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Riassunto programma letteratura quinto per maturità

14/9/2022

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LETTERATURA ITALIANA
GIACOMO LEOPARDI
Giacomo Leopardi nasce nel 1798 a Recanati, un borgo nello stato pontificio.
Il padre esercita un'infl

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LETTERATURA ITALIANA GIACOMO LEOPARDI Giacomo Leopardi nasce nel 1798 a Recanati, un borgo nello stato pontificio. Il padre esercita un'influenza fondamentale nel favorire l'inclinazione del figlio alle lettere: lui, infatti, possedeva una grande biblioteca ricca di opere classiche, filosofiche e teologiche per il quale aveva speso gran parte del patrimonio. La madre, austera e rigorosamente religiosa, è una donna poco incline alle manifestazioni d'affetto. Il periodo tra il 1808 e il 1815 è un periodo di << studio matto e disperatissimo >> che gli procura diversi danni fisici. Giacomo inizia, inoltre, un'amicizia epistolare con il letterato Pietro Giordani, a cui manderà la sua traduzione dell'lliade e che lo stimola ad un ampliamento di prospettive. In questa fase possiamo situare la cosiddetta "conversione letteraria", ossia il passaggio dalla fase erudita di studio a quella delle composizioni poetiche. La dura fede inculcatagli dalla madre, lo porta alla "conversione filosofica" dal bello al vero, che lo porta a una nuova visione della vita in cui predilige la ragione e si avvicina alle idee del materialismo settecentesco, secondo cui la vita è un ciclo di nascita e di morte. 1822: trasferimento a Roma, si era liberata una cattedra di letteratura presso la Biblioteca Vaticana e Leopardi spera di ottenerla. Il soggiorno a Roma si rivela deludente già dopo pochi mesi: Leopardi non...

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ottiene la cattedra a causa delle sue idee religiose ritenute pericolose. Segnato da una profonda amarezza, Giacomo torna a Recanati e traccia un primo bilancio della sua esistenza, in cui sente una solitudine intellettuale, morale e fisica. 1830: trasferimento a Firenze per collaborare alla rivista "Antologia". Qui è ospite di molti salotti, tra cui quello di Fanny Targioni Tozzetti, una nobildonna di cui si innamora ma senza essere ricambiato; per lei scriverà le poesie del ciclo di Aspasia. Dopo questa delusione amorosa, Leopardi lascia Firenze e si trasferisce a Roma con lo scrittore napoletano Antonio Ranieri con il quale si recherà a Napoli. Muore a Napoli nel giugno del 1837. Le opere Zibaldone di pensieri: annotazioni scritte dal 1817 al 1832 in cui Leopardi esprime i suoi pensieri su vari argomenti come, per esempio, la politica, la filosofia o la letteratura. Possiamo notare un'evoluzione del pensiero di Leopardi, spesso contraddittorio. Il termine "zibaldone" deriva da "zabaione", una bevanda composta da vari ingredienti. Come lo zabaione, quest'opera è composta da un insieme di riflessioni, annotazioni e schemi dell'autore. Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica: composta nel 1818, è una riflessione in cui Leopardi difende il Classicismo e critica i letterati settentrionali romantici. Venne inviato all'editore Stella in risposta alle Osservazioni sulla poesia moderna del romantico Ludovico di Breme ma non venne pubblicato perché prendeva una posizione troppo forte. Operette morali: 24 opere in prosa di argomento etico-filosofico pubblicate come primo volume delle Opere complete a cura di Antonio Ranieri nel 1845. La maggior di queste prose sono dialoghi sul modello dei Dialoghi dello scrittore greco Luciano Samosata. I canti: I canti rappresentano l'esperienza fondamentale dell'intera attività letteraria di Leopardi. In essi sono raccolte illusioni giovanili, ricordi d'infanzia e angosce esistenziali. I diversi componimenti, pur essendo poeticamente indipendenti, sono in relazione secondo partizioni interne cronologiche, tematiche e di genere. • canzoni giovanili (1818-1822): comprendono le canzoni civili e le canzoni filosofiche. Le canzoni civili sono 3, legate da una tematica patriottica e corrispondono al periodo del "pessimismo storico". In queste canzoni Leopardi rievoca alcuni grandi italiani del passato come Dante, Petrarca, Alfieri o Colombo e tramite le loro figure parla della noia, delle illusioni e delle delusioni amorose. Nelle canzoni filosofiche (Bruto Minore, Ultimo canto di Saffo, Alla Primavera e Inno ai Patriarchi) c'è una meditazione sul <<vero>> e una riflessione sull'infelicità. • i piccoli idilli (1819-1821): composti contemporaneamente alle canzoni. Il termine “idillio" proviene dal greco e significa "piccola immagine" o "quadretto" e tradizionalmente indicava una poesia di argomento pastorale. Leopardi rielabora questo genere classico in modo personale offrendo una rappresentazione del mondo esterno attraverso le sensazioni da lui provate mentre lo osserva. I "piccoli idilli" sono 5 (L'infinito, La sera del dì di festa, Alla Luna, Il Sogno e La vita solitaria), in essi, il poeta, lascia scorrere la propria immaginazione basata sulla poetica del vago e dell'indefinito. • grandi idilli (1828-1830): detti anche canti pisano-recanatesi, i "grandi idilli" sono 7: II Risorgimento, A Silvia, Le Ricordanze, Canto notturno d'un pastore errante in Asia, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio e Il passero solitario. In questi idilli troviamo un amaro distacco dalle fantasie e dalle illusioni e una riflessione sulla figura della natura come matrigna. Essendo in questo periodo tornato a Recanati, sono presenti rievocazioni della giovinezza e della felicità perduta dispersa nell' <<arido vero>>. • ultima fase della poesia (1831-1837): dopo aver lasciato definitivamente Recanati, Leopardi compone i 5 testi del ciclo di Aspasia, nei quali il poeta esprime l'amara delusione amorosa causata da Fanny Targioni Tozzetti. L'amore viene definito un inganno estremo e l'ultima illusione a cui egli ha creduto. In questi testi possiamo scorgere un tono più combattivo e polemico insieme a una poca musicalità e una sintassi spezzata. I temi tra Classicismo e Romanticismo: Secondo Leopardi, mentre gli scrittori classici sapevano nutrirsi dell'immaginazione e suscitare illusioni grazie al loro rapporto con la natura, quelli romantici hanno perso questa capacità perché si sono inariditi. La poesia romantica, infatti, secondo lui appare ingabbiata dal realismo e dalla ricerca dell'oggettività. Possiamo considerare Leopardi un poeta classicista con coloriture romantiche, in quanto privilegia la lirica come manifestazione dell'io, rigetta la mitologia antica ed è classico nel vagheggiare. Poetica del vago e dell'indefinito: Secondo Leopardi, l'aspirazione al piacere (felicità) può essere concretizzata dalle sensazioni e dalle impressioni stimolate dalla fantasia (illusioni) mediante suggestioni che solo la poesia può trasmettere. Tali processi psicologici sono quindi caratterizzati da vaghezza, lontananza remota nel tempo e nello spazio e rimembranza. infinito e indefinito: I termini "infinito" e "indefinito" esprimono concetti distinti ma contigui: l'indefinito è ciò che non si percepisce distintamente; infinito è, invece, ciò che è creato dall'immaginazione verso un orizzonte ideale collocato in un'estrema lontananza. Il pessimismo: Durante il corso della sua vita, Leopardi riflette spesso sulla condizione umana. Possiamo individuare 3 fasi di riflessione. • Pessimismo storico: All'inizio della sua meditazione, Leopardi è convinto che la condizione esistenziale di ogni individuo sia caratterizzata da una profonda infelicità causata da uso eccessivo della ragione che ha privato gli esseri umani di illusioni e speranze e li ha imprigionati nell' << arido vero>>. Secondo Leopardi, gli antichi potevano aspirare alla felicità grazie alla loro immaginazione e al loro perenne "stato di fanciullezza". In contrapposizione alla ragione c'è la natura, la quale è vista come fonte benigna di illusioni e madre di tutti gli uomini. • Pessimismo cosmico: In questa fase Leopardi si convince che l'infelicità non sia un fatto che dipende dall'evoluzione storica ma è un fattore che riguarda ogni creatura vivente. La natura è concepita come un'entità meccanica matrigna e indifferenti alle sorti dell'uomo. La ragione, al contrario, è ora rivalutata ed è in grado di svelare gli inganni dell'intelletto che nascondono la dura realtà. • Pessimismo eroico: Leopardi si appella a tutti gli uomini affinché si uniscano nella cosiddetta "social catena" in nome della fratellanza e della solidarietà per progettare contro la natura, considerata distruttrice. LA SCAPIGLIATURA La Scapigliatura è una corrente artistico-letteraria che si sviluppa in Lombardia tra il 1860 e il 1880. Ha come centro Milano ma si sviluppa anche in Piemonte. Gli autori della Scapigliatura decidono di vivere in modo anticonformista facendo spesso uso di droghe e alcol e nei loro testi trattano di temi quali la morte, l'orrido, la disperazione, la malinconia, la malattia e la deformità. A differenza dei francesi, per gli italiani questa sarà solo un'esperienza in quanto molti di loro dopo un po' si allontanano da questo stile di vita. L'uso dell'aggettivo "scapigliato" in riferimento a questo movimento compare per la prima volta in un articolo pubblicato da Cletto Arrighi nel 1857, il quale lo collega ai bohémien, ovvero quegli artisti francesi che rifiutavano le norme e le convenzioni della società borghese. Tra gli scapigliati ricordiamo Cletto Arrighi, autore del manifesto della scapigliatura Preludio, Emilio Praga, i fratelli Boito ed il piemontese Igino Ugo Tarchetti. Igino Ugo Tarchetti Igino Ugo Tarchetti è il più importante scapigliato piemontese. Dopo il liceo entra nell'esercito ma è costretto ad abbandonarlo dopo pochi anni per problemi di salute e viene congedato a Milano. A Milano lavora come giornalista ed entra in contatto con gli ambienti scapigliati conducendo una vita bohemien. Muore a 30 anni di tubercolosi. Tarchetti scrive principalmente poesie e romanzi e nelle sue opere troviamo come temi ricorrenti la morte e la malattia. La sua opera più importante è il romanzo Fosca. Fosca: nel 1864 Tarchetti lavora per l'esercito di Parma. In questa città conosce a casa di un suo superiore una donna (forse Carolina o Angiolina) che soffre di epilessia e prossima alla morte. I due vivono una storia e lei morirà un anno dopo. A questa storia è ispirato il romanzo. Protagonista della vicenda è Giorgio, un avvenente ufficiale che si innamora di una ragazza di nome Clara: I due però sono costretti ben presto a separarsi per via del trasferimento dell'uomo a Parma. Ed è in questa città che Giorgio vive un'esperienza sconvolgente in seguito alla conoscenza di Fosca, cugina del comandante. Fosca - il cui nome è già in contrapposizione con quello di Clara - è l'antitesi della donna angelo: una donna scheletrica, malata di isteria, resa deforme e spettrale dal dolore; tuttavia, questa bruttezza è compensata dalla sua grazia, la sua intelligenza e la sua sensibilità. In Giorgio, Fosca vede una persona su cui proiettare il suo dolore e il suo bisogno di essere amata legandosi morbosamente a lui, che all'inizio la rifiuterà. Inspiegabilmente, però, anche Giorgio comincerà a sentire una sorta di irriducibile attrazione per Fosca, che lo spingerà in una relazione amorosa morbosa e malata che si concluderà con la morte di Fosca dopo l'unica notte d'amore che i due si concederanno. Giorgio poi scoprirà di aver contratto la stessa forma di malattia che ha ucciso Fosca, come impronta indelebile del loro amore malato e malsano. IL NATURALISMO Il Naturalismo è una corrente artistico-letteraria che si diffonde in Francia nella seconda metà del 1800 e che ha come oggetto privilegiato della narrazione la realtà quotidiana. Lo scrittore naturalista pertanto descrive gli ambienti sociali e le dinamiche fra gli individui senza abbellimenti ed in modo assolutamente realista. La letteratura diventa come una scienza sociale, che ha il compito di studiare minuziosamente l'uomo reale. Il Naturalismo viene introdotto da Honoré de Balzac (Commedia Umana) e Gustave Flaubert (Madame Bovary). Altri naturalisti molto importanti sono i fratelli de Goncourt che, servendosi di notizie di cronaca, scrivono il romanzo Germinie Lacerteux, che racconta di una donna di servizio che vive una doppia vita, ed Émile Zola che scrive il ciclo di 20 romanzi Rougon-Macquart in cui analizza la società nel suo complesso, raccontando di classi sociali diverse. I temi principali di questi romanzi ambientati a Parigi sono l'alcolismo e l'alienazione che l'uso delle macchine comporta. Zola introduce, inoltre, il determinismo secondo cui i comportamenti di una persona sono determinati da ciò che vive all'inizio della sua vita. IL VERISMO In Italia, le tesi del naturalismo arrivano con Luigi Capuana, il quale è considerato l'iniziatore ed il teorico del Verismo. Oltre a lui, gli esponenti principali veristi sono i siciliani Giovanni Verga e Federico De Roberto. Federico De Roberto, il più giovane dei tre, cercherà di scrivere un ciclo di romanzi sulla scia di Zola ma si ferma al primo perché ebbe poco successo. Il romanzo I viceré narra della famiglia Uzeda, proveniente dall'alta società. La produzione verista in generale riceve uno scarso consenso dal pubblico ma verrà poi rivalutata nel corso del Novecento. GIOVANNI VERGA Giovanni Verga nasce a Catania nel 1840 in una famiglia importante siciliana Nel 1865 compie uno dei suoi primi viaggi a Firenze, dove incontra Capuana, che lo introduce al Verismo. Successivamente si sposta a Milano ed entrerà in contatto con gli ambienti della Scapigliatura ma deciderà di aderire al Verismo scrivendo le prime novelle e il ciclo dei Vinti. Muore nel 1922 per una trombosi. Durante la sua vita non si sposerà mai, la scrittura è stata la sua unica compagna di vita. Le opere Storie di una Capinera ed Eva, Eros, Tigre Reale: romanzi della produzione preverista. Vita dei campi: raccolta di 8 novelle ambientate nella campagna siciliana tra cui • Rosso Malpelo: il protagonista è Malpelo, un giovane che lavora in una cava di sabbia siciliana e che è ritenuto da tutti essere malvagio a causa dei suoi capelli rossi. Per questo motivo il giovane è malvoluto dalla sua famiglia, che si vergogna di lui, e maltrattato dai suoi compagni di lavoro. In risposta a questo Malpelo vive completamente isolato. Nel racconto si dice che lo tenevano a lavorare lì solo perché il padre era morto nella cava in seguito al crollo di una parete. A questo punto entra in scena un altro personaggio, il giovane Ranocchio, momentaneamente zoppo dopo un incidente, che morirà poco dopo. Nel finale Malpelo viene mandato in esplorazione in una zona pericolosa della cava e non fa più ritorno, presumibilmente morto nel labirinto dei cunicoli anche se alcuni vantano di aver visto i suoi capelli rossi e gli occhi grigi in quei cunicoli. Per il lettore è chiaro che Malpelo ha dei valori autentici, come la pietà verso il padre, il senso della giustizia, l'amicizia e la solidarietà. Il punto di vista del narratore, con i suoi pregiudizi e le sue incomprensioni, crea su questi valori un effetto di straniamento. Rosso Malpelo e le altre novelle di Vita dei campi sono il frutto di una collaborazione con Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino per mettere in luce la questione meridionale attraverso un libro inchiesta noto col nome di Inchiesta in Sicilia, in cui gli autori descrivono le cause della decadenza economica siciliana e pongono l'attenzione sul problema legato allo sfruttamento dei minori (carusi) nelle miniere di zolfo. • La lupa: la protagonista è Gnà Pina, che viene soprannominata dalla comunità "la Lupa" per il suo comportamento e per il suo fisico molto sensuale. La figlia della Lupa, Maricchia, ha invece un carattere dolce e sensibile e soffre di solitudine poiché, a causa del comportamento della madre, è anche lei un'esclusa. Un giorno La Lupa si imbatte in un giovane appena tornato dal servizio militare, Nanni. Il ragazzo lavora come bracciante nei campi vicino alla sua abitazione e, in realtà, è innamorato della figlia della Lupa, Maricchia. Gnà Pina, follemente innamorata del giovane, decide di dargli in sposa la figlia a una condizione: i ragazzi, dopo il matrimonio, si sarebbero dovuti trasferire a vivere a casa della Lupa. Una volta trasferitisi, questa proverà in tutti i modi a sedurre il marito della figlia, Nanni. Maricchia denuncia la madre alle forze dell'ordine che chiamano Nanni per interrogarlo: il ragazzo confessa l'adulterio e si giustifica dicendo che la donna era per lui come una tentazione dell'inferno. Le forze dell'ordine chiedono alla Lupa di lasciare la casa ma questa rifiuta. Durante il lavoro Nanni viene ferito da un mulo e rischia la morte. Il prete, chiamato a dare l'estrema unzione al ragazzo, si rifiuta di farlo poiché Gnà Pina è ancora all'interno dell'abitazione. La Lupa decide così di allontanarsi per un periodo ma, al suo ritorno a casa, continua a provare a sedurre Nanni che, disperato, la uccide con un gesto brutale ed estremo che chiude rapidamente la novella. Novelle rusticane: 12 novelle che assumono la funzione di preludio e anticipazione per il romanzo "Mastro Don Gesualdo". Qui la passione e l'amore passano in secondo piano lasciando spazio alle leggi economiche che regolano le relazioni umane. La difesa dei beni, delle ricchezze e della "roba" è l'unica ragione di vita dei personaggi e li logora interiormente. Tra le novelle ricordiamo: • la roba: il protagonista è il bracciante Mazzarò, che grazie alla sua intelligenza riesce ad appropriarsi delle terre del padrone (un ricco barone) lasciando a quest'ultimo solo il proprio stemma. Mazzarò diventa ricco ma avaro, e il suo unico scopo è possedere tanta terra da eguagliare quella del re. Divenuto vecchio, pensando che la morte sia ormai vicina, uccide tutti gli animali delle sue proprietà gridando: "Roba mia, vientene con me!". Il ciclo dei Vinti: Il ciclo narrativo I Vinti, avrebbe dovuto essere articolato in 5 romanzi secondo il modello dei naturalisti De Balzac e Zola. Il progetto prevedeva i romanzi I Malavoglia (classe popolare), Mastro-don Gesualdo (ascesa sociale), La duchessa di Leyra (nobiltà), L'onorevole Scipioni (politico romano) e L'uomo di lusso (artista); di tutti questi vengono realizzati I Malavoglia, Mastro-don Gesualdo ed il primo capitolo di La Duchessa di Leyra. I cinque romanzi sono la storia di cinque ambizioni sfortunate collocate in diversi ambienti sociali. I Malavoglia: I Malavoglia viene pubblicato nel 1881. Il romanzo viene anticipato dalla novella Fantasticheria, in cui sono presenti le ambientazioni e alcuni personaggi. Il romanzo narra la storia della famiglia Toscano, detta malignamente dal popolo "Malavoglia", una famiglia di pescatori del piccolo paese siciliano di Aci Trezza. Padron 'Ntoni è il capofamiglia e l'unità e l'economia familiare sono garantite dalla casa del nespolo e dal peschereccio, chiamato "La Provvidenza", ma una serie inarrestabile di disastri colpirà la famiglia. Il giovane Ntoni, nipote di Padron 'Ntoni, deve partire per militare e la famiglia è costretta ad assumere un lavoratore. A ciò si aggiunge il bisogno di una dote per Mena, la figlia maggiore, che si deve sposare. Padron 'Ntoni decide allora di tentare la via del commercio, ma la barca naufraga e muore Bastianazzo, figlio di Padron 'Ntoni. La nave era carica di lupini comprati a credito dall'usuraio Zio Crocefisso. Questo evento causa la rovina economica dei Malavoglia, che perdono anche la casa del nespolo. Intanto il giovane Ntoni finisce il servizio militare e finisce in carcere dopo una rissa con la guardia che aveva tentato di sedurre la sorella Lia. L'altro nipote, Luca, muore durante la battaglia di Lissa del 1866. Lia, dopo l'episodio con la guardia, si sente disonorata e fugge a Catania, dove finisce per lavorare come prostituta. Dopo tanti sacrifici, l'ultimo nipote, Alessi, riesce a ricomprare la casa del Nespolo e tenta di ricostruire il nucleo familiare senza però riuscirci: Padron 'Ntoni muore in ospedale e il giovane 'Ntoni, uscito dal carcere, capisce di non poter più esser parte di quella vita e abbandona per sempre il paese natale. Nel romanzo è assente la figura del protagonista. La storia si costruisce attorno agli interventi del coro, dando un senso di comunità e coralità. La lingua utilizzata è un siciliano d'apparenza: utilizza un linguaggio comprensibile a tutti inserendo dei modi di dire siciliani. Nella prefazione <<La fiumana del progresso>>, Verga illustra i temi che tratterà nei 5 romanzi e introduce il concetto di fiumana del progresso. Con la Fiumana, Giovanni Verga si riferisce a tutta quella condizione socioeconomica italiana, che emargina coloro che non riescono a stare al passo con il progresso della società, travolgendo violentemente una classe sociale dopo l'altra, senza mai arrestarsi, rendendo i vincitori del momento i Vinti del futuro. Mastro-don Gesualdo: il romanzo vede come protagonista Gesualdo Motta, un manovale siciliano che, grazie alla sua ambizione, diventa un proprietario terriero meritandosi anche il titolo di "don", riservato ai notabili. Decide di sposare una nobile decaduta, Bianca Trao per suggellare la propria ascesa sociale. Questo matrimonio segna l'inizio della fine per Gesualdo: la moglie lo considera un estraneo e la figlia Isabella (probabilmente non sua) non gli riserva affetto, anche perché costretta a sposare un vecchio nobile, cinico e spiantato, il duca di Leyra, il quale spende le ricchezze che il suocero ha accumulato. Muore infine nella stanza che gli aveva riservato la figlia tra atroci sofferenze, schernito dalla servitù. Il romanzo, oltre a mostrare la decadenza dell'aristocrazia, presenta una contrapposizione tra successo economico-sociale ed affetti familiari. Il protagonista è un arrampicatore sociale i cui tratti salienti sono l'intraprendenza borghese, l'individualismo, il materialismo e la fine degli ideali, tanto che l'affannosa aspirazione alla "roba" e all'ascesa sociale segnano una corsa verso l'alienazione e la solitudine senza speranza. IL DECADENTISMO Nello stesso periodo in cui dominano sul piano culturale il Positivismo e su quello letterario il Naturalismo, nasce in Francia il Decadentismo. Il vocabolo nasce in Francia per indicare la poetica dei poeti maledetti. Questa espressione viene utilizzata per la prima volta da Verlaine nell'omonima opera critica. Per "poeti maledetti" Verlaine intende gli artisti assoluti, condannati a essere incompresi dal proprio tempo e a scontare in vita il proprio antagonismo conflittuale rispetto ai valori e ai miti professati dalla società borghese. Il precursore di tale atteggiamento è Charles Baudelaire e la sua opera I fiori del male, in cui l'individualismo romantico si confronta lacerante tra bene e male. Tale dualismo porta il poeta a rifiutare ogni rapporto con la società e a sfidarne il perbenismo. Il Decadentismo si caratterizza quindi per una forte componente di irrazionalismo, in contrapposizione all'oggettività e all'impersonalità del Positivismo e del Naturalismo. Tra i temi principali trattati dai decadenti troviamo la morte, il nichilismo, il doppio, l'esotismo e il misticismo. Possiamo individuare due filoni del Decadentismo: • Simbolismo, la poesia non è più vista come un discorso o un riassunto di concetti, ma come qualcosa che deve suggestionare il lettore e suggerirgli emozioni e sensazioni. Affinché il verso fluisca in maniera libera si predilige il verso libero e la narrazione avviene attraverso l'uso di simboli che vanno decodificati (analogia). Baudelaire parlerà della natura come una <<foresta di simboli>>. In Italia il maggior esponente è Pascoli e verrà poi portato a termine da Montale. • Estetismo, movimento che ha come fine la ricerca della bellezza nell'apparenza. Gli esponenti dell'Estetismo incarnano la figura del dandy, ovvero l'esteta raffinato che ricerca l'eleganza. Gli esponenti principali di questo movimento sono Oscar Wilde (Il Ritratto di Dorian Gray), Joris-Karl Huysmans (Controcorrente) e Gabriele d'Annunzio (Il Piacere): i protagonisti dei loro romanzi giocano la loro vita sull'apparenza. GIOVANNI PASCOLI Giovanni Pascoli nasce nel 1855 a San Mauro di Romagna. La sua giovinezza è segnata da una serie di lutti iniziando dal padre, amministratore della famiglia romana Torlonia, ucciso da una fucilata nel 1867, poi la sorella per tifo, la madre di infarto e il fratello per emorragia cerebrale. Dopo tutte queste tragedie è costretto a seguire a Rimini e poi a Firenze il fratello Giacomo. Nel 1873 vince una borsa di studio per la facoltà di Lettere dell'Università di Bologna e avrà come insegnante Giosuè Carducci. Inizia ad avvicinarsi al socialismo e ai circoli socialisti bolognesi, sono gli anni della militanza politica. Dopo essere stato arrestato e in carcere per tre mesi, accusato di attività sovversive, decide di abbandonare la politica e si laurea. Subito dopo la laurea diventa professore di Lettere latine e greche e si riavvicina alle sorelle. Il ritrovato legame con le sorelle Maria e Ida, strette intorno a lui nel desiderato <<nido>>, lo riporta alle condizioni dell'infanzia, recuperata con un affetto totalizzante che escludeva rapporti con persone esterne ed esige il culto della memoria dei genitori. Nel 1895, però, la sorella Ida si sposa lasciando Pascoli sconvolto, che la considera come una traditrice perché ha minato l'integrità del <<nido>>. Giovanni allora decide di trasferirsi a Castelvecchio con la sorella e diventa professore a Bologna. Muore nel 1912 a Bologna per una cirrosi epatica. Le opere Canti di Castelvecchio: 69 componimenti scritti durante il periodo a Castelvecchio dedicati alla madre. Pascoli si ispira ai Canti di Leopardi e al Canzoniere di Petrarca e inserisce l'epigrafe virgiliana Arbusta iuvant humilesque myricae (piacciono gli arbusti e le umili tamerici), la stessa contenuta nella raccolta poetica Myricae, con cui questi canti intrattengono un esplicito senso di continuità. Le vicende raccontate sono autobiografiche e il protagonista è l'io poetico. Il fanciullino: saggio edito in 20 capitoli pubblicato sulla rivista fiorentina "Il Marzocco", in cui definisce la sua poetica. La grande proletaria si è mossa: orazione scritta in occasione della guerra libica. Pascoli esalta l'Italia e il recupero della sua grandezza. Myricae: Il titolo della raccolta deriva da un verso della quarta Bucolica, nella quale Virgilio sceglie di affrontare un tema più elevato e di innalzare il tono stilistico rispetto ai componimenti precedenti: Non omnes arbusta iuvant humilesque myricae, vale a dire "Non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici". Gli arbusti e le tamerici costituiscono due emblemi della poesia pastorale. Anche Pascoli utilizza il termine myricae sta a indicare la predilezione per argomenti umili e quotidiani, rovesciando il significato dell'epigrafe virgiliana. La maggior parte dei testi sono quadretti di campagna in cui vengono descritti fenomeni o elementi naturali. Nei componimenti, Pascoli utilizza tre tipi di linguaggio; in primo luogo, sopravvive un lessico della tradizione letteraria con aulicismi, come conseguenza della sua formazione classicista. Si tratta comunque di una componente poco rilevante. Sono poi presenti termini di un linguaggio "pregrammaticale", cioè estraneo alla lingua "istituzionale", come per esempio onomatopee per descrivere rumori o versi di animali che utilizza per rendere i testi mimetici (imitatori della realtà). Compare infine il linguaggio "postgrammaticale", ovvero termini tecnici e specialistici appartenenti, per esempio, alla botanica, alla zoologia o all'agricoltura. I temi Il fanciullino: Secondo Pascoli, ogni individuo ha una parte infantile e irrazionale che chiama fanciullo. L'io poetico deve saper ascoltare questa sua parte e trascriverne la voce utilizzando una lingua <<ingenua>> senza malizia e prescrizioni sociali che snaturano la comunicazione, utilizzando, quindi, un linguaggio pregrammaticale. Il nido: Traumatizzato dai molteplici lutti familiari, Pascoli tenta di trovare protezione e conforto dalle minacce del mondo esterno negli affetti familiari e negli ambienti intimi e cari. Per lui il <<nido>> è il luogo della ricomposizione dell'unità familiare e lo spazio che permette il riparo dalla società brutale e inospitale. La violazione del <<nido>> comporta la scoperta di tutto ciò che di spaventoso e letale sta fuori di esso. GABRIELE D'ANNUNZIO Gabriele d'Annunzio nasce a Pescara nel 1863. A sedici anni pubblica la sua prima raccolta poetica Primo Vere, che gli permette di affermarsi fin da subito tra i letterati. Terminati gli studi, nel 1881 si trasferisce a Roma, che stava diventando il centro culturale del tempo, per studiare Lettere ed entrare nell'élite culturale. Di fatto frequenta molto poco le lezioni, alle quali preferisce collaborare con i giornali locali. All'età di 26 anni pubblica il suo primo e celebre romanzo Il Piacere. I guadagni ottenuti dalla sua attività letteraria sono notevoli, ma non abbastanza per sostenere le sue costose abitudini. Assediato dai creditori, abbandona moglie e figli e fugge prima a Francavilla a Mare (Abruzzo) e successivamente a Napoli. In questo periodo continua la sua produzione letteraria e si avvicina alla filosofia di Nietzsche. Nel 1895 d'Annunzio incontra l'attrice Eleonora Duse con la quale inizia una relazione amorosa e professionale. Con lei si trasferisce in Toscana, a Settignano, nella villa La Capponcina, dove conduce una vita sfarzosa e sperpera di nuovo tutto il suo patrimonio. Nel 1910 viene costretto all'esilio per i troppi debiti e va a Parigi. Tornerà in Italia in occasione della Prima Guerra Mondiale da interventista e collaborerà con il Corriere della Sera. Successivamente prende parte al volo su Vienna (1918) e alla presa di Fiume (1919) affermandosi come "poeta soldato". Gli ultimi anni della sua vita li passa a Gardone, sul lago di Garda, in una villa che chiama Vittoriale degli Italiani, controllato dal regime fascista. Muore nel 1938 per un'emorragia cerebrale. Le opere Terra vergine, Il libro delle vergini, San Pantaleone: 3 raccolte di novelle che inizialmente furono pubblicate separatamente e poi insieme nella raccolta Le novelle della Pescara. Le storie presentate sono storie paesane ambientate in Abruzzo in cui viene esaltata la vitalità violenta del mondo primitivo. Il piacere: Il protagonista, Andrea Sperelli, alter ego, ama due donne, la bellissima Elena Muti, che lo ha abbandonato per sposare un ricco lord inglese, e Maria Ferres, moglie di un ambasciatore, creatura dolce e spirituale, che finisce per cedere al suo corteggiamento. Andrea non dimentica però l'antico amore e, durante il primo (e ultimo) amplesso con Maria, invoca il nome di Elena. Maria, disgustata dall'«orribile sacrilegio», fugge via, lasciando l'uomo al proprio destino di solitudine. Nel protagonista, d'Annunzio delinea la figura di un tipico esteta decadente, dotato di gusti raffinati, cultore del superfluo, desideroso di vivere ogni esperienza dei sensi, amante dell'arte, filtro attraverso il quale intende nobilitare la propria esistenza. Andrea non riesce a vincere il proprio ozio e la sottile inettitudine che lo avvincono frenando ogni sua intenzione. Trionfo della morte: il protagonista di questo romanzo è Giorgio Aurispa, un esteta abruzzese a Roma che si innamora di una donna sposata di nome Ippolita Sanzio. La conclusione della vicenda è tragica: come in una sorta di delirio passionale, Giorgio si uccide insieme ad Ippolita gettandosi da una scogliera mentre la tiene tra le braccia. Il fallimento del protagonista anticipa il tema dell'inettitudine, che sarà ripreso da Kafka e Svevo. Le vergini delle rocce: la vicenda narrata è quella di un nobile abruzzese, Claudio Cantelmo, che cerca una donna con cui generare una stirpe di superuomini. Il protagonista rimane a lungo incerto fra tre sorelle, discendenti di una famiglia della vecchia nobiltà borbonica. Cantelmo però non saprà decidersi e il romanzo rimane incompiuto, come a sottolineare il fallimento del superuomo. Il fuoco: il protagonista di questo romanzo è Stelio Effrena, un poeta e musicista che si innamora a Venezia dell'attrice Foscarina, dietro la quale si cela Eleonora Duse. L'intesa tra i due svanisce poco dopo perché si mette in mezzo una giovane. Foscarina allora, che ormai non era più giovane, decide di rinunciare a lui e di lasciarlo libero di sperimentare altri sentieri artistici. Ma i progetti ambiziosi di Stelio non si realizzeranno: i funerali di Wagner segnano simbolicamente il suo fallimento. Notturno: un incidente aereo, subito nel gennaio 1916 al termine di uno dei suoi voli di guerra, costringe per tre mesi d'Annunzio a stare immobile e con gli occhi bendati per salvare l'occhio sinistro. In questa situazione il poeta scrive una serie di pensieri, ricordi, descrizioni e visioni su migliaia di strisce di carta (i cosiddetti «cartigli») che la figlia Renata, ribattezzata affettuosamente «la Sirenetta», ritaglia per lui. Lo stile contribuisce ad accrescere l'atmosfera mortuaria di queste pagine: frammentario, ridotto a un'essenzialità quasi espressionistica, articolato in frasi concise, spezzate dalla frequenza sistematica dei segni di interpunzione. L'asciutta prosa del Notturno è però, al tempo stesso, soffusa di ritmo lirico: anche se scarna per la brevità delle immagini, si arricchisce di enigmatiche <<fosforescenze»> (il termine è dannunziano), cioè di bagliori improvvisi, ardite analogie e pause musicali. Le Laudi: Con il titolo Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi d'Annunzio concepisce un ciclo di 7 libri poetici intitolati agli astri della costellazione delle Pleiadi. In realtà ne compone solo 5 (Maya, Elettra, Alcyone, Merope e Asterope). Il libro più importante è Alcyone. L'inizio della stesura delle liriche di Alcyone risale al periodo passato con Eleonora Duse nella villa Capponcina. Esse vogliono raccontare un'estate passata in Versilia e sono articolate in cinque sezioni che seguono la parabola della stagione: attesa dell'estate (prima sezione), esplosione dell'estate nei primi giorni di luglio (seconda sezione), il pieno rigoglio tra luglio e agosto (terza sezione), il culmine dell'estate e i presagi autunnali all'inizio di settembre (quarta sezione) e il declinare della stagione accompagnato dalla malinconia autunnale (quinta sezione). Tra una sezione e l'altra, sono inseriti dei ditirambi, ovvero dei componimenti lirici dal ritmo concitato legati al culto dionisiaco che venivano cantati in cerchio, usati per celebrare il sentimento di gioia ed ebbrezza. Il tema principale è il panismo, la comunione che avviene tra l'io e la natura, portando l'uomo ad immedesimarsi interamente nella natura e a trasformarsi in essa. L'intenzione di d'Annunzio è quella di suggerire sensazioni e di rendere i versi musicali, per fare questo utilizza molti fonosimbolismi, prodotti da giochi di rime, anafore e allitterazioni. ITALO SVEVO Ettore Schmitz nasce nel 1861 a Trieste in una famiglia ebraica della borghesia mercantile. Nel 1883 l'azienda di famiglia fallisce e così inizia a lavorare per la Banca Union di Vienna. Nel 1812 autopubblica il suo primo romanzo Una Vita, con il quale si presenta ufficialmente con lo pseudonimo Italo Svevo. Nel 1896 sposa una cugina lontana e figlia del proprietario di una fabbrica di vernici sottomarine, nella quale inizia a lavorare come funzionario, garantendosi una stabilità economica. Il lavoro nell'azienda del suocero prevedeva parecchi viaggi in Inghilterra, per questo Svevo nel 1905 inizia a prendere lezioni private da James Joyce. Al 1908 risale la conoscenza delle opere di Sigmund Freud e al suo interesse per la psicoanalisi, anche se il suo uso terapeutico non lo convince. I suoi dubbi sono confermati dal fratello della moglie che, tossicomane, va in cura da Freud ma ne esce peggiorato. Nel 1919 comincia a scrivere La coscienza di Zeno, che esce nel 1923. Svevo spedisce una copia del libro a Joyce, nel frattempo trasferitosi a Parigi, che si adopera per far conoscere agli amici l'ignoto scrittore. Joyce fa leggere il libro a letterati, critici, giornalisti, mentre anche in Italia la cortina del silenzio comincia a sollevarsi, per merito di un sostenitore influente, il poeta Eugenio Montale. Svevo muore nel 1928 a causa di un incidente d'auto, lasciando incompiuto il suo quarto romanzo, il quale avrebbe dovuto essere il seguito di La coscienza di Zeno. Le opere Una vita: Il primo titolo immaginato per l'opera era Un inetto, ipotesi poi scartata. Alfonso Nitti, un giovane paesano trapiantato in città, si impiega come modesto scritturale in una banca di Trieste. Un fatto imprevisto potrebbe cambiargli la vita: l'invito del padrone della banca a frequentare il salotto della figlia, la bella Annetta, circondata da uno stuolo di vacui ammiratori. Tra i due nasce ben presto un amore, che potrebbe rappresentare per il giovane la grande occasione della vita. Ma quando si profila all'orizzonte la possibilità di sposare Annetta, Alfonso comincia a tergiversare, vittima della sua inettitudine. La malattia della madre gli offre poi la scusa per sottrarsi alle responsabilità e tornare nel suo paese. Quando torna in città, viene a sapere che Annetta lo ha dimenticato, sostituendolo con disinvolta facilità con Macario, cugino della ragazza e brillante avvocato. Alfonso è costretto a fronteggiare il fratello di lei, che lo provoca, sfidandolo a duello. L'uomo si convince a questo punto che la scelta più dignitosa sia quella di un'altra fuga, estrema e liberatoria, e si suicida avvelenandosi con il gas. La grande novità in questo romanzo è costituita dall'analisi dei moti interiori e dall'acuto senso della crisi che si riflette nell'inettitudine del personaggio. Alfonso Nitti rappresenta infatti una nuova tipologia di "vinto", il cui fallimento non è attribuibile a ragioni sociali o esterne, come per i vinti di Verga, ma solo al suo modo di essere. Anche la morte non è per lui un atto liberatorio contro la società, ma solo un'ennesima e ultima fuga. Senilità Apparso a puntate nel 1898 in appendice al giornale triestino "L'Indipendente", il secondo romanzo di Svevo esce in volume alla fine dello stesso anno, sempre a spese dell'autore. Il libro si risolve in un altro fiasco decretato dal silenzio quasi unanime della critica. Senilità: La trama ruota intorno alla storia d'amore tra Emilio Brentani e Angiolina. Emilio, impiegato con velleità letterarie, vive un'esistenza monotona e grigia con la sorella Amalia, quando incontra la giovane Angiolina, di cui si innamora. La donna, tuttavia, fin dal primo istante si dimostra meno coinvolta del protagonista ed è anzi attratta da diversi uomini, tra cui Stefano Balli, amico di Emilio e scultore, di cui è innamorata pure Amalia. Questo, geloso della sorella per la presenza di Balli in casa sua, allontana l'uomo da casa. Amalia si ammala di polmonite, a causa dell'abuso di etere, e muore. Il protagonista ritorna a vivere la sua esistenza grigia e mediocre in solitudine, ricordando le donne amate, Amalia e Angiolina, unendo nella memoria l'aspetto dell'una con il carattere dell'altra. In questo quadrilatero di personaggi che incrociano i propri destini, è facile cogliere una doppia polarità: da una parte i deboli sognatori, Emilio e Amalia; dall'altra i forti realisti, Angiolina e Balli, "darwinianamente" più adatti alla vita. I primi subiscono la vita, affetti dall'inerzia, strozzati dall'ozio e dall'assopimento interiore. I secondi, invece, luminosi ed espansivi, esibiscono sicurezza, spregiudicatezza e una buona dose di vitalismo: la donna (Angiolina), dotata di una certa amorale naturalità, che la porta a vivere la sessualità e la giovinezza senza inibizioni; l'uomo (Balli), capace di riscattare il proprio fallimento artistico con conquiste da donnaiolo impenitente. Sono presenti il monologo interiore (Joyce) e il discorso indiretto libero (Verga), che trasferiscono i pensieri del personaggio direttamente sulla pagina senza alcuna mediazione. La coscienza di Zeno: Il testo si presenta come un lungo memoriale in prima persona, organizzato per nuclei tematici, che si immagina scritto per ordine di un medico, il dottor S. (Forse Svevo o Freud), e in cui il protagonista, Zeno Cosini, ripercorre i momenti salienti della propria vita. Il libro è aperto da una Prefazione, firmata dal dottor S., che dichiara di pubblicare il testo di Zeno per vendicarsi della sua decisione, presa senza consultarlo, di abbandonare il trattamento psicanalitico. La scrittura dell'autobiografia era infatti stata richiesta a Zeno dal medico come "preludio" alla psicanalisi vera e propria. Segue un Preambolo, scritto dal protagonista stesso, il quale afferma che quelle pagine sono state composte su consiglio dello psicanalista, a cui si era rivolto, all'età di circa sessant'anni, per guarire dal vizio del fumo. Si susseguono poi sei capitoli tematici: Il fumo, La morte di mio padre, La storia del mio matrimonio, La moglie e l'amante, Storia di un'associazione commerciale, Psico-analisi. Zeno nel racconto ripercorre sei significativi episodi della sua vita, legati da una radice comune, l'incapacità di vivere, l'inettitudine che è la sua vera malattia. Ricorda come cominciò a fumare e come non sia mai riuscito ad accendere "l'ultima sigaretta". Il susseguirsi di pentimenti, buoni propositi e fallimenti che si realizza rispetto al fumo si estende anche alle circostanze più importanti della vita: al difficile rapporto col padre, fatto, fino alla sua morte, di diffidenza e incomprensione; al matrimonio con Augusta, accettato sotto la spinta del caso e poi rivelatesi felice; alla relazione con la giovane Carla, voluta per sconfiggere la paura d'invecchiare e cui non si assume alcuna responsabilità morale; al rapporto di amore e odio col cognato Guido, colpevole di aver sposato Ada, di cui Zeno era innamorato; all'associazione commerciale che ha costituito con lui. Nell'ultimo episodio la guerra sorprende Zeno ed egli ne rimane sconvolto. Ancora una volta la sorte lo aiuta e gli consente di arricchirsi con un fortunato commercio. Ciò lo fa sentire forte e sano e lo spinge ad abbandonare la cura psicoanalitica. Chiude il romanzo l'apocalittica previsione di una catastrofe, prodotta dagli ordigni di guerra e che travolgerà la terra. Zeno è un uomo pigro e svogliato, distratto e ipocondriaco (convinto cioè di essere affetto da tutte le malattie possibili), e di ciò - come dichiara il titolo del romanzo nel suo significato letterale - ha "coscienza". Egli avverte uno scarto tra sé e gli altri, tra il proprio modo di considerare la vita e quello della maggior parte delle persone. In tal senso è uno "straniero", come significa in greco il suo nome (da xenos). Alla fine del romanzo, però, sarà orgoglioso della propria diversità, che a quel punto percepirà come un elemento di forza. Allo stesso tempo, però, non va dimenticato che il punto di vista di Zeno è pur sempre personale e inaffidabile: la sua interpretazione è provvisoria, non va presa alla lettera. Non a caso, Svevo non rinuncia mai a insinuare nel lettore il sospetto che la testimonianza di Zeno sia intenzionalmente ambigua. D'altra parte, è lo stesso dottor S. ad affermare che le memorie autobiografiche di Zeno contengono un miscuglio di «tante verità e bugie»>. Lo stile del romanzo appare decisamente antiletterario, cioè scarno e privo di ornamenti. La sintassi è piuttosto elementare nell'articolazione, a volte macchinosa: sono frequenti le frasi esclamative, interrogative, incidentali, che interrompono il libero fluire del periodo. LUIGI PIRANDELLO Luigi Pirandello nasce a Girgenti (Agrigento) nel 1867, in una zona di campagna dove sorge il casale "Il Caos". La sua passione per il teatro si manifesta già nella giovinezza, quando si avvicina alle tragedie di Silvio Pellico e inizia a scrivere una tragedia a 12 anni. Nel 1879 la famiglia si trasferisce a Palermo e Luigi ottiene il permesso di frequentare il liceo classico, anziché la scuola tecnica, come voleva il padre. Nel1893 Pirandello giunge a Roma, prendendovi stabilmente dimora e stringerà amicizia con o scrittore Luigi Capuana, che lo indirizza verso la prosa. Nello stesso anno esce anche il suo primo romanzo Marta Ajala, con la prefazione di Capuana. L'anno dopo torna a Girgenti e sposa la figlia di un socio in affari del padre. Il matrimonio, seppure combinato dalla famiglia per motivi economici, è in realtà cementato da un'autentica passione, che vedrà la nascita di tre figli. Il 1903 è un anno tragico: una miniera di zolfo, in cui il padre Stefano aveva investito tutto il suo capitale e la dote della nuora, viene distrutta da un allagamento. Il tracollo economico è aggravato dalla reazione della moglie: colta da paralisi alla notizia del disastro, la donna, non si riprenderà più. La convivenza con la follia della moglie non è facile: la donna verrà internata in una casa di cura solo nel 1919, quando finalmente lo scrittore si convincerà che l'affetto, la comprensione e la pazienza non possono nulla contro un disturbo mentale incurabile. Con la messa in scena di Sei personaggi in cerca d'autore la fama dello scrittore valica i confini nazionali; la prima al Teatro Valle di Roma, nel 1921, provoca reazioni contrastanti, persino furibonde, tra accaniti sostenitori e detrattori spietati. L'anno seguente, invece, ottiene uno strepitoso successo a Londra, New York e Parigi. Nel 1924 Pirandello aderisce ufficialmente al fascismo, chiedendo pubblicamente di essere iscritto al Partito nazionale fascista, dal quale riceverà appoggi e tributi. Proprio in questi anni si lega sentimentalmente, anche se di un amore forse solo platonico, alla giovane attrice Marta Abba, per la quale scrive vari drammi e a cui invia centinaia di lettere. Muore il 10 dicembre 1936 nella sua casa di Roma, a sessantanove anni. Le sue ceneri riposano per sua volontà ad Agrigento, sotto un pino vicino alla villa del Caos. Le opere Novelle per un anno: In molte novelle appare chiara l'influenza del Verismo, reinterpretato però in forma del tutto personale. Descrivendo la società contadina siciliana o l'ambiente della borghesia impiegatizia romana, infatti, Pirandello non si ferma al dato documentario. Il suo è un naturalismo soltanto apparente: in realtà l'obiettivo non è denunciare una determinata realtà sociale, ma osservare la "propria" Sicilia attraverso una lente personale e caricaturale che ne svela però la natura più ancestrale e profonda. L'esclusa: Il primo romanzo, scritto nel 1893 con il titolo Marta Ajala. L'influenza di Luigi Capuana è particolarmente evidente nella denuncia di un ambiente sociale avvelenato da convenzioni arcaiche e provinciali, che fa da sfondo alla figura della giovane protagonista, Marta, una donna intelligente e sensibile accusata ingiustamente di tradimento. La conclusione è spiazzante: Marta è perdonata proprio quando diviene davvero un'adultera. Quaderni di Serafino Gubbio operatore: Edito nel 1915, il romanzo ha come protagonista l'operatore cinematografico Serafino Gubbio. Serafino racconta in prima persona, in un diario costituito da sette quaderni, la straniante esperienza vissuta dietro la macchina da presa. La vicenda narra del suo lavoro all'interno di una troupe cinematografica, di cui fanno parte anche l'attore Aldo Nuti e l'attrice russa Varia Nestoroff. Il meccanismo narrativo pare seguire la fredda concatenazione degli ingranaggi di una macchina, sviluppando una serie di riprese fra loro separate e dunque prive di logica consequenziale. L'ultima di queste sequenze (il settimo dei quaderni di Serafino) contiene il tragico epilogo della vicenda: invece che uccidere la tigre portata sul set per girare la scena, Nuti spara alla Nestoroff, prima di essere a sua volta ucciso dall'animale. Serafino, incaricato delle riprese, non smette di filmare: condannato a girare la manovella della cinepresa come un automa alienato, continua a registrare fedelmente la tragica scena fuori copione, ma, per lo choc subito, rimane muto. Uno, nessuno e centomila: La vicenda prende avvio da un episodio di estrema banalità di cui è protagonista Vitangelo Moscarda: una mattina, mentre si guarda allo specchio, scopre, per un'osservazione della moglie, che il suo naso non è dritto, come egli aveva sempre creduto che fosse, ma pende leggermente a destra. Il fatto, di per sé privo di importanza, dà luogo a una vera e propria crisi d'identità del personaggio, che si rende conto di non essere "uno" ma "centomila" e quindi in definitiva "nessuno" a seconda della prospettiva da cui lo osservano gli altri. Da una semplice constatazione, in altre parole, scaturisce una crisi esistenziale. In un crescente bisogno di autenticità, Vitangelo compie atti del tutto inusuali agli occhi di chi lo conosceva prima della crisi. Moscarda finirà i suoi giorni in un ospizio per i poveri, fondato da lui stesso, paradossalmente più felice di prima, nel tentativo di liberarsi di quell'Uno e di quei Centomila, allo scopo di diventare Nessuno. Il fu Mattia Pascal: Il romanzo si articola in 18 capitoli. I primi due sono costituiti da una doppia Premessa, secondo un modulo diffuso nella letteratura umoristica. Mattia Pascal vive in un immaginario paese della Liguria, Miragno, dove conduce un'esistenza monotona tra l'impolverata biblioteca in cui lavora e l'ambiente domestico, vissuto come un carcere. Stanco ed esasperato dai continui litigi con la moglie Romilda e la suocera, decide di allontanarsi senza dire nulla a nessuno. Giunto a Montecarlo, vince una cospicua somma di denaro al casinò. Di ritorno verso casa, in treno, legge su un giornale la notizia che i suoi familiari lo hanno riconosciuto nel cadavere di un suicida annegato in una roggia del suo podere, la Stia. Essendo ufficialmente morto, Mattia decide di voltare drasticamente pagina e, invece di tornare in paese per chiarire l'equivoco, tenta di costruirsi una nuova identità sotto il nome di Adriano Meis. Mattia-Adriano si trasferisce a Roma, prendendo una stanza in affitto nella casa di un bizzarro personaggio, Anselmo Paleari. Qui trascorre le giornate fra le sottili disquisizioni del suo logorroico ospite e le attenzioni amichevoli della figlia di lui, Adriana. Innamoratosi della giovane Adriana, si rende conto che non potrà mai sposarla, perché si è autocostretto a vivere come un «forestiere della vita». L'unico modo per uscire dai lacci di questa ragnatela è inscenare un secondo suicidio, quello di Adriano Meis. Lasciato un biglietto sull'argine del Tevere, torna a Miragno, deciso a farsi riconoscere da tutto il paese e con il preciso intento di vendicarsi della moglie e della suocera, verso le quali nutre un forte risentimento. Ma una brutta sorpresa lo attende: la moglie Romilda si è risposata con Pomino, un suo vecchio amico d'infanzia, e ha avuto da lui una figlia. Mattia non è più nessuno: sebbene ancora vivo, è un «escluso» dalla vita; così, convintosi a non rivendicare il suo posto a fianco della moglie, si ritira nella sua biblioteca. Il cognome Pascal, scelto con evidente allusione all'attitudine raziocinante del personaggio, rievoca il filosofo e matematico francese Blaise Pascal, ma è anche un riferimento al teosofo Théophile Pascal, di cui nel romanzo viene citata un'opera (Les sept principes de l'homme), e la teosofia è la dottrina di cui è fanatico seguace Anselmo Paleari. Il cognome potrebbe anche riferirsi a "Pasqua", perché riguarda un processo di morte e resurrezione. Mattia significa insomma "matto" come alla fine del romanzo confermerà lo stesso fratello del protagonista. Mattia Pascal può dunque essere definito con una dittologia; matto e filosofo. Il tema centrale del romanzo è lo smarrimento dell'identità individuale. Mattia vorrebbe un'esistenza alternativa alla meschinità della famiglia, all'anonimato del lavoro, alla grettezza del suo ambiente, ma è condannato al fallimento. Alla fine di tutto, infatti, egli si troverà in una condizione addirittura peggiore di quella iniziale, avendo perso i legami affettivi e sociali (che pure gli stavano stretti) senza aver guadagnato nulla in cambio. Mattia non è pronto per il salto nel vuoto che compirà Vitangelo Moscarda in Uno, nessuno e centomila, abbandonando ogni identità per aderire al flusso ininterrotto e indefinito dell'esistenza; egli non sa elevarsi a una superiore consapevolezza critica per riconoscere che l'io è sempre e comunque una costruzione artificiosa e soffocante. L'umorismo: L'umorismo può essere considerato il manifesto teorico di una nuova poetica, in netta antitesi con quella del Verismo. L'opera è divisa in due parti; nella prima l'autore analizza il termine "umorismo" e tratteggia una sorta di storia della letteratura umoristica; la seconda parte, più strettamente teorica, contiene invece una compiuta definizione dell'arte umoristica. Il teatro- le fasi stilistiche: 1. Il dramma borghese: L'autore mostra di voler spingere fino al paradosso e all'assurdo i temi consolidati del teatro borghese dell'epoca, portandoli allo scoperto e denunciandone la vacuità. Così è (se vi pare): Commedia in tre atti tratta dalla novella La signora Frola e il signor Ponza, suo genero, mette in scena la vicenda di una strana famiglia composta da tre persone che si trasferisce in un piccolo paese di provincia, scatenando un coro di chiacchiere e pettegolezzi. Il signor Ponza vive in un appartamento con la seconda moglie, mentre la madre della prima, la signora Frola, è relegata al piano sottostante e costretta a comunicare con la moglie del signor Ponza, che è convinta sia sua figlia, per mezzo di bigliettini calati in un paniere dalla finestra. O meglio, questa è la verità del signor Ponza, il quale, incalzato dalla curiosità dei vicini, afferma che la suocera è diventata pazza dopo la morte della figlia. Ma ognuno ha la sua verità da raccontare. Molto diversa, infatti, è la versione della signora Frola, che senza dubbi sostiene che a moglie del signor Ponza è sua figlia e accusa il genero di essere un marito a tal punto geloso e possessivo da volere la donna tutta per sé, tenendola isolata dal resto del mondo. L'unica a poter far luce sulla questione è la signora Ponza, che verso la fine della rappresentazione fa la sua apparizione coperta da un velo, simbolo dell'impossibilità di raggiungere la verità: invece di una rivelazione definitiva, infatti, la donna dice semplicemente «Per me, io sono colei che mi si crede», lasciando lo spettatore nella completa incertezza sulla reale identità dei personaggi. 2. Il teatro grottesco: Gli elementi caricaturali già presenti nei primi drammi diventano a poco a poco cifra stilistica inconfondibile del teatro pirandelliano: è l'approdo al teatro del grottesco, che, con Il piacere dell'onestà (1917) e Il giuoco delle parti (1918), ribalta i principi del teatro borghese in modo drastico e provocatorio, adottando soluzioni formali che infrangono le regole del Naturalismo, della verosimiglianza della storia e della finzione teatrale. Il giuoco delle parti: In questa commedia del 1918, tratta dalla novella Quando si è capito il giuoco, troviamo un marito, una moglie e l'amante: il tradizionale motivo del triangolo amoroso e del tradimento è però deformato e contorto, fino a rendere evidente l'assurdità. Leone Gala, dall'alto del suo atteggiamento intellettuale e da filosofo cinico, osserva distaccato il comportamento frivolo della moglie Silia e del suo amante Guido Venanzi, personaggio insignificante che vive all'ombra degli altri due. Recitando in modo consapevole la parte del marito tradito, Leone concede alla moglie di divertirsi con Guido, senza mostrare alcuna gelosia, e anzi favorendone la relazione. La moglie, stanca della razionalità indifferente del marito, chiede all'amante di ucciderlo, ma questi si rifiuta. Quando si presenta l'occasione di difendere l'onore di Silia in un duello, Leone accetta di farlo, in qualità di marito pro forma, ma tocca all'amante combattere realmente contro il celebre spadaccino Miglioriti, visto che di fatto è lui l'uomo di Silia. Mentre Guido Venanzi rimane ucciso nel duello, Leone si chiude in un cupo silenzio: la razionalità che svaluta i sentimenti non salva la vita né cancella la sofferenza umana. 3.1l teatro nel teatro (metateatro): Una vera e propria rivoluzione è segnata dalla prima storica rappresentazione di Sei personaggi in cerca d'autore, nel 1921, opera metateatrale che, insieme a Ciascuno a suo modo (1924) e Questa sera si recita a soggetto (1930), compone la cosiddetta trilogia del «teatro nel teatro». A questa fase può essere accostato anche l'Enrico IV (1922). Sei personaggi in cerca d'autore: La celebre commedia del 1921 non è divisa in atti e scene, ma presenta due interruzioni apparentemente casuali (in realtà perfettamente inserite nell'artificio del «teatro nel teatro»). Mentre una compagnia sta provando una commedia di Pirandello (Il giuoco delle parti) entrano in scena sei personaggi misteriosi: il Padre, la Madre, il Figlio, la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina. Abbandonati da un autore allo stadio larvale, essi aspirano alla compiutezza formale dell'arte e a ottenere corpo e voce: sono in cerca di qualcuno che scriva il loro dramma, ancora solo abbozzato, e di attori che li impersonino. La loro è una storia a tinte forti, tipica del teatro ottocentesco: la Madre, dopo aver partorito il Figlio, viene spinta dal Padre a formarsi una nuova famiglia con il suo segretario; nascono altri tre figli, la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina. Dopo molti anni, il Padre si trova in una casa di appuntamenti; proprio mentre sta per avere, inconsapevolmente, una relazione incestuosa con la Figliastra, viene fermato dalla Madre, sconvolta dal duplice orrore di trovare la figlia in quel luogo e in compagnia dell'ex marito. A questo punto la rappresentazione si interrompe per poi riprendere in un giardino, in cui la Madre scopre il corpo della Bambina affogata in una vasca e scorge il Giovinetto che, dopo aver assistito alla scena, si spara. Pur riluttante, il Capocomico della compagnia che sta provando lo spettacolo interrotto accetta di rappresentare questa vicenda, ma equivoci e difficoltà d'ogni tipo ne ostacolano la messa in scena: il vero dramma dei personaggi diviene perciò quello di non riuscire a vedersi rappresentati "realisticamente" dagli attori, che provano a recitare la storia ma sono continuamente interrotti dai personaggi "veri", insoddisfatti della performance. Alla fine, tutto rimane allo stadio potenziale di un dramma irrisolto: calato il sipario, ci si accorge dell'impossibilità di fare teatro. Enrico IV: Il dramma in tre atti del 1922 è considerato, insieme ai Sei personaggi, il vertice della drammaturgia di Pirandello. Durante una festa in maschera, un giovane gentiluomo, che indossa i panni di Enrico IV, imperatore del Sacro Romano Impero, viene disarcionato dal suo rivale in amore Tito Belcredi. Cadendo da cavallo batte la testa e sprofonda in una follia che lo terrà imprigionato per dodici anni: egli crede di essere davvero il personaggio storico che stava impersonando, e vive assecondato dai suoi servitori in un mondo irreale, fuori dal tempo. Quando all'improvviso rinsavisce, si rende conto di aver perso per sempre la giovinezza e di essere stato defraudato dell'amore della marchesa Matilde Spina, che ora è compagna di Belcredi. Il protagonista decide allora di continuare a recitare la parte a cui tutti ormai da anni lo credono inchiodato, immedesimandosi in una maschera che sostituisce la sua vera identità. Passano così altri otto anni, quando un giorno Matilde, Belcredi e la figlia Frida, in compagnia di uno psichiatra, tentano di ricostruire la scena della famosa cavalcata nella speranza di dissipare le nebbie della follia del presunto Enrico IV (il cui vero nome non è mai dichiarato). Egli, però, volendo tornare a riappropriarsi di una vita dalla quale aveva scelto di escludersi, rivela la finzione e, spinto da una passione mai sopita per Matilde, abbraccia con slancio Frida, identica alla madre da giovane. Belcredi si avventa su di lui, disgustato dal gesto del suo vecchio rivale, ma Enrico IV estrae la spada e lo ferisce a morte. A questo punto non gli rimane che continuare la recita, tornando a fingersi pazzo, non fosse altro che per sfuggire a un processo e a una condanna per omicidio. La pazzia, però, non è più un gioco, né un'inconsapevole condizione di alienazione mentale, ma una dolorosa necessità. 4. Teatro dei miti: Sull'onda del successo mondiale che accompagna le rappresentazioni delle sue commedie, Pirandello successivamente quasi si adagia in una produzione meno originale. Pirandello abbandona la riflessione metateatrale e prospetta una fuga totale nel mondo della fantasia e della poesia, approdando a grandi tematiche esistenziali e al <<mito»>, termine che egli stesso usa per definire questi lavori, tra cui I giganti della montagna. I temi La poetica dell'umorismo: Alla base della poetica pirandelliana risiede una precisa concezione dell'umorismo, enunciata in vari saggi, ma soprattutto nel testo teorico intitolato appunto L'umorismo. Tale concezione poggia sull'idea che la realtà non si riduce all'apparenza, alle sue manifestazioni oggettive, ma contiene un lato nascosto, impossibile da cogliere al primo sguardo. Nulla è veramente come sembra: sotto la superficie delle cose si trova un contenuto che smentisce quel primo apparire. Pirandello definisce l'umorismo come «sentimento del contrario»>. Illuminante, a tale proposito, è il famoso esempio della «vecchia imbellettata», introdotto nella seconda edizione del saggio: un'anziana signora che si agghinda come una giovane donna suscita in chi la osserva, come prima reazione, il riso. Questo è ciò che Pirandello chiama «avvertimento del contrario»: ci si rende conto che la vecchia imbellettata appare il contrario di quello che dovrebbe essere una donna della sua età. Ma se a questo primo sguardo subentra la riflessione, cioè se si pensa alle ragioni nascoste del suo comportamento - forse la donna non è a suo agio così agghindata, ma lo fa per esempio per compiacere un marito più giovane -, ecco che si insinua un più profondo senso di compassione, che Pirandello chiama il «sentimento del contrario»>. Il «sentimento del contrario» consiste dunque nella capacità, non a tutti concessa, di vedere il lato tragico di una situazione comica, oppure, viceversa, l'aspetto ridicolo di una vicenda drammatica. Il vitalismo e la pazzia Secondo la concezione filosofica di Pirandello - che definiamo vitalismo - la «vita» non sopporta limiti e costrizioni: essa si manifesta in modo incessantemente mutevole, in una varietà di «<forme»> mai uguali a sé stesse, e scorre come un immenso fiume, continuo e magmatico. Dare una forma stabile e cristallizzata alla vita significa, per Pirandello, farla morire. L'individuo, infatti, ingabbia la propria mutevole autenticità in una personalità coerente e unitaria, ma in realtà ogni identità è e rimane radicalmente e intimamente contraddittoria. I tentativi di costruirsi un ruolo preciso nella famiglia e nella società fanno prevalere l'apparire sull'essere, e costituiscono una fonte di equivoci continui e di falsità, destinati a trasformarsi in una prigione che gli individui, volontariamente, edificano attorno a sé. Tali ruoli sono maschere indossate per recitare una parte, per cercare di arrestare il fluire indistinto di stati emotivi passeggeri e cangianti, che istante dopo istante dicono e subito smentiscono qualcosa di noi, consegnandoci a un mondo pieno di incertezze, privo di riferimenti e come tale insopportabile. L'unica vera soluzione è porsi fuori dagli schemi, ai margini della società, oppure oltre il confine della razionalità, là dove si può ancora percepire il fluire della corrente Vitale. La concezione vitalistica pirandelliana richiama quella di alcune filosofie di inizio Novecento. A prima vista è automatico, il riferimento a Bergson e alla sua teoria dello «slancio vitale»>, che però non deve indurre a parallelismi impropri. Per il filosofo francese, infatti, l'esistenza comporta un continuo mutamento, una maturazione perenne che conduce a creare e ricreare continuamente la propria individualità. Per Pirandello, invece, la vita è soltanto frantumazione e perdita di esistenza: lo slancio creativo di Bergson si traduce in un inevitabile sentimento di estraneità. IL CREPUSCOLARISMO Con i crepuscolari incomincia la nuova poesia del '900, essi si pongono (insieme ai futuristi) in piena rottura con la tradizione e, investiti dalla complessa spiritualità del Decadentismo, operano nella poesia un profondo cambiamento di contenuto e di forme. Questi poeti, non riuscendo a trovare poesia nel mondo moderno industrializzato, si rifugiano, delusi, nel ricordo malinconico dell'infanzia e nelle piccole cose di ogni giorno che non sono certo artistiche e grandiose, ma almeno sono semplici. Mentre i poeti crepuscolari cercano di superare l'angoscia esistenziale con l'attaccamento alle piccole cose, perché sono le sole che danno loro il senso della concretezza e col vagheggiamento di una vita modesta, semplice, provinciale, lontana dal frastuono della modernità. Tra i temi principali troviamo la morte, la malattia ed elementi quotidiani. I principali poeti crepuscolari furono Sergio Corazzini e Guido Gozzano. IL FUTURISMO È un movimento culturale, artistico e letterario, nato in Italia nei primi anni del XX secolo. Esso rifiutava la tradizione e il passato e professava una convinta fede verso il futuro e il progresso tecnologico. I futuristi esaltavano i temi della velocità, del dinamismo, della forza materiale, della violenza, della guerra; sono idee queste che si diffonderanno durante la Prima Guerra Mondiale e il fascismo in Italia. Il loro linguaggio è caratterizzato da parole in libertà, senza strutture sintattiche e grammaticali precise. Il fondatore del movimento è Filippo Tommaso Marinetti, autore del Manifesto del Futurismo (1909) dove sono esposti i princip1i ispiratori del movimento; e del Manifesto tecnico della Letteratura Futurista (1912) relativo al linguaggio futurista. Altro importante rappresentante futurista è il poeta Aldo Palazzeschi, che si allontanerà dal movimento allo scoppio della guerra. Filippo Tommaso Marinetti Nacque ad Alessandria d'Egitto, studiò e visse alcuni anni a Parigi dove conobbe molti intellettuali e scrittori. Combattente nella Prima Guerra Mondiale, aderì al fascismo e ricevette dal regime onori e cariche ufficiali. Marinetti stilò il Manifesto tecnico della Letteratura Futurista nel 1912, un elenco di regole a cui si dovevano attenere gli scrittori futuristi: l'intento è quello di superare la vecchia sintassi e liberare le parole, uscendo fuori dalla tradizione letteraria. GIUSEPPE UNGARETTI Giuseppe Ungaretti nasce nel 1888 ad Alessandria d'Egitto dove il padre, di origine lucchese, si era trasferito con la moglie, per lavorare come sterratore al canale di Suez. Affina la sua formazione letteraria, studiando soprattutto i testi di Baudelaire, Mallarmé e d'Annunzio, nel quadro di una cultura bilingue (italiana e francese). Quando nel 1912 si trasferisce a Parigi, Ungaretti può dunque già disporre di un notevole bagaglio culturale. L'esperienza francese, a sua volta, si rivela estremamente feconda: la mattina frequenta la facoltà di Lettere della Sorbona, seguendo soprattutto i corsi del filosofo Henri Bergson e conoscendo artisti come Apollinaire e i futuristi, i quali lo influenzeranno molto. Lo scoppio della Prima guerra mondiale lo costringe a imprimere una svolta alla sua esistenza: viene inviato sul Carso, dove i suoi entusiasmi interventisti si spengono a contatto con la disorganizzazione in cui versa l'esercito italiano. Al termine del conflitto, Ungaretti torna a Parigi in qualità di corrispondente del "Popolo d'Italia", il giornale fondato da Benito Mussolini. Nel 1936 si trasferisce con la famiglia a San Paolo del Brasile, accettando la cattedra di Lingua e letteratura italiana. Quello trascorso in Sudamerica è un periodo funestato dai lutti familiari con la perdita del fratello e del figlio di 9 anni. Torna in Italia nel 1942, quando prende servizio come docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l'Università La Sapienza di Roma. Nel 1970, durante un soggiorno a New York, è ricoverato in clinica per una broncopolmonite. Recatosi a Milano per alcuni controlli medici, muore nella città lombarda nel giugno di quello stesso anno. Le opere L'allegria: L'allegria accoglie alcuni testi apparsi inizialmente sulla rivista "Lacerba" nel 1915 e riunisce con qualche esclusione i componimenti delle prime due raccolte ungarettiane, Il porto sepolto e Allegria di naufragi. Nel titolo originario, Allegria di naufragi, che accostava come in un ossimoro l'immagine dell'"allegria" a quella del "naufragio", egli intendeva appunto evidenziare l'ambivalenza del vivere, in cui si intrecciano bellezza e morte, entusiasmo e frustrazione. La scelta successiva di esprimere soltanto la valenza positiva corrisponde non solo alla ricerca di una essenzialità sempre maggiore, ma anche alla volontà di privilegiare l'energia e la brama vitale che costituiscono la natura stessa dell'avventura umana. Articolata in 5 parti di complessive (Ultime, Il porto sepolto, Naufragi, Girovago, Prime), la raccolta si compone di versi scritti tra il 1914 e il 1919, collocati in modo da rispettare sostanzialmente l'ordine cronologico. Il tema fondamentale della raccolta è costituito dalla guerra. La constatazione dell'insensata crudeltà della guerra accentua la propensione a percepire la fraternità vero il prossimo. a vitalità riafferma i propri diritti in mezzo al dolore, riaccendendo il senso di appartenenza alla specie umana e trasformando la poesia in una sorta di strumento di salvezza, in un'arma contro la sofferenza. In altri termini, la minaccia incombente della morte fa emergere un sentimento della socialità offerto dal nudo fatto di esistere, secondo una prospettiva ideologica assai simile a quella della «social catena» auspicata da Leopardi nella Ginestra. La rappresentazione di sé stesso come «una docile fibra / dell'universo» (I fiumi) sottolinea l'esistenza di una sorta di identità che accomuna tutte le creature nella cornice della natura, talvolta umanizzata sotto il segno della sofferenza. Riguardo allo stile, Ungaretti viene influenzato da varie correnti e artisti: • Simbolismo francese; • Apollinaire e i suoi Calligrammes, che forniscono il modello per testi brevi, svincolati da schemi metrici; • Il Futurismo, da cui riprende l'abolizione dei legami sintattici tra le parole, e approfondisce le qualità evocative dell'analogia. I risultati della ricerca ungarettiana conducono a soluzioni sperimentali di grande originalità, destinate a rivoluzionare l'intera poesia italiana del Novecento. Ungaretti rompe la sintassi e la metrica, riduce al minimo verbi reggenti e congiunzioni, abolisce i segni di interpunzione, si serve degli spazi bianchi tipografici utilizzati come pause di silenzio, disgrega i versi tradizionali italiani, quali l'endecasillabo e il settenario, sostituendoli con versi brevissimi, i cosiddetti «versicoli», valorizza i titoli come parte integrante del testo, di cui spesso racchiudono il significato. Il discorso ungarettiano appare quasi completamente destrutturato, senza più la presenza di legami logico-grammaticali tra le parole. Il sistema della poesia di Ungaretti è fondato sull'analogia, intesa come scoperta di una realtà visionaria ed esistenziale, come illuminazione istantanea, conoscenza profonda e segreta del tutto, priva di complicazioni intellettualistiche. UMBERTO SABA Umberto Saba - pseudonimo di Umberto Poli - nasce a Trieste nel 1883. Raggiunta la maggiore età, il giovane rinuncerà al cognome paterno in segno di ostilità verso il genitore, che, lasciando la famiglia ancor prima della sua nascita, ha lasciato in lui un doloroso senso di abbandono. Sceglie così lo pseudonimo di Saba, forse in omaggio all'amata balia - il cui cognome è tradizionalmente riportato come Sabaz - o forse in riferimento alle origini ebraiche della madre (in ebraico la parola saba significa "pane"). Nel 1909 sposa, con rito ebraico, Carolina Wölfler - la donna cantata con il nome di Lina nel Canzoniere. Alla fine del 1910 pubblica a Firenze, a proprie spese, il primo libro, Poesie, che però non riceve particolare attenzione o apprezzamento. Dopo il conflitto, rileva a Trieste, nel frattempo diventata italiana, una libreria antiquaria, che gli consente di vivere sobriamente per tutta la vita e di dedicarsi alla poesia. Nel 1921, con il marchio editoriale della libreria, pubblica la prima edizione del Canzoniere, che comprende tutte le liriche composte fino a quel momento. Nel 1938, in seguito alla promulgazione delle leggi razziali, Saba abbandona Trieste per rifugiarsi a Parigi. Saba trascorre gli ultimi anni della sua vita a Trieste, in questo periodo scrive anche un romanzo rimasto incompiuto, Ernesto. Muore a Gorizia nel 1957. Le opere Ernesto: Il romanzo autobiografico affronta un tema che, ai tempi della sua stesura, rappresentava ancora un tabù: l'omosessualità. Protagonista dell'opera - ispirata a un'esperienza giovanile dell'autore - è Ernesto, alter ego di Saba, un ragazzo di sedici anni che affronta la propria iniziazione alla vita attraverso una relazione con un uomo ventottenne. Ernesto supera la sua fase omosessuale, che rimane però latente nel suo inconscio. Il Canzoniere: Fin dagli anni successivi alle prime pubblicazioni, Saba comincia a pensare a una raccolta organica dei suoi componimenti, in cui far confluire la sua intera opera poetica. La intitola, a partire dalla prima edizione del 1921, Il canzoniere, in omaggio certa- mente a Petrarca, ma anche al poeta romantico tedesco Heinrich Heine, delle cui liriche era uscita nel 1866 un'edizione italiana intitolata appunto Canzoniere, che Saba aveva letto e amato. La raccolta è divisa in 3 volumi (ossia 3 partizioni) che comprendono rispettivamente le liriche degli anni 1900-1920, 1921-1932 e 1933-1954. La struttura diaristica del Canzoniere è coerente con la natura autobiografica dei testi che lo compongono. Si può dire che Saba non parli che di sé stesso, anche quando racconta degli altri, delle cose, del mondo che lo circonda, guardato sempre a partire da un forte punto di vista personale e, soprattutto, sempre in relazione al proprio io. Tra i temi principali troviamo: l'infanzia, il conflitto padre-madre, l'amore per la moglie Lina, la contemplazione della natura e degli animali, la guerra e il suo amore per Trieste. L'ERMETISMO Nel 1936 Francesco Flora parlò di poesia ermetica in un saggio nel quale condannava questo tipo di letteratura. Il termine va però ricondotto al filosofo Ermete Trismegisto, autore di testi filosofici, religiosi e magici che egli diceva comporre per ispirazione divina. L'oscurità e la tensione verso una dimensione divina irraggiungibile sono le due principali caratteristiche dell'ermetismo. La parola serve a penetrare nel mistero e a cercare una verità assoluta. La poesia tende all'oscurità perché tramite allusioni, simboli e analogie si giunge all'assoluto. Prevalgono vocaboli colti, rari, astratti, privi di articolo per risultare indeterminati e assoluti. Gli ermetici avevano come luogo simbolo Firenze, tra i più importanti troviamo Montale. Ungaretti, Quasimodo e Luzi. SALVATORE QUASIMODO Salvatore Quasimodo (inizialmente Quasimodo, poi lo cambia in Quasimodo) nasce a Modica (Ragusa) nel 1901. Figlio di un impiegato delle ferrovie, trascorre l'infanzia tra Messina e Palermo. Frequenta scuole tecniche e apprenderà poi da sé le lingue classiche. Nel 1919 si trasferisce a Roma, dove si iscrive a Ingegneria, ma interrompe gli studi per motivi economici. Svolge allora diversi lavori: disegnatore, commesso, impiegato. Infine, abbandonata definitivamente l'università, trova un posto di tecnico presso il Genio civile a Reggio Calabria. Il suo interesse per la poesia è precoce, ma Quasimodo comincia a scrivere solo intorno al 1928, dopo il trasferimento in Calabria. Il matrimonio della sorella con lo scrittore Elio Vittorini lo porta spesso a Firenze, dove la coppia si è stabilita: in tal modo nascono e si sviluppano intensi rapporti con l'ambiente della rivista "Solaria" e con Eugenio Montale. Le prime pubblicazioni, all'inizio degli anni Trenta, ottengono buoni riscontri, e il poeta nel 1934 si sposta a Milano, dove lavora come giornalista. Dal 1941 al 1968 insegna Letteratura italiana al conservatorio Giuseppe Verdi. Nel 1959 viene insignito del premio Nobel per la letteratura. Muore improvvisamente a Napoli nel 1968. Le opere Acque e terre: La raccolta comprende liriche giovanili, che testimoniano influssi culturali assai variegati, con echi decadenti, simbolisti e dannunziani. Già qui però troviamo una caratteristica che sarà una costante della produzione di Quasimodo: il discorso poetico si costruisce attorno alla parola, che assume un ruolo essenziale nei versi. Tra i motivi ricorrenti, la nostalgia della terra natia, l'infanzia, gli affetti familiari. Oboe sommerso ed Erato e Apòllion: Con queste raccolte Quasimodo si avvicina ai modi della scuola ermetica, che anzi lui stesso contribuisce a fon- dare e a definire. I temi del dolore e della solitudine esistenziale vengono resi attraverso un linguaggio più aspro, difficile, ricercato, spesso oscuro. Tutta questa produzione viene poi raccolta in Ed è subito sera. Lirici greci: Antologia contenente le traduzioni dei versi di poeti classici greci, che rappresenta per lui sia un esercizio stilistico nella direzione della trasparenza semantica sia una ricerca delle proprie radici e di un rapporto con la Sicilia, ora mitizzata come una sorta di Eden perduto. EUGENIO MONTALE Eugenio Montale nasce a Genova nel 1890. La sua è un'agiata famiglia borghese, che gli consente di trascorre un'infanzia tranquilla e lunghe vacanze estive nella villa di Monterosso, immersa in quel paesaggio mediterraneo delle Cinque Terre tanto presente nella sua poesia. Frequenta le scuole tecniche tenute dai padri barnabiti; Nelle biblioteche genovesi dà sfogo alla passione per la lettura mentre instaura un forte legame affettivo e intellettuale con la sorella Marianna, studentessa di Filosofia all'Università di Genova. Più volte dichiarato "rivedibile" alle visite di leva (cioè rinviato a successivi esami), viene infine arruolato nell'estate del 1917. Montale giunge al fronte, in Trentino, nella primavera del 1918, come ufficiale di complemento in un reggimento di fanteria. Tornato alla vita civile, riprende le lezioni di canto, definitivamente interrotte nel 1923. In questo periodo però conosce vari poeti (tra i quali Camillo Sbarbaro), pubblica versi su varie riviste, iniziando la sua carriera di critico. Un giovane intellettuale triestino, Roberto Bazlen, lo introduce alla cultura mitteleuropea e gli segnala il nome di Italo Svevo, al quale Montale dedica nel 1925 su "L'Esame" un acuto omaggio. Nel maggio 1925 il suo nome compare su "Il Mondo" fra i sottoscrittori del Manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Benedetto Croce in risposta al Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile. Dalla primavera del 1929 Montale è chiamato a dirigere il Gabinetto Scientifico Letterario Vieusseux, un prestigioso ente culturale fondato nel 1819 a Firenze dal banchiere e editore di origine ginevrina Giovan Pietro Vieusseux. Nel 1938 viene licenziato dal Gabinetto Vieusseux per aver rifiutato di prendere la tessera del Partito fascista. Nella primavera del 1948 Montale viene assunto come redattore al "Corriere della Sera" e si trasferisce da Firenze a Milano. Nel 1967 viene nominato senatore a vita e nel 1975 riceve il premio Nobel per la letteratura. Si spegne a Milano nel 1981. Le opere Ossi di seppia: Raccolta d'esordio di Montale, è pubblicata nel giugno del 1925. La critica riserva agli Ossi un'accoglienza nel complesso tiepida. In origine Montale aveva pensato di intitolare il libro Rottami, dove il riferimento a materiali deteriorati rimandava alla condizione di logorio esistenziale in cui egli si dibatteva. In seguito, però la scelta cade su Ossi di seppia, che suggerisce fin da subito l'antitesi fra mare e terra che percorre l'intero libro. Gli "ossi" rappresentano un perfetto correlativo oggettivo dello stato d'animo dominante nella raccolta: l'uomo è leggero come un osso di seppia e si fa trasportare dalla corrente. Nella loro edizione definitiva, gli Ossi di seppia consistono di 61 testi distribuiti in 4 sezioni: (Movimenti, Ossi di seppia, Mediterraneo, Meriggi e ombre), precedute da una poesia in corsivo che funge da premessa. Nella sua raccolta d'esordio Montale «attraversa» senza timori reverenziali l'ingombrante modello dannunziano: fa cioè i conti con esso, superando però la solarità e il trionfalismo stilistico e ideologico di Alcyone (scriverà una parodia di La pioggia nel pineto) Un discorso a sé merita il legame con il Dante delle Rime petrose a cui Montale guarda ogni qual volta abbia necessità di innalzare il tono del discorso: da Dante vengono così riprese le sonorità aspre e difficili, particolarmente adatte a veicolare la visione non pacificata dell'esistenza propria di Montale. Fuori dall'ambito poetico va infine considerata la profonda suggestione esercitata su di lui dall'inettitudine di Zeno Cosini a cui affianca la figura dell'antinetto che, secondo lui, possiamo diventare attraverso un'epifania. L'attenzione ossessiva alla musicalità del verso spiega l'abbondante presenza delle figure di suono, come allitterazioni, paronomasie, onomatopee. Le occasioni: Composta di 50 poesie, esce nel 1939 pubblicata da Einaudi. I testi, scritti fra il 1926 e il 1940, si dispongono in 4 sezioni. Montale recupera il modulo classico della lirica amorosa rivolgendosi a una donna assente. Compaiono nei testi varie figure femminili, dai contorni enigmatici, in cui il poeta ripone le proprie speranze mentre tutto intorno sembra crollare: da Dora Markus, distante dal mondo ma evocata come un nume tutelare, a Irma Brandeis, interlocutrice salvifica nell'insensatezza dell'esistenza. Sono loro a veicolare le «occasioni»>, momenti privilegiati che interrompono la banalità della vita quotidiana e si riflettono in oggetti dal fortissimo valore simbolico, che il lettore è chiamato a riconoscere. La bufera e altro: La raccolta si compone di 58 poesie, scritte fra il 1939 e il 1956 e disposte in 7 sezioni: Finisterre (già pubblicata nel 1943 in Svizzera), Dopo, Intermezzo, Flashes e dediche, Silvae, Madrigali privati, Conclusioni provvisorie. Il pessimismo, che si fa sgomento dinanzi agli orrori bellici e ai lutti personali, trova di nuovo un argine in una figura femminile, ispirata a Irma Brandeis, ora chiamata Clizia. Satura: Pubblicato da Mondadori nel 1971, esso raccoglie le poesie scritte fra il 1962 e il 1970, caratterizzate da un forte abbassamento di tono, che diventa ora più prosastico e colloquiale. La scomparsa della moglie Drusilla (1963) induce Montale a rompere il silenzio per comporre due serie di Xenia. Il termine, ripreso dal poeta latino Marziale, ha letteralmente il significato di "doni offerti a qualcuno che si è avuto come ospite": qui i doni sono le poesie stesse, destinate alla donna, la Mosca, che è ospite della vita dell'autore. Essa vi appare non più quale angelo lontano (come era Clizia), bensì come una figura concreta, fragile eppure piena di una sua ironica saggezza. Le figure femminili di Montale • Gerti: è una donna austriaca di origine ebraica amica di Bobi Bazlen (ma anche di Svevo o Saba) e del poeta. • Dora Markus: giovane austriaca di origini ebraiche che Montale non aveva conosciuto personalmente ma di cui gli aveva parlato l'amico Bobi Bazlen, inviandogli una foto delle gambe di Dora. • Irma Brandeis: è stata una critica letteraria e dantista. Nel 1933 incontra Eugenio Montale a Firenze e nasce una storia d'amore destinata a concludersi definitivamente nel 1938, quando deve lasciare l'Italia a causa delle leggi razziali. Nel 1939 cessa anche il loro intenso scambio epistolare, una volta scaduta l'ultima possibilità per il poeta di imbarcarsi per raggiungerla negli Stati Uniti. Montale idealizza poeticamente la figura di Irma, chiamata nelle liriche con il soprannome di Clizia, nome ripreso dal mito, ovvero quello di una ninfa innamorata di Apollo che viene trasformata in un girasole. • Drusilla Tanzi: moglie di Eugenio Montale che a lei avrebbe dedicato due sezioni di Xenia di Satura. Secondo una lettera inviata ad Irma Brandeis, Montale impedisce due volte il suicidio di Drusilla, che teme la partenza di Eugenio da Irma negli Stati Uniti. La Tanzi sposerà invece Montale il 23 luglio e morirà l'anno dopo a Milano. Il suo soprannome era Mosca perché aveva dei problemi alla vista. • Maria Luisa Spaziani: è stata una poetessa, traduttrice e aforista italiana. Nel gennaio del 1949 conosce Eugenio Montale durante una conferenza del poeta al teatro Carignano di Torino e fra i due nasce un'affettuosa amicizia. A lei è indirizzata l'ultima sezione di Bufera e altro, dove viene soprannominata Volpe.