso, dove prendono forma le liriche pubblicate nel 1916 con il titolo Il porto sepolto. Dopo aver combattut in Francia nel 1918, ritornerà nel 1920 e si sposa con Jeanne Dupoix. Nel 1921 si trasferisce a Roma; aderirà poi al fascismo, convinto che la dittatura potesse rafforzare quella solidarietà nazionale dalla quale si era sentito escluso. Divenuto uno dei più noti e prestigiosi...

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Didascalia alternativa:

intellettuali italiani, egli rappresenta un punto di riferimento essenziale per la nuova poesia, che porterà all'affermazione della poesia ermetica. Le vicende della Seconda guerra mondiale segnano il maturare di una nuova e dolorosa consapevolezza, preceduta da alcuni gravi lutti familiari: la morte del fratello e del figlio. Montale pubblica nel 1969 presso Mondadori i suoi versi con il titolo Vita d'un uomo. Tutte le poesie. Muore a Milano nel 1970. Non va dimenticata infine la sua attività di traduttore. L'ALLEGRIA Ungaretti riordinò le sue poesie e diede loro il titolo di Vita d'un uomo, volle sottolineare il carattere autobiografico, presentando la sua opera poetica come una sorta di ricerca del tempo perduto. Il carattere autobiografico non va inteso come una narrazione che ripercorre la vita dell'autore, ma attraverso la concezione del'arte propria degli ermetici. Per questi poeti letteratura e vita sono strettamente connesse tra loro e la letteratura ha un ruolo privilegiato, assumendo un valore quasi religioso, svolge la funzione di svelare il senso nascosto delle cose. La poesia ha dunque il compito di illuminare e illustrare l'essenza stessa della vita. L'ANALOGIA Per comprendere meglio la funzione della poesia bisogna sottolineare le novità formali che caratterizzano la raccolta Il porto sepolto. Le sue liriche assumono un andamento che tende ad escludere le componenti più realistiche, attraverso un'estrema riduzione della frase alle funzioni essenziali della sintassi e della parola. Questa capacità di sintesi della poesia non si allontana dall'essenza profonda e misteriosa dei contenuti che intende comunicare, Ungaretti utilizza questa tecnica attraverso il mezzo espressivo dell'analogia. Tale procedimento va oltre la simbologia e le metafore utilizzate dalla letteratura precedente e vuol distinguersi dal carattere "meccanico" dell'analogia futurista. Ungaretti sostiene che la letteratura dell'Ottocento aveva cercato di conoscere il reale istituendo collegamenti chiari e immediatamente comprensibili tra oggetti e concetti. Si tratta tuttavia di una conoscenza lenta, incapace di rivelare la sua essenza profonda. Ai vecchi procedimenti Ungaretti contrappone il suo nuovo modo di fare poesia, rapido, cioè sintetico, che sa mettere in contatto immagini lontane, le quali sembra non abbiano alcun rapporto tra loro, non esprimono un senso immediato ed evidente. Così il poeta supera la distanza che separa il mondo della realtà e della storia (la memoria) da un mondo superiore e divino che gli rivela il senso delle cose. L'analogia si proponeva dunque di cogliere il valore evocativo della parola. LA POESIA COME ILLUMINAZIONE Per Ungaretti il poeta è una sorta di "sacerdote" della parola, un essere privilegiato capace di cogliere di cogliere i nessi segreti delle cose. È la direzione che attribuisce alla poesia un significato magico ed esoterico, spingendola fino al limite dell'inesprimibile. Il mistero della vita non può essere svelato attraverso il discorso disteso e razionale, delle scienze. La parola assume il valore di una improvvisa illuminazione in cui la poesia raggiunge la totalità dell'essere. GLI ASPETTI FORMALI Dal punto di vista della versificazione vi è la distruzione del verso tradizionale e l'adozione di versi liberi e brevi. Anche la sintassi rifiuta le costruzioni complesse, diventando essenziale, sforzandosi di cogliere l'attimo, un momento dell'essere: la strofa è spesso costituita solo dalla frase principale e non è frequente la presenza delle subordinate; si incotra spesso lo stile nominale che annulla l'effetto di concretezza della determinazione e della durata (mancanza del verbo). La parola viene fatta risuonare nella sua autonomia e nella sua purezza, talvolta isolata per collocarla nel vuoto e nel silenzio. Inoltre la punteggiatura è assente. Il lessico appartiene a un sistema rigorosamente monolinguistico, caratterizzato da una scelta di termini che tende ad alleggerire il peso delle parole e a traserire gli elementi della realtà su un piano più rarefatto di risonanze metafisiche e spirituali. IL PORTO SEPOLTO Per quanto riguarda la scelta del titolo della raccolta, Il porto sepolto allude a "ciò che segreto rimane in noi, indecifrabile", e ha una fonte precisa. Il "porto sepolto" equivale così al segreto della poesia, nascosto nel fondo di un abisso nel quale deve immergersi il poeta. I temi: i temi rendono evidente la componente autobiografica, si tratta di una autobiografia trasfigurata, in quanto i singoli eventi assumono il valore di un'esperienza nella quale l'uomo incontra la verità, il senso ultimo e profondo della propria esistenza. Altri temi si legano all'infanzia e all'adolescenza del poeta trascorse ad Alessandria d'Egitto: il deserto, il miraggio e le cantilene arabe come ricordo di questi anni; il mare, il porto, il viaggio legati alla vicenda come emigrante. Il discorso si approfondisce nei motivi del nomadismo, dell'esilio, ad esempio In memoria, in cui Ungaretti proietta la propria esperienza di uomo senza patria nel destino parallelo di un amico arabo, morto suicida a Parigi. L'esperienza del fronte offre a Ungaretti spunti per alcune liriche crude e sofferte, spoglie di ogni retorica. La guerra gli consente anche di stabilire un contatto con la propria gente e di avvertire la consapevolezza di un'identità ritrovata. La guerra infine costringe a vivere nel precario confine tra la vita e la morte, dove ogni cosa può scomparire all'improvviso: ciò traduce la "poetica dell'attimo" che costituisce il fondamento della prima ricerca di Ungaretti. Nell'edizione definitiva dell'Allegria, il poeta recuperò alcuni testi precedenti, dove si delinea un'oscillazione dialettica tra essere e nulla, realtà e mistero, presenza e assenza, gesto e immobilità. Il tema del naufragio si collega al motivo del viaggio, come simbolo di una presenza della morte sempre latente. IN MEMORIA (da L'allegria, 1916) La poesia apriva la raccolta Il porto sepolto. Reca l'indicazione Locvizza il 30 settembre 1916. II toponimo è una località sul fronte di guerra. METRO: versi liberi, privi di punteggiatura in strofe di lunghezza variabile ANALISI DEL TESTO: Il tema dell'esilio: questa vicenda consente di introdurre il motivo dell'esilio, intesa come perdita di ogni punto di riferimento, che la poesia ha il compito di sublimare, proponendosi come ricerca di una identità originaria perduta. La peregrinazione dell'individuo è parallela alla rottura dei legami con il passato e all'impossibilità di reintegrarlo nel presente. Il suicidio dell'amico racchiude il destino stesso del poeta, corrispondendo ad un'analoga ricerca di valori, che si conclude tragicamente in chi non sa esprimerli. Oltre a sollecitare il ricordo, il suicidio ha in comune con la poesia l'ansia di liberazione e di abbandono. L'assoluto e il contingente: il tono è distaccato e il ritmo delle strofe e dei versi è spezzato, sollecita ad una lettura lenta e sillabata. Attraverso la scelta di isolare alcune parole semanticamente rilevanti si scarnifica il verso e causa una cadenza frammentata dell'intera composizione. I riferimenti topograici sono estremamente precisi. Egli finisce ponendo l'accento sullo sfiorire della vita. questi termini sembra racchiudersi il mistero delle cose nell'incerto confine fra il contingente e l'assoluto. (Mohammed Sceab: l'amico arabo conosciuto in Egitto e ritrovato a Parigi.) L'imperfetto del v. 1 fa riferimento sia alla dipartita di Sceab sia al fatto che l'uomo, una volta raggiunta la Francia, decise di cambiare il proprio nome in Marcel (v. 10). Ungaretti spiega questa scelta con l'amore per il nuovo Paese, ma questo non bastò. Ai vv. 5-7 Ungaretti spiega il gesto del suicidio (il termine «suicida» è posto isolato dal resto al v. 5, per dargli ancora più rilevanza): <<non aveva più / Patria». Sceab aveva abbandonato il paese d'origine, ma non riuscì mai ad adeguarsi alla cultura e alla società francesi: «non era Francese / e non sapeva più / vivere / nella tenda dei suoi» (vv. 11-14). Si sentiva un esule privo di identità e non sapeva spiegarlo con la poesia («non sapeva / sciogliere il canto / del suo abbandono»>, vv. 18-21). Nonostante la similarità tra le esperienze Ungaretti riuscì, a differenza dell'amico, a vedere nella poesia un appiglio contro lo smarrimento e il dolore. FIGURE RETORICHE: -numerosi enjambement (vv. 1-2, 3-4, 5-6, 6-7, 12-13, 13-14, 15-16, 16-17, 18-19, 19-20, 20-21, 22-23, 23-24, 24-25, 28-29, 30-31, 31-32, 32-33, 33-34, 35-36, 36-37); l'anafora (e: vv. 9, 12, 18, 35); -metafore (v. 14, nella tenda dei suoi; vv. 19-20, sciogliere / il canto del suo abbandono), vv. 2 (l'ho accompagnato), v. 27 (appassito vicolo), v. 34 (decomposta fiera); quest'ultimo verso è anche un esempio di anastrofe. IL PORTO SEPOLTO (da L'allegria, 1916) Si tratta della poesia che ha dato il titolo alla prima raccolta. È la sua dichiarazione di poesia, il testo si collega analogicamente con il senso del componimento. TEMI CHIAVE: -La sostanza profonda e misteriosa della poesia; -Il motivo del "naufragio"; -Il nulla e l'infinito. METRO: versi liberi. Sette versi di misura variabile, tutti brevi (due sono trisillabi), divisi in due strofe, la prima di tre versi e la seconda di quattro versi. Vi arriva il poeta e poi torna alla luce con i suoi canti e li disperde Di questa poesia mi resta quel nulla d'inesauribile segreto ANALISI DEL TESTO: Il componimento si propone di cogliere l'essenza della poesia, il mistero che nasconde. Il primo verso allude a un' "immersione rituale e purificatrice delle acque primigenie", di tipo magico e misterico, a cui segue quasi un gesto di resurrezione e di rinascita, in cui la poesia, strappata alla profondità del mare, viene sparsa nell'atmosfera della terra. per il poeta: immergersi nel porto sepolto significa entrare nella profondità dell'animo umano e rimanerci bloccati, come se si fosse in un luogo inesplorabile. Tramite l'immersione il poeta riporta alla luce le tracce dell'origine dell'animo umano, "quel nulla / d'inesauribile segreto", così da poterle diffondere tra gli uomini. Questo inabissarsi per poi riaffiorare del poeta e dei suoi canti rimandano al mito di Orfeo che nella mitologia greca simboleggia la poesia e che scende negli inferi per riportare in vita Euridice, la sua amata. Così come fa Orfeo, anche il poeta discende nell'oscurità di quello che è il mistero poetico allo scopo di trovare quella scintilla di ispirazione per far tornare alla luce i suoi canti, ovvero la capacità di scrivere versi. Avviandosi alla conclusione, però, il poeta si rende conto che non ci sono poesie né versi in grado di restituire il significato della creazione, quel senso profondo che alberga sia nella produzione poetica sia nelle creazioni di qualsiasi altro tipo.l versi, una volta portati alla luce, vengono "dispersi" dal poeta. Con questa frase Ungaretti intende dire che qualcosa di ciò che ha dato loro vita va inesorabilmente perduto: il poeta non può far altro che catturare e fissare sulla carta dei frammenti, delle brevi illuminazioni, rassegnandosi al fatto che il senso profondo di ciò che ha compreso e riportato non sia trasmissibile. L'effetto della dispersione prende forma fisica nel testo tramite la coppia di dimostrativi "questa/quel": "questa", ovvero la poesia, rimane l'elemento tangibile al poeta e al mondo, mentre "quel" nulla è ciò che di lontano, inafferrabile e inconsistente rimane sempre, anche dopo la creazione dei versi. Si può notare anche un rimando all'Infinito di Giacomo Leopardi per quanto riguarda la contrapposizione e l'alternanza di pronomi dimostrativi. VEGLIA (da L'allegria, 1915.1931) TEMI CHIAVE: -L'orrore della guerra; -La deformazione espressionistica; -L'istinto naturale dell'attaccamento alla vita. METRO: due strofe, la prima di 13 versi e la seconda di 3 versi. Si tratta di versi liberi, nel testo ci sono delle rime. Un'intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato con la sua bocca digrignata volta al plenilunio con la congestione delle sue mani penetrata nel mio silenzio ho scritto lettere piene d'amore Non sono mai stato tanto attaccato alla vita ANALISI DEL TESTO: >Il senso dell'orrore: è una poesia scritta al fronte e composta da due strofe di diversa lunghezza. La prima di tredici versi è costituita da un unico e ininterrotto fluire del discorso poetico, che insiste sulla crudezza della situazione: la vicinanza con il cadavere sfigurato di un compagno caduto, nella notte sconvolta. La guerra, spoglia di ogni retorica e di ogni forma di eroismo, è ridotta al macabro confronto e si rivela in tutta la sua crudeltà. Il senso di orrore è ribadito in modo ossessivo dall'uso ricorrente dei participi passati, che costituiscono la struttura portante del componimento: essi assolvono a una funzione di rima. A potenziare l'effetto aiuta anche il sostantivo "congestione", che, riferito alle man, sembra scavare nel profondo di chi continua a vivere, in quel silenzio dove si cela la fonte dell'esistenza, adesso oltraggiata. >L'istinto dell'amore solidale: nei versi 12-13 vi è un rovesciamento inatteso, questi non hanno alcun contatto con i versi precedenti. La breve strofa conclusiva ribadisce le ragioni di un attaccamento alla vita che nascono dall'orrore e dal dolore, in una parola dalla morte, come riaffermazione di un istinto naturale, ma anche come riconquista dei valori di un'umana solidarietà. Figure retoriche -Allitterazione della "t" = intera, nottata, buttato (vv. 1-2). Assonanza "a, o" = corricato, vicino, compagno, morto, bocca (vv. 2-5) Vv. 14,15,16 climax discendente Metonimia: con la congestione delle sue mani (vv. 8-9). Il poeta dice la "congestione delle sue mani" e non "le sue mani congestionate". Metafora penetrata nel mio silenzio (vv. 10-11). È presente la percezione tattile e uditiva. Enjambement: vv. 1-2; 2-3; 3-4; 4-5; 5-6; 6-7; 8-9; 9-10; 10-11; 12-13; 14-15; 15-16. COMMIATO (da L'allegria) =congedo. Il testo chiudeva la raccolta Il porto sepolto. TEMI CHIAVE: -il valore della poesia; -la parola; -il tema dell' "abisso". Gentile Ettore Serra poesia è il mondo l'umanità la propria vita fioriti dalla parola la limpida meraviglia di un delirante fermento Quando trovo in questo mio silenzio una parola scavata è nella mia vita come un abisso ANALISI DEL TESTO Anche questa poesia è una dichiarazione di poetica. La dedica all'amico appare fusa nel contesto. Nella definizione che segue la poesia (verso 3) coincide con la più completa dimensione dell'esistenza, che la parola può far sbocciare. Essa è la "limpida meraviglia", che nasce tuttavia da un magma confuso e incandescente. In quest'antitesi il primo termine sembra riferirsi al piano della pura forma e dell'idea, il secondo alla materia contingente da cui deriva l'ispirazione. Dalla poesia in generale Ungaretti passa, nella seconda strofa, alla sua poesia: la propria vita diventa la "mia" vita, con l'uso del possessivo sottolineato da "mio silenzio". Dai versi precedenti viene ripreso anche il termine "parola", che occupa il centro della strofa, isolato e quasi avvolto dal silenzio che lo precede, come condizione indispensabile per la nascita della stessa poesia. Ma tutti i termini con cui si chiude la lirica hanno una particolare rilevanza semantica: il verbo "trovo" allude al significato di una miracolosa scoperta; il sostantivo "vita" si riferisce alle radici esistenziali profonde di questa esperienza, che è anche faticosa e sofferta esplorazione sotterranea; l'abisso, infine, corrisponde al porto sepolto, come sorgente di un mistero sconosciuto e insondato, che la poesia può sfiorare senza riuscire ad esaurirlo. Spiegazione per parola Ettore Serra: l'amico ufficiale, conosciuto al fronte, che patrocinò la pubblicazione, nel 1916, del Porto Sepolto. Fioriti dalla parola: la parola della poesia rende la realtà più dura e viva. In questo mio silenzio: le poesie di Ungaretti sembrano sgorgare davvero da un silenzio interiore. Figure retoriche Sinestesia = "limpida meraviglia" (v. 7). Enjambements = vv. 1-2; 3-4; 4-5; 5-6; 6-7; 7-8; 9-10; 10-11; 11-12; 12-13. MATTINA (da L'allegria, 1917) >TEMI CHIAVE -Il senso di infinito e di eterno; -La poesia come improvvisa folgorazione e "illuminazione". METRO: due ternari. M'illumino d'immenso ANALISI DEL TESTO Mattina è da considerare come l'esito estremo a cui potesse giungere la ricerca poetica ungarettiana, nella sua ansia di riduzione e semplificazione, che, arrestandosi alle soglie del silenzio, cerca di raggiungere l'assoluto. Due ternari, il primo dei quali, sdrucciolo, è composto di quattro sillabe. Quattro parole di cui due monosillabi, che, compenetrandosi con il termine che segue attraverso l'apostrofo, danno luogo a due sole emissioni di voce. Nella breve sequenza, la presenza del poeta appare investita di una luce intensa, che riverbera dall'intera estensione dello spazio. In questo modo l'individuo partecipa della vita del tutto, il relativo si identifica con l'infinito e l'eterno. Ungaretti traduce così il linguaggio dell'ineffabile, la sensazione di una pienezza quasi soprannaturale che non può essere definita in termini logici e concettuali. Di qui, anche, il dilatarsi della dimensione spaziale, che le parole impiegate nell'estensione senza limiti del loro significato sembrano prolungare all'infinito. Ne risulta una sensazione di totalità e pienezza di vita che rappresenta uno stato di beatitudine e di grazia paradisiache. Il carattere momentaneo di una improvvisa folgorazione e illuminazione è reso dal titolo, che indica il momento contingente di una improvvisa e quasi miracolosa comunicazione con l'infinito. Tra il titolo e il testo esiste un rapporto di corrispondenza analogica, che riguarda gli imperscrutabili legami fra il tempo e l'eternità, i finito e l'infinito, il mortale e l'immortale. Si aggiunga l'accostamento sinestetico di sensazioni diverse, oltre alle corrispondenze foniche tra le vocali e le consonanti dei due termini disposti parallelamente. SOLDATI (da L'allegria, 1918) >TEMI CHIAVE: -il senso di solitudine desolata e di abbandono; -la precarietà e la fragilità dell'esistenza. METRO: versi liberi. I quattro versi liberi (il primo e il terzo di quattro sillabe, il secondo e il terzo di tre sillabe, ricomponibili in un doppio settenario), privi di punteggiatura, sono preceduti da un'indicazione di luogo e tempo: Bosco di Courton luglio 1918. Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie ANALISI DEL TESTO Il titolo è indispensabile per interpretare correttamente il significato del testo: Ungaretti ricorre al procedimento analogico e rende affini la vita dei soldati e le foglie in autunno, accomunate dalla fragilità. Questo componimento esprime l'ansia quotidiana dei soldati per la loro condizione precaria, paragonabile a quella delle foglie secche sui rami nella stagione autunnale, e l'angoscia per una morte che può essere imminente. Tuttavia, il titolo al plurale e l'apertura con un «Si» impersonale rendono il contenuto della poesia universale e collettivo: Ungaretti non vuole descrivere la propria vicenda, ma una condizione generale, che riguarda tutti gli uomini accomunati dall'esperienza bellica. Come la poesia Mattina, anche Soldati è diventata una delle più note di Ungaretti per la sua brevità, per la volontà di rendere la parola pura ed essenziale in pochissimi versi. Il testo è costruito su un'anastrofe che trasmette l'idea di attesa e sospensione. L'intera poesia è formata da un complemento di paragone, retto da un verbo comune, il cui uso impersonale sottolinea una condizione di anonimato, ad accentuare il senso di solitudine desolata.il paragone rende la sensazione di precarietà e di angoscia dovuta a qualcosa che potrebbe in ogni momento accadere, per un impercettibile movimento scarto portatore di morte. Il valore tutto relativo di una vicenda esistenziale continuamente sospesa tra la vita e il nulla emerge dalla profonda spezzatura dei versi, che richiedono una scansione isolata, intervallate da pausa e profonde. Scritta tutta di seguito la poesia avrebbe avuto il sapore di un appunto prosastico, quasi si trattasse di una forma di comunicazione normale, propria di una lettera inviata dal fronte. Diviso in due parti il distico che ne risulta sarebbe composto da due settenari assumendo una cadenza più cantabile quasi squillante. Spezzando ulteriormente la sequenza Ungaretti le imprime un andamento perplesso e discontinuo, segno della fragilità che investe ogni manifestazione dell'esistenza. Figure retoriche L'analogia è un procedimento che mette in relazione due termini dal significato differente eliminando i nessi logici e lasciando all'intuizione del lettore l'interpretazione del legame creato tra i due elementi. Secondo alcuni autori, l'analogia non è di per sé una figura retorica vera e propria, ma un procedimento che si serve di strumenti quali la metafora e la similitudine, figura retorica che in effetti può essere ravvisata in questo breve componimento. L'anastrofe è una figura retorica che consiste nell'inversione dell'ordine normale di un gruppo di parole. È anche presente la figura retorica dell'enjambement (vv. 1-2, 2-3, 3-4). SALVATORE QUASIMODO Nato a Modica nel 1901, trascorre l'infanzia e la giovinezza in Sicilia. Dopo essersi diplomato alle scuole tecniche, a diciannove anni si stabilisce a Roma, dove svolge diversi lavori e inizia a studiare lingue classiche. Durante un soggiorno a Firenze, Elio Vittorini, che era suo cognato, lo presenta ad Eugenio Montale. Egli rappresenta uno dei più significativi esponenti dell'Ermetismo. Sul piano stilistico, si assiste ad un radicale divorzio con la lingua parlata; la parola si chiude ad ogni forma di volontà comunicativa, assumendo un valore assoluto che tende all'astrazione. Si può notare la frequenza delle analogie, la confusione dei rapporti logici tra i vari elementi del periodo, la sintassi nominale, i sostantivi non determinati dall'articolo e utilizzati al plurale, per aumentare gli effetti di indeterminatezza. La nostalgia della terra siciliana, che nel ricordo diventa un luogo mitico, la casa, la madre e l'infanzia sono temi ricorrenti nella raccolta del suo esordio Acque e terre. La parola assume un valore simbolico e un timbro magico ed evocativo, offrendo una originale interpretazione della poetica ermetica. I motivi di fondo, legati alla trasfigurazione favolosa del proprio passato e all'insoddisfazione del presente si ritrovano in Oboe sommerso. L'EVOLUZIONE STILISTICA E TEMATICA DEL DOPOGUERRA Con la sezione delle Nuove Poesie comincia a verificarsi un graduale mutamento. Il verso si allunga e diventa più lineare, i temi si ampliano e si arricchiscono di elementi tratti da una realtà più concreta, aprendosi verso le forme di un messaggio più accessibile e comunicativo. Non manca una ricerca di soluzioni epiche e corali, opposte all'individualismo della produzione precedente; dal piano metafisico-esistenziale il discorso si trasferisce su quello più propriamente storico, attingendo anche dalla cronaca le fonti della sua ispirazione; la poesia può così diventare anche uno strumento di testimonianza politica e di polemica sociale. A favorire questa converisone sono gli avvenimenti della guerra e dell'immediato dopoguerra, che sollecitano una nuova forma di partecipazione e di impegno, investendo anche il poeta di precise responsabilità civili. Nel 1959 a Quasimodo venne conferito il premio Nobel per la Letteratura. Morì a Napoli nel 1968. ED È SUBITO SERA (da Acque e terre) Nella sua essenziale brevità, questa lirica bene esemplifica le inenzioni e i risultati della ricerca ermetica. TEMI CHIAVE: -la solitudine dell'uomo; -la precarietà della vita; -lo sfiorire delle illusioni. METRO: versi liberi, il primo di dodici sillabe, seguito da un novenario e un settenario. Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera. ANALISI DEL TESTO In questa lirica sono presenti i tratti salienti della poetica dell'Ermetismo: la concisione estrema dell'espressione; il significato profondo della parola che, nella sua rarefatta concentrazione, tesse una rete di rimandi analogici; la problematica interiore ed esistenziale, di cui il testo si fa portatore. Il primo verso esprime la solitudine dell'uomo, che si trova "sul cuor della terra", nel cuore e quindi al centro delle cose. Da questa antitesi deriva una contraddizione che si ripercuote sul participio passato "trafitto", il cui significato racchiude in sé una profonda ambivalenza: il "raggio di sole" che colpisce l'uomo è simbolo di luce e di calore, e quindi della vita; ma "trafitto" implica il significato "ferito", trasformando il raggio in un portatore di dolore e di morte. È questa impressione destinata a prevalere dopo una lettura dell'ultimo verso, che separato dai due punti ma unito dalla congiunzione "ed", registra l'improvviso arrivo della sera, metafora della morte. Vi sono allitterazioni (cuor-terra; terra-trafitto-raggio-sera), compresa la consonanza a contrasto "solo" - "sole", con un calando del tono nel "subito" dell'ultimo verso, a cui corrisponde la misura decrescente della lunghezza dei versi (quasi un venir meno delle cose). Nel testo sono condensati i motivi di una desolata solitudine, della precarietà della vita e dello sfiorire delle illusioni, dell'infinito e della morte, come segno del segreto dell'esistenza, dell'insondabile rapporto tra l'uomo e ciò che lo circonda. Ogni prospettiva di tipo realistico è abolita: al dilatarsi dello spazio corrisponde la contrazione del tempo, il precipitare che lo riduce alla frazione di un attimo. È evidente l'influenza di Ungaretti con la poesia Mattina. Ma al tentativo di cogliere un frammento di verità attraverso una folgorante illuminazione, Quasimodo sostituisce una sintetica riflessione sulla condizione umana, offrendone una definizione poetico-filosofica. ALLE FRONDE DEI SALICI (da Giorno dopo giorno, 1946) In questa lirica sono evocate le tragiche immagini della guerra: il canto del poeta è un muto lamento, impotente di fronte all'orrore. >TEMI CHIAVE: -il silenzio del poeta di fronte alle atrocità della guerra; -l'ispirazione religiosa. METRO: endecasillabi sciolti. E come potevano noi cantare con il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze sull'erba dura di ghiaccio, al lamento d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento. ANALISI DEL TESTO Questa poesia testimonia il passaggio dal Salvatore Quasimodo ermetista a quello del dopoguerra, fatto di testi concreti e calati nella storia, una poesia forgiata negli orrori della guerra vissuti dall'uomo. Quasimodo parla di come si vive da poeta durante la Seconda guerra mondiale, nel periodo della resistenza ai tedeschi. La poesia è stata costruita a partire da un passo biblico, il Salmo 136, che racconta degli israeliti che, deportati a Babilonia, si rifiutano di cantare lontani da casa loro. Questo passo è contestualizzato nel recente passato di Quasimodo, che ha vissuto come tutti oppresso dall'invasore tedesco, costantemente circondato da dolore e morte. In questo contesto è impossibile per il popolo, per i poeti, abbandonarsi al canto e alla scrittura. Nella poesia si passa da un io privato a un "noi" che sa di popolo, di disperazione condivisa. Sul finale si intravede la riflessione sulla poesia in quella cetra appesa, poiché nemmeno i poeti possono più cantare; la poesia rimane impotente e sconcertata davanti alle brutture del conflitto mondiale. La guerra è letta solamente come l'invasione straniera, in questo caso, vista attraverso gli occhi delle tante vittime italiane e senza far riferimenti alcuno al Fascismo o alla Resistenza durante la guerra civile. Questa poesia è la concretizzazione del cambio di direzione della poetica di Salvatore Quasimodo: per alcuni versi ci sono elementi che danno una continuità rispetto al vecchio sé, ma ciò che veramente cambia nel profondo sono i temi affrontati, molto più concreti e di natura sociale e civile. La concretezza la si trova anche nel linguaggio, una concretezza che era già visibile in poesie come "Ed è subito sera". Il componimento si apre con un'interrogativa retorica, angosciosa sul significato della poesia in un mondo sconvolto e distrutto dalla guerra, oppresso e soffocato (verso 2). La risposta suona negativamente negli ultimi tre versi, in cui il silenzio del poeta traduce lo strazio dell'uomo e la protesta contro le atrocità che vengono commesse. La prima persona plurale ('noi', ripresa al verso 9 dalle nostre cetre') indica e identifica il bisogno misto di speranza e umanità, a conferma di una direzione inedita della stessa poesia. Il 'noi' esprime con sguardo critico il valore, assoluto e incontrovertibile, della solidarietà, della compartecipazione e della condivisione non solo umana, ma universale. La guerra e i suoi effetti sono stati disastrosi per tutto il genere umano, ora piegato e asservito, opportunisticamente, al potere, alla logica spietata del potere, in cui assente risulta ogni gesto, ogni azione etica e morale, volta al bene dell'umanità. In una tale prospettiva, Salvatore Quasimodo lancia il messaggio, sotterraneo e inatteso, della solidarietà, Dell'ispirazione ermetica resta il gusto per gli accostamenti arditi: (versi 4-5, 5-6, 6-7). Ma il discorso si sviluppa in forme più comunicative, insieme drammatiche e composte nel loro rigore, attraverso la chiara scansione degli endecasillabi. Un sentimento di commozione religiosa pervade questi versi, che nascono non a caso da una memoria biblica. Di qui il carattere meditativo che assume lo stesso orrore, mescolando al presente antiche immagini di sacrificio e di martirio. Ma il dolore è impotente e la poesia non può offrire, che il silenzio, nell'immagine delle cetre che oscillano - quasi in balia di se stesse - appese alle fronde dei salici, l'albero che rappresenta il pianto e il dolore. EUGENIO MONTALE Egli nasce a Genova nel 1896. Frequenta le scuole tecniche ottenendo nel 1915 il diploma di ragioniere. Montale firmò il Manifesto antifascista degli intellettuali. Combatte come fante in prima linea. Al ritorno dal fronte decide di pubblicare la sua raccolta più importante: 'Ossi di seppia' (1925). Nel 1948, trasferitosi a Milano, inizia la sua definitiva attività di redattore presso il "Corriere della Sera". Nel 1967 egli era stato nominato senatore a vita e nel 1976 aveva ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura. OSSI DI SEPPIA La prima raccolta poetica di Montalero, ossi di seppia, uscì nel 1925 per le edizioni di Piero Gobetti, intellettuale liberale e antifascista. Nel 1928 fu pubblicata una seconda edizione con l'aggiunta di alcuni testi nuovi. Il libro è diviso in quattro sezioni: Movimenti; Ossi di seppia, che dà il titolo complessivo all'opera e comprende componimenti di regola brevi; Mediterraneo; Meriggi e ombre. Nella raccolta si possono cogliere i legami con il contesto culturale del tempo: filosoficamente, l'influenza del pessimismo di Schopenhauer, ravvisabile nell'idea che le realtà sensibili siano "parvenze" ingannevoli, e l'interesse per quelle correnti che i primi del novecento si opponevano al determinismo positivistico; letterariamente, il legame con la poesia dannunziana. Allo stesso tempo è evidente la lezione di Pascoli, sia per la scelta di trattare oggetti poveri sia per alcuni procedimenti stilistici. Montale guarda anche all'esperienza crepuscolare: il rifiuto dell'aulicità della tradizione poetica, nell'adozione di oggetti umili di soluzioni anzi liriche e prosastiche, pervasi di ironia. >il titolo e il motivo dell'aridità Il titolo della raccolta è denso di significato, per quanto riguarda sia la visione della realtà propria del poeta sia le sue scelte formali. Gli "ossi di seppia" sono i residui calcarei di quei molluschi che il mare deposita sulla riva. Alludono quindi ad una condizione vitale impoverita, prosciugata, ridotta all'aridità minerale. Al tempo stesso gli ossi come definizione della poesia, sottolineano una sua condizione che in conseguenza di quell'impoverimento, non può più attingere al sublime ma deve ripiegare sulle realtà minime, sui detriti che la vita lascia dietro di sé, puntando sulla dizione spoglia e secca. Difatti un tema centrale che percorre il libro è quello dell'arsura, dell'aridità. Il paesaggio che si profila nei versi montaliano è quello ligure, familiare al poeta, ma esso non è mai proposto nella sua immediata e realistica fisicità, s'innalza sempre a una dimensione metafisica. È un paesaggio arido, distaccato dall'aria salmastra e da un sole implacabile, che non è simbolo di pienezza vitale, ma rappresenta una forza crudele che prosciuga e inaridisce ogni forma di vita. >la crisi dell'identità, la memoria e l'indifferenza Montale tocca uno dei grandi temi della letteratura novecentesca europea, la crisi del soggetto, la perdita dell'identità individuale. Questa frantumazione fa si che il soggetto si senta in totale disarmonia con il mondo esterno. Non vi può essere salvezza neppure nella memoria che, riportando in vita il passato, dovrebbe spezzare la ciclicità del tempo in un presente angoscioso e immobile. La condizione di prosciugamento che coinvolge tutto il reale si riflette sulla dimensione psicologica del poeta: l'aridità esterna diviene anche inaridimento interiore, impossibilità di provare sentimenti vivi e intensi. Resta un'inquietudine senza nome, che fa sì che tutto sia indifferente. Il poeta come alternativa può solo proporre un atteggiamento di stoico distacco, una saggezza che nasce da una disperata consapevolezza della reale condizione di tutto il cosmo. Dietro a questo pessimismo è possibile scorgere la lezione di Leopardi. >la poetica Montale non può avere fiducia nella parola poetica come formula magica capace di arrivare all'essenza profonda della realtà, di attingere all'assoluto, tanto meno la poesia è in grado di proporre messaggi positivi, certezze di qualunque tipo, morale o metafisico: può solo offrire definizioni in negativo di un modo di porsi di fronte alla realtà. Montale non ricorre ad un linguaggio analogico, quella degli Ossi è una poetica degli oggetti: essi vengono citati nella poesia come equivalenti di concetti astratti o della condizione interiore del soggetto, come vediamo nella poesia Spesso il male di vivere ho incontrato. Il male di vivere è presentato non in forma concettuale ma come un incontro accaduto lungo il cammino della vita. Questo incontro serve per identificare uno stato d'animo o una condizione esistenziale in alcune presenze concrete (es: il rivo strozzato, il cavallo stramazzato). La poetica di Montale tende ad un rapporto razionale con il mondo, fonde poesia e pensiero, è una poetica che presenta qualche convergenza con quella del "correlativo oggettivo". >i poeti laureati Nella poesia "I limoni" Montale cita i poeti laureati, coloro che sono stati conoranti d'alloro, simbolo della gloria poetica. Sono gli esponenti della tradizione poetica illustre e sublime, ufficialmente riconosciuti e apprezzati dalla società. NON CHIEDERCI LA PAROLA (da Ossi di seppia, 1923) >TEMI CHIAVE -l'impossibilità di ricevere risposte dalla poesia; -l'estraneità verso l'uomo sicuro e appagato; -la definizione di un linguaggio scabro e antilirico. METRO: tre quartine formate da versi di varia lunghezza, con rime ABBA, CDDC, EFEF( la rima del v. 7 è ipermetra: amico/canico-la) Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco lo dichiari e risplenda come un croco perduto in mezzo a un polveroso prato. 4 Ah l'uomo che se ne va sicuro, agli altri ed a se stesso amico, e l'ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro! 8 Non domandarci la formula che mondi possa aprirti sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. 12 ANALISI DEL TESTO Montale si rivolge direttamente a un ipotetico interlocutore, che si identifica con il lettore dei suoi versi; il poeta usa per se stesso la prima persona plurale, coinvolgendo anche gli altri poeti e, per estensione, la poesia. Il testo costituisce infatti un documento essenziale di poetica. Nella prima quartina si afferma che la poesia non è in grado di portare ordine nel caos interiore dell'uomo, né di definire ed esprimere con precisione impulsi e sentimenti confusi e contraddittori. Il concetto viene presentato (attribuendo all'astratto una forma concreta) attraverso le immagini di un "animo informe" che non può essere "squadrato" e delle "lettere di fuoco" con cui dovrebbero essere espressi i suoi moti, poi si materializza nell'immagine del "croco", il fiore dall'intenso color giallo (simbolo della luce come i limoni): la parola poetica dovrebbe dare senso, valore, pienezza alla vita, illuminare il grigiore mortificante del vivere quotidiano, ma il poeta afferma che essa non è in grado di svolgere questo compito. La quartina centrale vale come elemento di cerniera e di raccordo. L'interiezione d'apertura rappresenta un segno di rammarico e di totale e polemica estraneità nei confronti dell'uomo deciso e sicuro, in pace con se stesso e con gli altri. È il conformista, integrato nel mondo in cui vive, a differenza del poeta e dei suoi lettori; egli non si pone domande, né si preoccupa della sua ombra, simbolo degli aspetti negativi dell'esistenza, dell'indecifrabilità della realtà esterna e della sua stessa realtà interiore. La vampa del sole si collega al motivo dell'aridità, poiché la luce vale solo a mettere in evidenza il lato in ombra della vita e la prigionia entro lo "scalcinato muro". Il collegamento della quartina conclusiva con quella iniziale è sottolineato dalla ripresa parallela del verso che le introduce: "Non chiederci la parola" corrisponde al "Non domandarci la formula" al verso 9. La parola poetica non è più, come la ritenevano i simbolisti e Ungaretti, colei che ci fa attingere all'assoluto. Essa viene ridotta a "qualche storta sillaba e secca" (inerte, sul piano spirituale) "come un ramo" (che vale come antitesi, a distanza, del croco). È anche questa una dichiarazione di poetica, una definizione del proprio linguaggio scabro e antilirico, per il rifiuto di una facile cantabilità. I due versi finali, riassumendo le ragioni dell'intero componimento, esprimono con lucidità la condizione di un'esistenza priva di certezze conoscitive e di valori alternativi; la poesia non è in grado di proporre messaggi positivi, può solo definire una condizione in negativo. SPESSO IL MALE DI VIVERE HO INCONTRATO (da Ossi di seppia, 1924) >TEMI CHIAVE -il malessere esistenziale che si manifesta negli aspetti più comuni della natura; -il distacco e l'indifferenza di fronte alla miseria del mondo. METRO: due quartine composte da endecasillabi, ad eccezione del verso finale, che consta due settenari, di cui il primo sdrucciolo. Le rime sono ABBA e CDDA. Spesso il male di vivere ho incontrato era il rivo strozzato che gorgoglia era l'incartocciarsi della foglia riarsa, era il cavallo stramazzato. Bene non seppi, fuori del prodigio che schiude la divina Indifferenza: era la statua nella sonnolenza del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato. ANALISI DEL TESTO Il primo verso introduce un movimento che va dal soggetto alla realtà, dall'astratto al concreto. Il poeta, che interviene in prima persona, esprime il motivo di una tipica condizione esistenziale, il "male di vivere", ma usa un il verbo "incontrare" che materializza il concetto, presentandolo quasi come una presenza reale e fisicamente tangibile. Il "male di vivere" non viene evocato attraverso forme o complementi di paragone, in un senso metaforico e analogico, ma si identifica direttamente con le cose che lo rappresentano, emblemi nei quali si incarnano e si rivelano il dolore e la sofferenza: "il rivo..", "l'incartocciarsi..", "il cavallo..". Il malessere esistenziale prende corpo nella realtà, che ne riproduce concretamente le espressioni, attraverso le immagini di tormento soffocato e affannoso, di un'arsura che si sgretola, di un accasciamento mortale (rovesciando le impressioni di gioia e di vita che normalmente suggeriscono le presenze evocate del ruscello, della foglia e del cavallo). In opposizione al "male di vivere", che si manifesta negli aspetti più comuni della natura, non vi può essere per Montale altro "bene" che un atteggiamento di distacco e di indifferenza, come quello assunto dalla divinità, impassibile di fronte alla miseria del mondo (la "divina indifferenza" suggerisce, per antitesi, il richiamo alla "divina Provvidenza"). Ai tre emblemi del "male" si contrappongono nella seconda strofa, con studiato parallelismo, tre emblemi di questa specie di "bene": la statua, la nuvola e il falco. A segnare la contrapposizione tra le due terne di immagini, la rima "levato" al verso 8, che indica un movimento dal basso verso l'alto, è antitetica rispetto a quella dell'ultimo verso della strofa precedente, "stramazzato", che presuppone un movimento inverso. Alla dimensione orizzontale della prima parte, più in generale, si sostituisce nella seconda parte quella della verticalità; ma anche qui le immagini si collocano in un'immobilità irreale, emblemi freddi e privi di vita. STRUTTURA E FIGURE RETORICHE Aspetti simmetrici: struttura complessiva del discorso ed enjambement Aspetti che rompono la simmetria: rima e distribuzione degli aspetti del discorso. Anafora: "era" (vv. 2, 3 e 4) Climax ascendente: "statua", "nuvola" e "falco" sono disposti in modo che il distacco dalla terra sia sempre maggiore (la statua vi si poggia, le nuvole sono inconsistenti e statiche, il falco può volare libero) Anastrofe: "bene non seppi" (v. 5) Metafora: "divina Indifferenza" Allitterazioni e richiami sonori: la prima strofa, incentrata sulla sofferenza, è percorsa da lettere e nessi aspri (es. s, r, rg, tr, str, rt, rs...); la seconda, invece, è caratterizzata da una maggiore apertura e insiste sempre più sulle vocali (specie nella chiusa: "falco alto levato")