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Alessandro Manzoni

14/9/2022

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ALESSANDRO MANZONI
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ALESSANDRO MANZONI Alessandro Manzoni nasce nel 1785 a Milano in pieno ambiente illuminista, i suoi genitori sono infatti Pietro Verri e Giulia Beccaria. Compie i suoi studi in un collegio religioso, dove rimarrà dai nove ai sedici anni. Durante la sua infanzia, dopo la separazione dei genitori, la madre lo lascia per trasferirsi a Parigi. Manzoni la raggiungerà successivamente e ciò gli permetterà di entrare in contatto con l'ambiente illuministico francese, dove però erano già giunte le influenze romantiche. Così anche successivamente Manzoni avrà corrispondenze con autori francesi, in particolare Fauriel (intellettuale francese, liberale), il quale insegnerà tantissimo a Manzoni. Data fondamentale della sua vita sarà il 1810, momento della conversione dal calvinismo al cattolicesimo grazie alla moglie Enrichetta Blondel. Manzoni nella folla, durante i festeggiamenti del matrimonio di Napoleone III, perde la moglie, si spaventa e si rifugia in una chiesa dove la ritrova. La vita di Manzoni da questo momento cambia proprio perché vede questo avvenimento come un segno del divino. Il rinnovamento coinvolge anche la sua produzione letteraria e infatti tutte le sue opere da questo momento cambieranno in una conversione e una luce cattolica. Tanto è vero che pochi giorni dopo quest'evento inizierà a scrivere gli Inni Sacri. La sua educazione culturale è situata fra Illuminismo e Romanticismo: è il massimo...

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Didascalia alternativa:

rappresentante dell'ambiente culturale milanese nel periodo tra il 1700 e il 1800. Manzoni rappresenta il passaggio tra Illuminismo e Romanticismo, contiene entrambe le anime di queste due correnti. Educato ai valori dell'illuminismo, Manzoni farà parte del Romanticismo positivo in cui la ragione si riveste di un maggiore impegno sociale e dove la poesia ha la valenza di educare le masse. La luce fondamentale è quindi l'idea di nazione contro il cosmopolitismo illuminista. L'obiettivo di Manzoni è vedere l'Italia Unita, ma soprattutto senza gli stranieri e ciò sarà evidente in tutte le sue opere. Durante il periodo parigino avviene la conversione dopo la quale la sua visione della vita sarà sempre ispirata al cattolicesimo con un rinnovamento della sua attività letteraria. Segue il più intenso periodo della sua attività letteraria durante il quale viene manifestato il suo sentimento patriota e di unità. Non parteciperà mai attivamente ai moti risorgimentali, non subì quindi censure, comunque seguì bene gli eventi. Di questo periodo sono le Odi Civili. Nel 1848 continua a seguire gli eventi politici senza parteciparvi. Si terrà sempre fuori dalla militanza, ma non verrà mai meno ai suoi ideali. Nel 1861 l'Italia si unisce come regno d'Italia e Manzoni diventerà senatore del nuovo regno. Portò all'attenzione del parlamento proprio il problema della lingua e la sua frammentarietà insieme a Francesco De Santis, primo ministro dell'istruzione. LE OPERE CLASSICISTICHE Prima della conversione abbiamo le opere classicistiche, tra il 1801-1810 compone opere che rispecchiano il gusto classico. Scrive nel 1801 il "Trionfo della libertà" nella quale inneggia alla rivoluzione francese. Nel 1805 compone il "Carme in morte di Carlo Imbonati" (compagno della madre), Manzoni celebra quest'uomo come un padre dato che lo farà anche integrare nei salotti francesi dandogli quindi insegnamenti di vita e di poesia. In questo carme Manzoni riprende i moduli classici soprattutto quello dell'apparizione nel sogno. Sottolinea come quest'uomo sia stato colui che gli abbia fornito nobili insegnamenti, lo corona come suo padre. DOPO LA CONVERSIONE Dopo la conversione c'è un totale cambiamento della poetica manzoniana, c'è una nuova ottica cristiana che influenzerà la letteratura. Centrale per Manzoni diventa il problema del male, un male radicato nella storia e nell'uomo che è incline al peccato. C'è una lotta continua tra il bene e il male, un dualismo in cui il bene è Dio, nella storia dell'uomo, l'uomo è sempre stato incline al peccato. Nasce quindi il bisogno di una letteratura che guardi al vero e che scaturisce da esigenze sentite e che affronti contenuti vivi. La letteratura non deve essere più diletto, ma deve essere una letteratura utile sia nel campo morale sia nel campo civile. Deve educare sia il patriota che il cristiano. La letteratura non deve essere più delittuosa, ciò è ben visibile nella lettera che scrive a Cesare D'Azeglio. Per Manzoni la letteratura deve essere "l'utile per iscopo, il vero per soggetto e l'interessante per mezzo". Per vero si intende il verosimile, per mezzo significa che si deve trovare un espediente per incuriosire il lettore altrimenti questo lettore non è preso e non legge più quindi non si può educare, non si può annoiare. Ciò rappresenta il manifesto della letteratura manzoniana e romantica italiana. Questa lettera pone le linee guida del Romanticismo e si pone benissimo nella disputa tra classicismo e romanticismo. Detta infatti l'innovazione del romanticismo rispetto al classicismo. La prima opera scritta dopo la conversione è gli Inni Sacri. Manzoni è molto ambizioso già solo nel pensiero, egli vuole rivedere, revisionare la letteratura sia nella lingua che nello scritto. Manzoni aveva intenzione di scriverne 12 di Inni, uno per ogni momento importante del calendario liturgico cristiano. Ne scrisse però solo 5: il Natale, la Pentecoste, la Resurrezione, in nome di Maria, la Passione. In questi anni si dà anche alla lirica patriottica e civile e compone "Marzo 1821" e scrive il famoso "5 Maggio" ispirato alla morte di Napoleone. Nel 1821 inizia la composizione dei Promessi Sposi. Altre opere fondamentali di Manzoni sono le Tragedie, due sono importanti ovvero il Conte di Carmagnola e gli Adelchi. LE TRAGEDIE Anche nelle tragedia Manzoni vuole utilizzare i criteri del vero, dell'utile e dell'interessante. Il primo grande cambiamento è che le tragedie saranno inserite in un determinato contesto storico, mentre il teatro fino a quel momento collocava le azioni in un posto che non era reale e soprattutto c'era un'unità di tempo, azione e luogo. Con Manzoni c'è la rottura del genere, per affermare e contestualizzare, per avvicinarsi alla poetica del vero, l'unico strumento contro il male, le tragedie rivendicano il culto del vero. Manzoni non vuole inventare i fatti, vuole raccontare ciò che gli uomini hanno sentito e vissuto. Manzoni afferma che non c'è bisogno di inventare niente perché nella storia c'è tutto, c'è il più grande ricco e affascinante repertorio dei soggetti drammatici. Per Manzoni basta ricostruire un fatto storico per avere idea di ciò che l'uomo prova. Il poeta deve essere quanto più vicino possibile al vero storico, se inventa diventa arbitrario. La differenza tra poeta e storico è proprio l'invenzione poetica, lo storico tramanda i fatti, il poeta utilizza l'invenzione per indagare sui sentimenti del protagonista, indaga l'animo umano. Ciò rappresenta proprio la novità del romanticismo, dell'io fragile. Influenza importante di Manzoni fu Shakespeare il quale contestualizza storicamente le sue tragedie e nella cultura romantica europea era stato molto esaltato. Anche Goethe e Schiller tradussero molto Shakespeare a tal punto che egli sembrava camminare per le strade tedesche. Manzoni rifiuta le unità aristoteliche, le quali pongono un limite troppo grande alla libertà del poeta perché costringe ad esasperare le azioni dei personaggi, non raccontando quindi il vero e l'azione diventa qualcosa di falso e artificiale. Se è scopo dell'artista indagare l'animo umano, esso deve essere tracciato in maniera corretta (esempio della notte dell'innominato), il falso della tragedia classica Manzoni lo chiama romanzesco, l'opposto del vero. Manzoni rivendica la libertà dell'artista che non deve avere regole perché solo in questo modo costruisce personaggi autentici. Siccome la letteratura deve essere anche educativa, se si rappresenta qualcosa di falso si trasmettono principi sbagliati. Lo scrittore si deve preoccupare dell'influenza del suo teatro e deve avere influssi positivi sul pubblico. IL CONTE DI CARMAGNOLA Le tragedie manzoniane più importanti sono "Il Conte di Carmagnola" e "L'Adelchi" nelle quali Manzoni rompe nettamente le tradizioni classiche, ciò procurerà anche molte critiche all'autore. Si tratta di storie completamente reali e darà a queste storie un'introspezione psicologica particolare. La tragedia de "Il Conte di Carmagnola" si svolge nel 400 e il protagonista è Francesco Bussone, capitano di ventura. Egli lavora presso il duca di Milano ed è talmente bravo che ne sposa la figlia. Ad un certo punto passa al servizio di Venezia e riesce a sconfiggere Milano, ovviamente essendo milanese viene sospettato dai veneziani di essere stato un traditore. I veneziani lo attirano con un pretesto a Venezia e viene catturato e ucciso secondo Manzoni in maniera del tutto falsa, per lui il conte è una vittima e un personaggio positivo. Oggi sappiamo che non è stato proprio così. Al di là del fatto storico, il tema della tragedia è il conflitto dell'animo di questo uomo, il quale viene presentato puro, generoso e che in realtà cade vittima di un complotto e viene ucciso proprio perché l'uomo è incline al male e non riconosce la purezza. Manzoni ci racconta che la storia umana è contrassegnata dalla vittoria del male, a questo male si contrappongono persone buone e pure che però vengono travolte dal male che uccide. Il Conte diventa quindi la testimonianza di come il trionfo della bontà non possa accadere nella vita di questo mondo, il vero trionfo sarà nell'aldilà. L'ADELCHI La storia de "L'Adelchi" è ambientata nell'VIII secolo durante la lotta tra longobardi e franchi. Ermengarda, figlia di Desiderio, re dei longobardi, viene ripudiata dal marito Carlo Magno a causa di ragioni di stato. Desiderio decide allora di vendicarsi e vorrebbe far incoronare dal Papa i figli di Carlomanno, fratello di Carlo Magno, che hanno trovato rifugio presso di lui alla morte del padre. Carlo Magno, a capo dei Franchi, non ci sta e manda un ultimatum a Desiderio il quale, ovviamente, rifiuta e dichiara guerra. L'esercito di Carlo Magno riesce ad avanzare velocemente fino a Pavia. Intanto Ermengarda viene a sapere che Carlo Magno si è risposato e, distrutta dal dolore, muore. Intanto Carlo Magno riesce a conquistare Pavia e a far prigioniero re Desiderio. Assistiamo agli inutili tentativi di Adelchi, figlio di Desiderio e fratello di Ermengarda, di scongiurare la guerra contro i Franchi. Non essendo riuscito nella sua impresa, finirà per dover combattere fino alla sua morte. Infatti viene portato ormai in fin di vita davanti a Carlo Magno e a Desiderio: qui chiede pietà per il padre e cerca di consolarlo per il trono perduto. E gli spiegherà con il suo ultimo fiato che non avendo ormai più nessun potere, non sarà più costretto a subire o fare dei torti. Da questo momento Manzoni si avvicina alla tematica degli oppressori che opprimono i più deboli. La tematica tratta del popolo latino che è stato prima oppresso dai longobardi e poi dai franchi. Manzoni prima di scrivere la tragedia si documenta e va alle fonti. In questo caso era quello degli storici francesi liberali. In particolare a Thierry che aveva un'altra ottica, era uno storico che raccontava la storiografia dei vinti e degli oppressi, non quella dei dominatori. Le vittime innocenti di questa tragedia sono Ermengarda, tradita, e la morte di Adelchi che muore chiedendo a Carlo di essere pietoso per il padre Desiderio. Le vittime sono vittime della gloria e del potere di Carlo magno che per la gloria terrena rompe i valori di lealtà e fiducia. LA FUNZIONE DELLA LETTERATURA: Render le cose un po' più come dovrebbero essere L'epistolario di Manzoni è internazionale, scriverà a tanti intellettuali soprattutto francesi. Nel 1806, prima che Manzoni si convertisse e il Romanticismo investisse l'Italia, Manzoni scrive una lettera a Fauriel da cui inizierà un carteggio che inaugurerà questo rapporto fondamentale. Fauriel era uno studioso di letteratura, sociologia, storia che Manzoni incontra nel suo soggiorno parigino. In queste lettere troviamo riflessioni fondamentali sulla letteratura italiana ed europea. In questa lettera Manzoni ci esprimerà la funzione della letteratura, come dovrebbe essere, che rapporto deve esserci tra letteratura e realtà e il compito dello scrittore che deve essere educatore e utile e raccontare il vero. Manzoni riprende il senso della letteratura morale etica educatrice. Esordisce nominando proprio Parini, afferma di dover riprendere gli elementi di quel sommo uomo). Manzoni dice che ci sono buoni scrittori ma l'Italia è divisa, frammentata e poi c'è troppa differenza tra lingua scritta e parlata (altro tema centrale), la maggior parte della nazione è ignorante e non sa leggere o scrivere. Se non c'è nazione non c'è lingua, e se non c'è alfabetismo non c'è gente a cui insegnare. L'autore afferma che i versi di Parini hanno lo stesso intento didascalico che avevano le georgiche di Virgilio. Manzoni fa un parallelismo con Molière, affermando che i francesi lo applaudiscono perché lo comprendono. Per Manzoni bisogna educare per riordinare il caos. Analisi - Manzoni aveva solo ventun anni quando ha scritto questa lettera e delinea già la sua idea di letteratura. I buoni scrittori non devono solo rivolgersi all'elite dei letterati, ma alla «moltitudine»: in questo Manzoni, anni prima della sua conversione letteraria al Romanticismo, prende le distanze dal contemporaneo classicismo e dalle sue tendenze aristocratiche ed elitarie. Gli scrittori devono avere un atteggiamento critico nei confronti della realtà esistente e devono assumere un compito educativo, diffondendo tra la moltitudine il «bello» e l'utile»: in tal modo possono contribuire a mutare le cose, rendendole un po' più come dovrebbero essere. Questa lettera inneggia ai valori illuministici, soprattutto per quanto riguarda il rispetto col quale Manzoni tratta la figura di parini. Nella polemica classico romantica Manzoni anticipa le sue posizioni di intellettuale, prende le distanze dai classicisti che usavano solo il greco e il latino, non arrivabili al popolo. Manzoni afferma che la letteratura deve rivolgersi a tutti. Gli scrittori devono essere critici nei confronti della realtà esistente, e devono criticarla ma allo stesso tempo educare. Ciò commentando il bello e l'utile (deve essere utile perché deve educare). Solo così si possono cambiare le cose. L'UTILE IL VERO L'INTERESSANTE Il passo è tratto dalla lettera a Cesare D'Azeglio in cui lo scrittore traccia un bilancio del Romanticismo. Il testo è tratto dalla redazione originale del 1823, mai stata pubblicata e legata più direttamente al clima della battaglia romantica. Il quadro del romanticismo tracciato da Manzoni si articola in due momenti: nel primo viene esposta la parte negativa, quindi le critiche rivolte dai romantici ai principi della letteratura classicistica (inserendosi pienamente nella polemica classico-romantico), in particolare all'uso della mitologia e alle regole; nel secondo si tratta del positivo romantico, quindi i principi professati dai romantici e i loro programmi letterari. Manzoni afferma quelli che sono i propri principi dell'arte. "La poesia e la letteratura in genere devono proporsi l'utile per scopo, il vero per soggetto e l'interessante per mezzo". L'utile perché l'arte ha il compito di educare e formare l'uomo. Il vero perché deve raccontare la realtà umana e interessante perché l'arte attraverso un linguaggio accessibile deve suscitare l'interesse del lettore comune e raggiungere un pubblico ampio. I romantici ereditano la concezione utilitaria ed educativa della letteratura che era già propria della generazione illuministica del Caffè, a cui esplicitamente si collegano. Alla letteratura sono assegnati fini di diffusione dei lumi, di educazione morale, di sollecitazione civile e politica. Non si dimentichi che il gruppo romantico è impegnato politicamente in direzione Risorgimento. Manzoni stesso riconosce che il concetto di vero non è agevolmente definibile. Si definisce più in negativo come rifiuto dei contenuti e delle forme della letteratura del passato sentite come falsa artificiosa vuota e fredda. Il principio di evento è un'indicazione generale di tendenza, l'espressione di un bisogno. Toccherà alla letteratura del futuro concretare tale esigenza dandole corpo in opere specifiche. Il vero è qualcosa che non passa mentre il diletto è transitorio. Se vuole essere utile, la letteratura deve rivolgersi non solo ai pochi, ma alla maggioranza delle persone. Per fare ciò non possono essere utilizzati i principi classici che appartengono ad un'élite ristretta ma deve rivolgersi ad argomenti più attuali che siano vivi nella coscienza contemporanea e più vicini all'esperienza quotidiana. Un esempio può essere la materia religiosa, inoltre la letteratura deve individuare forme più aderenti agli interessi reali del pubblico. IL ROMANZESCO E IL REALE Il vero e il romanzesco - La polemica contro il romanzesco chiarisce alcuni punti fondamentali della nozione man zoniana di letteratura. In primo luogo l'esigenza che la letteratura si ispiri al «vero». Il "vero" è per Manzoni essenzialmente «ciò che è stato»>, la storia. I fatti realmente accaduti hanno in sé una forza drammatica che non può essere eguagliata da alcuna invenzione. L'unità di tempo, costringendo a concentrare l'azione nel breve arco di una giornata, costringe anche ad esagerare le passioni che hanno condotto a quelle azioni, snaturandole, sopprimendo gradazioni e sfumature. Ciò ha indotto a cancellare i «caratteri individuali», nella «varietà infinita» delle loro passioni, nelle loro "combinazioni singolari". Ai caratteri individuali e inconfondibili si sono sostituiti tipi astratti, pure allegorie di certi concetti o sentimenti. Di qui nasce il «romanzesco» nella tragedia, che è il falso, artificioso, il convenzionale, l'uniforme, che soffoca l'individualità. Questa polemica caratterizza storicamente l'idea manzoniana di letteratura. Il bersaglio polemico è l'arte classicistica, aristocratica e di corte, quella espressa dal Rinascimento e ancor più dalla letteratura francese dell'epoca del re Sole. La polemica contro il classicismo - Tale letteratura, in nome di un ideale classico di decoro e di dignità, tendeva ad una rappresentazione idealizzata. Per preservarsi da un contatto troppo diretto con la realtà, che avrebbe compromesso quella dignità, rifuggiva da ciò che era concreto, individuale, legato ad un particolare tempo e ad un particolare luogo, e rappresentava solo ciò che era universale, tipico, compiendo un processo di astrazione delle qualità concrete degli uomini e delle cose. Al contrario l'arte che è espressione della borghesia moderna, e che si affaccia tra fine Settecento e primi dell'Ottocento, in opposizione all'idealizzazione della letteratura aristocratica e classicheggiante, punta il suo interesse proprio su ciò che è individuale e concreto: i personaggi non sono più proiettati su uno sfondo fuori del tempo e dello spazio reali, ma rappresentati in un legame organico, inscindibile, con un particolare momento della storia e con un particolare ambiente, in modo che nessun gesto o parola o sentimento si possa comprendere se non riferito a quel preciso terreno storico e immerso in quell'atmosfera. A questo gusto realistico moderno si rifà evidentemente la nozione manzoniana di letteratura che traspare dalle pagine de la Lettre. Ed è una nozione che, più che nella tragedia, ancora legata come genere alla tradizione classica, si affermerà soprattutto nel romanzo. CORO DELL'ATTO III Manzoni rivolge la sua attenzione ai popoli ignorati dalla storia e sottolinea l'interesse per gli umili e i vinti. È il momento nella tragedia in cui i franchi invadono la pianura e distruggono le difese longobarde. Manzoni ricostruisce i sentimenti e le reazioni del popolo latino all'annuncio della sconfitta dei loro oppressori ovvero i longobardi. Manzoni in quest'opera voleva sottolineare la storia del popolo latino oppresso sia dai longobardi che dai franchi. In questo coro si evince questo concetto molto importante. Si tratta di undici strofe con 6 dodecasillabi. Le masse ignorate dalla storia - La tematica fondamentale sarà le masse protagoniste della storia. Nella seconda parte darà un esempio di poesia storica e poi un flashback nel quale Manzoni ritornerà al tempo in cui i latini erano stati soggiogati dagli oppressori con un'esaltazione al popolo a ribellarsi. Era la prima volta che si dava attenzione al popolo, alla massa, fino all'ora era stata raccontata solo la storia degli eroi dei grandi. Manzoni mette in scena le masse dimenticate. Tra l'altro il genere classico per convenzione trattava le gesta soltanto dei re, dei principi, mai delle masse. Ciò costituisce una novità manzoniana. Questa concezione ha dietro di sé un vasto retroterra culturale e ideologico: in primo luogo il cattolicesimo che spinge lo scrittore in obbedienza allo spirito evangelico a concentrare il suo interesse sulla sorte degli umili. In secondo luogo la visione della realtà, propria di tutta la borghesia moderna europea che rivendicava il pieno diritto della gente comune a suscitare l'interesse della letteratura e rifiutava quella concezione eroica. Manzoni raccor un fatto storico ma per differenziarsi dalla funzione dello storico, nel coro racconta la speranza del popolo latino che finalmente stava vedendo distrutto e scacciato il suo oppressore. Manzoni è bravissimo a raccontare la speranza. La speranza del popolo latino è ovviamente la speranza del popolo italiano. Racconta lo stato d'animo dei longobardi che sono umiliati e quello dei franchi che non vedono l'ora di conquistare il bottino. La novità è che Manzoni non parla di individui, ma di popoli. I sentimenti raccontati nel cantuccio sono sentimenti di popoli interi e grande collettività. Nell'apostrofe invita i latini a ribellarsi ma in realtà è un parallelismo con il popolo italiano. Manzoni vuole dire che il popolo deve liberarsi dallo straniero. Il ritmo - Il verso utilizzato nel componimento è il dodecasillabo, un verso fortemente cadenzato dato che gli accenti rincorrono sempre nelle stessi sedi e ciò crea un ritmo simile a quello di una guerra. Il ritmo è dato anche dalla struttura paratattica, si tratta di frasi semplici collegate principalmente da asintoti (virgole). C'è una forte frequenza anche di enjambements, si ha la percezione di come Manzoni mirasse a una poesia popolare di forte intensità drammatica e di immediata presa sul lettore, in opposizione con l'aulicità della poesia classica. I PROMESSI SPOSI Dopo l'Adelchi, l'adesione alla scelta storica di Manzoni era già iniziata anche con le Odi (5 Maggio in occasione della morte di Napoleone, e Marzo 1821), il tema delle Odi era molto caro agli illuministi e con ciò Manzoni dimostra l'aderenza totale alla storia contemporanea ed esprime la sua visione politica. Manzoni era ben consapevole che con le Odi le sue tematiche non potevano arrivare a tutti nonostante avesse provato a fare un lavoro sulla lingua, sapeva bene che il popolo non riusciva a comprendere tutto il suo linguaggio. Negli altri paesi europei, gli scrittori soprattutto a fine 700 si stavano muovendo in altre direzioni e grazie all'invenzione dei giornali stava prendendo forma un genere che stava ricevendo consensi, ovvero il romanzo. Manzoni decide così di non solo utilizzare il romanzo che ha avuto successo proprio per la sua facilità nella prosa, ma di aggiungere anche il vero dato dalla Storia. Parte dal vero storico per aggiungere l'invenzione del poeta. Il romanzo è una scelta innovativa perché il Manzoni trova in esso lo strumento migliore che fa la sintesi di quelli che erano i suoi principi poetici e i principi della poetica romantica. Il romanzo risponde alla poetica del vero, dell'interessante e dell'utile e consente di rappresentare la realtà rivolgendosi ad un pubblico più vasto grazie al suo linguaggio accessibile e suscitare di conseguenza interesse. Al tempo stesso il romanzo aveva la possibilità di rispondere ad un'esigenza importante, ovvero quella dell'impegno civile dato che la letteratura per Manzoni doveva educare. Era importante attraverso il romanzo poter dettare principi politici morali e dare informazioni storiche. Inoltre fondamentale era per Manzoni analizzare il passato per analizzare il presente, la storia serve per mettere luce sui fatti sul presente. Il modello del romanzo storico - Come modello Manzoni si rifà alla forma del romanzo storico che aveva avuto grande successo in Inghilterra, ovvero quello di Walter Scott (il suo romanzo storico è Ivanhoe). Manzoni sceglie di prendere esempio dall'Inghilterra e avviare la composizione di un romanzo storico ambientato nella Lombardia del 600 ai tempi della dominazione spagnola. Opera questa scelta proprio perché l'opera deve essere utile interessante e credibile quindi soprattutto verosimile. Per questo utilizza personaggi veramente esistiti e fa riferimento a documenti emanati nel 600. Manzoni con i Promessi Sposi si propone di ricostruire qualcosa di verosimile, ricostruire fedelmente tutti gli aspetti della società, i costumi e la mentalità di quella società. Manzoni rispetta il vero storico, racconta fatti che sono tracciabili. Lo fa documentandosi con lo scrupolo di uno storico, riesce a fare lo stesso lavoro dello storico attingendo alle fonti. La storicità deve restare però alla base dei personaggi inventati. I Promessi Sposi può essere definito anche romanzo di formazione, soprattutto se lo si considera nell'ottica di Renzo che inizia il suo cammino in un modo e finisce in un altro, Renzo sarà un personaggio dinamico e le varie esperienze vissute e prove lo cambieranno e produrranno a finale una conoscenza, sarà un uomo nuovo. Quadro storico - Siamo nel 600 e la cornice del romanzo è quella della Lombardia del Seicento in particolare, secolo in cui l'Italia era divisa è sotto la dominazione spagnola. Sceglie il 600 lombardo perché era visto come il trionfo dell'ingiustizia e della prepotenza dei forti sui deboli cosa che per Manzoni avviene ogni qualvolta un popolo è dominato da un popolo straniero. Vuole quindi sottolineare, attraverso il racconto del passato, la situazione presente. La genesi del romanzo - La pubblicazione di questo romanzo attraversa un percorso tortuoso. Manzoni inizia la stesura nel 1821 quando si trova a Parigi e dal 1821 al 1823 inizia a scrivere la prima forma dei Promessi Sposi col nome di Fermo e Lucia. Nel 1823 termina questa stesura che non pubblicherà mai, sarà infatti conosciuta dal pubblico solo dopo la morte dell'autore. Finita questa stesura Manzoni si sentì insoddisfatto e sceglie di riscrivere questo romanzo operando soprattutto un lavoro sulla lingua, sceglie infatti di eliminare i francesismi e le influenze lombarde. Oltre al problema linguistico ciò che lo condiziona profondamente è che ritiene che i blocchi narrativi siano troppo separati tra loro e ritiene che questa prima stesura abbia un eccesso di parti romanzesche e trattazioni storiche. Decide quindi di cambiare alcuni aspetti stilistici e formali. Dopo il 1824 si orienta ad una lingua più vicina al toscano. Manzoni si reca in toscana e confronta il suo linguaggio con i colti fiorentini. Nel 1827 viene pubblicata la prima vera edizione dei Promessi Sposi. Il nuovo romanzo è privo di alcuni episodi e digressioni storiche nonostante la fabula rimani la stessa. Dal 1827-1840, attua una nuova revisione del romanzo in cui l'impianto rimane invariato e si concentra nuovamente sulla parte linguistica. Dà qui il titolo definitivo di "Promessi sposi. Storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni". La lingua - dopo numerose stesure del testo nella revisione della lingua Manzoni pone le basi della lingua italiana scegliendo il fiorentino parlato dalla borghesia. Manzoni propone quindi il fiorentino parlato per essere compreso da tutti. Ci si aggancia di nuovo al concetto dei principi della poetica di Manzoni dell'interessante, del vero e dell'utile. Si tratta quindi di una lingua priva di francesismi e lombardismi. I temi - Storia e realtà: la tematica principale è quella della storia. Il compito dello scrittore è quello di occuparsi della realtà senza perdersi in fantasie. Dall'intreccio dei personaggi storici e verosimili deve emergere una rappresentazione di tutti gli aspetti della società del 600. Troveremo la descrizione del potente, dell'aristocrazia e degli umili. Gli umili: per la prima volta i grandi protagonisti della storia sono gli umili. Manzoni da voce a coloro che non hanno mai avuto traccia nei libri di storia. Ciò si ricollega molto al coro dell'adelchi in cui Manzoni dà sentimenti alla massa. I potenti: è presente quindi la contrapposizione tra gli umili e i potenti. Per la prima volta c'è un ribaltamento, una condanna forte nei confronti dei potenti dei quali condanna l'ingiustizia, la violenza la potenza contro gli umili. Si parla di un sistema attanziale dei personaggi. La narrazione si svolge su due piani: la provvidenza divina e l'ingiustizia umana. Tutto il sistema dei personaggi ruota intorno a questi due piani. Il gancio tra questi due mondi è il personaggio di Lucia che è l'oggetto tramite. Tutti i personaggi dei Promessi Sposi si possono collocare tra o fra questi due mondi. La religione - tutto ciò che accade secondo Manzoni è responsabilità dell'uomo. Nel mondo governa il male e l'uomo è schiacciato dalle ingiustizie umane e dal male. La redenzione passa sempre attraverso un sacrificio (Adelchi e conte di Carmagnola) e la conversione è la tematica fondamentale dei Promessi Sposi (il male diventa il mezzo necessario attraverso cui passare per la salvezza di Dio). Se si segue un modello di vita cristiana i buoni sono premiati nella vita ultraterreno e raramente in quella terrena. La vera protagonista dei promessi sposi è la provvidenza che è l'atteggiamento che Dio ha per gli uomini, un atteggiamento che non è mai diretto ma si avvale degli uomini stessi (Lucia per la conversione dell'innominato, "Dio perdona tante cose per un'opera di misericordia", la potenza di Dio diventa realtà attraverso l'azione di Lucia). Il male nella storia spetta agli uomini a migliorarlo attraverso lo scopo pedagogico educativo che deve avere la letteratura e il buon cristiano. Per Manzoni il bene è comunque e sempre affidato alla volontà di Dio senza la quale non si può agire. Trama - I promessi sposi sono la storia di un matrimonio che di per sé diventa un atto di prepotenza di classe. I due giovani stanno per sposarsi ma per colpa di don Rodrigo questo matrimonio viene impedito per un capriccio. Don Rodrigo vuole infatti solo approfittarsi di Lucia. Tempo e luogo - la vicenda si svolge dalla fine del 1628 e l'autunno del 1630 ed è ambientato nel territorio lombardo, precisamente tra Como e Milano. Una vicenda molto complessa - l'intreccio è molto articolato e complesso si può dividere il romanzo in 4 macrosequenze e 3 cerniere (capitoli che fanno da ponte di passaggio tra una sequenza e l'altra). la prima grande macrosequenza (I - IX capitolo) è novembre 1628, nel piccolo paese presso il lago di Como, si descrive questo ipotetico matrimonio impedito da don Rodrigo e dopo varie situazioni i due sposi sono costretti a scappare e separarsi. Lucia va a Monza e Renzo a Milano. Ci sono poi tre capitoli che fanno da cerniera e che raccontano la vicenda biografica di Gertrude e la storia della monacazione forzata. → ↑ La seconda macrosequenze (XI-XVII) racconta le avventure di Renzo che fugge e si trova coinvolto nei disordini scoppiati a Milano dove all'epoca c'era la carestia. Manzoni in questo caso non si ingenti niente e attinge dai dati storici. Renzo viene scambiato come un criminale e fugge in Veneto. Questo passaggio racconta le prove a cui deve essere sottoposto Renzo per la sua crescita formativa e lo faranno cambiare. La seconda cerniera (XVIII-XIX) raccontano le vicende dell'innominato. Il potente chiede aiuto ad un ulteriore potente per rapire Lucia. Si scopre essere un uomo dalla personalità molto affascinante e anche qui si avrà una crescita formativa e conversione. La terza macrosequenze (XX-XXVII) Lucia viene rapita e liberata, c'è l'incontro con il cardinale Borromeo che si è convertito e Lucia a quel punto si rifugia a Milano ospite di donna Prassede e don Ferrante. Lucia fa quindi un voto di castità, ciò sarà un nuovo ostacolo al matrimonio. La terza cerniera (XXVIII-XXXII) è una lunga digressione che racconta tre eventi fondamentali che realmente devastarono il nord Italia, ovvero la carestia, la guerra e l'epidemia di peste. La quarta macrosequenza (XXXIII-XXXVIII) Renzo torna a Milano e trova la fidanzata, grazie a fra Cristoforo viene sciolto il voto di Lucia perché il suo voto andava a interferire sulla vita e la felicità di Renzo per questo non era valido. Intanto c'è il famoso incontro tra Don Rodrigo, morente di peste e Renzo. I due giovani possono quindi tornare nel loro paesino e sposarsi. IL 5 MAGGIO Il 5 Maggio è una delle Odi Civili più importanti. Le odi civili fanno parte di quella poetica manzoniana che esprime l'impegno di Manzoni nella politica, ricordiamo che il Romanticismo italiano si caratterizza per la sua impronta politica soprattutto nel tema del patriottismo. L'Ode è intitolata 5 maggio, data della morte di Napoleone, la notizia giunse in Italia il 17 Luglio e Manzoni ne fu così colpito che scrisse di getto l'ode. Fino a quel momento non aveva mai voluto parlare di Napoleone e non si era mai voluto esprimere su questa figura che sapeva essere molto controversa. Non si era espresso sulla sua dittatura, ma era d'accordo con gli ideali della rivoluzione francese che voleva imporre. Quando questo gigante della storia muore, come gli altri letterati, Manzoni si interroga su questa figura. Lo immagina così negli ultimi anni della sua vita, di quando di Napoleone non si sa nulla dopo il suo esilio a Sant'Elena. Manzoni immagina che in questi ultimi anni di silenzio e di solitudine Napoleone si sia convertito e quindi immagina la sua condizione immobile. Manzoni infatti dà una contrapposizione tra la mobilità del corpo di Napoleone negli anni della sua ascesa e l'immobilità di quando muore in esilio. Manzoni immagina che proprio negli ultimi momenti la provvidenza sia giunta per risollevare le nefandezze della sua vita. L'autore dà quindi una speranza a Napoleone anche se fino a quel momento non si era mai espresso a suo riguardo. Manzoni non giudica moralmente Napoleone, non si esprime sul suo operato, lascia infatti il giudizio ai successori. Manzoni vuole riportare solo il vero storico, racconta i fatti e ci sono infatti indicazioni precise sulle battaglie napoleoniche all'interno dell'Ode. Nel finale Manzoni recupera un'idea che si stava diffondendo negli ultimi anni, ovvero che Napoleone si fosse convertito in punto di morte. La recupera perché vuole far intendere come Dio, anche se Napoleone non l'abbia accolto, ha lavorato in lui per la realizzazione della Provvidenza. Il passaggio fondamentale è che Manzoni non ci parla di Napoleone come politico ma come uomo con tutti i suoi limiti che però è stato capace di redimersi grazie a Dio. Al centro dell'opera c'è Napoleone uomo e non dittatore. Manzoni vuole testimoniare come le glorie terrene passino, Napoleone era stato un grande, un imperatore del mondo ma la sua gloria era terminata perché terrena, per questo motivo le glorie sulla terra passano tutte e ciò che conta è la vita oltre la morte. La vita terrena va vissuta nella prospettiva di un oltre. Inoltre secondo l'idealismo ciò che sta fuori dall'uomo non esiste ed esiste solo ciò che è dentro di noi per questo l'uomo cerca di fuoriuscire dall'io e andare oltre l'infinito che per Manzoni rappresenta Dio. Si tratta di 18 strofe composte da sei settenari (il primo, il terzo e il quinto sono sdruccioli, il secondo e il quarto piani, il sesto tronco). Lo schema delle rime è ABCBDE. Possiamo dividere l'ode manzoniana, composta da 18 sestine per complessivi versi 108, in due distinte parti simmetriche, comprendenti ciascuna 9 sestine: → la prima fino al verso 54, dominata dalla presenza dell'uomo di fronte a se stesso, alla sua storia terrena, alla sua gloria umana, al premio / ch'e follia sperar; domina Napoleone e la sua storia, per il quale Manzoni non si era prodigato in elogi negli anni in cui dominò l'Europa, e non aveva neanche pensato un codardo oltraggio quando il destino dell'uomo era ormai segnato solo dalla sconfitta; di fronte alla morte di Napoleone il Poeta e la terra tutta restano muti nella meraviglia un po' dolorosa di una morte "incredibile". →la seconda dal v. 55 alla fine, dominata dall'incontro tra l'uomo e Dio, la benefica / Fede ai trionfi avvezza, che sola può dare quel premio / che i desideri avanza, / dov'è silenzio e tenebre / la gloria che passò. I verbi al passato remoto in questa seconda parte sono soltanto sei, le tre coppie sparve/chiuse, imprese/stette, ripensò/disperò ed esprimono una escalation verso una condizione di disperazione e di solitudine assoluta che può essere risolta solo attraverso l'intervento di una Forza esterna all'uomo. Per questo, finita l'escalation verso la disperazione, si impone una presenza diversa. Entrambe cominciano con la realtà presente della morte di Napoleone (Ei fu al v. 1, E sparve al v. 55), di un Napoleone che è solo uno dei due centri costitutivi dell'ode (l'altro è Dio). Ciò che colpisce l'immaginazione e la spiritualità del Manzoni non è la figura di Napoleone, dominatore degli eventi a cavallo fra il Settecento e l'Ottocento, o la storia dei fatti o delle idee di quegli anni, quanto il silenzio e la solitudine vissuti nell'isola di Sant'Elena, e la possibilità di un profondo pentimento maturato nella meditazione sulla sua vita passato e di un affidamento alla pietà di Dio all'avvicinarsi della fine dei propri giorni. Il poeta rimane muto ripensando agli ultimi attimi della vita di un uomo che il Fato aveva voluto arbitro della storia e di tanti destini umani, di un uomo che si era posto lui stesso come Fato/arbitro dei destini dei popoli e che racchiude in sé le aspettative di un'epoca; e allora non può che ripensare a quando potrà esistere nuovamente un uomo altrettanto decisivi per i destini umani, che, calpestando la sanguinosa polvere del mondo e della vita, lascerà nella storia un'orma altrettanto grande. E quegli ultimi attimi sono fusi nell'ansietà di un naufrago, oppresso dalla solitudine e dal peso delle memorie e delle immagini che si affollano nella memoria; e da quel naufragio lo salverà solo la benefica Fede nel Dio che atterra e suscita / che affanna e che consola.