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Tutto programma italiano di quinto superiore, riassunto

30/6/2022

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ROMANTICISMO
Nel 600' il Romanticismo aveva un'espressione fiabesca, nel 700' invece era espressione
dell'irrazionale; è l'800' però il seco

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ROMANTICISMO Nel 600' il Romanticismo aveva un'espressione fiabesca, nel 700' invece era espressione dell'irrazionale; è l'800' però il secolo del Romanticismo per eccellenza. Il periodo storico del diciannovesimo secolo porta l'uomo a vivere un senso di vuoto, di inquietudine; la vita viene concepita come drammatica tensione, struggimento, desiderio non ben definito, irraggiungibile. Rispetto a questo grande evento storico si creano due reazioni diverse → ◆ II PRIMO ROMANTICISMO va dal 1800 fino alle guerre d'indipendenza. Questa generazione si caratterizza per le sue TEMATICHE CIVILI, PATRIOTTICHE, RISORGIMENTALI. L'intellettuale segue una tendenza realistico-oggettiva: egli cerca i suoi modelli di riferimento nella realtà in cui vive, vuole trovare senso nella storia stessa e rappresentare il reale calato nel suo tempo; solo così trova senso nella drammaticità che tanto lo inquieta. Viene presentata una realtà og va, in cui a prevalere è la razionalità, e viene esaltata l'idea di nazione. Gli scrittori di questa generazione trovano la massima espressione nel romanzo. Il massimo esponente è Alessandro Manzoni. → Nel SECONDO ROMANTICISMO tutti quegli ideali civili patriottici che avevano dominato la scena nel primo romanticismo entrano in crisi: si vive una realtà gretta, fatta di interessi consumistici, e in una società caratterizzata dalla superficialità; c'è una delusione storica rispetto alle aspettative che l'uomo aveva riversato nella ragione, quindi aspira a NUOVI IDEALI. Si predilige...

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Stefano S, utente iOS

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Susanna, utente iOS

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Didascalia alternativa:

una tendenza individualistico-fantastica, in cui l'intellettuale fugge da tutto ciò che è ordinato e si dirige verso il mondo della fantasia, dell'IMMAGINAZIONE, del SENTIMENTO, dell'IRRAZIONALE, per crearsi una sorta di mondo ideale e vivere una vita felice ed autentica: il sentimento viene espresso come passione, libertà assoluta e ribellione a tutte quelle che sono le convenzioni. C'è una tendenza verso l'ESTENUANTE, lo STUCCHEVOLE, il MALINCONICO, e vive continuamente quel perenne desiderio di raggiungere l'infinito. L'intellettuale si rifugia nell'arte, nella natura, in epoche lontane, in luoghi esotici, nella Grecia antica o nel Medioevo (tendenza al titanismo). Nella NATURA ROMANTICA vediamo quindi il riflesso della vita interiore dell'uomo: la natura romantica, a differenza dei secoli precedenti quando era del tutto idealizzata, viene presentata cupa, minacciosa, misteriosa poiché in questo modo il poeta riesce a proiettare tutti i suoi stati d'animo e la malinconia del tempo. Nelle opere predominano infatti i notturni, paesaggi crepuscolari, luoghi malinconici, autunnali, primitivi, boschi. I luoghi civilizzati non ci sono, il poeta favorisce luoghi selvaggi: essi rappresentano una natura che permette di esprimere meglio la libertà assoluta che cerca lo scrittore. Allo stesso tempo con la natura vengono rappresentati anche tutti gli aspetti contraddittori →→ in questo periodo storico l'uomo vive un DUPLICE ATTEGGIAMENTO DELL'ANIMO: da una parte si ha il vittimismo, la continua inquietudine, lo struggimento interiore, e dall'altra si ha uno slancio vitalistico, il sentimento di esaltazione e felicità; per dar voce invece allo stato d'animo di esaltazione vengono utilizzati paesaggi più rasserenanti come i tramonti, le albe, le distese verdeggianti, oppure le notti illuminate dalla luna. Il poeta cerca la libertà anche nello scrivere; secondo lui non ci devono essere schemi pre-istituiti nella poesia, ma è fondamentale l'uso di una PAROLA SCIOLTA, libera (c'è un forte rifiuto della poetica classica). L'eroe romantico individua il SUICIDIO come l'unico mezzo che possa permettere all'uomo di fuggire dalla mediocrità dell'esistenza che si vive, di fuggire dal dolore e di liberarsi dalle sofferenze, e di ricongiungersi con l'assoluto. L'eroe romantico tende a racchiudere tutto il sentimento in una passione profonda ed arriva alla fine a sfuggire al controllo della ragione e quindi l'AMORE è visto come una sorta di potenza, spirito vitale. L'amore romantico NON ha un esito felice poiché è sempre travagliato dal mondo circostante. E' Eros e Thanatos, amore e morte. Nel secondo romanticismo l'intellettuale trova la massima espressione nella poesia, in quanto essa risulta essere il mezzo espressivo per eccellenza per comunicare l'interiorità. Il poeta viene considerato POETA VATE, un profeta, ovvero una persona con una sensibilità talmente acuta da riuscire a cogliere la verità che c'è dietro le cose. Soltanto un'artista può assumere tale atteggiamento; l'arte diventa quindi una delle esperienze privilegiate che permettono di entrare in contatto con la dimensione dell'essere più profonda. Il massimo esponente del secondo romanticismo è Leopardi. GIACOMO LEOPARDI (1798-1837) Giacomo Leopardi nasce a Recanati da una famiglia della nobiltà terriera; cresce in un ambiente rigido, autoritario, bigotto e conservatore. Ha una formazione classica (studia latino, greco ed ebraico), conduce lavori filologici e scrive numerose opere poetiche. Questi anni di studi, chiuso nella biblioteca del padre, lo portano a sviluppare problemi di salute ( anni ricordati come "i sette anni di studio matto e disperatissimo"). La MALATTIA è strumento di conoscenza → lui prende consapevolezza dell'infelicità e della sofferenza dell'uomo, ma non assume un atteggiamento rinunciatario, accetta l'infelicità. Si verifica poi quella che Leopardi stesso chiama la sua CONVERSIONE LETTERARIA: abbandona gli interessi filologici e si entusiasma per i grandi poeti (Omero, Virgilio, Dante), comincia a leggere gli scrittori moderni come Rousseau, Goethe, Foscolo e viene a contatto con la cultura romantica. Comincia ad avvertire il bisogno di fuggire dall'atmosfera chiusa di Recanati e di venire a contatto con esperienze intellettuali e sociali più vive del momento (tendenza verso l'infinito). Tenta una prima fuga, ma si rivela fallimentare e il senso di frustrazione causato da questo fallimento, sommato ai problemi di salute, lo portano a uno stato di totale depressione. Raggiunge così la PERCEZIONE DELLA NULLITA' DELLE COSE, che diviene il nucleo del suo pessimismo. Questa crisi segna il passaggio dal bello al vero ed è seguita da un periodo di intense sperimentazioni letterarie. Si reca poi finalmente a Roma, ma la fuga da Recanati si rivela una delusione, così torna a Recanati un anno dopo e scrive le "Operette morali che sono espressione del suo pensiero filosofico. Negli anni a seguire soggiorna in diverse città italiane, tra cui Napoli dove muore. IL PENSIERO (LO ZIBALDONE) Tutta l'opera leopardiana si sviluppa nello ZIBALDONE → si tratta di una sorta di diario intellettuale in cui il poeta annota pensieri, appunti, ricordi, osservazioni, conversazioni e riflessioni che lui fa sulla sua vita e a proposito delle sue letture e conoscenze di filosofia, di letteratura, di politica, su l'uomo, su le nazioni e su l'universo. I pensieri sono molto brevi. La parola zibaldone significa "mescolanza confusa di cose diverse" ed è usata da Leopardi in riferimento alla varietà degli argomenti, trattati senza un criterio organizzativo, annotati giorno per giorno man mano che si affacciano alla sua mente. Quest'opera permette di ricostruire l'evoluzione del PENSIERO LEOPARDIANO. LA TEORIA DEL PIACERE (dallo Zibaldone) Al centro della sua riflessione egli pone un MOTIVO PESSIMISTICO: l'infelicità dell'uomo. Egli identifica la felicità con il piacere, sensibile e materiale. Ma l'uomo non desidera un piacere, bensì IL PIACERE: l'uomo aspira a un piacere che sia infinito, per estensione e per durata. Ma man mano il piacere perde l'intensità. ESEMPIO →io immagino che avere un cavallo mi procuri un piacere infinito; quando però il desiderio si concretizza, mi accorgo che il piacere che ne deriva è inferiore a quello che avevo immaginato. Abituandosi all'idea di possederlo, me ne stanco presto (l'infinito diventa finito). Quindi, il vero piacere si vive nell'attesa di un bene prossimo a venire (ciò ricorda "il sabato del villaggio" dove tutti si preparano a vivere la festa). Pertanto, siccome nessun piacere goduto dall'uomo può soddisfare questa esigenza, nasce in lui un senso di insoddisfazione perpetua. Secondo Leopardi, ciò genera l'infelicità dell'uomo (il senso della nullità di tutte le cose). Per Leopardi l'uomo è necessariamente infelice. La natura (in questa prima fase concepita da Leopardi come MADRE BENIGNA e attenta al bene delle sue creature) offre all'uomo come rimedio l'IMMAGINAZIONE e le ILLUSIONI che sono consolatorie, grazie alle quali nasconde agli occhi dell'uomo le sue effettive condizioni. L'IMMAGINAZIONE permette di abbandonare la realtà finita e andare verso l'INFINITO. Quindi, il compito che il poeta si pone è di SUSCITARE IL PIACERE DELL'IMMAGINAZIONE. Per questo gli uomini primitivi e gli antichi Greci e Romani, che erano più vicini alla natura, e quindi capaci di illudersi e di immaginare, erano felici, perché ignoravano la loro reale infelicità. Il PROGRESSO DELLA CIVILTÀ, opera della ragione, ha poi allontanato l'uomo da quella condizione privilegiata: facendo scomparire le illusioni, ha messo crudamente davanti gli occhi dell'uomo il «vero» e lo ha reso infelice; ha reso i moderni incapaci di azioni eroiche, ha generato grettezza, egoismo e corruzione dei costumi. Leopardi attribuisce dunque la colpa dell'infelicità presente all'uomo stesso, che si è allontanato dalla via tracciata dalla natura benigna (l'Italia era decaduta dalla grandezza del passato). La prima fase del pensiero leopardiano è tutta costruita sull'ANTITESI TRA NATURA E RAGIONE, tra antichi e moderni. Questa fase del pensiero leopardiano è stata designata con la formula "pessimismo storico", poiché la condizione negativa del presente viene vista come EFFETTO DI UN PROCESSO STORICO, di una decadenza e di un allontanamento progressivo da una condizione di felicità e pienezza vitale. Scaturisce di qui la tematica civile e patriottica che caratterizza le prime canzoni leopardiane e ne deriva anche un atteggiamento titanico del poeta. Questa concezione di una natura benigna e provvidenziale entra però ben presto in crisi. Leopardi si rende conto che, più che al bene dei singoli individui, la natura mira alla conservazione della specie, e per questo fine può sacrificare il bene del singolo e generare sofferenza. Ne deduce che il MALE non è un semplice accidente, ma rientra nel piano stesso della natura. Si rende conto inoltre del fatto che è la natura che ha messo nell'uomo quel desiderio di felicità infinita, senza dargli i mezzi per soddisfarlo. Il poeta arriva ad una soluzione definitiva rovesciando completamente la sua concezione della natura (come emerge dalla lettura del Dialogo della Natura e di un Islandese). In questa nuova prospettiva la natura viene vista come meccanismo cieco, indifferente e crudele. È una concezione NON più finalistica (la natura che opera consapevolmente per un fine, il bene delle sue creature) ma meccanicistica e materialistica (tutta la realtà non è che materia regolata da leggi meccaniche). La causa dell'infelicità non è più dell'uomo stesso, ma solo della natura. L'UOMO NON E' CHE VITTIMA INNOCENTE DELLA NATURA. A sua volta muta anche il SENSO DELL'INFELICITÀ UMANA: se prima era concepita come assenza di piacere, ora l'infelicità è dovuta ai mali esterni, a cui nessuno può sfuggire: malattie, elementi atmosferici, vecchiaia, morte. Al pessimismo storico della prima fase subentra così un PESSIMISMO COSMICO: L'INFELICITÀ non è più legata ad una condizione storica e relativa dell'uomo, ma è legata ad una CONDIZIONE ASSOLUTA, diviene un dato eterno e immutabile di natura. Tutti gli uomini sono dunque sempre necessariamente infelici. Il suo è un PESSIMISMO RADICALE: tutto è male, la vita è solo dolore, tutto è nulla. Ne deriva, in un primo momento, l'abbandono della poesia civile e del titanismo: se l'infelicità è data dalla natura, la protesta e la lotta sono inutili e non resta che CONTEMPLAZIONE DELLA VERITÀ. Subentra infatti in Leopardi un atteggiamento contemplativo, ironico e distaccato. SUO IDEALE non è più l'eroe antico, ma il SAGGIO ANTICO, la cui caratteristica è l'atarassia, il distacco dalla vita. È l'atteggiamento che caratterizza le Operette morali. In momenti successivi torna l'atteggiamento di protesta, di sfida alla natura, di lotta titanica. Sinché al termine della vita, nella Ginestra, sulla base della concezione pessimistica della natura, Leopardi arriva a proporre un modello positivo di vita sociale e di progresso. LA POETICA DEL « VAGO E INDEFINITO>> La «<teoria del piacere» rappresenta anche il punto d'avvio della sua poetica. Dopo aver affermato che nella realtà il piacere infinito è irraggiungibile, il poeta si rifugia nell'immaginazione, la quale è in contrapposizione con la ragione e i limiti. Ciò che stimola l'immaginazione è tutto ciò che è "vago e indefinito», lontano ed ignoto. Nello Zibaldone Leopardi va ad evidenziare tutti gli aspetti della realtà sensibile che, per il loro carattere indefinito, possiedono una forza suggestiva. Si viene a costruire una vera e propria "teoria della visione": è piacevole la vista impedita da un ostacolo, una siepe, un albero, una torre, una finestra. Contemporaneamente anche una "teoria del suono". Leopardi elenca tutta una serie di suoni suggestivi perché vaghi: un canto che vada a poco a poco allontanandosi o lo stormire del vento tra le fronde. Per Leopardi, il BELLO POETICO consiste proprio in tutto ciò che è vago e indefinito, e si manifesta essenzialmente in immagini del tipo di quelle elencate nella teoria della visione e del suono. Sono poetiche le immagini, le situazioni, le parole che comunicano impressione di lontananza, indeterminatezza, ma anche quelle che si allontanano dall'uso quotidiano. Un esempio sono le parole arcaiche, peregrine, come ermo, donzelletta, ostello. Altre parole intensamente poetiche sono ad esempio lontano, antico, ambientazioni notturne (la luna), eterno, ricordo, memoria, rimembranza. Queste parole, preziose e raffinate, sono però inserite all'interno di un linguaggio familiare. Inoltre, la parola deve essere libera di spaziare senza dover rispettare delle norme precise e leggi metriche precostituite. Leopardi aggiunge poi una CONSIDERAZIONE IMPORTANTE: queste immagini sono suggestive perché evocano sensazioni che ci hanno affascinati da fanciulli. IL RICORDO diviene essenziale al sentimento poetico. La poetica dell'indefinito e la poetica della «rimembranza» si fondono: la poesia non è che il recupero dell'immaginazione dell'infanzia attraverso la memoria. In effetti, Leopardi osserva che i maestri della poesia vaga e indefinita erano gli antichi: essi erano immaginosi come fanciulli, mentre i moderni, per Leopardi, hanno perduto questa capacità immaginosa e fanciullesca. IL CLASSICISMO ROMANTICO E L'INFLUENZA ILLUMINISTA La formazione letteraria di Leopardi fu rigorosamente classicistica e per questo nella polemica tra classicisti e romantici prese posizione contro le tesi romantiche. Le posizioni di Leopardi sono però molto originali rispetto a quelle dei classicisti → Per Leopardi la poesia è soprattutto espressione di una spontaneità originaria, di un mondo interiore immaginoso e fantastico; per questo egli si affianca ai romantici italiani nella loro critica al classicismo accademico, al principio di imitazione, alle regole rigidamente imposte dai generi letterari. Però rimprovera agli scrittori romantici l'artificiosità retorica, nella ricerca dello strano, dell'orrido. Egli ritiene che gli autori antichi siano un esempio mirabile di poesia fresca, spontanea, immaginosa. Leopardi ripropone dunque i classici come modelli, ma con uno spirito romantico. Dai romantici riprende inoltre la tensione verso l'infinito, il titanismo, l'enfasi sul sentimento, il conflitto illusione-realtà, l'amore per il vago e l'indefinito. Si può parlare quindi di CLASSICISMO ROMANTICO. In Leopardi possiamo riscontrare una TENDENZA ILLUMINISTA: è influenzato dal sensismo (crede che la felicità si identifichi con il piacere sensibile e materiale), e dal materialismo (crede che la realtà sia regolata da leggi meccaniche ed oggettive). I CANTI I Canti sono una raccolta di tutte le poesie, insieme ad alcuni lavori giovanili e ad altri testi scritti. II TITOLO "Canti" rimanda al carattere lirico di queste poesie e al tempo stesso indica con un unico termine generi poetici diversi, alcuni ripresi dalla tradizione, come canzoni, elegie, epistole in versi, altri invece caratterizzati da una forma più libera e originale nella struttura metrica che non risponde ai codici prestabiliti. Sono chiamati "Canti" anche per dare importanza al canto, alla musica. La MUSICA agisce sull'immaginazione, sull'animo umano attraverso il SUONO, un elemento primitivo, primordiale e naturale (Leopardi dedica 72 pensieri alla MUSICA nello Zibaldone). I Canti rappresentano l'iter poetico, filosofico ed esistenziale dell'autore. Sono suddivisi in: LE CANZONI, GLI IDILLI, I GRANDI IDILLI, IL CICLO DI ASPASIA e LA GINESTRA. LE CANZONI (da / Canti) Le Canzoni sono componimenti di impianto classicistico, che riproducono lo schema metrico e il linguaggio della tradizione. Le prime cinque affrontano la TEMATICA CIVILE e in esse ritroviamo il PESSIMISMO STORICO che caratterizza la visione leopardiana in questo periodo; sono canzoni fortemente polemiche nei confronti dell'età presente incapace di azioni eroiche; a questa polemica si contrappone un'esaltazione delle età antiche. Nelle canzoni a seguire si delinea l'idea di un'umanità infelice per una condizione assoluta (pessimismo cosmico), in un primo momento individuata negli dei e nel fato, e in un secondo momento individuata in una natura maligna. GLI IDILLI (da "I Canti") Gli Idilli sono sei componimenti con un carattere differente dalle Canzoni con gli idilli, Leopardi riprende un genere poetico tradizionale per reinterpretarlo in modo originale. La parola idillio deriva dal greco e significa "bozzetto"; nella letteratura greca e latina, il termine indicava un componimento breve paesaggistico, ambientato in un mondo pastorale idealizzato. Gli idilli di Leopardi mantengono la brevità, ma sono anche espressione di sentimenti e stati d'animo; sono quindi scritti di carattere più intimo, nei quali L'AUTORE PROIETTA IL SUO STATO D'ANIMO SU UNO SFONDO PAESAGGISTICO. Questa nuova tipologia di idillio prende il nome di "idillio leopardiano". In questi componimenti, tutti in endecasillabi sciolti, Leopardi sperimenta anche un originale linguaggio poetico, tutto giocato sul «vago e indefinito» e su una musicalità segreta ed essenziale. Fanno parte degli Idilli "L'Infinito" e "Alla luna". IL "RISORGIMENTO" E I GRANDI IDILLI Chiusa la stagione delle Canzoni e degli Idilli, comincia per Leopardi un silenzio poetico; l'autore sprofonda in uno stato d'animo di aridità e di gelo; non scrive più poesia, ma si dedica soltanto alla filosofia. Il frutto letterario più rilevante di questo periodo fu la prosa filosofica, che raggiunse il risultato più elevato nelle Operette morali. E' anche la fase che corrisponde al passaggio dal pessimismo storico al pessimismo cosmico. In seguito Leopardi trascorre un periodo felice a Pisa. Si verifica in lui una svolta fondamentale umana e poetica: il lungo periodo di silenzio poetico si conclude e il poeta assiste a un "risorgimento delle sue facoltà giovanili di sentire, commuoversi e immaginare". Scrive, infatti, un componimento in ottonari, "Il risorgimento", che esprime questa sua rinascita. Pochi giorni dopo nasce "A Silvia", la prima canzone libera leopardiana. Tornato a Recanati, il felice momento creativo di Leopardi non si interrompe e compone dei componimenti noti come CANTI PISANO-RECANATESI, ma vengono tradizionalmente indicati anche con la formula di GRANDI IDILLI poiché riprendono temi (in chiave più universale), atteggiamenti, linguaggio degli Idilli. Questi componimenti però non sono la semplice ripresa della poesia di dieci anni prima, poiché si fondano su un pessimismo assoluto. I Grandi Idilli sono percorsi da immagini liete, ma non sono mai separate dalla consapevolezza del vero, del dolore, del vuoto dell'esistenza, della morte. Un'altra fondamentale differenza tra i "Grandi Idilli" e gli idilli è l'assenza del titanismo. Anche il linguaggio è diverso da quello dei primi idilli: il linguaggio è più misurato, sia quando viene evocata la giovinezza e l'illusione, sia nel senso della disperazione quando viene evocato il vero. Anche la struttura metrica cambia → il poeta non usa più l'endecasillabo sciolto, ma usa una strofa di endecasillabi e settenari che si succedono liberamente, senza alcuno schema fisso, con un gioco libero di rime, assonanze, cesure all'interno del verso, enjambements. È quella che viene comunemente denominata CANZONE LIBERA LEOPARDIANA. CICLO DI ASPASIA (l'ultima stagione leopardiana) Questo ciclo, composto da 5 componimenti, presenta una CONCEZIONE PESSIMISTICA e polemica contro l'ottimismo progressista che esclude ogni miglioramento della condizione umana: si ha un contatto diretto con le persone, le idee e i problemi del tempo. La poesia è nuda e severa; viene utilizzato un linguaggio aspro, anti musicale con sintassi complessa e spezzata. LA GINESTRA La Ginestra rappresenta il testamento spirituale e poetico di Leopardi: nel componimento compare ancora il suo pessimismo, ma l'autore non nega la possibilità di un progresso civile; crede che la consapevolezza della condizione umana può indurre gli uomini ad unirsi in modo fraterno e solidale, e questo legame può far cessare le ingiustizie della società. LETTERE E SCRITTI AUTOBIOGRAFICI Leopardi scrisse molte lettere; tra le più significative vanno considerate quelle a Pietro Giordani, un intellettuale di grande prestigio e figura fondamentale per l'autore. Il giovanissimo Leopardi, che soffriva dell'isolamento a Recanati, all'interno di una società che gli appariva gretta e ottusa e in una famiglia in cui mancava calore e affetto, trovò in Giordani un sostituto della figura paterna, un confidente a cui confessare i propri tormenti interiori, ma anche le proprie idee letterarie e i propri progetti, ricevendone consigli e incoraggiamenti che lo aiutarono a sopportare la solitudine e la malinconia. Un elevato numero di lettere è indirizzato ai familiari. In particolare, le lettere al padre rivelano una difficoltà di rapporto: il padre di Leopardi era, infatti, lontano ideologicamente e culturalmente dal figlio. Da queste lettere traspare il bisogno di affetto e di calore umano, ma anche l'irreparabile distanza. L'INFINITO (1819) dai Canti, gli Idilli L'infinito anticipa in forma poetica la teoria del piacere, da cui si sviluppa la poetica del vago e indefinito. Le pagine dello Zibaldone sono indispensabili a chiarire il senso di questa poesia. Leopardi sostiene che particolari sensazioni visive o uditive, per il loro carattere vago e indefinito, inducono l'uomo a crearsi con l'immaginazione quell'infinito a cui aspira, e che è irraggiungibile perché la realtà non offre che piaceri finiti e perciò deludenti. L'infinito è la rappresentazione di uno di quei momenti privilegiati, in cui grazie all'immaginazione l'uomo fugge dal reale e si immerge nell'infinito. L'idillio inizia con l'io lirica su un colle, il monte Tabor. La poesia si articola in due momenti, corrispondenti a DUE DISTINTE SENSAZIONI → ➤ nel primo momento, l'avvio è dato da una SENSAZIONE VISIVA, dall'impossibilità della visione: LA SIEPE (simbolo del reale) impedendo allo sguardo del poeta di spingersi fino all'estremo orizzonte. L'impedimento della vista, che esclude il reale, fa subentrare il fantastico → il pensiero si costruisce l'idea di un infinito spaziale. ➤ nel secondo momento, l'immaginazione prende l'avvio da una SENSAZIONE UDITIVA: LO STORMIRE DEL VENTO TRA LE PIANTE. La voce del vento viene paragonata all'infinito silenzio creato dall'immaginazione, e suscita l'idea del perdersi delle fugaci, effimere cose umane nel silenzio dell'oblio. Viene così in mente al poeta l'idea di un infinito temporale (l'eterno), in contrasto con le epoche passate e ormai svanite e con l'età presente, col suo carattere ugualmente effimero, destinato anch'esso a svanire presto nel nulla. Tra i due momenti vi è anche un PASSAGGIO PSICOLOGICO: l'io lirico prova inizialmente come un senso di turbamento (sottolineato dalla presenza di vocali cupe come O e U) verso l'infinito; ma nel secondo momento l'io si «annega»> nell'immensità dell'infinito immaginato, sino a perdere la sua identità; e questa sensazione di "naufragio" dell'io è «dolce»>. Lo spegnersi della coscienza individuale dà quindi una sensazione di piacere, garantisce una forma di felicità. Il componimento si fonda su precise simmetrie: i due momenti occupano ciascuno sette versi e mezzo. Il passaggio tra i due momenti avviene al verso 8, che è diviso in due da una forte pausa al centro, segnata dal punto fermo, che serve a distinguere i due momenti. Il cor non si spaura. // E come il vento. Però vi sono anche chiari elementi che sottolineano la continuità fra i due momenti, che evidenziano il fatto che viene descritto un processo unico e continuo dell'immaginazione. Per esempio la congiunzione coordinativa E all'inizio del secondo periodo, o la presenza di una sinalefe che collega in una sillaba sola la vocale finale di spaura con la e successiva. All'inizio dell'idillio il poeta utilizza parole brevi e deittiche (questo, questa) per suscitare una condizione di finitezza; a differenza degli ultimi versi, nei quali utilizza parole polisillabe. Nel primo verso la parola in posizione incipitaria sempre suggerisce ATEMPORALITÀ. C'è MUSICALITÀ nel testo data dalla collocazione delle parole → il ritmo della poesia rallenta attraverso l'enjambement e nella seconda parte attraverso le parole polisillabe. Anche l'utilizzo della vocale A tonica crea spazialità e senso di infinitezza. Nel verso 4 sono presenti 2 gerundi in endiadi: sedendo e mirando (parola peregrina), i quali sono anche una paronomasia (parole foneticamente simili che poi però hanno significato diverso). Altre figure retoriche presenti sono l'ossimoro "naufragar m'è dolce" e diversi polisindeti (ripetizione della lettera E). PAROLE CHIAVE → "io" esprime soggettività, si ha un'esperienza soggettiva dell'autore; "mi fingo" rimanda all'immaginazione, "s'annega" suggerisce la perdita di sé. "il naufragar m'è dolce" → "m'è" esprime soggettività, l'io lirico è collocato al centro del verso come se fosse realmente annegato. ALLA LUNA (1820) dai Canti, dagli Idilli Alla luna è un idillio che Leopardi compone a Recanati. Il testo originale si chiamava "La Ricordanza" poiché il poema è incentrato sul TEMA DEL RICORDO che porta con sé consolazione. Il testo è diviso in due parti 1. parte narrativa in cui si ha la descrizione di un paesaggio notturno lunare. 2. parte riflessiva in cui il poeta fa una riflessione poetica e filosofica. La poesia parte con l'INVOCAZIONE ALLA LUNA, a cui il poeta confida le sue angosce. Leopardi prova compiacimento, venerazione e meraviglia verso la luna; la luna NON può però capire fino in fondo il tormento interiore del poeta. Dopo un anno la luna resta sempre là e anche lo stato d'animo dell'autore non è cambiato; rincontrando la luna, si rende conto che il dolore è ancora presente. → L'idillio è composto da 16 endecasillabi sciolti e presenta ARCAISMI e diverse figure retoriche come l'enjambement, l'iperbato o la metafora. Nel testo sono presenti svariati elementi che permettono di identificare la luna come INTERLOCUTRICE come i vocativi ("o graziosa Luna" "o mia diletta luna";) e i pronomi e le voci verbali alla seconda persona singolare ("tuo volto"; "rimpianti" "pendevi" "fai" "rischiari"). La luna viene personificata (il termine "volto" umanizza la luna): è graziosa, benevola e diletta, e ascolta, comprende e conforta. Essa illumina il paesaggio NOTTURNO. Nel testo sono riconoscibili i CAMPI SEMANTICI del dolore (angoscia, travaglio, pianto, dolore, travagliosa, triste, affanno), del piacere (giova, grato), della visione (rimirarti, appaia) e della rimembranza (rammento, ricordanza,memoria, rimembrar). A SILVIA (1828) dai Canti, dai Grandi Idilli E' il canto che inaugura l'inizio dei GRANDI IDILLI. La lirica NON propone una vicenda d'amore tra i due giovani, ma propone una RIFLESSIONE SULLA VITA e sulla GIOVINEZZA: ciò che unisce Silvia (nella realtà Teresa Fattorini, figlia del cocchiere della famiglia Leopardi) e il poeta è LA STESSA CONDIZIONE DI GIOVINEZZA NEGATA: Leopardi per i motivi di salute, i problemi familiari e gli anni di studio, mentre Silvia a causa della sua morte prematura all'età di 21 anni. I TEMI PRINCIPALI della poesia sono il RICORDO, la DISILLUSIONE ("all'apparir del vero"), il CONTRASTO TRA L'ETÀ GIOVANILE con le sue illusioni e speranze, E L'ETÀ ADULTA, caratterizzata da amarezza e delusione, e il tema della NATURA MALIGNA. Tutta la lirica è caratterizzata da un'IMPRESSIONE DI VAGHEZZA → All'inizio del componimento, L'IMMAGINE DI SILVIA è tratteggiata attraverso due soli particolari: uno fisico (gli occhi ridenti e fuggitivi in cui splende la sua bellezza) e uno psicologico (l'atteggiamento "lieto e pensoso" con cui la fanciulla si avvia a varcare la soglia della giovinezza). Ancor più vaga è la RAFFIGURAZIONE DEL MONDO ESTERNO che circonda le due figure: il paesaggio primaverile è poverissimo di indicazioni concrete (forme, colori, profumi), non vi sono descrizioni, pochi aggettivi. Il mondo esterno è privo di consistenza fisica, materiale, sensuale. Questa vaghezza corrisponde alla poetica del «vago e indefinito»>. Nella scrittura di questa poesia prende spunto da un DATO REALMENTE VISSUTO, il quale viene però sottoposto ad una serie di "filtri". FILTRO FISICO: il mondo esterno è percepito da Leopardi attraverso LA FINESTRA della sua casa, che gli impedisce il contatto immediato con la realtà. L'io lirico nella poesia di Leopardi non è mai immerso nel mondo, ma sempre separato da esso da una distanza → Leopardi percepisce sempre il mondo dal chiuso della propria stanza, dal chiuso del proprio mondo interiore; la FINESTRA è come il confine simbolico che mette in contatto i due mondi, l'immaginario e il reale. La sua funzione è simile a quella della siepe dell'Infinito. ◆ FILTRO DELL'IMMAGINAZIONE: il dato fisico è percepito attraverso l'immaginazione, che nel rapporto con il reale determina una sorta di «doppia visione», una generata dai sensi, l'altra dall'immaginazione. ❖ FILTRO DELLA MEMORIA: per Leopardi il ricordo, come l'immaginazione, ha la funzione di rendere indefinite e poetiche le cose. La rimembranza è essenziale e principale nel sentimento poetico. Nel caso di A Silvia, la memoria richiama un particolare del passato, il canto della fanciulla. → FILTRO LETTERARIO il poeta richiama alla mente MEMORIE POETICHE: sulla figura di Silvia che canta si sovrappone il ricordo virgiliano del canto di Circe, che giunge ai Troiani di lontano nel silenzio notturno mentre veleggiano dinanzi alle coste italiche. FILTRO FILOSOFICO: A differenza degli anni della giovinezza, l'illusione recuperata dalla memoria non può più essere vissuta ingenuamente, ma è sempre accompagnata dalla consapevolezza del «vero». Il poeta ha preso coscienza filosofica del vero e della visione pessimistica del mondo. (A Silvia si chiude con l'immagine di una mano che indica la fredda morte e una tomba, alludendo anche al destino comune degli uomini). Il lessico risponde alla poetica dell'indefinito: presenza di parole vaghe e parole arcaiche, lontane dal banale uso comune. Leopardi utilizza tempi verbali opposti: L'IMPERFETTO indica continuità nel passato, è il tempo della memoria e dell'illusione; IL PRESENTE è invece il tempo del «vero»>, della consapevolezza, della delusione. Nel complesso la sintassi è fatta prevalentemente di periodi brevi, con poche subordinate prevalentemente temporali. Questa scelta indica che nel componimento domina la dimensione temporale del flusso di memoria. In alcune strofe ricorrono però anche esclamazioni, interrogazioni e anafore, rendendo la sintassi più mossa. La struttura metrica è libera e la lunghezza delle sei strofe è varia: endecasillabi e settenari si alternano senza uno schema fisso, e anche le rime ricorrono liberamente. La fluidità musicale è data anche dal fatto che moltissimi endecasillabi non presentano pause interne. A SE STESSO (1835) dai Canti, Ciclo di Aspasia Il componimento chiude il "Ciclo di Aspasia" ed esprime la FINE dell'illusione d'amore con Fanny (definito da Leopardi "l'inganno estremo"). Il poeta assume un contegno eroico e esprime il suo DISPREZZO verso quella parte di sé che si è lasciata illudere, ma anche verso la natura che ha come fine la sofferenza dell'uomo e rende tutto vano. Questa poesia segna un distacco definitivo dalla fase giovanile delle illusioni, che appaiono ormai ingannevoli. La tensione eroica di Leopardi si traduce in una potente TENSIONE STILISTICA: colpisce innanzitutto l'andamento spezzato del discorso poetico, dovuto alle proposizioni brevissime, alle continue pause e ai numerosi enjambements. Il lessico è spoglio e gli aggettivi sono rari; il discorso è essenziale, composto solamente da verbi e sostantivi, collocati spesso all'inizio o alla fine del verso. Nel testo sono presenti anche rime, assonanze e figure di ripetizione. LA GINESTRA O IL FIORE DEL DESERTO (1836) dai Canti, La Ginestra è un ampio poemetto, diviso in 7 strofe. Il poemetto si apre con un versetto del vangelo di Giovanni, che sottolinea la polemica di Leopardi contro le idee spiritualistiche e ottimiste del suo tempo: gli uomini hanno preferito le tenebre (le menzogne) alla luce (alla consapevolezza della condizione umana). → PRIMA STROFA → il componimento descrive un PAESAGGIO DESERTICO E ARIDO (vicino al Vesuvio), radicalmente antiidillico; lo suddivide in tre quadri: ➤ IL MONTE, simbolo della potenza distruttiva della natura. ➤ LE VIE INTORNO A ROMA, richiamano l'azione corrosiva del tempo e il perire irrimediabile di tutte le cose ➤ LE CENERI E LA LAVA, immagine di morte. Nel paesaggio è presente un fiore, LA GINESTRA, elemento opposto al paesaggio desertico e arido → possiede caratteristiche tutte positive: abbellisce i deserti, è contenta e gentile, consola la desolazione del deserto con il suo PROFUMO. La ginestra assume quindi un VALORE SIMBOLICO: da un lato rappresenta la vita che resiste alla potenza devastante della natura, dall'altro la pietà verso la sofferenza di tutti gli esseri perseguitati dalla natura stessa. C'è una identificazione tra il poeta e la ginestra: sono accomunati dall'atteggiamento coraggioso e non rassegnato di sfida verso la natura nemica, ma anche dalla pietà nei confronti delle vittime della natura. Ma anche accomunati dalla solitudine (il poeta è emarginato dai suoi contemporanei per le sue posizioni anticonformiste, la ginestra è l'unica pianta capace di sopravvivere nei terreni aridi). → SECONDA STROFA (di argomento polemico) → Leopardi critica il ritorno di concezioni spiritualistiche e religiose che si verifica nell'epoca presente. Il poeta rovescia tutte le convinzioni del tempo, attribuisce il trionfo della visione religiosa alla vigliaccheria e al fatto che l'età attuale non abbia il coraggio di guardare in volto la realtà. TERZA STROFA → qui il poeta definisce la vera nobiltà spirituale: guardare coraggiosamente in faccia il destino comune e dire la verità sulla condizione infelice ed effimera del genere umano, mostrandosi forti nel soffrire. Leopardi non si limita a fare una critica, ma propone una sua alternativa alle idee che combatte: esclude la felicità, ma afferma la possibilità di un PROGRESSO che assicuri una società più giusta. Per Leopardi il PROGRESSO AUTENTICO (civile e morale) si fonda sul pessimismo, sulla consapevolezza della tragica condizione dell'umanità. Se gli uomini avessero coscienza della loro infelicità e miseria, e del fatto che la responsabile di ciò è la natura, sarebbero indotti a coalizzarsi contro la loro nemica. Questo rinsalderebbe i legami sociali e, invece di combattersi, gli uomini si unirebbero in solidarietà e fraternità. Leopardi delinea esplicitamente anche il compito dell'intellettuale nella creazione di questa società: diffondere la consapevolezza del <<vero»>. ❖ QUARTA STROFA → il componimento descrive nuovamente il paesaggio della prima strofa, il quale rappresenta la vera condizione dell'uomo. La descrizione paesaggistica si allarga poi alla DESCRIZIONE DEL CIELO, che porta il poeta a meditare sulla nullità della terra e la piccolezza dell'uomo nell'universo. Riprende qui la polemica contro le posizioni religiose. QUINTA STROFA riprende il motivo della potenza distruttiva della natura, presentando una similitudine dell'uomo con le formiche. La natura non si cura dell'uomo più di quanto l'uomo si curi delle formiche. Emerge anche l'idea di una natura al tempo stesso madre e matrigna, attraverso la metafora dell'utero tonante. LA SESTA STROFA → affronta il contrasto tra l'insignificanza del tempo umano e l'immobilità del tempo eterno della natura: mentre il tempo umano scorre, trasformando incessantemente le cose, la natura maligna incombe immutata, ferma nella sua minaccia (1800 anni sono passati dall'eruzione che distrusse Ercolano e Pompei, e la cima del Vesuvio minaccia ancora distruzione sugli stessi luoghi). → SETTIMA STROFA → in primo piano ritorna la ginestra. Il fiore acquista anche nuovi significati: diventa un modello di comportamento eroico per l'uomo. Quando la lava scenderà nuovamente per le pendici del vulcano, il fiore dovrà inevitabilmente accettare il suo destino; ma questa sconfitta non cancella la sua dignità. LE OPERETTE MORALI (1845, edizione definitiva) Nel 1824, di ritorno da Roma, dopo essere uscito per la prima volta da Recanati ed essere venuto a contatto con una più vasta società, ricevendone una delusione, Leopardi si dedica alla composizione delle Operette morali. Le Operette morali sono testi di argomento filosofico, che testimoniano il pensiero dell'autore in chiave storica. Ma non si tratta di filosofia puramente teoretica: lo scrittore si prefigge un FINE PRATICO: smuovere la sua povera patria e il suo secolo. Alla base della scrittura vi è dunque un forte impegno morale e civile. Il diminutivo operette indica da un lato la breve estensione di questi testi, dall'altro sottolinea l'impostazione lontana dalla serietà del trattato filosofico, la scelta di un tono più lieve, che faccia leva sul COMICO e sull'IRONIA. Nonostante questo, sono opere di profonda sostanza intellettuale per criticare i costumi, le idee correnti e gli stereotipi mentali dell'epoca. Leopardi sceglie per molte delle Operette forma del DIALOGO, e inserisce come INTERLOCUTORE: creature immaginose, personificazioni di concetti astratti, personaggi mitici o favolosi, personaggi storici, oppure personaggi storici mescolati con esseri bizzarri o fantastici, ma può essere anche un alter ego dell'autore stesso. Altre invece hanno forma più NARRATIVA, ma si hanno anche PROSE LIRICHE, raccolte di aforismi paradossali o discorsi che si rifanno alla trattatistica classica. Tutte le operette si concentrano intorno ai TEMI FONDAMENTALI DEL PESSIMISMO LEOPARDIANO (l'infelicità inevitabile dell'uomo, l'impossibilità del piacere, la noia, il dolore, i mali materiali che affliggono l'umanità), presentati in modo lucido, con distacco e con una prosa elegante e leggera. Altri temi sono la grandezza dell'antico e la piccolezza del presente. DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE (1824) dalle Operette Morali La lettura della Storia di Jenni di Voltaire, dove si parla delle terribili condizioni degli Islandesi a causa del gelo e di un vulcano, ispirò Leopardi ad assumere un ISLANDESE come esempio dell'infelicità dell'uomo e dei mali che lo affliggono per colpa della natura: per sfuggire dalle minacce del suo paese, l'Islandese si reca in Africa. L'operetta segna una fondamentale svolta nel pensiero leopardiano: qui l'infelicità è fatta dipendere non da cause psicologiche ma dai mali esterni, fisici, a cui l'uomo non è in grado di sfuggire. La natura è vista come una nemica. Leopardi approda così a PESSIMISMO COSMICO, che abbraccia tutti gli esseri e tutti i tempi. In questa nuova concezione il dolore, la distruzione e la morte non rappresentano errori accidentali della natura, ma il mondo è un ciclo eterno di «produzione e distruzione», e la distruzione è indispensabile alla conservazione del mondo. Sono presenti DUE DIVERSE CONCEZIONI DELLA NATURA → per l'Islandese è come un'entità malvagia che perseguita le sue creature; la Natura stessa invece dice che fa il male senza accorgersene, in obbedienza a leggi oggettive. In questa duplice immagine si rispecchiano due diversi atteggiamenti dello scrittore: quello filosofico-scientifico, che considera la natura come un puro meccanismo impersonale e inconsapevole, e quello poetico, immaginoso e mitico, che vede la natura come una specie di divinità malefica. Nell'operetta LA NATURA è presentata come una figura antropomorfica, una donna dall'aspetto bello e terribile. Il testo è quasi totalmente un MONOLOGO DELL'ISLANDESE, perché la natura interviene solamente all'inizio e alla fine. POSITIVISMO Il Positivismo nasce in Francia nella prima metà dell'800 → è l'espressione ideologica della nuova organizzazione industriale della società borghese. In tutta Europa in questo periodo si comincia a porre fiducia nella SCIENZA e nel PROGRESSO, soprattutto dal punto di vista sociale. Ci sono tante scoperte, discipline, come la sociologia, e invenzioni. Si comincia a parlare di SCIENZE POSITIVE (matematica, fisica, scienze), le quali saranno fondamentali per acquisire una CONOSCENZA DELLA REALTÀ. Con il termine POSITIVO si indica tutto ciò che si può sperimentare e che può essere dimostrato → si sente il bisogno di osservare i fenomeni, di verificare la realtà così com'è, perché si vuole arrivare a comprendere il "come" dei fenomeni e non più il "perché". Esso è caratterizzato dal RIFIUTO di ogni visione di tipo religioso, metafisico o idealistico. La TEORIA DARWINIANA è centrale nel positivismo. L'uomo domina la natura mediante la scienza. Non c'è spazio per il sentimento → TUTTO È GOVERNATO DA LEGGI MATEMATICHE. Il positivismo come ideologia e come metodo di conoscenza si traduce in letteratura in NATURALISMO in Francia e VERISMO in Italia (come ideologia della borghesia). Questo progresso in cui tanto si poneva fiducia non avverrà e porterà ad una forte delusione; come conseguenza nascerà il DECADENTISMO. NATURALISMO FRANCESE II NATURALISMO si sviluppa in Francia tra il 1870 e il 1890. Émile Zola è considerato il MAESTRO DEL NATURALISMO. Egli sente l'esigenza di trasformare il romanzo in uno strumento scientifico e di rappresentare la realtà in tutte le sue forme → l'opera d'arte deve trasformarsi in scienza. I princìpi che stanno alla base della narrativa zoliana si trovano nel volume "Il romanzo sperimentale" (1880), primo scritto del positivismo. Zola è dell'idea che l'uomo debba diventare padrone dei meccanismi psicologici per poi poterli dirigere; in tal modo si arriva a migliorare le condizioni della società per portare uguaglianza, benessere e raggiungere il progresso (la società è il futuro). II ROMANZIERE ha quindi un preciso IMPEGNO SOCIALE E POLITICO: aiutare le scienze a regolare la società e fornire una nuova coscienza civile. Lo SCRITTORE deve dunque scomparire dal lib non deve includere le sue emozioni, sensazioni e non deve parlare in prima persona. Il romanziere, con la tecnica dell'impersonalità, diventa SCIENZIATO: assume il distacco dello scienziato, che si allontana dall'oggetto per osservarlo dall'esterno; il romanziere si limita ad analizzare la realtà dall'esterno. Nella letteratura viene applicato il METODO SCIENTIFICO SPERIMENTALE. Si ha un ampliamento della materia narrabile nel romanzo, che va a rappresentare tante forme della degradazione sociale che si nascondono la scrittura deve rivelare la vera natura umana (anche il negativo, come per esempio gli squilibri nella società del tempo ai danni del proletariato). Non si dà più spazio all'entusiasmo e al sentimento personale perché potrebbe falsificare la realtà → tutto deve essere degno di una RAPPRESENTAZIONE VERITIERA E SCIENTIFICA. Nel naturalismo si fa una particolare attenzione alle condizioni di vita del proletariato urbano. Dal punto di vista delle tecniche narrative, nei romanzi del naturalismo francese, la voce narrante riproduce il punto di vista dell'autore, cioè del borghese colto, che osserva le vicende dall'esterno ed interviene con commenti e giudizi; il lettore avverte così un netto distacco rispetto alla prospettiva dei personaggi. Queste concezioni prendono parte nell'opera fondamentale di Zola, "I Rougon-Macquart". Si tratta di un ciclo di venti romanzi, in cui lo scrittore costruisce un quadro completo della società francese del Secondo Impero attraverso le vicende dei membri di una famiglia. Per dare un'intera visione della società, Zola raccoglie una massa di documenti e testimonianze dirette: Zola riproduce anche gli aspetti più ripugnanti come l'alcolismo, la violenza, la degradazione morale, l'esistenza ridotta a impulsi puramente animaleschi dalle condizioni miserabili, dal duro lavoro, dalla fame → ciò suscita scandalo da parte dei moralisti. Dietro il crudo realismo sociale si scorge un TEMPERAMENTO ROMANTICO, che si rivela attraverso episodi lirici, elenchi e descrizioni esasperate di oggetti materiali di proporzioni gigantesche o anche attraverso l'assunzione di determinati oggetti ad un valore simbolico, che riassume in sé il senso di tutto il racconto. Altro importante scrittore è Gustave Flaubert. La sua poetica si delinea sul rifiuto di ogni sentimentalismo, l'ideale di una rigorosa impersonalità, di uno stile perfetto che, attraverso l'uso della parola "giusta", riesca a nascondere il giudizio dello scrittore. Egli ha il SOGNO DI PERFEZIONE STILISTICA e di un'ANALISI rigorosamente IMPERSONALE della realtà contemporanea. È notevolmente noto per aver formulato la "teoria dell'impersonalità", nella quale si focalizza sull'aspetto interiore dei personaggi, e realizza anche "Madame Bovary", un romanzo che ottenne molto successo a livello internazionale. LA SCAPIGLIATURA Nel 1860 si iniziano ad affrontare i problemi del post-risorgimentali, in quanto il Risorgimento ha tolto spazio alle classi popolari. A Milano, città già al tempo evoluta ed avanzata, prevale la disuguaglianza tra le classi sociali e i contrasti cominciano ad essere sempre più forti. Queste differenze sociali economiche sono evidenziate maggiormente nelle METROPOLI. Dopo l'unità d'Italia si sperava che il Risorgimento politico potesse rappresentare una rinascita sociale e quindi risanare le differenze sociali tra nord e sud molto marcate. Ma non fu così e la situazione che si era creata generò forte DELUSIONE rispetto alle aspettative. In questo periodo sta nascendo una nuova classe sociale → LA BORGHESIA, la quale viene criticata in quanto classe finalizzata al profitto e al guadagno, tendente al capitalismo. Si sviluppa tra gli anni '60 e '70 dell'Ottocento a Milano la volontà di denunciare la realtà e nasce un movimento: LA SCAPIGLIATURA. Il termine "Scapigliatura" enne pro per la prima volta da Cletto ghi nel suo romanzo "La Scapigliatura e il 6 febbraio", a designare un gruppo di giovanissimi anarchici, anticonformisti con principi democratici molto forti. Essi vivevano ai margini della società in modo eccentrico ed erano accomunati da un IMPULSO DI RIFIUTO E RIVOLTA nei confronti del positivismo (ideologia della borghesia), del progresso e della scienza. Ma sono anche accomunati da un'insofferenza per le convenzioni della letteratura contemporanea (RIFIUTANO il manzonismo e il tardo ROMANTICISMO SPERIMENTALE poiché era fatto di enfasi e favoriva una visione realistica della società). Gli scapigliati sono il vero pandemonio del secolo e serbatoio del disordine, sono oppositori agli ordini stabiliti → si sentono traditi dal Risorgimento, si allontanano dalla società contemporanea in quanto non si riconoscevano in essa e si ribellano cercando di restaurare l'equilibrio tra le classi sociali. Secondo Arrighi, essi avevano una mentalità più avanzata rispetto al loro secolo e li definisce giovani indipendenti, travagliati, inquieti, che meritano di essere classificati in una nuova classe. Essi costituiscono una prima manifestazione delle avanguardie del '900. Con gli scapigliati compare per la prima volta nella cultura italiana dell'Ottocento il CONFLITTO TRA ARTISTA E SOCIETA'. Il loro atteggiamento viene però definito "dualismo", in quanto assumono un ATTEGGIAMENTO AMBIVALENTE → da un lato il loro impulso originario è di repulsione ed orrore; l'artista si aggrappa disperatamente ai valori del passato come la bellezza, l'arte, la natura, l'autenticità del sentimento. Dall'altro lato però essi si rassegnano, delusi, a rappresentare il vero. L'oggetto della poesia dunque è il VERO, non il sentimento → nella poesia i temi civili e patriottici vengono superati e prevale la RAPPRESENTAZIONE OGGETTIVA di una realtà più profonda, cruda, portata fino al macabro; si indagano le zone più oscure dell'essere e si esprime la miseria, l'emarginazione della società. Gli scrittori si abbandonano all'irrazionale. Essi si allontanano dalle forme letterarie tradizionali chiuse, ma tendono a sperimentare nuove soluzioni (SPERIMENTALISMO). Questi scrittori presentano un limite → sono VELLEITARI, ovvero non riescono a concretizzare un'aspirazione. Inoltre, l'intellettuale si eclissa e sparisce dal testo, in quanto egli vive un periodo di disagio storico rispetto al tempo in cui viveva → non si parla più di narratore onnisciente e non si ha più il punto di vista dell'autore; ciò determina l'impossibilità di esprimere un ideale. I principali modelli a cui gli scapigliati si ispirano sono Hoffmann e Baudelaire. Tra i notevoli scapigliati ci sono: Cletto Arrighi, Carlo Dossi, Emilio Praga, Tarchetti, Arrigo Boito, Giovanni Faldella. GIOVANNI VERGA (1840-1922) Verga nasce a Catania da una famiglia di proprietari terrieri. Compie i primi studi presso la scuola privata di un letterato romantico, Antonino Abate, da cui assorbe il fervente patriottismo e il gusto letterario romantico, che sono gli elementi fondamentali della sua formazione, come testimonia il primo romanzo "Amore e patria". Negli anni successivi si iscrive alla Facoltà di Legge, ma interrompe gli studi per seguire gli eventi legati all'impresa di Garibaldi e dedicarsi al lavoro letterario e al giornalismo politico. I testi su cui si forma il suo gusto in questi anni sono quelli degli scrittori francesi moderni. Trascorre alcuni anni a FIRENZE dove viene a contatto con la vera società letteraria italiana e dove conosce Luigi Capuana, con cui stringe un duraturo rapporto d'amicizia. Poi si reca a Milano che era allora il centro culturale più vivo della penisola e più aperto alle sollecitazioni europee. Qui cresce in lui un forte disagio e disgusto nei confronti della realtà milanese. A Milano entra in contatto con gli ambienti della Scapigliatura e pubblica TRE ROMANZI ancora legati ad un clima romantico e alla tematica di amore e passione. I 3 romanzi in questione sono:" Eva", "Eros" e "Tigre reale". Sempre a Milano si dedica alla lettura di scritture di naturalisti francesi e si verifica la definitiva CONVERSIONE AL VERISMO con la pubblicazione del racconto "Rosso Malpelo". Questo racconto narra la storia di un ragazzo che lavora in una miniera e che vive in un ambiente disumano, narrata con un linguaggio semplice ed essenziale, tipico di una narrazione popolare. Con questo racconto Verga inserisce la concezione materialistica della realtà e l'impersonalità nelle sue opere. Verga si dedica inoltre al progetto del "Ciclo dei vinti" → un CICLO NARRATIVO cinque romanzi, nel quale viene illustrata la lotta per la vita all'interno delle diverse classi sociali, soprattutto nel sud; di questo ciclo fanno parte le novelle di "Vita dei campi" e "Mastro don Gesualdo". Scrive anche "I Malavoglia", le "Novelle rusticane". In seguito torna a vivere definitivamente a Catania, dove scrive drammi teatrali, come "Dal Tuo al mio" e "La lupa". Questi due drammi testimoniano un cambiamento ed un atteggiamento più razionale dell'autore dal punto di vista politico: le sue posizioni politiche si fanno sempre più chiuse e conservatrici. Allo scoppio della prima guerra mondiale è un interventista e nel dopoguerra si schiera sulle posizioni dei nazionalisti. Muore nel 1922, pochi mesi prima della marcia su Roma e della salita al potere del Fascismo. IL VERISMO DI VERGA Il naturalismo francese ebbe una grande influenza in Italia, soprattutto i romanzi di Zola, i quali determinarono la corrente del VERISMO in Italia. Nonostante tale influenza, per molti aspetti Verga si distacca molto dalla figura di Zola. Verga ha una visione radicalmente pessimistica della realtà → quando arriva a Milano, Verga entra in contatto con la mentalità della società borghese, del tutto differente dalla sua mentalità "contadina" tipica del sud. Ciò genera in lui una forte avversione nei confronti di quella realtà: la società umana per lui è dominata dal meccanismo della "lotta per la vita", un meccanismo crudele in cui il più forte schiaccia il più debole (teoria darwiniana). Gli uomini sono mossi soltanto dall'interesse economico e dall'egoismo → tipico atteggiamento di una società capitalistica. Verga ritiene che NON esistano alternative alla realtà esistente, né nel futuro, né nel passato, ed esclude ogni consolazione religiosa. L'uomo deve accettare la sua condizione. L'atteggiamento dello scrittore si basa infatti sul RIFIUTO ESPLICITO E POLEMICO nei confronti delle ideologie progressiste contemporanee, democratiche e socialiste, che egli giudica fantasie infantili e odiosi inganni. Ritiene che il progresso sia tutto ciò che invade l'uomo e lo travolge. Alla base del nuovo metodo narrativo vi è LA POETICA DELL'IMPERSONALITA' (diversa da quella di Zola) →→ Verga ritiene che l'autore debba "eclissarsi" dall'opera, non intromettersi o giudicare perché ogni intervento giudicante apparirà inutile e privo di senso poiché la realtà non può essere modificata). Allo scrittore non resta che riprodurre la realtà così com'è, in modo rigorosamente oggettivo (anche in Verga si parla di romanziere scienziato). Si favorisce quindi un ROMANZO COSTUMI CONTEMPORANEI, abbandonando il romanzo politico. L'opera è dunque un vero e proprio SPACCATO DELLA REALTA' e, a differenza del naturalismo, NON deve trasformarsi in scienza. Nel verismo di Verga si predilige la rappresentazione della realtà regionale degli umili lavoratori soprattutto del sud, denunciando i mali della civiltà milanese. Inoltre Verga teorizza la TEORIA DELL'OSTRICA → L'ostrica in genere sta aggrappata allo scoglio. Se essa si stacca dallo scoglio, la marea la trascina via. Ciò simboleggia la visione Verghiana della vita e del destino. Infatti, Verga crede che, se un individuo si distacca dalla classe sociale di cui fa parte, abbandonano i suoi valori e le sue tradizioni e cerca di elevarsi in cerca di benessere, sarà destinato a soffrire e a fallire e persino a perdere tutto ciò che già possiede. Se le classi sociali del sud si allontanano dal riconoscimento sociale e dai propri valori come la sacralità della famiglia, il lavoro e il senso dell'amore, rischiano di andare verso l'infelicità e non verso il successo. Tale atteggiamento determina però la PERDITA DELLA PROPRIA IDENTITA'. L'opera che testimonia un primo passaggio alla poetica verista di Verga è “Nedda": si tratta di un bozzetto siciliano in cui cambiano gli ambienti e le storie, e cominciano a prevalere la durezza della vita e la miseria del tempo; in questa novella Verga rappresenta il VERO. Milano fu il CENTRO DI DIFFUSIONE DEL VERISMO, ma i maggiori esponenti del verismo italiano sono meridionali: Capuana (egli viene considerato teorico del verismo che evidenzia le differenze del verismo italiano con il verismo naturalistico francese), De Roberto (egli approfondisce l'indagine psicologica dei personaggi nell'opera "I viceré"), Matilde Serao (ella fu la prima donna a fondare e dirigere un quotidiano; scrisse "scuola normale femminile", opera con la quale diede gran voce al grido femminista). Grazia Deledda invece muove le tendenze veriste per descrivere la sua terra, la Sardegna. TECNICHE NARRATIVE E LINGUE DI VERGA Verga, applicando la poetica dell'impersonalità alle sue opere, dà origine ad una tecnica narrativa originale ed innovatrice. Si possono identificare quattro novità: 1. ECLISSI DEL NARRATORE Le vicende non sono più raccontate dal narratore onnisciente tradizionale, ma la voce narrante si pone allo stesso livello dei personaggi, regredisce nella loro mentalità, nei loro valori morali, nei loro stati d'animo. E' come se a raccontare fosse uno di loro, che però non compare direttamente nella vicenda e resta anonimo. Si parla di NARRATORE REGREDITO. Pertanto si ha una visione oggettiva della realtà. 2. IL LETTORE SI TROVA A TU PER TU CON I FATTI Nelle opere di Verga il punto di vista dello scrittore non si avverte mai e il lettore ha davvero l'impressione di trovarsi faccia a faccia con il fatto nudo e schietto. Infatti non è presente il "disse che", ovvero colui che guida il lettore. 3. STRANIAMENTO (allontanamento) Viene rappresentato come strano ciò che in realtà non lo è o viceversa. 4. DISCORSO INDIRETTO LIBERO L'uso del discorso indiretto libero determina l'assenza di verbi dichiarativi come "disse" o congiunzioni "che", la presenza di punti interrogativi ed esclamativi, la terza persona per indicare chi parla e chi pensa. Dal punto di vista linguistico, il linguaggio deve riprodurre la parlata dei personaggi. Verga però NON SCEGLIE IL DIALETTO REGIONALE poiché esso rappresenta una limitazione per la diffusione delle sue opere. Egli adotta invece la lingua genericamente italiana con proverbi. Si usa una struttura sintattica irregolare, imprecisa, approssimativa e libera. L'opera manca di formazione classica. IL CICLO DEI VINTI Il ciclo dei vinti è un ciclo di cinque romanzi, nei quali Verga pone al centro la VOLONTA' DI TRACCIARE UN QUADRO GENERALE DELLA SOCIETA' ITALIANA MODERNA. Elemento fondamentale e filo conduttore della sua rappresentazione è il principio della lotta per la sopravvivenza, che lo scrittore ricava dalle teorie dello scienziato Charles Darwin sulla selezione naturale degli essere viventi, applicandola alla società umana: tutta la società è dominata da conflitti di interesse, ed il più forte trionfa, schiacciando i più deboli. Verga però non intende soffermarsi sui vincitori di questa guerra universale e sceglie come oggetto della sua narrazione “i vinti", cioè coloro che vengono schiacciati in questo perenne conflitto e che si sottomettono ai prepotenti. Al ciclo viene premessa una PREFAZIONE che chiarisce gli intenti generali dello scrittore: nel primo Romanzo, I Malavoglia, si analizzano le motivazioni dei comportamenti umani al livello della LOTTA DEI BISOGNI MATERIALI che caratterizza l'ambiente popolare. Verga nella prefazione prende come soggetto dell'opera i 20 uomini sconfitti nel tentativo di migliorare la propria condizione; osserva i fatti narrati senza intervenire ed indaga le cause materiali ed economiche alla base dell'agire umano. I MALAVOGLIA (1831) E' il primo romanzo del "ciclo dei vinti". Il mondo dei Malavoglia viene presentato per la prima volta nella novella "Fantasticheria", tratta dalla raccolta "Vita dei campi" di cui fanno parte altre novelle come "Rosso malpelo". Con Fantasticheria Verga indaga, attraverso una rappresentazione del mondo dei poveri pescatori, le cose che spingono questa gente a sopravvivere in quell'ambiente. Verga racconta la storia di una famiglia di pescatori siciliani, i laboriosi ed onesti Toscano, chiamati "Malavoglia" poiché nell'uso popolare i soprannomi sono spesso il contrario delle qualità di chi li porta. Essi vivono nel paesino di Aci Trezza, nei pressi di Catania e posseggono una casa e una barca (simbolo di provvidenza). Essi conducono una vita relativamente felice e tranquilla. Il vecchio padron 'Ntoni (il capofamiglia), per superare delle difficoltà, compra dallo zio Crocifisso un carico di lupini per rivenderli in un porto vicino. MA la barca naufraga nella tempesta, suo figlio Bastianazzo muore e il carico va perduto. I Malavoglia, oltre ad essere colpiti da questo grave lutto familiare, devono anche trovare il modo per pagare il loro debito allo zio. Comincia di qui una lunga serie di disgrazie e la sventura disgrega il nucleo familiare. Il giovane Ntoni, figlio di Bastianazzo e nipote del vecchio padron Ntoni, stanco di quella vita, si rende conto di non poter più restare, vuole evadere. Egli, opponendosi alle idee patriarcali del nonno, decide così di abbandonare il suo "scoglio" e fuggire verso un mondo del tutto nuovo: Napoli, dove la vita era di gran lunga migliore. Lui vuole rompere con la vita passata, monotona, fatta di rassegnazioni, per evolversi e riscattarsi → VUOLE CAMBIARE GRADO SOCIALE, ma il suo tentativo fu un fallimento. Il giovane Ntoni, tornato da Napoli, non riesce più ad adattarsi alla vita dura del suo piccolo paese; comincia a frequentare cattive compagnie, è coinvolto nel contrabbando e, sorpreso, finisce per dare una coltellata alla guardia doganale. Ntoni sconta la sua pena in carcere, ma in prigione non si riscatta definitivamente quando ritorna al suo paese di sera (ha scelto il "buio"), NESSUNO LO RICONOSCE PIÙ, se non il cane. È ormai estraneo a quella terra che aveva abbandonato. HA PERSO LA SUA IDENTITÀ. Abbandonando la casa del nespolo con tutti i suoi valori (come l'affetto, l'onore, l'unità familiare, l'onestà), Ntoni offende la propria famiglia. Ntoni torna e ripercorre i luoghi della propria casa, guardando in giro le pareti come se le vedesse per la prima volta. E' in questo momento che comprende il valore che queste pareti rappresentano →→ L'UNITA' FAMILIARE. Alla fine del romanzo, Ntoni ha un colloquio con il fratello Alessi che gli chiede di rimanere, ma lui sente di dover partire nuovamente, non può restare → prende consapevolezza dell'importanza dei valori, ma sente di dover abbandonare tutto poiché ha perso le sue radici ed è da solo in mezzo al paese. Il romanzo si conclude con l'addio al mondo pre-moderno. Il percorso di Ntoni viene portato a compimento da Mastro don Gesualdo (nella "Vita dei campi") che abbandona definitivamente l'atteggiamento immobilista della civiltà arcaica rurale e diventa l'esponente più tipico della mentalità moderna. I Malavoglia rappresentano un mondo rurale arcaico, dominato da una visione della vita tradizionale, che si fonda sui valori di FAMIGLIA (l'unione della famiglia) e sulla SAGGEZZA. L'ideale di vita di questa gente è il restare ancorati alla propria vita, "al proprio scoglio", assumendo lo stesso comportamento delle ostriche (TEORIA DELL'OSTRICA DI VERGA). Solo gli uomini che, spinti dalla curiosità di indagare il mondo e dalla vaghezza dell'ignoto, lasciano il paese e i loro valori, vanno incontro alla sconfitta; solo chi rimane legato alla sua terra riscontrerà dei vantaggi e realizzerà i suoi sogni. Questo mondo mondano all'improvviso viene, però, sconvolto dalle vicende del Risorgimento italiano, che distruggono gli squilibri, e il piccolo villaggio siciliano viene investito dalle rapide trasformazioni politiche e sociali → il primo cambiamento che annuncia l'irruzione della modernità nelle arretrate comunità del sud consiste nell'introduzione del servizio militare obbligatorio (dal momento in cui il giovane Ntoni parte per il servizio militare, iniziano una serie di difficoltà economiche e di sventure che rompono l'equilibrio familiare). Tutto ciò genera una certa diffidenza da parte di questa gente nei confronti del progresso. Il personaggio in cui si incarnano le forze disgregatrici della modernità è il giovane Ntoni. Egli, fuggendo dalla sua terra, entra in contatto con la realtà moderna a Napoli; per questo non può più adattarsi ai ritmi di vita del paese. Il nonno, d'altro canto, rappresenta lo spirito tradizionalista e l'attaccamento alla propria terra e ai propri valori. In conflitto sono anche le figure del giovane Ntoni e l'ultimo figlio Alessi: Alessi, nonostante fosse attratto dall'ignoto, rimane legato alla propria terra e ai suoi valori, e cerca di risolvere i suoi problemi economici; alla fine riesce a realizzare tutti i suoi piccoli sogni e si sposa. Nel romanzo c'è una contrapposizione tra lo spazio privato (la casa del nespolo, la famiglia, i valori) e lo spazio esterno aperto (le strade, la città, l'ignoto, visto come nemico). I luoghi nell'opera hanno una forte valenza simbolica → ➤ La casa di famiglia rappresenta il passato malinconico di Ntoni. > L'esterno, il paese rappresentano la sua condizione di isolamento. ➤ Il mare resta l'unico elemento naturale che si lega ad Ntoni. Verga usa la poetica dell'impersonalità → egli non presenta un paese idilliaco, utopico, ma rappresenta la realtà così com'è, descrive l'umanità fuori dal tempo. C'è sempre un interesse personale e si dà importanza ai valori e alle tradizioni. Si presenta inoltre, con accezione pessimistica, la ricerca del progresso e la ricerca del riscatto sociale, le quali sono viste come infelicità e sofferenza → per questo Verga denuncia la società moderna. E' presente un narratore popolare, regredito che descrive gli avvenimenti secondo il punto di vista del popolo. Il punto di vista è frutto dei pensieri di 'Ntoni → infatti il linguaggio si avvicina al parlato popolare per la presenza di detti, proverbi, modi di dire, l'utilizzo del passato remoto e non passato prossimo. LA ROBA dalle Novelle Rusticane (1883) Della produzione letteraria di Verga notevoli sono le Novelle rusticane, una serie di racconti che ripropongono personaggi ed ambienti della campagna siciliana, in una prospettiva più amara e pessimistica, che porta in primo piano il dominio esclusivo dei moventi economici nell'agire umano, e rivela come la fame e la miseria soffochino ogni sentimento disinteressato. Di queste novelle fa parte "La roba", la quale venne, però, pubblicata in un primo momento sulla rivista "La rassegna settimanale". Al centro della novella si pone il TEMA DELLA DINAMICITA' SOCIALE che travolge tutti gli equilibri tradizionali attraverso la figura di un self-made man. Il racconto è inserito in un preciso fenomeno dell'età moderna: l'ascesa della borghesia. In quel momento storico all'interno società si manifestavano continui conflitti tra le classi, lotte per la roba e per il pane. Con la "roba" si indicano i vigneti e gli uliveti. Il protagonista è Mazzarò: egli lotta per la roba e, per il possesso di questi beni, sacrifica tutta la sua vita. Egli è perfettamente integrato nella logica della LOTTA PER LA VITA. Mazzarò è un eroe faustiano: è sempre improntato al raggiungimento di un sogno senza limite, vuole superare gli obiettivi raggiunti. E' presente un NARRATORE REGREDITO → è il personaggio stesso che parla; infatti il narratore è in sintonia con l'eroe e la sua logica. Per questo motivo si ha la CELEBRAZIONE DELLE VIRTU' EROICHE DEL PROTAGONISTA come l'intelligenza, l'energia infaticabile, ma soprattutto la sua CAPACITA' DI SACRIFICARE TUTTO ALLA ROBA. Mazzarò appare quasi un santo martire dell'accumulo capitalistico che riesce a creare immense ricchezze, un mondo di cose dalle proporzioni smisurate, epiche. Per comprendere il significato della novella, si deve tener conto della CONCLUSIONE, fondamentale poiché presenta un ROVESCIAMENTO DELLE PROSPETTIVE→ Nella sua tensione ad accrescere le sue proprietà, Mazzarò non SI SCONTRA soltanto con la società, ma CON LA NATURA STESSA. Egli compie un GESTO DISPERATO e folle: tenta di uccidere le anatre e i tacchini per portare con sé nella morte "la roba". Questa conclusione può essere interpretata in due modi opposti, che attribuiscono al gesto di Mazzarò un valore comico o tragico → ➤ Nella prospettiva del narratore "basso", che celebra Mazzarò come un eroe, il gesto di bastonare le anatre e i tacchini appare assurdo, poiché non risponde ad alcuna logica economica. ➤ Nella prospettiva dell'autore, che considera il personaggio meschino e misero ma è sensibile al suo dramma esistenziale, il gesto di Mazzarò acquista un valore tragico, poiché costituisce l'elemento di sconfitta di un uomo che ha posto la sua ragione di vita nell'accumulo infinito di roba. IL MASTRO DON GESUALDO (1889) E' il secondo romanzo del ciclo dei vinti. Le vicende narrate si svolgono nella cittadina di Vizzini, in provincia di Catania, negli anni dell'Italia preunitaria, agitata dai primi moti rivoluzionari che interessano direttamente la Sicilia. Rispetto ad Aci Trezza, qui SI PRESENTA UNA REALTA' PIU' AMPIA: il racconto si sviluppa in un ambiente borghese e aristocratico, in cui si evidenziano maggiormente le differenze sociali. Si ha un ampliamento della prospettiva del narratore. Il protagonista di questo racconto è Gesualdo Motta, un ex muratore che, interessato ai guadagni, diventa ricco proprietario grazie alla sua intelligenza, alla sua energia infaticabile e all'accumulo della roba. La "roba" è il fine primario della sua esistenza e ciò lo porta ad escludersi dal mondo dei sentimenti e a rinunciare all'unica figura che gli dà amore e dolcezza, Diodata (data da dio) per sposare Bianca Trao, in quanto questa donna poteva aprirgli le porte della società aristocratica. Gesualdo resta però escluso dalla società nobiliare, che lo disprezza per le sue origini; il disprezzo è testimoniato dalla formula con cui viene menzionato: "don", appellativo destinato ai signori, il quale viene accoppiato "mastro", a indicare la sua provenienza umile. La conseguenza della scelta di Gesualdo in favore della logica della roba è una totale sconfitta umana → dalla sua lotta per la roba e dal suo percorso di elevazione sociale Gesualdo HA RICAVATO ODIO, AMAREZZA, SOFFERENZE, provocate dalle delusioni familiari, e LA CONDANNA ALLA SOLITUDINE anche in punto di morte, quando egli assume conoscenza del totale fallimento delle sue aspirazioni, a differenza dl Mazzaro nell'opera "La roba" che non si rende conto dell'inevitabile sconfitta di fronte alla morte, tanto da voler portare con sé la roba nell'aldilà. Gesualdo viene presentato quindi come un vincitore materialmente, ma un "vinto" sul piano umano. Nel Mastro Don Gesualdo Verga resta fedele al principio dell'impersonalità e all'eclisse dell'autore e al discorso indiretto libero, mediante cui sono riportati i pensieri del protagonista. DECADENTISMO Con il termine DECADENTISMO si etichetta una corrente culturale di dimensioni europee, che nasce in Francia e si sviluppa dal 1870 al 1920. In quegli anni le aspettative positivistiche e la fiducia posta nel progresso (visto come l'unica possibilità di sconfiggere i mali della società come l'analfabetismo o la differenza tra nord e sud), che avevano caratterizzato i decenni precedenti, vengono disilluse: la scienza e il progresso non hanno portato i risultati sperati e l'ideale tra il reale e l'ideale aumenta. L'intellettuale decadente comincia a provare disagio rispetto ai suoi tempi (come era accaduto nel romanticismo) e rispetto alla società borghese, ritenuta mediocre e volgare, che aveva come unico obiettivo il profitto e il guadagno (a differenza l'artista rifiuta la volgarità e il cattivo gusto, ma ricerca uno stile raffinato, aristocratico). Il conflitto tra artista e società è quindi sempre più evidente e questa sfiducia nella ragione porta l'intellettuale e provare un senso di distaccamento, di solitudine, di incomunicabilità, malinconia e di disprezzo rispetto alla realtà contemporanea. Gli intellettuali usano il termine inglese "spleen" per riferirsi alla solitudine, in quanto la milza è l'organo sede della malinconia. La società è estremamente ostile all'intellettuale decadente, il quale non si sente più guida all'interno del popolo → rifiutando la realtà esterna, l'intellettuale si esclude definitivamente da essa e perde il suo ruolo sociale (la differenza con il poeta romantico è che quest'ultimo, rispetto a quello decadente, condivide i valori della comunità a cui appartiene). Egli arriva a chiudersi all'interno di un esilio volontario: fugge dalla realtà negativa e si rifugia in un ideale. Il decadente ritiene che la ragione e la scienza non possano dare la vera conoscenza del reale, poiché l'essenza del reale è al di là delle cose, è misteriosa ed enigmatica, nascosta, è tutto ciò che possono percepire i nostri sensi; per cui solo rinunciando ad un approccio razionale si può tentare di attingere all'ignoto. Il mistero è dietro la realtà visibile e può essere decifrato solo dal poeta, il quale viene considerato POETA VEGGENTE. L'artista viene dunque considerato superiore agli altri. Pertanto, nella poetica decadente, la parola è misteriosa, carica di significato, destinata a un numero ristretto. LA PAROLA DIVENTA SIMBOLO. Ha una forza allusiva: crea suggestioni musicali ed analogie, e riesce ad "indagare l'invisibile e udire l'inudito". Il decadentismo, infatti, viene definito anche con il termine SIMBOLISMO. La lingua viene definita dal poeta francese Rimbaud LINGUA DELL'ANIMA PER L'ANIMA. I decadenti inoltre si rifugiano nel CULTO DEL BELLO, in quanto lo considerano l'unica forma di conoscenza. Questo culto dell'arte ha dato origine al fenomeno dell'ESTETISMO, secondo il quale il poeta è visto come un esteta: colui che assume come principio regolatore della vita il BELLO, tutto ciò che è artificioso, non è armonia e equilibrio; egli rifiuta i canoni classici. Questa posizione viene teorizzata originariamente in Inghilterra e ripresa poi da Huysmans, Oscar Wilde e D'Annunzio, secondo i quali la vita deve essere un'opera d'arte. Si hanno inoltre trascendenze all'attivismo, al vitalismo, all'estetismo e al superomismo. I poeti francesi Baudelaire, Rimbaud e Mallarmé vengono definiti POETI MALEDETTI: essi rifiutano la morale borghese e svelano la realtà nascosta. TECNICHE NARRATIVE Per quanto riguarda le tecniche narrative, nelle opere gli artisti pongono l'attenzione su un solo personaggio, collocato in un ambiente che è lo specchio della loro interiorità; c'è l'esaltazione della propria individualità →→ LA SCOPERTA DELL'INCONSCIO è il dato fondamentale della cultura decadente. I decadenti tendono a distruggere ogni legame razionale, convinti che solo un abbandono totale all'inconscio possa garantire la scoperta di una realtà più vera. TECNICHE ESPRESSIVE MUSICALITÀ SINTASSI: non è regolare, ma vaga e ambigua. → METAFORA: si carica di significato, esprime meraviglia e stupore. ANALOGIA: lo scrittore accosta parole lontanissime tra loro sul piano razionale, creando delle corrispondenze. → ALLEGORIA: una parola esprime un significato diverso da quello letterale. → SINESTESIA: permette di mettere insieme campi sensoriali diversi GABRIELE D'ANNUNZIO La vita di D'Annunzio è sostanza della sua poesia, è importante, estetizzante e inimitabile. Gabriele D'Annunzio nasce a Pescara nel 1863 da una famiglia borghese. Per alcuni anni esercita la professione di giornalista, collaborando a vari giornali con articoli di cronaca, letteratura, arte e costume, tra cui "Mattino". In ambito letterario acquista subito notorietà. In questi anni, seguendo i princìpi dell'estetismo, costruisce intorno a sé il mito di vivere una vita come un'opera d'arte; sceglie di vivere come se facesse un monumento a sé stesso. Si crea la maschera dell'esteta → un individuo superiore che rifiuta i valori della mentalità borghese e i princìpi della morale corrente, isolandosi dalla società e rifugiandosi in un mondo di pura arte. Per D'Annunzio L'ARTE (la bellezza) è l'unica forma di conoscenza. Con la figura dell'esteta, D'Annunzio propone una nuova immagine di intellettuale che si pone fuori della società borghese (D'Annunzio considerato il più grande esteta). Ben presto però si rende conto della debolezza di questa figura, in quanto presenta un limite → l'esteta non affronta la realtà, non ha la forza di opporsi realmente all'ascesa della borghesia ed è destinato quindi ad un isolamento in cui il culto della bellezza si trasforma in illusione e menzogna. Ciò è legato al VELLEITARISMO, l'atteggiamento di chi ha aspirazioni o programmi ambiziosi, ma infondati, vaghi. L'estetismo entra in crisi. D'Annunzio trova uno sbocco alternativo alla crisi dell'estetismo grazie alla lettura delle teorie del filosofo Nietzsche, da cui ne riprende il rifiuto del conformismo borghese e dei principi egualitari, l'esaltazione dello spirito dionisiaco, il rifiuto dell'etica del pietà e dell'altruismo, l'esaltazione della volontà di potenza, dello spirito della lotta e dell'affermazione di sé. Elabora così il mito del superuomo → NON era più sufficiente la vocazione alla bellezza/all'arte, ma era necessaria un'azione eroica, attivistica. Infatti, quando parliamo di SUPERUOMO ci riferiamo ad un individuo eccezionale, realizzato, dotato di vitalismo, libertà creativa e volontà di affermare sé stesso senza rispettare alcun ordine morale sociale; destinato a dominare sulla massa (società borghese), considerata inferiore, mediocre, guidata da ideali di profitto e guadagno. La morte di dio è il presupposto per diventare SUPERUOMO, il quale è dotato di libertà creativa → sono tramontati tutti i valori del poeta, considerato un uomo superiore, il creatore. L'intellettuale assume una nuova immagine: quella di artista-superuomo: l'intellettuale assume la funzione di VATE: l'artista fa da guida alle coscienze, guida la nazione verso un destino glorioso di potenza e di dominio. Inoltre, l'artista si prefigge una MISSIONE POLITICA → attraverso la sua attività artistica e intellettuale deve aprire la strada al dominio di una nuova élite, ponendo fine al caos del liberalismo borghese, della democrazia e dell'egualitarismo. L'occasione per l'azione eroica gli venne offerta dalla Prima guerra mondiale; allo scoppio del conflitto D'Annunzio decide di arruolarsi come volontario. Nel corso della sua vita si possono riscontrare due personalità contrastanti; per questo motivo i critici parlano di 1° e ultimo D'Annunzio. Il 1° D'Annunzio si caratterizza dal SUPEROMISMO, il quale riassume notevolmente la personalità di D'Annunzio che ha una percezione orgogliosa lui vuole affermare la sua superiorità rispetto alla massa. In questo primo periodo la POESIA deve sovrabbondare di parole, deve esaltare le esperienze eccezionali del superuomo, è rara, splendida, fatta di musicalità, sonora, artificiosa. → La PAROLA diventa magniloquente, sontuosa, lussureggiante, con uno stile non essenziale per esprimere al meglio la visione del superuomo. E' presente un forte patriottismo → la patria doveva dominare i popoli più deboli. Il poeta viene definito POETA VEGGENTE, in quanto è l'unico che può cogliere la verità rispetto alla massa mediocre che non può coglierla, l'intellettuale è superiore. L'EROE DECADENTE D'ANNUNZIANO è raffinato, esteta, poeta vate, amante del bello, lontano dalle masse. In seguito si manifesta un FORTE CAMBIAMENTO nella personalità del poeta, il quale si distacca dal concetto di superuomo → D'Annunzio diventa più intimo, un uomo autentico, prende consapevolezza della solitudine e si rende conto del limite della finitezza dell'uomo che esiste. Con l'ultimo D'Annunzio la parola cambia: diventa essenziale, incisiva ed ellittica. Lo stile è nominale, fatto di frasi brevi e incisive, tipico delle tendenze del 1900. E' molto noto per aver compiuto gesta memorabili che costituiscono una LEGGENDA BIOGRAFICA, come per esempio la Missione di Fiume, nella quale perde la vista di un occhio per questo motivo comincerà a scrivere in modo diverso, costretto con l'occhio a stare fermo, ma non abbandonerà mai la scrittura. Comincia a scrivere su CARTIGLI, ovvero degli scritti significativi costituiti da striscioline di carta (taccuino di D'Annunzio) →la scrittura diventa essenziale, avendo poco spazio per scrivere. Inoltre, il poeta esercitò un profondo influsso non solo sulla cultura italiana, anche sulla politica, poiché elaborò ideologie, atteggiamenti, slogan di propaganda che furono fatti propri dal fascismo. Ma ispirò anche le forme di cultura di massa come il cinema. D'Annunzio appartiene alla corrente del DECADENTISMO → cresce questa forte delusione di fine secolo e crisi delle certezze del positivismo, post-risorgimentali, rispetto alle aspettative disilluse dell'uomo che credeva in un'unificazione territoriale che avrebbe portato uguaglianza, benessere e abbattuto le differenze tra Nord e Sud. Tramontano gli IDEALI RISORGIMENTALI, i valori romantici come la gloria, l'amore per la patria, l'eroismo (NO riscatto sociale). L'intellettuale è in conflitto con il presente, per questo motivo decide di isolarsi, di compiere un esilio volontario perché è in conflitto con il presente, si sente estraneo al mondo che lo circonda e si chiude in sé stesso. D'Annunzio arriva al decadentismo attraverso la sperimentazione come "dilettante di sensazioni". Il suo decadentismo è il frutto di scelte ben precise, meno istintivo. Con l'opera "Vivere inimitabile" (vita mondana estetizzante, in decadenza) D'Annunzio viene definito dal critico Benedetto Croce "dilettante di sensazioni" → D'Annunzio era molto aperto ai suggerimenti che nascevano in Europa (soprattutto ai romanzi russi che danno competenza all'analisi psicologica o ai simbolisti francesi) rispetto a Pascoli, e non riesce a esprimere a pieno un'unica espressione di quelle tendenze. A differenza di Pascoli, D'Annunzio si rifugia nel superuomo, la visione panica della natura. Con PANISMO si intende la tendenza a fondersi, immedesimarsi con la natura, ad abbandonarsi alla vita dei sensi e all'istinto nella natura stessa superando ogni limite dell'uomo e diventare così natura. Il termine panismo viene dal DIO PAN, la divinità che rappresenta la natura e le forze primordiali della vita. E' un momento di estasi, di incanto che può vivere solo il poeta-superuomo. Si esalta la violenta vitalità dionisiaca. La POESIA è SOGGETTIVA, presenta l'interiorità. D'ANNUNZIO LIRICO Per il suo esordio letterario D'Annunzio sceglie di seguire il modello dei due scrittori che stavano dominando il panorama letterario italiano: Carducci e Verga. E' molto influenzato anche dalla poesia greca, dai classici greci. Le prime due raccolte liriche risalgono ai suoi 16 anni e sono "Primo Vere" e "Canto Novo" che ottengono molto successo e interesse nei critici. Primo vere (dal latino "all'inizio della primavera") allude alla PRIMAVERA DELLA POESIA, la prima stagione dell'amore. Motivo caratteristico di di queste due raccolte liriche è la SENSUALITÀ DEL PAESAGGIO (D'Annunzio è partecipe con la natura, ha un rapporto fisico, istintivo). La prima opera narrativa è la raccolta di novelle "Terra vergine", nella quale D'Annunzio presenta figure e paesaggi della sua terra d'origine. IL PIACERE "Il Piacere" è il primo romanzo scritto da D'Annunzio nel 1889. E' la testimonianza più esplicita del poeta che prende coscienza della debolezza dell'esteta e della sua ideologia (è ispirato alla vita di piaceri estetici). Al centro del romanzo si pone la figura di un esteta, Andrea Sperelli, un giovane e raffinato aristocratico che rappresenta un alter ego di D'Annunzio stesso e riflette perciò la fragilità e l'insoddisfazione dell'autore (incarna l'eroe decadente). Andrea Sperelli basa la sua intera esistenza sul principio fondamentale dell'estetismo (che impone di "fare la propria vita come si fa un'opera d'arte"), il quale lo conduce ad instaurare un rapporto distaccato e ambiguo con tutto ciò che lo circonda fino a diventare per lui una forza distruttrice che lo priva di ogni energia morale e creativa; Andrea Sperelli è un uomo dalla volontà debolissima, privo di slancio morale, di autenticità, incapace di agire spontaneamente. Tutto ciò lo porta alla fine alla solitudine e alla sconfitta nel rapporto con l'universo femminile. Le donne hanno un ruolo fondamentale nel Piacere. Il protagonista è infatti attratto da due donne opposte: Elena Muti, la donna fatale, che incarna l'erotismo lussurioso ed è il grande amore (il grande piacere) di Andrea; e Maria Ferres, la donna pura, rappresenta ai suoi occhi l'occasione di un riscatto e di un'elevazione spirituale. In realtà Andrea mente a sé stesso e cerca di sedurla perché Elena continua a respingerlo. Quando Maria si concede, il giovane la chiama per sbaglio con il nome dell'altra donna, provocando la fine del rapporto e restando solo con il suo vuoto. Il romanzo registra il fallimento del protagonista e del suo progetto di vita come opera d'arte. La trama narrativa è ridotta al minimo e l'interesse di D'Annunzio si rivolge alla descrizione minuziosa degli ambienti (aspetto ripreso dal realismo e verismo) e all'analisi dell'interiorità dei personaggi (lo scrittore mira a creare un romanzo psicologico). Il racconto inoltre è percorso da una fitta trama di allusioni simboliche, aspetto che si riprenderà nelle correnti successive. UN RITRATTO ALLO SPECCHIO: ANDREA SPERELLI ED ELENA MUTI (dal Piacere, libro III, capitolo II) Andrea ama Elena, ma improvvisamente lei tronca la relazione e scompare. Al suo ritorno, Andrea scopre che, per evitare una crisi economica, Elena ha sposato un ricco inglese. Andrea è disgustato nello scoprire che la loro passione tanto forte era stata impedita da una per denaro. In questo brano Andrea analizza Elena e si accorge della falsità di alcuni suoi atteggiamenti, ma è un ritratto "allo specchio", perché trova nella falsità della donna la sua falsità, quindi egli la comprende, perché anche lui è così. Il capitolo si apre con un insieme di pensieri di Andrea, in un suo discorso interiore, sotto forma di discorso indiretto libero. Nella sequenza successiva interviene il narratore che pronuncia espliciti giudizi sul personaggio → D'Annunzio vuole prendere le distanze dal suo eroe e dall'immagine di esteta, poiché prende consapevolezza della debolezza di questa figura. Si ha una critica all'estetismo, l'immagine dell'esteta entra in crisi. LE VERGINI DELLE ROCCE "Le vergini delle rocce" è un romanzo che segna la svolta ideologica radicale di D'Annunzio, appartiene ai romanzi del superuomo. Il protagonista è Claudio Cantelmo, un eroe forte e sicuro, disgustato dalla realtà borghese contemporanea; egli vuole raggiungere una forma di vita superiore e generare il superuomo. Il romanzo si conclude senza che egli riesca a raggiungere il suo obiettivo. Nonostante le loro ambizioni attivistiche ed eroiche, gli eroi dannunziani restano sempre deboli e sconfitti. IL PROGRAMMA DEL SUPERUOMO (da Le vergini delle rocce, libro I) Il libro I presenta l'andamento di un'orazione, ovvero di un discorso da pronunciare davanti ad un pubblico → si caratterizza da un tono solenne e profetico che rivela l'intenzione dell'eroe di modificare la realtà attraverso la parola, e da un linguaggio aulico e prezioso, con metafore e paragoni, esclamazioni e interrogazioni retoriche. Questa orazione del protagonista-narratore mira a proporre un programma politico per il nuovo intellettuale superuomo →→ Cantelmo è un esteta, ma allo stesso tempo un uomo d'azione (l'artista ormai non deve più isolarsi dal mondo nel culto dell'arte, ma deve trasformare la società. L'estetismo NON è negato, ma viene recuperato ed inserito in una struttura ideologica nuova). PROGRAMMA POLITICO → si fa una critica alla società borghese, caratterizzata dallo spirito affaristico e dall'ossessione al denaro, alla democrazia e all'egualitarismo (gli ideali di uguaglianza minacciano di appiattire l'umanità in una meccanica uniformità). Si propone come modello una società gerarchica e autoritaria che instauri un dominio di classe e che favorisca l'elevazione dell'élite privilegiata. Si favorisce una politica aggressiva verso l'esterno per restituire a Roma la supremazia sul mondo (questo mito su Roma verrà recuperato dal fascismo). Il compito dei poeti è di usare la parola poetica come un'arma. Un progetto del genere ha radici concrete nella realtà sociale e culturale di fine Ottocento: in questi anni, in Italia esplodevano conflitti sociali e gli ambienti più reazionari maturavano l'idea di un colpo di Stato per eliminare le libertà politiche e civili ed imporre un governo autoritario. Sono gli anni in cui le grandi potenze conducevano una politica imperialistica aggressiva con l'obiettivo di conquistare e mantenere possedimenti coloniali. L'impresa coloniale in Italia era sostenuta dal ceto medio, deluso dall'assetto politico dopo l'unità e dall'arretratezza dell'economia nazionale che non conduceva opportunità di iniziativa individuale. D'Annunzio si riferisce a questo pubblico. LE LAUDI La sua raccolta più importante, se non il suo capolavoro politico, sono le "LAUDI", le quali contengono le sue opere più mature. Il progetto iniziale era formato da 7 libri, i quali rappresentavano le sette stelle delle Pleiadi (costellazioni che gli agricoltori seguivano per la semina), ma ne scrive poi solo quattro: "Maia", "Elettra", "Alcyone" e "Meope". Il poeta diventa un tutt'uno con la natura, superando i limiti umani. II FONDERSI CON LA NATURA porta a vivere l'ebbrezza con istinto, è una fonte inesauribile di energia vitale. La natura è l'unica possibile divinità. Maia è una narrazione del mondo dell'antica Grecia, un canto della vita come gioia. Merope contiene dieci canzoni, la prima delle quali è "La canzone d'oltremare", ispirata alla guerra in Libia. ALCYONE (dalle Laudi) Alcyone è il libro più riuscito, è una sorta di diario ideale, conosciuto anche come POEMA DEL SOLE, dell'estate, in quanto vengono narrate sensazioni dell'estate a Versilia nel 1902 in compagnia della donna amata del poeta. L'estate ha un ruolo fondamentale poiché è vista come la stagione che più di tutte consente il raggiungimento della pienezza vitalistica. A differenza della poetica precedente in cui D'Annunzio presentava un discorso profetico, polemico e celebrativo, il tema che qui riprende è la VISIONE PANICA DELLA NATURA; e al posto degli impulsi verso l'azione energica ed eroica, subentra un atteggiamento di contemplazione ed evasione. In Alcyone D'Annunzio ricerca LA MUSICALITÀ per creare una melodia → è data dalle assonanze, consonanze, rime al mezzo e crea immagini sonore forti ed evidenti. La parola ha un valore fonico. E' la raccolta dannunziana più celebrata e viene considerata dalla critica del Novecento un esempio di poesia "pura", libera dall'ideologia superomistica e dalle finalità di propaganda. In realtà l'ideologia superomistica è presente, in quanto l'esperienza panica non è che una manifestazione del superomismo. LA PIOGGIA NEL PINETO (da Alcyone) "La pioggia nel pineto" è una sua lirica celebre, tratta da Alcyone. E' l'unica poesia che scrive ed è una sorta di CANTO presenta una struttura musicale: D'Annunzio mira a trasformare la parola in musica, in linea con i princìpi fondamentali della poetica decadente. A seconda di dove cade la pioggia crea un ritmo più o meno intenso (sulle foglie si mescolano tanti suoni di cicale, rane, vegetazione). Uno dei temi centrali di questa poesia è quello dell'amore del poeta per Eleonora Duse (viene chiamata "Ermione", un nome che ricorda un personaggio della mitologia greca). Qui la donna amata accompagna il poeta durante una passeggiata estiva in campagna finché un temporale non li sorprende, lasciandoli soli e intimi nel pineto, sotto l'acqua che cade e che crea un'atmosfera surreale. Durante il temporale estivo ci si immerge completamente nel paesaggio → il poeta chiede subito alla sua compagna di far silenzio per contemplare i rumori della natura. E' un mondo incontaminato, lontano dall'umanità. Al termine della poesia i due protagonisti sono diventati una sola cosa con il bosco. Al centro del discorso si pone il TEMA PANICO dell'identificazione dell'uomo con la vita vegetale (tema al quale si collega anche la tematica della metamorfosi). La metrica è libera, non soggetta a nessun schema tradizionale. La poesia è formata da quattro strofe di versi liberi; le rime sono libere e vengono utilizzate diverse figure retoriche. GIOVANNI PASCOLI Nasce a San Mauro di Romagna nel 1855 da una famiglia della piccola borghesia rurale. La serenità del nucleo familiare viene sconvolta da una TRAGEDIA, destinata a segnare profondamente l'esistenza del poeta: il padre venne assassinato a fucilate, ma i responsabili del delitto non furono mai individuati (al primo lutto ne seguirono molti altri, inclusa la morte della madre). L'assassinio del padre crea ANGOSCIA, MISTERO, e porta il poeta alla consapevolezza dell'ingiustizia del mondo. Negli anni universitari subisce il fascino dell'ideologia socialista, si avvicina alle idee del socialista Andrea Costa; aderisce a manifestazioni insieme a socialisti contro il governo, come alla Prima Internazionale dei Lavoratori; per questo motivo viene arrestato e trascorre alcuni mesi in carcere, ma alla fine viene assolto. Questa traumatica esperienza determina il suo definitivo distacco dalla politica militante, e una volta uscito segue un SOCIALISMO UTOPICO, patriottico, filantropico, basato sulla bontà, sull'amore e sulla fratellanza fra gli uomini. Pascoli è contro LA LOTTA DI CLASSE, pertanto egli non condivide i principi del socialismo scientifico di Karl Marx. Secondo il poeta, per eliminare i conflitti era necessario che ogni classe conservi la propria fisionomia e non cerchi di modificare la propria condizione. Il suo ideale si incarna nell'immagine del mondo dei piccoli proprietari rurali poiché per lui rappresentano l'unica dimensione in cui possono sopravvivere i valori fondamentali, come la famiglia, la solidarietà e la laboriosità. Ha un rapporto malato con le sorelle Ida e Maria e vuole riformare idealmente quel "nido" familiare che i lutti avevano distrutto negli anni dell'infanzia. La chiusura nel nido familiare e l'attaccamento morboso alle sorelle rivelano la fragilità psicologica del poeta che, con atteggiamento infantile, cercava nel nido familiare la protezione da un mondo esterno che gli appariva minaccioso e pieno di pericoli. Vive una forte INQUIETUDINE a causa di vari avvenimenti che lo portano ad avere paura della realtà esterna, paura di una incombente catastrofe e della morte. Si pone IN CONFLITTO CON IL PRESENTE, il mondo gli appare frantumato. In Pascoli si riflette la crisi del Positivismo, poiché la sua visione è caratterizzata da una profonda sfiducia nei confronti della scienza come strumento di interpretazione della realtà. La sua attenzione viene rivolta sempre più verso l'ignoto, il mistero, l'inconoscibile. Si attacca alle PICCOLE COSE che si caricano di valenze allusive e simboliche e nascondono messaggi, esprimendo a pieno la sua inquietudine. La sua POESIA dunque presenta oggetti caricati di una VALENZA SIMBOLICA molto forte. Da questa sua visione del mondo scaturisce con perfetta coerenza la poetica pascoliana, che trova la sua formazione più compiuta nel saggio "Il fanciullino". Pascoli regredisce nell'INFANZIA, dove non c'è violenza e può sognare e trasformare le cose; è un momento in cui può fuggire dalla razionalità. Si cala all'interno di un fanciullino che vede e sente le cose come Adamo, ovvero come colui che vede le cose per la prima volta, senza essere ancora stato contaminato da pregiudizi, non ha esperienza. Vede la realtà in modo intuitivo ed irrazionale e questo suo atteggiamento gli permette di COGLIERE L'ESSENZA PIU' INTIMA E SEGRETA DELLE COSE; nulla è più consequenziale, razionale, non ci sono legami logici. La POESIA, infatti, consente la conoscenza di una REALTA' IMMAGINOSA. Il poeta è colui che riesce a dar voce al fanciullino che è dentro di sé. → Pascoli non parla di poeta veggente ma proprio di POETA FANCIULLINO. A differenza di D'Annunzio, Pascoli arriva al decadentismo da solo, in un modo più personale; il suo decadentismo è più intimo, istintivo, chiuso alle istanze europee. Si condanna da solo alla solitudine, rifugiandosi nel mondo della campagna (nella natura), nell'eden, nel NIDO dove trova pace, serenità e rassicurazione a tutte le inquietudini della società e l'incombere di un dramma. Fa una distinzione tra nido familiare e nido nazionale: ❖ NIDO FAMILIARE rappresenta una dimensione piccola, intesa nei rapporti ambigui stretti che si ha con la famiglia. ❖ NIDO NAZIONALE → è una dimensione più estesa che dà protezione, sicurezza al lavoro, non fa allontanare l'uomo dalla propria patria. Pascoli riconosce LA SUA VITA COME LA SOSTANZA PRIMA DELLA SUA POESIA, in quanto la sua vita influenzò notevolmente la sua poetica. Pascoli inoltre ritiene che la poesia debba essere "pura", spontanea e disinteressata, estranea a finalità pratiche, etiche o ideologiche, ma è anche convinto che essa induca naturalmente alla bontà, all'amore e alla fratellanza, placando gli impulsi violenti dell'uomo. STILE E LINGUAGGIO L'ideale dell'armonia sociale e il rifiuto della lotta tra le classi si traduce, sul versante dello stile, nella scelta di abbandonare il principio classicista secondo cui la poesia può trattare solamente argomenti elevati per mezzo di un linguaggio aulico. Pascoli mescola semplicemente tra loro codici linguistici diversi, abolendo così la "lotta" fra le classi di parole. Inoltre, utilizza una nomenclatura precisa per dare un risvolto simbolico ad ogni oggetto. La MUSICALITÀ è un aspetto importante della sua lirica; riesce a cogliere il significato più profondo che c'è dietro la natura. Essa viene data da onomatopee, anafore e allitterazioni. Lo STILE IMPRESSIONISTICO mette in risalto le percezioni sensoriali. I componimenti sono brevi. Dal punto di vista della metrica, la metrica pascoliana è apparentemente tradizionale: impiega i versi e le strofe più usuali della poesia italiana, ma appaiono frantumati al loro interno a causa dell'uso frequente delle pause segnate dalla punteggiatura e degli enjambements. Il poeta conduce anche una sperimentazione sul piano ritmico, non c'è il ritmo petrarchesco o quello di Foscolo. A livello delle figure retoriche, Pascoli usa un linguaggio analogico e la sinestesia. Un critico letterario, Gianfranco Contini, identifica TRE TIPI DI LINGUAGGIO → ➤ Il linguaggio grammaticale è quello della nonna, che viene utilizzato normalmente. ➤ Il linguaggio pre-grammaticale è quello delle onomatopee (fatto di suoni e musicalità); nella poesia di Pascoli rientrano con precisione il mondo della botanica, il mondo animale e lo studio degli uccelli, l'ornitologia. ➤ Il linguaggio post-grammaticale è il linguaggio tecnico italo-americano. Questi tre linguaggi spesso sono fusi tra di loro. LE TEMATICHE I temi più ripresi da Pascoli sono senza dubbio il nido, la natura, l'infanzia, la morte, l'inquietudine e l'ingiustizia. La natura appare al poeta come una presenza confortatrice di fronte al male della realtà, ma rimanda anche immagini angoscianti di morte e si configura come un universo minaccioso. Nella produzione di Pascoli troviamo liriche popolate da ELEMENTI NATURALISTICI: ❖ GLI UCCELLI DELL'ARIA, ai quali si collega l'immagine del nido familiare e simboleggiano l'evasione dalla realtà, dominata dal male, verso una condizione di felicità. Nelle tradizioni contadine è affidata a questi esseri le previsioni sulla vita e sulla morte. Per Pascoli gli uccelli sono INTERMEDIARI fra l'uomo e il mistero che lo circonda. ◆ I FIORI DEI CAMPI: sono legati al tema della morte o diventano il simbolo di una vita chiusa, senza rapporto con il mondo esterno, dal quale possono giungere solo violenza e morte. Pascoli tratta, però, anche il TEMA DELL'EMIGRAZIONE (uno degli eventi di quegli anni) che considera una violazione del nido; tale tematica è trattata da Pascoli nel poemetto ITALY (poemetto in cui, per la prima volta, una parola inglese costituisce il titolo di un testo della letteratura italiana). Pascoli crede che per risolvere il problema dell'emigrazione sia necessaria la GUERRA. Nell'opera "La grande proletaria si è mossa" si discutono i VANTAGGI DELLA GUERRA → → Secondo Pascoli, la guerra avrebbe eliminato l'ideologia della lotta di classe, in quanto si combatte tutti uniti per un ideale, e avrebbe determinato il sentimento di identità nazionale che mancava all'epoca. → L'impresa libica era necessaria. Se l'Italia conquistava la Libia, essa diventava un'altra patria del cittadino italiano, il quale non si sentiva più straniero in una terra straniera perché si andava a creare un altro nido nazione, risolvendo così il problema dello sradicamento del proprio nido. MYRICAE Myricae fu la sua PRIMA E VERA RACCOLTA POETICA. Il nome del titolo deriva dal latino ed indica le TAMERICI, ovvero piccoli arbusti sempreverdi che sottolineano il tono della poesia, la quale è umile, profonda, simbolica, ed è legata alle piccole cose. Si tratta di componimenti molto brevi che apparentemente sembrano QUADRETTI DI VITA CAMPESTRE, però i particolari su cui il poeta fissa la sua attenzione non sono dati oggettivi descritti in modo realistico, ma segnali che si caricano di sensi misteriosi. Nelle sue poesie descrive ogni cosa che ha a che fare con il mondo contadino per questo motivo potrebbe assomigliare ad un'opera verista. MA in realtà c'è un rapporto soggettivo, poiché il poeta parla di un'esperienza personale con ciò che si vede. Pascoli decide di descrivere quadretti di vita campestre poiché egli nella campagna ci trova rassicurazione e lo aiuta a fuggire dal tormento, dall'inquietudine e dal disagio dell'esistenza. In quest'opera emergono motivi georgici, ovvero richiama le Georgiche di Virgilio. Già a partire da Myricae, Pascoli affronta il dolore causato dalla tragedia familiare. TEMPORALE (1894) (da Myricae) E' un componimento pubblicato nella terza edizione di "Myricae". È una BALLATA MINIMA di settenari, con schema A BCBCCA. Si compone di 7 versi settenari, in cui il primo è isolato. A prima vista è un QUADRETTO IMPRESSIONISTICO, tracciato mediante una serie di rapide sensazioni uditive e visive. La sensazione di apertura è fonica: il brontolio lontano del tuono (allude all'inizio di un temporale). Il termine onomatopeico "bubbolio" non viene impiegato dall'autore allo scopo di riprodurre la realtà in modo oggettivo, ma si carica di valore evocativo e suggestivo. II SUONO DELLA PAROLA, infatti, assume una VALENZA SIMBOLICA e sembra alludere a qualcosa di vagamente minaccioso, inquietante. Segue poi una serie di sensazioni visive, che si impongono come intense pennellate di colore, creano anche qui UN'ATMOSFERA INQUIETANTE, assumono una valenza allusiva ed evocano qualcosa di cupo, minaccioso e angoscioso. Sullo sfondo nero del temporale spicca la NOTA BIANCA DEL "CASOLARE" a cui viene accostata l'immagine dell' “ala di gabbiano"; è un perfetto esempio di linguaggio analogico (accosta due oggetti che apparentemente non hanno nulla in comune tra loro). Pascoli usa un linguaggio allusivo e analogico ed annulla tutti i legami logico-sintattici, accrescendo il valore suggestivo della parola. La nota di bianco del casolare possiede un valore simbolico: il colore bianco allude alla speranza, ad un riscatto. Il nero che invade l'atmosfera e il rosso dei lampi evocano invece oscure angosce (i colori vengono messi in risalto). L'immagine dell'ala del gabbiano può essere vista come una metafora di una liberazione da affanni e sofferenze della vita. Temporale è un componimento breve → nella poesia diventa essenziale ciò che si scrive; la punteggiatura dunque è fitta e marcata. NOVEMBRE (1891) (da Myricae) La poesia, in un primo momento, venne pubblicata sulla rivista "Vita Nuova"; in un secondo momento, essa venne inclusa nella prima edizione di Myricae. In apertura si ha UN QUADRETTO DI NATURA, colto attraverso alcune sensazioni visive ed olfattive. Ma in realtà questo paesaggio si colloca in un'altra dimensione: la realtà è diversa dall'apparenza, E' TUTTO UN'IMPRESSIONE. Il poeta pone l'accento sull'inganno delle apparenze e sull'inganno della natura → a novembre il clima sembra primavera, ma è solo un'illusione; si ha l'impressione che sia tornata l'estate, ma è tutto frutto dell'immaginazione (si conferma così subito come la poesia di Pascoli non si fermi mai al dato oggettivo, ma rimandi sempre a un mistero che si cela dietro la realtà visibile). Il poeta rappresenta un particolare periodo dell'anno, l'estate di San Martino, i giorni vicino al 11 novembre (data in cui si celebra San Martino). È una lirica di 3 ENDECASILLABI e 1 QUINARIO a rima alternata. La lirica può essere divisa in 3 QUADRETTI, in cui ogni strofa coincide con un quadro → 1) Nella prima strofa viene rappresentata l'immagine di una primavera illusoria, in cui sono la luce, la vita, il colore e il calore a dominare. Le parole qui ripropongono quel senso di luminosità e di chiarezza e conferiscono un'atmosfera del tutto serena e pura. 2) Nella seconda strofa all'illusoria primavera subentra la stagione autunnale. Anche questo quadro di natura NON è realistico; il poeta rende l'idea di ciò ponendo all'inizio della strofa un "ma" → un'avversativa rivela l'inganno della natura. Dietro il paesaggio si avverte la costante presenza della morte: alla morte alludono i rami neri ed il cielo privo di uccelli, il terreno sterile; ma anche il silenzio e il rumore delle foglie secche che cadono. Si ha un capovolgimento delle immagini iniziali. 3) Nel terzo quadro si ha un'accentuazione delle sensazioni di morte. La sinestesia "cader fragile" allude all'incertezza della vita, mentre l'ossimoro "estate fredda" accentua le immagini di morte. Il termine "fredda" è in opposizione simmetrica con "gemmea" all'inizio della prima strofa; con questi due termini il poeta vuole ribadire l'opposizione tra la vita e la morte. I POEMETTI Un'altra IMPORTANTE RACCOLTA POETICA sono / Poemetti, divisi in Primi poemetti e Nuovi poemetti. Si tratta di componimenti più lunghi, i quali presentano un taglio narrativo, divenendo spesso dei veri e propri racconti in versi. Cambia la struttura metrica: ai versi brevi subentrano le terzine dantesche, raggruppate in capitoli di varia estensione. Anche qui l'ambiente della campagna assume rilievo dominante, in quanto essa appare al poeta come un rifugio rassicurante, in contrapposizione alla realtà contemporanea. Il mondo rurale pascoliano viene però idealizzato, a differenza del verismo, ignora gli aspetti più crudi della realtà popolare, come la miseria o il bisogno. Il poeta si sofferma sugli aspetti più quotidiani, umili di quel mondo. Al di fuori di questo ciclo sulla vita di campagna si collocano numerosi poemetti che presentano temi più torbidi, densi di significati simbolici. Un esempio è Italy. ITALY (1904) (dai Primi Poemetti) È un poemetto molto lungo, diviso in due canti. Pascoli affronta un tema sociale, L'EMIGRAZIONE, descrivendo il ritorno temporaneo di una famiglia di emigranti al paese natale. Erano stati costretti ad abbandonare il loro "nido" per cercare lavoro in paesi stranieri, come conseguenza alla povertà. Due fratelli emigranti, Ghita e Beppe, tornano dall'America al loro paese natale, l'Italia, con la piccola Maria, detta Molly, figlia di un altro fratello e malata; ad accoglierli è la nonna. Molly, bambina nata in terra straniera, in un primo tempo detesta l'Italia, MA poi instaura un profondo legame affettivo con la nonna, che alla fine muore, mentre Molly guarisce. Al centro del componimento si colloca sempre il mondo contadino, non si offre un mondo idealizzato, semplice ed umile, MA vengono esaltati la miseria e lo squallore. L'interesse del poeta poi si concentra sulla dura realtà dell'emigrazione: ne emergono lo smarrimento di trovarsi in un paese straniero, la difficoltà di impararsi una lingua straniera, la fatica di guadagnarsi da vivere; ma soprattutto il sogno degli emigranti di allontanarsi dall'America e tornare in Italia per riprendersi il pezzo di patria che avevano perduto. Nel poemetto inoltre SI SCONTRANO DUE GENERAZIONI, mondi diversi: il mondo moderno e industriale della nuova patria (l'America) rappresentato dai giovani, e il mondo arcaico della campagna lucchese rappresentato dalla nonna. Tra i due mondi si crea INCOMUNICABILITA', la quale viene sottolineata dall'incastro delle battute inglese della bambina con quelle della nonna. Allo stesso tempo IL MONDO CONTADINO VIENE ESALTATO, soprattutto con la trasformazione della piccola Molly: all'inizio rifiuta la realtà contadina, ma poi esce guarita da quel soggiorno, accetta questa realtà e si inserisce in questo mondo. Pascoli abbandona il gioco simbolico delle immagini e usa il taglio narrativo su cui viene posta un'attenzione più realistica alla vita sociale. Il poemetto presenta anche un originale esperimento linguistico → usa una sorta di impasto linguistico, allontanandosi dal monolinguismo tradizionale. Riproduce fedelmente il gergo italo-americano, trasmettendo in modo efficace non solo la dolorosa perdita di identità culturale avvertita dagli emigranti, che non sanno più usare la loro lingua d'origine, ma anche la nostalgia della patria che gli emigrati italiani si portano dentro. A livello metrico, utilizza la TERZINA DANTESCA facendo rimare parole italiane con parole straniere. I CANTI DI CASTELVECCHIO I Canti di Castelvecchio sono considerati una CONTINUAZIONE di "Myricae". Anche qui ritornano le immagini della vita di campagna, e ricompare una misura più breve, lirica, anziché narrativa. Ricorre nuovamente il motivo della tragedia familiare e dei cari morti. Inoltre il nuovo paesaggio di Castelvecchio viene spesso accostato a quello della Romagna, dove il poeta aveva trascorso la sua infanzia, quasi ad istituire un legame tra il nuovo "nido" costruito dal poeta e quello spazzato via dai numerosi lutti. Non mancano infine anche in questa raccolta i temi più morbosi ed inquieti. IL GELSOMINO NOTTURNO (1901) (dai canti di Castelvecchio) La poesia è un EPITALAMIO, un componimento in lode scritto per le nozze di un suo amico. A una prima lettura la poesia appare costituita da una serie di sensazioni impressionistiche che hanno lo scopo di creare un'atmosfera notturna. Il componimento evoca in termini simbolici e allusivi la prima notte di nozze del suo amico, nella quale aveva concepito un figlio. In questa prospettiva assume significato l'immagine fondamentale del GELSOMINO, un fiore che si schiude al calar della sera per il processo di fecondazione. Il gelsomino notturno, infatti, è SIMBOLO DELL'INIZIO DI UNA NUOVA VITA. Pascoli avverte una forte attrazione nei confronti del rito amoroso, MA al tempo stesso ne è turbato, poiché concepisce il rapporto sessuale come violenza inferta alla carne. Il componimento dunque NON rappresenta un inno gioioso alla fecondazione, ma esprime piuttosto il rimpianto di chi si sente escluso dall'esperienza sessuale. Il punto di osservazione infatti si colloca all'esterno della casa in cui avviene il rapporto amoroso. Il poeta vuole celebrare la fecondazione, ma sa che non può personalmente avere il suo "nido", non può essere il sereno e appagato padre di famiglia, poiché la tragedia familiare lo porta a regredire nella condizione psicologica infantile, impedendogli di uscire. Infatti, invece di instaurare un legame adulto col mondo esterno (e in primo luogo con una donna), egli stringe un LEGAME OSCURO ED OSSESSIVO CON I MORTI e si rinchiude nella sua solitudine; Pascoli vede l'uscire, il legarsi ad una donna come un tradimento a qualcosa di così sacro ed inviolabile come il nido. La sintassi è elementare, semplice → usa i VERSI NOVENARI, e sono presenti rime, un gioco di accenti nella prima parte e una sinestesia nel verso 10 "l'odore di fragole rosse". Il primo Novecento →→ Agli inizi del 900', a causa del processo di trasformazione che caratterizza il bisogno di rinnovamento artistico-culturale, mutano la poesia e la prosa, riprendendo spunti già anticipati dal Decadentismo. La lirica tende ad abbandonare gli schemi più rigi e rigorosi, basati sulla metrica e sulla rima, per avvalersi del verso libero. La prosa tende a farsi soggettiva e predilige misure brevi. A distruggerne completamente le forme sarà il Futurismo. LE AVANGUARDIE STORICHE Il termine <<avanguardia» è tratto dal linguaggio militare e indica una colonna di soldati, solitamente esploratori che vanno avanti per preparare la strada all'esercito. Nel campo della letteratura si indicano con il nome di avanguardia quei gruppi di intellettuali, che si pongono polemicamente e provocatoriamente in contrasto con la tradizione e con la società del loro tempo, rifiutano in gruppo i modelli del passato e adottano linguaggi assolutamente nuovi e rivoluzionari, compiacendosi di stupire e di scandalizzare il pubblico. Di solito gli intellettuali d'avanguardia non operano individualmente, ma costituiscono dei gruppi che, pur essendo talora agitati al loro interno da vivaci polemiche, si muovono lungo linee comuni. Le avanguardie mirano a un rinnovamento totale della società, in questo senso l'avanguardia presenta un evidente carattere militante. Lo strumento principale attraverso i quali i movimenti d'avanguardia enunciano il loro programma è il "MANIFESTO" che contiene in forma esaltata e volutamente PROVOCATORIA i principi ai quali il gruppo si ispira. I manifesti dei movimenti d'avanguardia non si limitano a fornire i precetti della nuova poetica, ma sono essi stessi dei testi letterari nei quali viene spesso speri entato un linguaggio nuovo, solitamente declamatorio e agitato, ricco di affermazioni forti che richiamano gli slogan pubblicitari. Tra i temi principali troviamo la guerra, il giornalismo, la critica alla donna (la quale non aveva riconoscimento) Tra i movimenti d'avanguardia del primo Novecento, oltre al Futurismo, ricordiamo: ➤ IL CUBISMO: sorto a Parigi, investì esclusivamente il campo della pittura e costituì il punto di partenza di tutta l'arte moderna. ➤ L’ESPRESSIONISMO: movimento artistico letterario nato in Germania che operò per far emergere le contraddizioni e l'angoscia. ➤IL DADAISMO: movimento, sorto a Zurigo, che sia nell'arte sia nella letteratura rifiutava ogni forma di razionalità per affermare in modo provocatorio il non-senso, il gioco, la combinazione casuale delle parole. ➤ IL SURREALISMO: movimento artistico e culturale sorto in Francia negli anni venti, che sosteneva l'abolizione di ogni espressione razionale e l'utilizzo della psicoanalisi allo scopo di liberare l'inconscio e di giungere cosí a un linguaggio capace di dar voce a sogni, visioni, fantasie, allucinazioni. IL FUTURISMO Il Futurismo fa parte delle cosiddette avanguardie storiche che nel primo Novecento si svilupparono nelle più importanti città europee come Parigi, Berlino, Zurigo, Mosca, Milano... Nasce ufficialmente a Parigi il 20 febbraio 1909, quando Tommaso Marinetti pubblicò sul giornale «Le Figaro», il PRIMO MANIFESTO FUTURISTA che contiene i fondamenti del movimento. A questo ne seguiranno, negli anni successivi, molti altri (circa cinquanta in tutto) che investono i più svariati settori: dall'arte alla moda, dalla letteratura alla cucina, dalla politica al cinema. Il Futurismo vuole presentarsi infatti come ARTE TOTALE, cioè come un progetto che coinvolge tutti gli aspetti della vita e della cultura. Altro fondamentale principio a cui il movimento si ispira è la MODERNITÀ. Infatti, come suggerisce il nome stesso, si propone di operare un rinnovamento totale all'insegna dell'industrializzazione, della macchina, della velocità, del dinamismo in antitesi con ogni forma di tradizionalismo. La totale ADESIONE AL NUOVO implica altri due aspetti: il netto rifiuto della tradizione e l'esaltazione della violenza, della guerra, del militarismo. Nel Manifesto posizioni innovatrici e moderne convivono con la celebrazione di valori tradizionali (patriottismo, nazionalismo) e con un pericoloso culto della violenza questi atteggiamenti possono spiegare l'avvicinamento al fascismo di alcuni esponenti del Futurismo, fra cui lo stesso Marinetti che nel 1929 fu chiamato da Mussolini a far parte dell'Accademia d'Italia. Oltre che per mezzo dei Manifesti, i Futuristi propagandavano le loro idee anche durante le famose "serate futuriste" nel corso delle quali venivano in modo provocatorio recitate opere letterarie, eseguite musiche e rappresentati testi teatrali futuristi. L'intenzione dei futuristi era evidentemente quella di sorprendere e scandalizzare il pubblico che reagiva a sua volta in modo violento alle provocazioni degli autori. La caratteristica era l'eccezionale brevità: duravano infatti solo pochi minuti e per questo erano chiamati SINTESI. Nel campo della letteratura il Futurismo si oppose alla tradizione letteraria italiana ispirata a un ideale di ordine, armonia ed eleganza e incarnato dalle famose <<tre corone>>: Carducci, Pascoli, D'Annunzio. Il Futurismo, che ha avuto i suoi centri principali a Milano, Roma e Firenze, si è sviluppato in un arco di tempo abbastanza lungo che va dal 1909 al 1944, anno della morte di Marinetti. Si possono distinguere due momenti: una prima fase «eroica» che giunge fino alle soglie della prima guerra mondiale, e una seconda contrassegnata da importanti iniziative, soprattutto nell'ambito delle arti figurative. Sul piano letterario ha svolto una funzione di rottura nei confronti della tradizione accademica e ha aperto la via al rinnovamento della poesia novecentesca. Ma, se si escludono i Manifesti, non ha lasciato opere significative. Non bisogna infine dimenticare che il Futurismo ha inciso notevolmente su poeti come Ungaretti, che lo hanno «<attraversato» per poi muoversi in altre e più personali direzioni. Nel Manifesto tecnico della letteratura futurista infatti Marinetti proclama → la distruzione della sintassi: viene vista come una gabbia che impedisce la piena adesione della letteratura alla realtà. l'abolizione dell'aggettivo e dell'avverbio, visti come inutili ornamenti che limitano la visione dinamica del mondo propria del Futurismo. ➤ l'uso del verbo all'infinito che dà il senso della continuità della vita. ➤ l'abolizione della punteggiatura, la quale viene sostituita da segni matematici per accentuare certi movimenti e indicare la loro direzione, mentre la pagina è vivacizzata da spazi bianchi, linee, cerchi, caratteri tipografici diversi disposti con massima libertà e originalità. ➤ l'uso delle parole in libertà e dell'immaginazione senza fili. Le parole devono essere collocate a caso sulla pagina, cosí come nascono nella mente dello scrittore; inoltre lo scrittore accosta le immagini piú diverse, non vincolate da alcun filo logico in modo da creare effetti sorprendenti. Vengono cosí realizzate le tavole parolibere, testi nei quali si mescolano parole, disegni, colori, caratteri tipografici differenti in modo da riprodurre la coesistenza delle sensazioni, la vitalità e il dinamismo della materia. La lirica del primo Novecento in Italia La lirica del primo Novecento esprime una profonda esigenza di rinnovamento, in seguito alla crisi della cultura positivistica e l'esaurirsi delle forme della letteratura tradizionale. Pur ispirandosi alle soluzioni del Decadentismo, risente della nuova concezione di "poesia pura", che pone in primo piano la soggettività del poeta e la condizione dell'uomo contemporaneo nel difficile rapporto con la realtà che lo circonda. Anche le rime e le forme chiuse della metrica tradizionale vengono contestate oppure abbandonate del tutto a favore del verso libero. Queste caratteristiche accomunano tendenze e personalità assai diverse per altri aspetti: i poeti "crepuscolari" e i "vociani". POESIA CREPUSCOLARE La definizione di POESIA CREPUSCOLARE risale al critico Giuseppe Antonio Borghese, il quale fece una recensione (1909) sul quotidiano "La Stampa". Fu il primo a parlare di "gloriosa poesia che si spegne". Questa poesia rappresenta il crepuscolo, il tramonto della più alta tradizione lirica, ancora incarnata tra l'Otto e Novecento da Carducci, D'Annunzio e Pascoli. La poesia crepuscolare si caratterizza per le atmosfere malinconiche, più grigie delle liriche e per il forte attaccamento per amore alle piccole cose, considerate le uniche che ci danno certezza rispetto a ciò che ci circonda. Si sottolineano l'incapacità dell'uomo di amare e la noia esistenziale. I poeti si allontanano dai toni eroici e riprendono aspetti quotidiani della realtà che fino a quel momento la poesia aveva rifiutato. La poesia NON ha più messaggi eccezionali da proporre, ma si presenta come esperienza minore. Inter eta la crisi dei valori poetici nel mondo borghese. Il linguaggio è ripetitivo e semplice, vicino al parlato. Uno dei poeti crepuscolari più noti è Gozzano. GUIDO GOZZANO (1883 - 1916) Trascorre la sua vita a Torino, in cui comincia il suo studio della poesia. La letteratura italiana è il suo principale interesse; frequenta circoli letterari europei in modo da ampliare i suoi orizzonti e partecipare a esperienze internazionali del decadentismo europeo. Va in India per sperare di migliorare il suo stato di salute → "viaggio per fuggire da un altro viaggio". Muore molto giovane a causa della tubercolosi. Guido Gozzano occupa un posto singolare tra i crepuscolari → ciò che lo rende unico è la sua capacità di riuscire a svelare aspetti umani del mondo borghese e di cogliere l'umanità intatta. Attraverso un'ironia amara e dolente il poeta descrive la realtà del mondo medio, del piccolo borghese. L'autore ricopre con ironia la presenza dolorosa della morte. E' consapevole del proprio male e del desiderio di vivere. Trova ispirazione nelle piccole cose, nelle buone cose di cattivo gusto della vita provinciale e dell'infanzia serena, pensata come un rifugio di pace. Nella poesia gozzaniana abbiamo un rovesciamento della tematica dannunziana: tutto ciò che è sublime e superumano in D'Annunzio, si trasforma in umile, modesto e umano. Alla vita inimitabile di D'Annunzio contrappone la mediocrità della vita provinciale. La poesia appare come un gioco, diviene unica e vera consolazione del poeta. Gozzano apre la strada a una nuova visione della poesia dichiara l'incertezza della poesia stessa. Il poeta è disilluso di ogni cosa: è sentimentalmente esaurito, ironicamente perplesso di fronte alla mutabilità della vita. Il linguaggio poetico gioca su una serie di rami: cadute, ripetizioni, riprese, discorsi colloquiali, verso spezzato da frequenti enjambements e punti di sospensione usati ai limiti delle loro possibilità espressive. La sua raccolta più importante è "Colloqui", in cui l'autobiografia si mescola alla letteratura. Presenta un forte senso di straniamento, forte sentimento di angoscia verso la morte, motivo della malattia, l'impossibilità di sfuggire alla negatività del presente. LA SIGNORINA FELICITA OVVERO LA FELICITÀ, dai Colloqui (1911) E' un poemetto che fa parte della seconda sezione dei Colloqui, intitolata Alle soglie. Gozzano canta le umili cose del buon tempo antico e i beni a lui negati con IRONIA e RIMPIANTO STANCO. La signorina Felicita ovvero la felicità è una donna buona e sincera, con le sue vesti da contadina, di provincia, casalinga dai modi semplici; è di altri tempi → è di un mondo che in realtà non esiste più: è la personificazione della sincerità della vita di provincia e rappresenta l'unica possibilità di ritrovare i valori genuini e assaporare una vita autentica e felice. Il poeta ricorda la storia d'amore che è nata con lei, ma mai portata a termine. Ha il ricordo di alcuni momenti di serenità in un'estate trascorsa nel Canavese (in Villa Marena) in compagnia della signorina Felicita, con la quale era solito fare delle passeggiate. Questa vicenda prende avvio al crepuscolo del giorno di luglio in cui si festeggia Santa Felicita. I primi ricordi sono sfocati poi un po' più chiari e distinti, ma pur sempre sbiaditi. Lo spazio geografico è vasto e sconfinato, ritratto in un'atmosfera impalpabile, ricca di sapori di un mondo lontano. Villa Marena (la casa di Felicita) viene collocata in dimensione passata, trasmette un senso di nostalgia, di distacco. La casa è diventata una rovina; la sua descrizione ha una duplice finalità → serve a soffermarsi sul passato, abbandono, decadenza (caratteristica dei crepuscolari) e fa da sfondo per descrivere figure della personalità della donna di Felicita. L'autore è consapevole della irrealizzabilità del sogno di evadere, di vivere un'esistenza diversa. Il poeta è costretto a guardare la realtà con sorriso distaccato e ironico. L'autore adotta un LINGUAGGIO COLLOQUIALE dai toni più narrativi che lirici. I momenti di descrizione si alternano a quelli della parlata quotidiana, resi evidenti dal discorso diretto. La scena è movimentata → si ha un continuo uso di ripetizioni dello stesso termine a chiusura del verso o ad apertura di quello successivo. Sono presenti diversi enjambements e puntini di sospensione per spezzare il verso Le assonanze danno alla rima una musicalità inedita. L'ironia rende la rappresentazione quasi materiale, vera e non vera allo stesso tempo. I VOCIANI Sono scrittori che collaborano alla rivista fiorentina "LA VOCE". Non sono definiti in poetica, hanno personalità diverse tra di loro; ciò che li accomuna è il rifiuto per la tradizione accademica: c'è maggiore libertà del verso e dell'io, poesia pura. La loro poesia viene definita come "un'illuminazione della realtà interiore" (la poesia del frammento), in quanto la poesia affronta la realtà interiore, la soggettività, ricercando i valori spirituali e morali. L'uomo si sente estraneo nei confronti del mondo sconosciuto, per questo affronta dei colloqui interiori con la propria anima. C'è la volontà di un impegno civile e sociale, un'autonoma espressione dell'io. E' presente una contaminazione tra poesia e prosa; viene impiegato il verso libero. Gli scrittori più importanti furono Dino Campana, Camillo Sbarbaro, Clemente Rebora. PSICOANALISI E LETTERATURA Il XX secolo si apre con l'avvento della PSICOANALISI DI FREUD che pubblica "L'interpretazione dei sogni" (1899). La PSICOANALISI è una nuova disciplina per andare a scoprire l'inconscio e indagare le profondità più ignote dell'uomo che impediscono a volte di vivere serenamente. Con la sua nascita c'è una rivoluzione del romanzo del primo 1900. Le avanguardie storiche, i generi letterari, le poesie accolgono NUOVE TEMATICHE come il sogno, il doppio, l'apparenza e si ha una RINNOVAZIONE DEL LINGUAGGIO utilizzato nei testi, il quale comincia ad essere un riflesso della psiche. Con la psicoanalisi si va a scavare nella realtà interiore dell'animo umano, si va ad indagare su ciò che c'è oltre il visibile. I confini tra la realtà che si vive e l'apparenza diventano incerti, confusi da decifrare. I fenomeni esterni e l'oggettività delle cose non sono sufficienti in sé a rivelare realtà nascoste e mai conosciute. La psicoanalisi fa uscire fuori l'assurdo dell'esistenza. I personaggi sono una sorta di antieroe che vive con inadeguatezza la realtà. La società è caratterizzata da una CONTINUA LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA: si riprende la legge del più forte, il concetto di selezione naturale e la visione dell'uomo dominatore che non si fa domande, accetta tutto e poi è capace di integrarsi nella società. L'uomo più riflessivo che ha consapevolezza dei suoi pensieri si sente inadeguato rispetto alla società → si parla di vera e propria CRISI DELL'UOMO MODERNO, che con fatica non riesce ad adattarsi al mondo (Svevo e Pirandello riprendono questo aspetto). DIFFERENZE ROMANZO 1800 E 1900 → II ROMANZO DEL 1800 è caratterizzato da un'ipotesi iniziale di un'idea e poi l'autore dà senso all'ipotesi proposta. La realtà è oggettiva. Il romanzo è “orizzontale”: segue uno svolgimento di azione; gli eventi e gli oggetti acquistano un valore man mano che la vicenda avanza. → Nel ROMANZO DEL 1900 lo scrittore si lascia colpire da oggetti e avvenimenti che non sono necessari per lo sviluppo di una vicenda; ci sono fatti insignificanti e apparizioni improvvise che in un primo momento potrebbero significare nulla, ma che in realtà nascondono qualcosa di più profondo. Sono dette EPIFANIE, ma vengono chiamate da James Joyce le intermittenze del cuore. Sono come atti mancati, hanno un significato profondo e sono piccoli e innocui errori in cui incorriamo ogni giorno. Si ha una trama verticale, non lineare: la realtà non è oggettiva, ma si presenta una realtà seconda che deve essere indagata. Diventa più importante il particolare del generale e rivelare la realtà più profonda diventa il tema del romanzo. Si comincia a parlare di ROMANZO PSICOANALITICO: si tratta di un romanzo non naturalistico, in cui prevale la dimensione psicologica ed emerge la realtà dell'inconscio. Lo scrittore fa un'analisi dei segreti più inconfessabili della coscienza umana servendosi della psicoanalisi. Ci sono nuove forme e tecniche narrative ed espressive usate dagli scrittori, tra cui: ➤ LA DISSOLUZIONE DEL TEMPO LINEARE → non c'è un prima o un dopo; il tempo è interiore ed è gestito dal ricordo. ➤ IL FLUSSO DI COSCIENZA → non c'è una ricostruzione ordinaria degli eventi; essi non sono organizzati in base a rapporti logici e sintattici, ma secondo un RITMO PSICHICO. Tutto è regolato da un MONOLOGO INTERIORE. ITALO SVEVO (1861-1928) Aron Hector Schmitz nasce a Trieste da una famiglia borghese di origine ebraiche. È meglio conosciuto con il suo pseudonimo letterario Italo Svevo, che scelse poiché Trieste era una città dove convivevano civiltà italiana, tedesca e slava che consentivano una mescolanza di popoli e culture differenti. Non è un letterato di professione; si genera un'alternanza tra scrittore e dirigente d'azienda. Non ha una formazione classica, ma fa un percorso di studi letterari, scientifici, filosofici, umanistici; ciò gli permette di approfondire tutte le discipline nei suoi romanzi. Inoltre Svevo è molto aperto in ambito europeo e questa sua apertura lo rende più disponibile ad accogliere tutte le novità che provengono dall'europa. Il poeta ha due anime: un'anima italiana ed una tedesca → egli si sente poco legato però alla cultura italiana conservatrice poiché era lenta ad accogliere le istanze esterne straniere. Infatti, predilige la cultura tedesca (studia letterari tedeschi come Goethe, Schiller, Heine). DUE EVENTI FONDAMENTALI per la formazione intellettuale di Svevo sono la solida amicizia che Svevo instaura con James Joyce e la terapia che segue con Freud, dal quale scopre le teorie psicoanalitiche e decide di approfondirne la conoscenza poiché credeva di poterne trarre ottimi spunti per la scrittura. Ma Svevo non apprezza la psicoanalisi come terapia, bensì come strumento conoscitivo e come strumento narrativo. Sul piano letterario gli autori che hanno maggior peso nella formazione di Svevo sono i grandi romanzieri realisti francesi dell'800 come Flaubert. Da Madame Bovary di Flaubert prende la maniera impietosa di rappresentare la miseria della coscienza piccolo borghese. Un'importanza fondamentale per Svevo ha inoltre la coscienza dei romanzieri naturalisti e in particolare di Zola o dei grandi umoristi inglesi come Dickens, soprattutto nell'elaborazione dell'umorismo della Coscienza di Zeno. I maestri di pensiero che lo influenzano sono → Schopenhauer (fin dagli anni giovanili ebbe un peso determinante nella sua formazione il pensiero a sfondo irrazionalistico del filosofo, il quale mostrava un atteggiamento di pessimismo radicale, indicando come unico rimedio al dolore e all'infelicità umana la contemplazione e la rinuncia alla volontà di vivere), Nietzsche (da cui trasse l'idea del soggetto come pluralità di stati in continua trasformazione) e Darwin (da cui riprese la teoria evoluzionistica, fondata sulle nozioni di "selezione naturale" e di "lotta per la vita", che lo indusse a considerare il comportamento umano come prodotto di leggi naturali immodificabili, non dipendenti dalla volontà; egli, però, seppe anche cogliere come quei comportamenti avessero le loro radici nei rapporti sociali, e fossero quindi non prodotto di natura, ma storico. In tal modo arrivava a mettere in luce la responsabilità individuale dell'agire). Subisce anche l'influenza del pensiero socialista marxista, dal quale trae la chiara percezione dei conflitti di classe nella società moderna e la consapevolezza di come tutti i fenomeni siano condizionati dalla realtà sociale, ma soprattutto la coscienza del borghese tra la fine dell'800 e l'inizio del '900. Nei suoi romanzi infatti si concentra sull'analisi della coscienza borghese. Svevo fa una CRITICA AL SOCIALISMO e ai meccanismi economici e sociali della civiltà europea moderna nel racconto "La Tribù" (1897). Questo racconto esce nella rivista socialista "Critica sociale" e descrive l'esperienza del socialismo fatta da una tribù nomade per organizzare la società. II SOCIALISMO come soluzione sociale appare a Svevo una corruzione utopica; è L'ESPRESSIONE DELL'INTERESSE INDIVIDUALE del protagonista. Svevo si interessa dell'interiorità dell'uomo, ma non trascura da tutto ciò che è esterno all'uomo: le condizioni della società, l'appartenenza di classe; infatti, i personaggi di Svevo sono sempre configurati socialmente. Svevo insieme a Pirandello sono gli interpreti della crisi della coscienza dell'uomo moderno. L'uomo viene definito da Svevo INETTO per la sua incapacità di vivere; è inadatto alla vita, insufficiente, inadeguato, inopportuno, alla fine è inevitabile il suicidio. L'uomo non sa cogliere e godere dei momenti che la vita gli offre. È vittima di sé stesso ed è sempre in una continua sconfitta; è intrappolato in una palude della sua interiorità che gli impedisce di vivere. Questa è una CONDIZIONE UNIVERSALE, non individuale. Inoltre, l'uomo inetto è dominato da riflessioni e viene definito "contemplatore": riflettendo si blocca nell'azione e non riesce ad affermarsi nella società. L'uomo deve combattere con l'inconscio, il quale è incontrollabile. Rifiuta i canoni imposti dalla società poiché è consapevole della sua vita e non vuole sottostare ed essere ingabbiato dalle forme imposte dalla società. Per questo motivo viene emarginato e si pone con fatica in rapporto con il mondo. Gli INETTI di Svevo sono I VINTI DELLA VITA, ma a differenza dei vinti di Verga (che erano sconfitti dal progresso e da forze esterne nel loro tentativo di integrarsi nella società e di migliorare le loro condizioni), essi sono vinti da qualcosa che è dentro di loro, sono incapaci di tradurre la loro volontà in atti pratici e si sentono estranei alla lotta per la vita. Sono antieroi. Nella società c'è una contrapposizione tra combattenti e vittime: i protagonisti sono gli inadeguati, mentre gli antagonisti sono i "vincenti", in quanto si integrano perfettamente nella società. Questa visione viene ribaltata nell'opera "Una Vita". Il filo conduttore di tutti i romanzi di Svevo è proprio IL TEMA DELL'INETTITUDINE, dell'incapacità di vivere questo tema si sviluppa fino ad arrivare nella "Coscienza di Zeno" ad una condizione universale dell'inettitudine: la VITA stessa viene percepita come una vera MALATTIA; l'uomo trova RIFUGIO nel SOGNO (suggerimento dato da Freud). L'inetto viene rivalutato e si ha un'evoluzione all'interno dei personaggi. Svevo, per indagare l'animo umano, utilizza L'UMORISMO. Egli scrisse TRE ROMANZI che segnano il passaggio da romanzo del 1800 a romanzo del 1900: "Una Vita"; "Senilità" e "La coscienza di Zeno". Questa trilogia narrativa presenta gradualmente una TEMATICA AUTOBIOGRAFICA che esprime a pieno la CRISI DELL'UOMO MODERNO. C'è una forte attenzione agli ambienti inseriti all'interno dei romanzi e la descrizione attenta agli ambienti suggerisce un ROMANZO PSICOANALITICO. Gli anni tra il 1899 e il 1919 rappresentano un periodo di silenzio per l'autore. In seguito scriverà racconti e commedie e nel 1918 traduce "L'interpretazione dei sogni" di Freud. Alla fine della trilogia l'autore vuole rappresentare la condizione di inettitudine dell'uomo moderno. Nel 1928 scriverà "Il vecchione" che però non riesce a completare. Con questo voleva individuare la condizione dell'uomo più anziano nella società moderna. UNA VITA (1892) In "Una Vita", romanzo inizialmente intitolato "Un inetto", viene analizzata la società borghese di Trieste. Svevo in questo suo primo romanzo si sofferma sulla TEORIA EVOLUZIONISTICA di Darwin e mostra la difficoltà e l'incapacità dell'uomo di inserirsi nella società. Il protagonista è Alfonso Nitti, un giovane con ambizioni letterarie costretto, dopo la morte del padre, a lavorare come impiegato di banca. Egli tenta una SCALATA SOCIALE intrecciando una relazione con la figlia del proprio datore di lavoro ma, preso da un'inspiegabile paura, rinuncia al matrimonio e finisce per cercare la morte come unica via di scampo. Egli incarna la figura dell'INETTO, un individuo debole ed insicuro che non riesce ad adattarsi alla vita perché non è in grado di conciliare i suoi sentimenti e le personali aspirazioni con il mondo reale. Inizialmente c'è una visione negativa dell'inetto, ma poi viene rivalutato; alla fine il vero vincitore è l'inetto che non si adegua alla società. Con quest'opera ciò che Svevo vuole far capire è che chi si adatta al contesto e non riflette con la propria mente, intraprende la strada della morte. "Il vincitore di oggi è il perdente di domani". Le vicende sono narrate in terza persona, ma dal punto di vista rigorosamente soggettivo di Alfonso. Nella coscienza complessa del protagonista si intrecciano idee, fantasie e impulsi incomprensibili. Il narratore interviene spesso con i suoi commenti per correggere i falsi giudizi e smascherare gli autoinganni del protagonista e in questo modo si viene a creare un'alternanza di punti di vista opposti. L'opera "Senilità" (1898) presenta maggiori spunti autobiografici. Il titolo dell'opera allude alla precoce vecchiaia psicologica del protagonista, Emilio Brentani. C'è un'analisi dell'ambiente sociale che lascia spazio anche ai rapporti tra personaggi. LA COSCIENZA DI ZENO (1923) "La coscienza di Zeno" è il terzo romanzo della trilogia di Svevo che pubblicò solamente nel 1923, molti anni dopo Senilità. Questi anni erano stati cruciali per lo scrittore non solo per l'avvento della Prima guerra mondiale, ma anche densi di trasformazioni radicali nelle concezioni del mondo e nelle correnti letterarie e artistiche: si impongono nuove correnti filosofiche che superano definitivamente il Positivismo, nascono le avanguardie letterarie ed artistiche e si comincia a parlare di psicoanalisi con Sigmund Freud. Il romanzo risente inevitabilmente di questa diversa atmosfera: mutano prospettive e soluzioni narrative, si arricchisce di temi, ma sempre rimanendo fedele agli ideali dello scrittore. Questo romanzo viene accolto con diffidenza nell'ambito italiano, ma ottiene successo in Francia grazie all'intervento dell'amico Joyce. Per gran parte la Coscienza di Zeno è costituita da un memoriale, o confessione autobiografica, che il protagonista Zeno Cosini scrive su invito del suo psicanalista, il dottor S., a scopo terapeutico, come preparazione alla cura vera e propria. La parte finale del romanzo è una sorta di diario di Zeno, in cui egli spiega il motivo per cui ha deciso di abbandonare la terapia. Il romanzo è dunque narrato dal protagonista stesso, dietro la finzione narrativa dell'autobiografia e del diario. Il racconto non presenta gli eventi nella loro successione cronologica oggettiva e lineare, ma li colloca in un TEMPO TUTTO SOGGETTIVO, la narrazione va avanti e indietro nel tempo: il passato riaffiora continuamente e si intreccia al presente; Svevo lo definisce "tempo misto". Viene presentata un'evoluzione della figura dell'inetto che arriva a riflettere che l'inettitudine non è un'esperienza individuale ma un risvolto più ampio, universale. IL FUMO (Capitolo III, La Coscienza di Zeno) Il protagonista di questo romanzo è Zeno Cosini → è un INETTO: è un uomo di cinquantasette anni che non è mai riuscito a inserirsi nella società rispetto al modello borghese imposto e per giustificare la sua inettitudine cerca continuamente un alibi: si convince così di essere affetto da una malattia e individua la causa di questa malattia nel FUMO, che avvelena il suo organismo. Dall'altra parte lui vorrebbe essere normale, forte, padrone di sé e delle sue azioni, e produttivamente inserito nella società. Per questo motivo si ostina nel proposito di smettere di fumare ma non riesce a liberarsi del vizio perché liberarsi da esso significherebbe verificare se è davvero capace di diventare l'uomo ideale. uomo Il vizio del fumo esprime nel susseguirsi di propositi e fallimenti la possibilità di comprendere la MALATTIA DELLA VOLONTÀ: la malattia mette in luce l'incapacità dell'uomo di vivere e di essere padrone di sé stesso e viene utilizzata come alibi per nascondersi dietro tale atteggiamento. II FUMO non è soltanto una mania innocente ma rappresenta il sintomo di un vero e proprio disturbo a livello psicologico (di una persona che non riesce a prendere una decisione). Senza accorgersene, Zeno indica anche le CAUSE DEL SUO VIZIO quando racconta come ha contratto l'abitudine di fumare: lui rubava al padre prima i soldi per le sigarette, poi i mezzi sigari accesi da lui e lasciati in giro. Zeno è come se volesse appropriarsi della forza del padre e di sostituirsi a lui. Per questo si obbliga a fumare nonostante il disgusto e il malessere fisico. Per lui FUMARE rappresenta un modo per SENTIRSI UOMO e ACQUISIRE LA SUA DIGNITA' DI UOMO. La rivalità con il padre e l'atteggiamento aggressivo nei confronti di quest'ultimo generano SENSI DI COLPA, i quali vengono ricondotti da Zeno al fumo (la causa di tutti i suoi mali), l'oggetto simbolico che fa comprendere cosa c'è nell'inconscio dell'uomo. L'uomo ha due personalità che sono in lotta l’una contro l'altra, in cui una comanda e l'altra è schiava. A comandare in questa lotta non è Zeno, ma l'immagine che lui ha del padre. // Padre è padrone e impone dei divieti. Zeno, per rivendicare ed affermare la propria libertà dal padre, cerca di opporsi e non fumare più, ma non ci riesce. Zeno vuole essere padrone e ottenere autonomia per non accettare compromessi. L'incapacità della scelta segna la condizione di inetto (l'inettitudine ritorna poiché chi si adatta alla società borghese, ha accettato un compromesso). È un circolo vizioso dal quale l'inetto non riesce a liberarsi. L'autore non solo vuole deridere la malattia a scopo umoristico servendosi dell'ironia, ma vuole anche mettere in luce i meccanismi profondi che dirigono i comportamenti e i pensieri dell'uomo (di Zeno). LA MORTE DEL PADRE (Capitolo IV, La Coscienza di Zeno) La figura paterna e il rapporto con il padre è essenziale per gli inetti di Svevo: il padre rappresenta un'immagine solida, virile, sicura e gli inetti non possono coincidere con un'immagine come quella paterna perché non riescono più a trasformarla in una componente della propria personalità per ragioni non solo individuali ma anche storiche, in quanto l'individuo borghese vive una crisi. Ciò porta difficoltà nel giovane nel momento in cui diventa uomo e si deve liberare dal padre. LA FIGURA PATERNA perciò rappresenta L'ANTAGONISTA, in quanto rappresenta il contrario dell'inettitudine. (Gli uomini più incapaci sono quelli più legati alle mamme perché quando crescono, non riescono a formare la propria famiglia, si sentono in condizione di dipendenza psicologica.) All'interno del testo viene fatto un RITRATTO DEL PADRE (un'immagine terrificante, punitiva e castratrice) e viene raccontata la famosa sequenza dello schiaffo del padre che scatena sensi di colpa e mostra la tendenza alla menzogna e all'autoinganno di Zeno. Zeno vuole inconsciamente essere inetto per riscattarsi, fuggire e contrapporsi al padre borghese. Zeno vuole aggredire simbolicamente il padre. Nei confronti del padre è amore e odio: con aggressività tenta di liberarsi dal padre ma fallisce. Il padre viene colpito da una malattia che lo priva dei suoi poteri simbolici e della sua forza fisica e si trasforma in un essere debole e indifeso. Dietro il dolore di Zeno, affiora continuamente il desiderio che il padre muoia. Dentro di sé Zeno cerca di negare questi pensieri per dimostrare a sé stesso la propria innocenza. Zeno è il narratore e il protagonista della storia e si nasconde dietro un alibi e false affermazioni per non far emergere la verità. La CONSEGUENZA è che egli ci offre una prospettiva del tutto inattendibile, non si possono prendere per buone le sue affermazioni. Ciò ci viene suggerito già all'inizio del romanzo, dalla prefazione del Dottor S. (Svevo) che ci avverte delle verità e bugie: tutto ciò introduce nel racconto un elemento di ambiguità, di dubbio e di indeterminatezza poiché non c'è nulla che confermi quello che viene detto. LUIGI PIRANDELLO (1867-1936) Nasce ad Agrigento da una famiglia di agiata condizione borghese (il padre dirigeva alcune miniere di zolfo). Ha una formazione patriottica-risorgimentale legata alla famiglia; vive la delusione post-risorgimentale in Italia con grande amarezza. Compie i primi studi in Sicilia, poi si sposta a Roma dove si stabilisce e si dedica interamente alla letteratura, collaborando anche con alcune riviste. Un allagamento della miniera di zolfo del padre, sulla quale lo scrittore aveva investito, provoca il DISSESTO ECONOMICO della famiglia (instabilità). Anche la sua esistenza, come quella di Svevo ed altri scrittori, è segnata dall'esperienza del declassamento, cioè del passaggio da una vita di agio borghese ad una condizione di piccolo borghese, con i suoi disagi economici e le sue frustrazioni. In seguito alla notizia del disastro economico, inoltre la moglie ha una crisi che la fa sprofondare nella follia. La convivenza con la donna costituisce per Pirandello un TORMENTO CONTINUO e influisce sulla sua concezione dell'ambiente familiare come "trappola" che imprigiona e soffoca l'uomo. Per mantenersi, Pirandello è costretto ad intensificare la sua produzione di novelle e romanzi e lavora anche per l'industria cinematografica, scrivendo soggetti per film; successivamente nasce in lui anche una conversione nel teatro e si reca in diversi paesi europei all'interno di una compagnia teatrale: i drammi pirandelliani nel corso degli anni 20'e 30' sono conosciuti e rappresentati in tutto il mondo. Pirandello nel teatro gioca tanto sul PARADOSSO E L'ASSURDO. Durante gli anni della Prima guerra mondiale Pirandello si schiera a favore dell'intervento dell'Italia, considerandolo come un'occasione per portare a compimento il processo risorgimentale. L'esperienza del Teatro d'Arte non si sarebbe potuta realizzare senza il finanziamento da parte dello Stato ed è proprio questo il motivo che spinge Pirandello ad iscriversi al partito fascista. La sua adesione al fascismo ebbe caratteri ambigui: in un primo momento lo scrittore spera che il fascismo (un movimento che aveva affinità con il suo forte patriottismo) possa garantire un ritorno all'ordine nella vita sociale dell'Italia postunitaria. Poi però si rende conto della falsità del meccanismo sociale del regime e man mano accentua il suo distacco. Tutti i drammi teatrali pirandelliani sono riuniti nel libro "Maschere Nude". La visione del mondo agli occhi di Pirandello Alla base della visione del mondo pirandelliana vi è una CONCEZIONE VITALISTICA: tutta la realtà è "vita", un flusso continuo, è in continuo cambiamento. Noi uomini siamo una parte indistinta nell'universale fluire della vita, ma tendiamo a fissarci in una FORMA, una personalità che noi stessi ci diamo. In realtà questa personalità è un'ILLUSIONE e scaturisce solo da una visione soggettiva che noi abbiamo del mondo. Anche gli altri, vedendoci secondo la loro propria prospettiva, ci danno determinate "forme". Noi crediamo di essere "uno" per noi stessi e per gli altri, mentre siamo tanti individui diversi, a seconda della visione di chi ci guarda. Ad esempio, un individuo può crearsi di sé stesso un'immagine gratificante di un onesto lavoratore, mentre gli altri magari lo definiscono uomo crudele. La realtà è fatta di esaltazioni, apparenze, non c'è una realtà vera: il mondo è vuoto, ostile, effimero ed è fondato sull'apparire e non sull'essere. In un mondo come questo l'uomo non riesce ad esprimere sé stesso e a realizzare la sua identità; ciò causa in lui sofferenza, angoscia, disperazione; l'uomo ha paura di essere travolto dalla tempesta della vita e ha bisogno di inserirsi nella società, dato che fuori dalla società è impossibile vivere; tutto ciò che gli rimane di fare è aggrapparsi ad una "forma", METTERSI UNA MASCHERA. La filosofia di Pirandello si basa quindi su un DUALISMO, una lotta tra la vita e la forma: la vita muta perennemente, mentre la forma ingabbia l'uomo in una condizione soffocante, gli impone un contesto sociale. Sotto questa maschera però non c'è un volto definitivo, immutabile; bensì c'è un fluire continuo di stati indistinti ed incoerenti in perenne trasformazione, per cui un istante più tardi non siamo più quelli di prima. Pirandello fu influenzato dalle teorie dello psicologo francese Alfred Binet sulle alterazioni della personalità: era convinto che nell'uomo esistessero più persone, ignote a lui stesso. Si comincia a parlare della teoria della frantumazione dell'io (l'io non è uno) → la frantumazione dell'io riflette i cambiamenti culturali dell'epoca: nella civiltà novecentesca, infatti, entra in crisi sia l'idea di una realtà oggettiva, univoca, stabile, ordinata, interpretabile con la ragione; sia l'idea di un soggetto forte, unitario, coerente che rappresenti il punto di riferimento sicuro di ogni rapporto con la realtà. In questo periodo, inoltre, si affermano nella società alcune TENDENZE che favoriscono la disgregazione dell'identità personale: → l'instaurarsi del capitale monopolistico (capitalismo), che annulla l'iniziativa individuale. Tutto è controllato e l'uomo non può esprimere la propria iniziativa e dare contributo. l'espandersi dell'industria e dell'uso delle macchine che meccanizzano l'esistenza dell'uomo e riducono il singolo a insignificante rotella di un gigantesco meccanismo. ❖ il formarsi delle grandi metropoli moderne, in cui l'uomo smarrisce il legame personale con gli altri e e diviene una particella isolata nella folla anonima. L'INDIVIDUO NON CONTA PIÙ NIENTE →→l'io si indebolisce, perde la sua identità e si frantuma in una serie di stati incoerenti. La presa di coscienza di tutto questo genera nei personaggi pirandelliani un senso di smarrimento e dolore; l'avvertire di non essere "nessuno" e di non poter avere una propria identità provoca angoscia ed orrore e genera un senso di solitudine, incomprensione e di estraneità dal mondo. L'uomo non può colloquiare con gli altri, si sente sradicato; percepisce la forma/ la maschera come una TRAPPOLA impostata dalla società (che domina i rapporti sociali) e da cui l'individuo cerca, lottando disperatamente, di liberarsi. La società gli appare come un'enorme "pupazzata", una costruzione apparente, artificiosa che isola l'uomo dalla stessa vita. L'uomo con questa maschera non può esprimere sé stesso, poiché altrimenti sarebbe emarginato dalla società, sprofonderebbe in una sorta di ISOLAMENTO LIMBARE. Pirandello parla di "trappola famiglia" e "trappola economica" ➤ TRAPPOLA FAMIGLIA: Pirandello coglie il carattere opprimente dell'ambiente familiare, pieno di menzogne e ipocrisie. ➤ TRAPPOLA ECONOMICA: la società borghese è caratterizzata dalla condizione sociale, dal lavoro e da leggi imposte, soprattutto a livello piccolo borghese; l'uomo vive in una condizione di miseria, fa un lavoro monotono e frustrante, in cui viene sfruttato e in cui è presente un'organizzazione gerarchica oppressiva. Per Pirandello non esiste una via d'uscita da questa "trappola". Il suo radicale pessimismo non gli consente di concepire una possibilità di fuga dalla realtà, non riesce a proporre utopie progressiste. Si pone così con un atteggiamento critico nei confronti della società borghese. Ma egli non ricerca le cause storiche per cui la società è una trappola mortificante poiché per lui la società borghese del suo tempo è la manifestazione di una condizione universale e immodificabile. L'unica VIA DI RELATIVA SALVEZZA che concede ai suoi eroi è la fuga nell'IRRAZIONALE, nell'immaginazione, nella finzione o nella follia l'uomo deve trovare un "altrove" fantastico. La FOLLIA è fondamentale per fuggire dall'angoscia, rappresenta l'estremo rifugio dal dramma dell'esistenza. Il rifiuto della vita sociale dà luogo nell'opera pirandelliana alla figura emblematica del "forestiere della vita", ovvero colui che ha preso coscienza del meccanismo sociale e si isola, osservando gli altri vivere imprigionati dalla trappola. L'umorismo in questo caso è fondamentale. Pirandello definisce tutto ciò "filosofia del lontano". Pirandello inoltre riprende la teoria della relatività di Einstein, secondo la quale TUTTO È RELATIVO, non esiste un sapere assoluto: l'uomo non può conoscere la realtà nella verità assoluta poiché la realtà cambia a seconda dei punti di vista. Ognuno ha la sua verità che nasce dal suo modo soggettivo di vedere le cose e la vita; ciò determina una INCOMUNICABILITÀ tra gli uomini ed accresce il senso di solitudine dell'individuo. L'ideologia pirandelliana è inoltre metastorica e va aldilà del contesto storico; secondo Pirandello non possiamo conoscere un filo logico degli avvenimenti: nulla può essere indagato in modo logico poiché tutto è determinato dall'uomo e dagli impulsi contraddittori che l'uomo ha. Lo strumento conoscitivo con il quale Pirandello evidenzia le difficoltà dell'uomo e indaga la psiche umana e l'assurdità del vivere è LA PSICOANALISI. Pirandello rappresenta la crisi dell'uomo moderno come Svevo, la crisi delle certezze positivistiche e la crisi della fiducia in sia una conoscenza oggettiva della realtà mediante la scienza, il progresso, la ragione (come riteneva di poter far il Positivismo), sia in una conoscenza soggettiva della realtà (come sosteneva invece il Decadentismo). Pirandello si colloca così in pieno nel clima novecentesco. L'UMORISMO (1908) Secondo Pirandello, lo scopo della letteratura e dell'arte è quello di analizzare e scomporre la realtà con un atteggiamento distaccato e razionale, cogliendone l'imprevedibilità e la totale mancanza di senso. Nel saggio "L'umorismo" Pirandello fornisce la chiave di lettura per comprendere le sue opere: quest'opera serve per analizzare una società in cui non c'è più nulla di armonico e coerente e serve per dare un senso alla realtà → la quale è indecifrabile, sfuggente, temporanea, non definita, caratterizzata dalla SOGGETTIVITÀ e prevede la disgregazione dell'io (c'è una molteplicità della vita). Pirandello afferma che l'unica forma d'arte in grado di scomporre la realtà per farne emergere le ambiguità e le contraddizioni e in grado di smascherare, in modo illogico, le maschere è l'ARTE UMORISTICA, che si fonda sulla RIFLESSIONE e sul SENTIMENTO DEL CONTRARIO (che rappresenta l'illogico, l'irrazionale). L'arte umoristica non si ferma però a rappresentare solo l'aspetto esteriore di questa realtà caotica, aperta, contraddittoria; ma vuole cogliere anche tutte le contraddizioni che si celano dietro i comportamenti umani. Per Pirandello l'umorismo rappresenta essenzialmente la manifestazione della realtà moderna e fa venire alla luce il fondo oscuro della psiche. Nel saggio Pirandello fa introduce una distinzione tra il comico e l'umoristico. L'umoristico è un processo che suscita opinioni contrastanti, in quanto avviene una RIFLESSIONE: si riesce a cogliere il ridicolo ma si individua anche il fondo dolente o viceversa. C'è una fusione tra tragico e comico. La COMICITÀ, invece, rappresenta solo L'AVVENIMENTO DEL CONTRARIO. Il linguaggio è fatto di continue interrogazioni, sospensioni, esclamazioni, frasi interrotte e mezze frasi. Tutto si gioca sul PARADOSSO e sull'IRONIA. Il linguaggio è associato ai personaggi e alla visione del reale. L'ESCLUSA (1901) È il primo romanzo di Pirandello, il quale narra il viaggio nell'interiorità della protagonista: il suo nome è Marta Ajala. È la storia, ambientata in Sicilia, di una donna accusata ingiustamente di ADULTERIO, che viene cacciata di casa dal marito Rocco perché la sorprende leggere una lettera di un notabile che la corteggia. Marta, in preda alla disperazione per la sua innocenza, trova rifugio nella casa paterna, dove viene accolta con amore dalla madre e dalla sorella ma non dal padre e dalla società. All'inizio Marta vive situazioni di angoscia per accuse di cui lei non era colpevole; con il tempo poi cerca di difendersi con coraggio, riprende a studiare e si trasferisce con la sorella e la madre a Palermo. Marta riconquista lo status della società solamente una volta avendo compiuto l'atto di cui era stata accusata. Il marito intanto si ammala e, riconoscendo l'innocenza di Marta, la chiama. Quando però la donna incontra il marito gli confessa la relazione avvenuta alla quale lei è stata costretta. Nonostante ciò il marito non sa rinunciare a lei e la accoglie nuovamente in casa. Dalla vicenda si può cogliere il paradosso e la follia. Lo spazio e il tempo non sono assoluti, ma relativi: non c'è sequenzialità o narrazione specifica rispetto ad un tempo oggettivo. Lo spazio e il tempo rendono viva e drammatica la vicenda, inquadrando la crisi dell'uomo moderno. Nel romanzo si possono cogliere anche tracce dell'impostazione umoristica: da un lato si ha la vicenda seria e drammatica di Marta, dall'altro si contrappone una folta valeria di figure grottesche e ridicole. IL FU MATTIA PASCAL (1904) È il terzo romanzo di Pirandello, nel quale lo scrittore adotta nuove ed originali soluzioni narrative. Viene pubblicato sulla rivista "La nuova antologia" e nello stesso anno anche in volume. Mattia Pascal è il PROTAGONISTA di questo romanzo: egli è un piccolo borghese; un uomo timido, modesto che si allontana da casa dopo aver litigato con la moglie. Mattia lascia il paese di nascosto per cercare fortuna in America ma due fatti intervengono a modificare radicalmente la sua condizione: innanzitutto egli vince al Casinò di Montecarlo una grande somma di denaro, poi casualmente legge sul giornale una notizia di cronaca: LA SUA MORTE. Mattia si trova così di colpo miracolosamente libero dalla "forma" in cui lo aveva cristallizzato la società e si presentano davanti a lui infinite possibilità; ma commette UN ERRORE: uscito dalla "forma" e dai ruoli imposti dalle istituzioni sociali, Mattia sceglie di crearsi una nuova identità, con il nome di Adriano Meis. È troppo attaccato alla concezione comune dell'identità individuale da capire che è proprio quella che mortifica l'infinita ricchezza e la mobilità della vita. Assaporando la sua nuova libertà, Mattia-Adriano comincia a viaggiare per l'Italia e l'Europa, ma ben presto prova un senso di vuoto, precarietà e solitudine. Essere libero significa essere estraniato, "forestiere della vita", ma egli soffre ad essere escluso dalla vita degli altri; prova nostalgia per ciò che abitualmente circonda una persona: una casa e degli affetti. La nuova identità è una situazione fittizia, che non garantisce neanche i pochi vantaggi dell'identità "normale" e non gli permette di stabilire legami con gli altri, di crearsi una famiglia e di trovare un lavoro gratificante. Mattia-Adriano, non resistendo più alla sua condizione di "forestiere della vita", si trasferisce a Roma, ma qui non può aderire alla vita poiché è impossibilitato a provare la sua identità (è privo della forma: lo stato anagrafico, documento di identità civile). A questo punto tutto ciò che gli resta da fare è liberarsi della falsa identità, inscenando il suicidio di Meis, e rientrare così nella sua primitiva identità. Tornato alla sua identità originaria, Mattia decide i ritornare nella vecchia "trappola" della famiglia, ma scopre che la moglie si è sposata con un altro. Mattia Pascal viene emarginato dalla società e comprende che non c'è posto neanche per la sua vera identità; a questo punto non gli resta che assumere quell'atteggiamento di "foresterie della vita" e dedicarsi alla propria singolare esperienza. Si dedica allora alla scrittura della storia dell'uomo che fu Mattia Pascal. Mattia Pascal alla fine è talmente confuso da non sapere più chi è. Significativa in questo senso è l'ultima frase da lui pronunciata alla fine del romanzo, che ne motiva anche il titolo "lo sono il Fu Mattia Pascal". Egli non è ancora pronto a rinunciare al suo nome, segno esteriore della sua identità, ma pone davanti quel "fu", ad indicare che la sua identità originaria è "morta". Il Fu Mattia Pascal è un romanzo composto da 18 capitoli con una sorta di cornice iniziale, in cui troviamo una voce narrante che dice di non sapere più quale sia il suo vero nome. La narrazione è soggettiva e lontana dalla narrazione oggettiva del naturalismo. Le vicende sono narrate in prima persona dal protagonista: il punto di vista cambia con l'identità del narratore (prima è Mattia, poi diventa Adriano Meis e infine il Fu Mattia). All'interno del linguaggio è presente il MONOLOGO INTERIORE, fatto di interrogazioni, riflessioni, esclamazioni ed espressioni colloquiali. TUTTO SI BASA SU UNA FORMA DI CASUALITÀ → tutto è legato al caso (il gioco d'Azzardo è simbolo della casualità della vita contro la ragione umana). I VECCHI E I GIOVANI(1909) In questo romanzo Pirandello adotta un'impostazione narrativa più tradizionale. Nella sua forma esteriore è un ROMANZO STORICO, incentrato sulla delusione post-risorgimentale: vengono presentate le vicende politiche e sociali della Sicilia e dell'Italia tra il 1892 e il 1893, tra la volta dei Fasci siciliani guidata dai socialisti e lo scandalo della Banca Romana, che minacciava di travolgere la classe dirigente dello Stato unitario da poco formatosi. Come suggerisce il titolo, l'intreccio si basa sul confronto tra due generazioni: "i vecchi" che erano riusciti ad unificare l'Italia, ma vedono i loro ideali risorgimentali negati dalla corruzione politica presente; e "i giovani", i quali appaiono smarriti ed incerti sulla strada da intraprendere. La storia presenta infatti molteplici punti di vista e non presenta gli eventi in modo diretto nella loro oggettività. Viene presentata una continua nostalgia di un'esistenza vera e naturale che non si riesce più a raggiungere. Si prova solo pietà nei confronti dell'uomo moderno. Pirandello attribuisce alla storia la situazione attuale della società italiana che impone dei ruoli. Quaderni di Serafino Gubbio Operatore (1925) Il protagonista registra la vita con la macchina da presa che diventa metafora dell'uomo alienato (operaio) che contempla la vita dall'esterno. La narrazione è in prima persona e si fa un'analisi della civiltà delle macchine. UNO NESSUNO E CENTOMILA (1925-1926) Nella scrittura del romanzo Pirandello prende spunto da un fatto quotidiano banale per avviare un processo di riflessione → il romanzo narra che un giorno, mentre Vitangelo Moscarda si guarda allo specchio, sua moglie gli fa notare che il suo naso pende a destra. Vitangelo non si era mai reso conto della cosa e ne trae motivo per cominciare a riflettere sui contrasti e i modi con i quali viene percepita la realtà. Dall'osservazione della moglie capisce che non c'è una realtà onirica, ma un'infinità di varietà con la quale ognuno di noi può apparire agli altri: ognuno di noi vede la realtà in modo diverso. Noi siamo diversi "come le onde del mare" e ci modifichiamo continuamente; ognuno ha il proprio punto di vista: sembriamo 1 e siamo 100.000, però veramente non siamo nessuno (è un continuo essere diversi). Vitangelo, spinto da queste riflessioni inquietanti, va contro la logica corrente e compie atti assurdi e contraddittori attirando ostilità della moglie e dei soci: chiude la banca che gestisce ed accetta il consiglio dato da un vescovo di cedere tutti i suoi beni per opera di carità. Tutte le sue scelte rappresentano una vita fatta di solitudine e senza futuro: vive questi anni rinunciando a una vita associata (rinuncia alla maschera, al suo ruolo imposto dalla società; compie un viaggio di liberazione dalle forme nelle quali non si riconosce più. Prova angoscia e delusione per non poter assumere un'identità autentica, vera, pura e reale. La narrazione del romanzo è in prima persona. ERMETISMO Tra gli anni '20 e '30 si afferma questa espressione poetica, la quale è una manifestazione del decadentismo (gli scrittori di questa fase hanno una sensibilità tipica del decadentismo) ed è la poetica più rappresentativa del 1900. Il termine ermetismo deriva da "Ermete". La definizione venne coniata in senso dispregiativo dalla critica tradizione, poiché Ermete (Mercurio) era il dio delle scienze occulte. L'uomo comincia a provare una FORTE SOLITUDINE e una GRANDE DELUSIONE rispetto ai valori della civiltà romantica e del positivismo, i quali non vengono più riconosciuti. I poeti vivono in una realtà che non offre più certezze, non ci sono degli ideali e dei valori di riferimento; hanno una visione della vita sfiduciata questo senso di angoscia e smarrimento, che l'uomo sente nella realtà che vive, porta con sé un FORTE DOLORE ESISTENZIALE. La letteratura diventa un'attività totalizzante: non avendo più valori da celebrare, gli intellettuali fuggono dalla realtà e si isolano nella letteratura, restando indifferenti rispetto ai problemi della politica-sociale del tempo, ma tenendo sempre conto del problema storico, caratterizzato dall'umiliazione dell'uomo con il fascismo sotto il controllo del regime fascista, nell'ambito letterario c'era un grande controllo dell'opinione pubblica e gli intellettuali non erano liberi di esprimersi, venne imposta una legge che sopprimeva la libertà di stampa (alle redazioni venivano consegnate delle linee, ovvero dei fogli con scritte le notizie da dire e le indicazioni sul modo in cui le notizie dovevano essere date). La POESIA ERMETICA è ALLUSIVA → non ha scopi celebrativi ma vuole svelare il MISTERO che c'è dietro le cose; i poeti ermetici però sono incapaci di cogliere pienamente una verità assoluta. La poesia ermetica viene dunque definita neo-simbolista per sottolineare l'indecifrabile del messaggio. Gli ermetici vogliono dare il giusto senso alla parola, quindi propongono di assumere una connotazione molto minimalista ed essenziale, riprendendo l'ideale di POESIA PURA ma abbandonando lo scopo educativo e pratico. Il linguaggio ermetico è caratterizzato da una pluralità di significati che rende difficile la comprensione del testo → il lessico è semplice, essenziale; la parola viene presentata nella sua purezza, "innocenza". Ciò che risulta difficile è capire l'allegoria, il significato, la percezione che il poeta vuole comunicare. Per questo la parola viene definita CRIPTICA ed evocatrice. I poeti ermetici utilizzano un LINGUAGGIO OSCURO, lontano dal linguaggio comune (Ungaretti diceva "maggiore è la distanza dal quotidiano, maggiore è la poesia"). La sintassi viene frantumata →→ rifiuta le costruzioni complesse, allineandosi allo sforzo di cogliere l'attimo. La strofa infatti è spesso costituita dalla sola frase principale e non è frequente la presenza di subordinate. La punteggiatura è quasi del tutto assente. NON ci sono articoli o nessi logici: tra le strofe sono presenti spazi bianchi, vuoti che sostituiscono la punteggiatura e segnalano una pausa nel discorso (essi evocano dal silenzio). I versi sono liberi e brevi per dare il massimo risalto alla parola. La scelta dei metri nobili (endecasillabi e settenari) è voluta perché è una poesia fatta per pochi, non tutti po sono comprendere questo linguaggio analogico che va oltre la realtà. Gli ermetici vengono chiamati "artigiani della parola": essi curano la parola e creano capolavori dotati di grande musicalità. Il tema centrale che si evidenzia nella poesia ermetica è proprio il SENSO DI DELUSIONE DELL'UOMO rispetto a tutti gli ideali e valori della tradizione. Altre tematiche ricorrenti nelle opere sono però IL SILENZIO, L'ATTESA O L'ASSENZA. Sono tanti i temi che accomunano gli ermetici a Pirandello; tra questi troviamo: L'INCOMUNICABILITA' e L'ALIENAZIONE in entrambi si prende coscienza di essere ridotti ad un semplice ingranaggio della moderna civiltà di massa (vengono ripresi il concetto di patria, il concetto di industrializzazione, la frustrazione dell'operaio, il contrasto con la realtà quotidiana che è deludente e tutti i nostri sogni). La poetica ha una funzione salvifica → è portatrice di un messaggio volutamente occulto, nascosto perché VUOLE ESPRIMERE L'INESPRIMIBILE: gli intellettuali, attraverso un linguaggio allusivo, vogliono proiettare la poesia in una dimensione senza tempo, lontana dal quotidiano, dal contesto della storia. "L'allegria" è una delle prime raccolte poetiche di Ungaretti, nella quale la componente autobiografica emerge in modo chiaro. GIUSEPPE UNGARETTI (1888-1970) Giuseppe Ungaretti è il poeta che ha innovato nel modo più radicale il linguaggio della poesia, costituendo un punto di riferimento essenziale per la produzione letteraria novecentesca. Viene considerato l'iniziatore dell'ERMETISMO. Nasce ad Alessandria d'Egitto, dove i genitori, provenienti da Lucca, si erano trasferiti per motivi di lavoro. L'Egitto in quegli anni era un ambiente internazionale: nei porti era normale sentire le parlate più diverse. Questa internazionalità gli consente di formarsi in condizioni di estrema apertura a tutte le correnti di pensiero europee. Nella città africana inizia infatti ad occuparsi di letteratura, leggendo i maggiori scrittori moderni e contemporanei, da Leopardi a Nietzsche. In seguito si trasferisce a Parigi, dove ha modo di approfondire la conoscenza della poesia decadente e simbolista e di entrare in contatto con i più significativi esponenti delle avanguardie artistiche novecentesche. Il terzo tempo della biografia ungarettiana coincide con l'esperienza drammatica della prima guerra mondiale alla quale partecipa come soldato dopo essere stato un acceso interventista. Viene mandato a combattere sul Carso. Egli si sente, però, dopo poco tempo dolorosamente segnato da questa esperienza, dalla quale nascono le sue prime e più significative raccolte poetiche, "Il porto sepolto" (1916) e "Allegria di naufragi" (1919), confluite nel 1931 nel volume "L'Allegria". In esse il poeta, che risente dell'influenza del Futurismo, opera una vera e propria "rivoluzione espressiva"; spezza il verso riducendolo a pochissime sillabe, isola la parola all'interno della pagina bianca conferendone essenzialità, elimina la punteggiatura. Nel 1921 ADERISCE AL FASCISMO, convinto che la dittatura potesse rafforzare quella solidarietà nazionale dalla quale si era sentito a lungo escluso e che la guerra aveva cementato. In questo periodo in letteratura c'è un ritorno all'ordine: segue il ritorno a una poesia più tradizionale. Comincia inoltre a collaborare come giornalista e saggista ai più prestigiosi periodici italiani e ad alcune riviste di punta della cultura europea, tra cui "La gazzetta del popolo" dove pubblica degli articoli di viaggio all'inizio degli anni Trenta. Diventa uno dei più noti e autorevoli intellettuali italiani e trascorre un periodo felice che viene però tormentato da alcuni lutti familiari e dallo scoppio della seconda guerra mondiale. Dalle esperienze traumatiche di questo periodo è segnata la prima raccolta poetica del dopoguerra, intitolata "Il dolore". Per esprimere questo stato d'animo il poeta modula il suo canto su toni nuovi: utilizza la parola gridata, il verso lungo, spezzato da frequenti puntini di sospensione che rendono l'affanno e la disperazione. Pur essendo consapevole della sofferenza e della violenza che la vita comporta, egli NON si chiude in un atteggiamento di passiva autocommiserazione, ma si fa cantore del dolore universale non solo del proprio. Nell'ultimo periodo continua a viaggiare per il mondo fedele alla sua concezione della vita come vagabondaggio e riceve premi e riconoscimenti facendosi amare ed apprezzare per la sua straordinaria vitalità. Inoltre, riunisce tutta la sua produzione nella raccolta "Vita d'un uomo. Tutte le poesie", sottolineando nel titolo lo stretto legame tra poesia ed esperienza autobiografica. La sua poetica può essere suddivisa in due fasi: La prima fase è segnata dalla sua esperienza di guerra e nelle prime raccolte poetiche è presente un FORTE SPERIMENTALISMO e una FORTE COMPONENTE AUTOBIOGRAFICA; mentre nella seconda fase si ha il RECUPERO DI UNA DIMENSIONE RELIGIOSA e un TRAVAGLIO INTERIORE che lo porta ad avvicinarsi al cattolicesimo. Importante della sua poetica è LA CAPACITA' DI SINTESI DELLA POESIA, l'essenzialità. Questo aspetto viene conseguito da Ungaretti attraverso il mezzo espressivo della ANALOGIA. Ungaretti afferma che tale procedimento va oltre la simbologia e le metafore utilizzate dalla letteratura precedente. Egli sostiene che la poesia dell'800 aveva cercato di conoscere il reale in modo analitico, istituendo collegamenti chiari, immediati e comprensibili tra i concetti; si trattava di una conoscenza capace di rivelare però solo gli aspetti superficiali della realtà, NON la sua essenza profonda. Ai vecchi procedimenti Ungaretti contrappone il suo nuovo modo di fare poesia "rapido", cioè sintetico, essenziale, che sa mettere in contatto immagini lontane, le quali apparentemente non hanno alcun rapporto tra loro, ma che in realtà nascondono una verità assoluta. In questo senso la parola ha il compito di penetrare il mistero della realtà, assumendo il valore di un'improvvisa illuminazione. L'Allegria L'Allegria è una raccolta poetica di Ungaretti che nasce dalla fusione di due precedenti volumi di versi: "Il porto sepolto" e "Allegria di naufragi". Questa prima fase della produzione ungarettiana è segnata da una FORTE COMPONENTE AUTOBIOGRAFICA. Le liriche del Porto sepolto sono state tutte composte al fronte, nelle trincee del Carso, su cartoline in franchigia, margini di vecchi giornali, spazi bianchi di lettere ricevute. Inizialmente questi scritti non erano destinati alla pubblicazione, ma si configuravano come un quotidiano e necessario esame di coscienza. Le fonti di ispirazione di questi versi sono: LA MEMORIA E LA GUERRA. La guerra costringe a vivere nel precario confine tra la vita e la morte. Il volume "Allegria di naufragi" rappresenta un continuo dei versi del Porto sepolto, nel quale vengono ripubblicati versi di quest'ultimo volume insieme con altri. La scelta del titolo costituisce un'espressione ossimorica: "allegria" si riferisce all'esultanza d'un attimo che può avere origine soltanto dal sentimento della presenza della morte da allontanare definitivamente; "naufragi" sta invece a indicare proprio l'effetto distruttivo della morte e come tutto sia travolto e soffocato dal tempo. Nell'edizione definitiva Ungaretti rimuove il secondo termine per sottolineare maggiormente l'elemento positivo. IL PORTO SEPOLTO (1916) dalla raccolta L'Allegria Si tratta della poesia che dà il titolo al primo volume di Ungaretti, scritto durante la prima guerra mondiale, e che poi venne collocato nell'edizione finale "Allegria". Ungaretti descrive l'opera del poeta come una sorta di AVVENTURA, come una discesa, in questo porto sepolto per cogliere l'essenza della poesia, il mistero che essa nasconde e che non può essere mai completamente svelato. Il PORTO SEPOLTO diventa quindi il simbolo di ciò che è nascosto nell'animo di ogni uomo e diventa il luogo da cui nasce la poesia, la fonte di ispirazione per chi scrive. II POETA assume quindi un RUOLO FONDAMENTALE all'interno della società umana perché è l'unico che può indagare i misteri che si trovano nell'anima (nel porto sepolto) e può esprimerli con la poesia, le parole, tentando di dare sollievo alle sofferenze dell'uomo. Il componimento è composto da DUE STROFE → Nella prima strofa sono presenti tre verbi che indicano le diverse fasi del viaggio del poeta: il poeta "arriva" nel porto sepolto (scende nelle profondità dell'anima), "torna alla luce" (torna in superficie con le sue poesie) e le "disperde" (diffonde tra gli uomini). La seconda strofa è una riflessione sull'opera del poeta stesso: il poeta ha trovato in fondo all'animo umano il NULLA. Con questa parola però NON si indica il VUOTO ASSOLUTO, ma una parte minima dell' "inesauribile segreto", ossia del mistero profondo della vita. Lo stile, la metrica e la sintassi sono ridotte all'essenziale per dare maggiore importanza alla parola stessa, messa in evidenza attraverso l'utilizzo di versi molto brevi. SAN MARTINO DEL CARSO (1916) dalla raccolta L'Allegria Il titolo della lirica, compresa nella raccolta II porto sepolto, fa riferimento a una piccola località in provincia di Gorizia, che venne distrutta durante la Prima guerra mondiale. Questa poesia contiene IMMAGINI DI DESOLAZIONE E DI MORTE, legate alla GUERRA. Gli effetti della distruzione si riflettono nella prima strofa nell'immagine di uno squallido paesaggio di macerie e di rovine a San Martino del Carso. Nella seconda strofa il pensiero si sposta sui molti compagni scomparsi, dei quali non è rimasto più nulla. La loro TOTALE SCOMPARSA è un segno di una distruzione più dolorosa e profonda (c'è un parallelismo con le rovine, le case distrutte, della prima strofa). A impedire che vengano del tutto cancellati è la memoria di chi è sopravvissuto, un ricordo fatto di tante croci, che trasformano il "cuore" in una specie di cimitero → viene fatta un'analogia tra il paese e il cuore, che appare come il "paese più straziato". Ciò che caratterizza la poesia è l'essenzialità ottenuta dai versi brevi e dalle parole comuni scelte dal poeta. SOLDATI (1918) dalla raccolta L'Allegria Questa poesia fu scritta nell'ultimo anno di guerra sul fronte francese, dove Ungaretti era stato inviato insieme ad altri soldati italiani per aiutare la Francia a fronteggiare l'attacco tedesco. In questa poesia il TITOLO entra a far PARTE INTEGRANTE DEL TESTO, risultando un elemento essenziale per la sua comprensione, senza di esso non si riuscirebbe a cogliere il significato della poesia. Il titolo costituisce il punto di riferimento per comprendere L'ANALOGIA che assimila la vita del soldato alla fragilità di una foglia d'autunno. L'intera poesia è formata dal complemento di PARAGONE "come", retto da un verbo comune "Si sta", il cui uso impersonale sottolinea una condizione di anonimato, di FRATELLANZA dei soldati ed accentua il SENSO DI SOLITUDINE E ABBANDONO, ma anche di DISPERAZIONE, che accomuna la vita dei soldati. Il paragone rende la SENSAZIONE DI ANGOSCIA dovuta a qualcosa che potrebbe in ogni momento accadere, un evento imprevedibile che esporrebbe l'uomo (il soldato) al pericolo di MORTE. Il poeta va a trattare una vicenda esistenziale sospesa tra LA VITA e IL NULLA → per le foglie è innegabile la caduta del ramo, mentre per i soldati l'evento della morte. Il componimento è un EPIGRAMMA, ossia un piccolo componimento. La lirica è caratterizzata dal periodo spezzato in quattro brevissimi versi, in cui la punteggiatura è assente e si presenta un susseguirsi della "s", che suggerisce il suono dell'attesa della caduta delle foglie. L'intera poesia è retta da un solo verbo, manca un secondo verbo riferito alle foglie. Inoltre il poeta inverte l'ordine delle parole "sugli alberi le foglie" per comunicare l'anomalia della situazione dolorosa che si trovano a vivere i soldati. MATTINA (1919) dalla raccolta L'Allegria La lirica, pubblicata per la prima volta nella raccolta "Allegria di naufragi" con il titolo "Cielo e mare", è un esempio di essenzialità lirica → la poesia è formata da due piccoli versi: "M'illumino d'immenso" Il poeta va alla ricerca dell'ASSOLUTO → nella brevissima sequenza, la presenza del poeta ("M") appare investita di una luce intensa ("illumino"), che si riflette attraverso l'intera estensione dello spazio. Il dilatarsi della dimensione spaziale provoca una sensazione di TOTALITA' e PIENEZZA DI VITA che rappresenta uno stato di beatitudine e di grazia. Ungaretti esprime la GIOIA INEFFABILE (inesprimibile, che non si può esprimere a parole) del suo animo in contrapposizione con quello che si vive nel suo tempo → sentirsi parte dell'universo lo porta a vivere in armonia, lo conduce alla SALVEZZA. La MATTINA è l'istante preciso in cui avviene la fusione con l'assoluto. Tra il titolo e il testo esiste un rapporto di corrispondenza analogica che riguarda gli indecifrabili legami fra il tempo e l'eternità, il finito e l'infinito, il mortale e l'immortale. L'autore, attraverso la sinestesia, accosta sensazioni diverse (la visione della luce, la percezione del calore e l'intuizione dell'immensità). La poesia è fatta di poche parole ma di una altissima potenza suggestiva; c'è l'eliminazione del segno della punteggiatura (non è presente neanche il punto). SALVATORE QUASIMODO (1901-1968) Nasce a Modica, in Sicilia, dove trascorre l'infanzia e la giovinezza, trasferendosi in vari paesi a causa dei frequenti spostamenti del padre. Comincia a scrivere e pubblicare le sue prime poesie nella rivista fiorentina "Solaria", la quale poi viene censurata dal regime fascista perché contraria all'ideologia fascista. Quasimodo è uno degli esponenti più significativi dell'Ermetismo. La poetica di Quasimodo inizialmente "sposa" i principi dell'Ermetismo, e si presenta quindi oscura, sintetica, con un linguaggio ben lontano dalla lingua parlata. LA PAROLA assume un VALORE ASSOLUTO, che tende all'astrazione. Ma assume anche un valore MAGICO ed EVOCATIVO. Tutto rende gli effetti di indeterminatezza: sono frequenti le analogie, lo stravolgimento dei rapporti logici e l'assenza di articoli e della punteggiatura. Quasimodo è influenzato dal panismo dannunziano: esalta il legame con la natura (l'uomo si trova in un armonia con la natura che dà luogo all'innocenza umana) e le sue opere prediligono immagini della terra siciliana, che nel ricordo diventa un luogo mistico, immagini del mare, della casa, della madre, dell'infanzia. La Sicilia, narrata e descritta in modo realistico, è vista come un PARADISO TERRESTRE, irraggiungibile, una sorta di EDEN; questa terra si caratterizza da un'innocenza umana, in quanto al tempo non era stata ancora corrotta dalla società e dal male di vivere. In questa sua prima produzione non ha un vero e proprio messaggio chiaro da offrire. La ricerca ermetica di Salvatore si conclude col volume "Ed è subito sera", nel 1942, nella quale è contenuta la poesia omonima. In una seconda fase Quasimodo si allontana dai canoni ermetici ed introduce nella sua poetica spunti di riflessione sulla condizione dolorosa dell'essere umano e la tragicità dell'esistenza, della SOLITUDINE che ogni essere umano, in qualsiasi momento storico, prova. Utilizza la poesia come denuncia dei mali del suo tempo, dominati dalle atrocità della guerra (si oppone al regime fascista e alla guerra, percepita con orrore). Questa seconda fase non va però a rinnegare la prima, anzi, la completa: Quasimodo comincia a scrivere in maniera più esplicita e argomentata, aprendosi verso un messaggio più comunicativo e accessibile. Il verso si allunga e diventa più lineare, i temi si ampliano e si arricchiscono di elementi tratti da una realtà più concreta. Il poeta siciliano si concentra sul bene dell'uomo: secondo lui la posizione del poeta nella società non può essere passiva, in quanto egli "modifica" il mondo. Tutto il suo lavoro mira a scuotere l'uomo nel profondo ancor più di quanto possano fare la storia o la filosofia. ED E' SUBITO SERA dalla raccolta Ed è subito sera Nella sua essenziale brevità, questa lirica è un chiaro esempio della poesia ermetica: è presente il significato profondo della parola, l'uso dell'analogia, la problematica interiore ed esistenziale. Il primo verso "Ognuno sta solo sul cuor della terra" esprime la solitudine dell'uomo, la quale si trova al centro del mondo e delle cose. Nel secondo verso, il termine "trafitto" racchiude in sé una profonda ambivalenza: il "raggio di sole" che colpisce l'uomo è simbolo della vita stessa; ma "trafitto" implica soprattutto il significato di "ferito", trasformando il raggio (la vita) in un portatore di dolore e morte. L'ultimo verso "Ed è subito sera" separato dai due punti ma direttamente unito dalla congiunzione "Ed", racchiude proprio l'immagine dell'improvviso sopraggiungere della "sera", metafora della morte o della fine dei momenti felici. La poesia nella sua brevità offre una riflessione sintetica sulla condizione umana: parla della solitudine, della precarietà della vita, dello sfiorire delle illusioni, della morte e del rapporto tra l'uomo e ciò che lo circonda. GLI INTELLETTUALI DI FRONTE AL FASCISMO La destra sin dai primi anni del '900 aveva ricevuto notevoli consensi tra artisti e intellettuali, i quali successivamente all'avvento del fascismo furono riconosciuti nel programma di Mussolini; Egli era consapevole dell'importanza che avevano i moderni mezzi di comunicazione per la propaganda e per l'aumento del suo consenso. Per ottenere un aumento del suo consenso e del consenso fascista, Mussolini attuò un programma di repressione e di censura verso qualsiasi forma di pubblicazione. Nel 1937 istituì, prima di tutto, IL MINCULPOP (ossia il Ministero della Cultura Popolare), il quale aveva l'incarico di controllare ogni pubblicazione, sequestrando tutti quei documenti ritenuti non idonei, pericolosi o contrari al regime e diffondendo i cosiddetti "ordini di stampa". Inoltre, venne messo in atto un accurato programma che prevedeva una propaganda attraverso i mezzi di comunicazione di massa (la radio e il cinema con l'Istituto Luce, e l'organizzazione di manifestazioni celebrative). Nel campo dell'istruzione, invece, venne attuata LA RIFORMA DI GENTILE, la quale prevedeva la revisione e il controllo dei libri di testo e richiedeva il consenso "obbligatorio" al fascismo da parte dei docenti universitari, a cui veniva imposto il giuramento di fedeltà al regime. I giovani vennero sin dai sei anni inquadrati in associazioni paramilitari fasciste → lo scopo era di formare dei perfetti cittadini fascisti, sempre pronti a credere, obbedire e combattere. I giovani erano strumento di propaganda e celebrazione del regime, dato che partecipavano a sfilate, a giochi ginnici, vestivano sempre in uniforme e trascorrevano il tempo libero all'Opera nazionale dopo il lavoro. Vennero fondate anche le istituzioni culturali come l'Accademia d'Italia → aveva il compito di promuovere il movimento intellettuale italiano nel campo delle scienze, delle lettere e delle arti, di conservare puro il carattere nazionale e di favorirne l'influsso oltre i confini dello Stato". I due intellettuali che hanno maggiormente contribuito a caratterizzare il primo Novecento furono Benedetto Croce e Giovanni Gentile, i quali lavorarono insieme, ma la loro collaborazione terminò però a causa dell'adesione di Gentile al fascismo: redasse il Manifesto degli intellettuali fascisti, con cui cercò di delineare le basi politiche e ideologiche della nascente dittatura e giustificarne gli interventi violenti e illiberali. Al manifesto aderirono numerosi intellettuali ed artisti, tra cui Luigi Pirandello e Giuseppe Ungaretti. Mesi dopo arrivò la risposta di Benedetto Croce → egli fondò il Manifesto degli intellettuali Antifascisti, al quale aderì Eugenio Montale. Per il ruolo che gli veniva unanimemente riconosciuto, Benedetto Croce poté continuare a operare per tutto il ventennio senza essere ostacolato dalla censura, a patto che non intervenisse direttamente nella vita del regime. Il Manifesto fu l'ultimo atto ufficiale del tentativo fatto da parte del mondo culturale di opporsi alla dittatura. Due figure di spicco tra gli intellettuali che si opposero al regime fascista furono Antonio Gramsci e Piero Gobetti (entrambi però furono messi a tacere) - → Gramsci, in contrasto con Croce, riteneva necessario conciliare l'impegno culturale con quello politico. Gobetti, principale esponente dell'antifascismo liberale, cercò invece di conciliare il liberalismo borghese con le richieste del socialismo. LE RIVISTE Durante il regime si crearono importanti riviste, nelle quali gli intellettuali del tempo prendevano parte a numerosi dibattiti culturali. Tra le più importanti si ritrovano le riviste che difendono l'autonomia totale dell'arte e dell'intellettuale dalla politica (La Ronda) e quelle che si confrontano con i valori del regime, facendosi portavoce, proponendo una critica interna, oppure opponendo una visione radicalmente diversa. NEOREALISMO Fine degli anni 30' in alcuni narratori comincia a manifestarsi un ATTEGGIAMENTO DI FORTE INSOFFERENZA E DI CRITICA verso la chiusura intellettuale della società fascista contemporanea. Si sviluppa UNA NUOVA CONCEZIONE, secondo la quale l'intellettuale deve uscire dalla posizione di isolamento dalla realtà (assunta dagli ermetici) e proporre nuovi contenuti attraverso un linguaggio più accessibile, semplice, popolare che possa giungere ad un vasto pubblico. In particolare, dopo l'esperienza della Seconda guerra mondiale, l'intellettuale avverte la necessità di farsi interprete dei problemi e dei bisogni reali del popolo. Questa tendenza sfocia nel movimento del NEOREALISMO, che trova la massima affermazione nel decennio 1945-1955. Il nome del movimento deriva in parte dal verismo, in quanto vuole rappresentare la realtà in modo realistico, sia negli aspetti positivi che in quelli negativi. A differenza dei veristi, gli scrittori neorealisti si sentono investiti di una GRANDE RESPONSABILITÀ: contribuire, attraverso l'impegno politico e sociale, alla ricostruzione materiale e spirituale della società contemporanea. In letteratura ogni scrittore neorealista aveva un modo diverso di scrittura personale, non si parla di una vera propria scuola. Il fatto che anche gli scrittori fossero usciti da un'esperienza come la guerra (che non aveva risparmiato nessuno) stabiliva un'immediata comunicazione tra lo scrittore e il pubblico. Si era alla pari, ricchi di storia da raccontare; ognuno aveva la sua storia, ognuno aveva vissuto delle vite drammatiche, avventurose. Tra i TEMI più importanti troviamo la GUERRA che è una ESPERIENZA COMUNE a tutti gli scrittori di questo movimento; poi troviamo LA RESISTENZA, LE LOTTE PARTIGIANE, LE OCCUPAZIONI DEGLI ESERCITI STRANIERI, LA CADUTA DEL FASCISMO. Importante è anche la povertà degli italiani alla fine del conflitto (la fame, la miseria, la condizione del sud; altro filone importante legato a questa realtà del sud sarà il mondo operaio, contadino: si vuole creare un'altra società dove ci siano tutti quei valori che ormai erano stati eliminati). Tutti i caratteri del movimento vengono trattati nel saggio di Carlo Salinari "La Questione del Realismo" (1960) → ➤ IMPEGNO: gli scrittori sono fortemente legati alla realtà contemporanea, soprattutto alla storia politica e civile del nostro paese. MOSTRANO UN GRANDE IMPEGNO SOCIALE E CIVILE rispetto al passato quando i problemi reali venivano messi da parte. ➤ NUOVE TECNICHE E CONTENUTI: i nuovi temi si oppongono a quelli del passato e protagonisti delle opere sono i lavoratori, il proletariato, il mondo contadino e il mondo provinciale; ma vengono presentati anche scioperi e bombardamenti. ➤ NUOVE ESPRESSIVITÀ > REALISMO L'AGNESE VA A MORIRE Renata Viganò E' un romanzo neorealista, uno dei primi nel quale venne trattata la tematica della RESISTENZA → al centro del romanzo l'autrice pone il ruolo della donna nella resistenza e si evidenzia come la donna abbia partecipato attivamente alla rivolta partigiana e di come esse presero consapevolezza del loro impegno civile, di avere un ruolo nella guerra → le donne diedero dei contributi importanti alle lotte partigiane; si prendono come esempio le donne staffette, le quali portavano armi agli uomini. Viganò decide di raccontare la guerra attraverso gli occhi di questa donna. (Allo scoppio della Seconda guerra mondiale Renata Viganò partecipò attivamente alla Resistenza e da questa esperienza trasse spunto per il romanzo che la rese famosa). La protagonista è Agnese, una donna che vive una vita tranquilla ma ad un certo punto suo marito, deportato in un campo di concentramento, muore e la lascia sola. Si ritrova così a vivere da sola con una gatta e comincia a riflettere su cose da uomini: comincia a collaborare con i partigiani e partecipa attivamente nella lotta della Resistenza. L'autrice dà voce non solo alla donna ma anche alla POPOLAZIONE DEGLI UMILI (operai, analfabeti) che prima non erano stati presi in considerazione; sono tutti VITTIME DELLA GUERRA: speravano che con una loro partecipazione attiva alla lotta contro le autorità potessero avere la possibilità di ricostruire sé stessi. L'obiettivo della società era quello di realizzare una realtà diversa che aveva come obiettivo la GIUSTIZIA, recuperare quei valori che si erano nel tempo e "far finita con la guerra". Come tante opere del neorealismo si ha UN LINGUAGGIO COLLOQUIALE per trasmettere la realtà del tempo. Viene utilizzata la tecnica del DISCORSO DIRETTO LIBERO così che i pensieri possano emergere direttamente dai personaggi. C'è un narratore onnisciente che prende il punto di vista della protagonista. VIA DEL CORNO (Vasco Pratolini) da Cronache di poveri amanti Vasco Pratolini rappresenta la storia contemporanea in un modo realistico e mimetico. "Cronache di poveri amanti" è un romanzo tipicamente neorealista, di ambiente proletario che poi si politicizza anche perché è un proletario anfascista. L'autore si interessa al popolo minuto e raffigura uno spaccato di vita popolare di Firenze. C'è una grande adesione e partecipazione morale da parte dello scrittore che non si distacca da ciò che narra e simpatizza per gli eroi umili che vengono rappresentati. IL NEOREALISMO E IL CINEMA II CINEMA diventa un mezzo per dibattere problemi umani e sociali della realtà contemporanea. Il neorealismo ha dato esiti importanti nel campo del cinema: si comincia a parlare dei CINEGIORNALI e DOCUMENTARI che esaltano lo sforzo bellico degli alleati, dando così al pubblico italiano l'immagine di una società "democratica" e "libera". Il cinema pone attenzione alla situazione politica attuale, alle sconfitte belliche e alla resistenza. Diventa non solo un mezzo di espressione artistica ma un linguaggio che deve coinvolgere sul piano intellettuale oltre che emotivo. Con il film "Roma città aperta" Rosselini narra i fatti accaduti nei nove mesi dell'occupazione nazista di Roma. Il film mostra una città distrutta e ogni percorso dei personaggi è un itinerario fra rovine reali e rovine simboliche. La vera NOVITÀ DEL FILM è costituita proprio da questo connubio fra realtà e metafora: il regista vede in queste rovine le rovine di un'intera civiltà. Nei film che vanno dal 1945 al 1948 i protagonisti, che la guerra ha fatto regredire a una vita primitiva, compiono esperienze di confine, si trovano spesso al limite tra vita civile e vita animale. Agli eroi tradizionali, fittizi e artificiosi questo cinema sostituisce UOMINI COMUNI, operai, contadini, impiegati, disoccupati, che trovano la loro verità nel rapporto con l'ambiente sociale, in una partecipazione collettiva. LA CIOCIARA (1957) Alberto Moravia Il romanzo La ciociara rappresenta, attraverso la vicenda drammatica di due protagoniste femminili, la violenza della guerra, distruttrice di vita e responsabile di mutamenti forzati e dolorosi della psicologia e interiorità degli individui (dal romanzo nel 1960 fu tratto il film omonimo, diretto da Vittorio De Sica. Il romanzo narra la storia di Cesira, una bottegaia romana rimasta vedova, e di sua figlia Rosetta. Cesira è una contadina della Ciociaria; è una donna onesta che riesce, però, a trarre considerevoli profitti dal mercato nero. Ha cresciuto sua figlia educandola al rispetto degli altri. Non appena a Roma comincia a scarseggiare il cibo e si fa più concreta la minaccia dei bombardamenti, la ciociara decide di raggiungere i monti della sua terra natale, nei pressi di Fondi. Qui la madre e la figlia adolescente vivono mesi di sacrifici, di ansie, di ranza illusione, come tutti coloro che aspettano la pace e la liberazione. Mentre si riposano in una chiesa deserta, Cesira e Rosetta sono sorprese da un gruppo di soldati marocchini aggregati ai reparti alleati. Entrambe vengono aggredite e Rosetta subisce violenza. Lo stupro è un trauma durissimo per la giovane: ella muta la dolcezza dei suoi atteggiamenti acquistando un carattere che la madre non riconosce più. Tuttavia, durante il viaggio di ritorno verso Roma, ormai liberata, Rosetta si lascia andare a un pianto che sembra riscattare tutto il suo dolore e la miseria della violenza subita. LA VIOLENZA DELLA GUERRA capitolo IX, dalla Ciociara Il brano mette in scena il drammatico episodio della violenza sofferta da Cesira e Rosetta, le quali apprendono, dall'esperienza della guerra e dal pericolo della morte sempre incombente, ma soprattutto dal sacrificio personale dall'aggressione subita, tutta la brutalità del mondo travagliato dall'irrazionalità di un apocalittico sconvolgimento. La chiesa dove trovano rifugio momentaneo dovrebbe essere, nella loro ottica, il luogo dell'innocenza e della pietà, in cui è possibile alimentare la SPERANZA del recupero di un'atmosfera affettiva. MA a distanziare Cesira da questo recupero nostalgico dei luoghi natali è la coscienza di trovarsi di fronte a un paesaggio distrutto, sconvolto, definito dallo scrittore "un guscio vuoto". Lo scrittore raffigura l'attacco del soldato a Cesira come una sorta di agguato felino (il soldato rappresentato con occhi neri, viso scuro, denti neri). Narra il tentativo di violenza alla madre, lasciando quasi pietosamente nell'ombra lo stupro alla figlia. Il tema dell'innocenza violata di Rosetta viene evidenziato dalla metafora della preda. GUERRA E GIORNALISMO Durante la seconda guerra mondiale il CINEMA diventa un importante MEZZO DI PROPAGANDA. In Italia negli anni '20 si assiste alla "fascistizzazione" dell'industria cinematografica → una politica di intervento e di controllo diretto da parte del regime fascista che promuove la realizzazione di opere autocelebrative. Con la nascita dell'istituto Nazionale Luce si trasmettono in Italia e all'estero tutti gli eventi più significativi della storia del fascismo. Importante è anche il ruolo della RADIO → negli anni '30, sia in Germania sia in Italia, diventa l'organo di informazione quotidiana più importante. Alla fine del secondo conflitto mondiale l'Istituto nazionale Luce vive una profonda crisi e questa si ripercuote in tutto il cinema italiano. Tuttavia lo stato italiano interviene a sostenere economicamente LA PRODUZIONE DEI DOCUMENTARI che in assenza della televisione sono un elemento di legame tra il paese e il pubblico. Così, tra il luglio 1945 e l'ottobre 1946, nelle sale italiane ricompare un cinegiornale con il marchio dell'Istituto, che ha assunto la denominazione di Istituto Nazionale Luce Nuova. Alla fine del lungo conflitto mondiale l'Italia repubblicana accetta il programma di rifondazione, il "Piano Marshall", che prevede anche una campagna propagandistica, al fine di innalzare il livello di speranza e la capacità di programmazione del futuro. Un ruolo importante nel raccontare la guerra fu quello dei giornalisti/reporter di guerra che si servivano dei reportage. Storicamente la figura del reporter di guerra nasce durante la guerra di Crimea nel 1854 con le cronache dal fronte di William Russell → era un giornalista irlandese che inventò le corrispondenze di guerra: la guerra per la prima volta venne raccontata nella sua crudeltà e nella sua devastazione. Sono immagini molto lontane dalle cronache celebrative che avvenivano per le campagne militari. A quel tempo gli articoli di Russel contribuirono alla caduta del governo inglese e diedero voce all'indignazione dell'opinione pubblica. Questi articoli portarono una schiacciante evidenza: l'informazione era una delle più importanti armi a disposizione degli governi perché permetteva a creare e pilotare il consenso delle masse. Per questo motivo IL GIORNALISMO DI GUERRA poi si è dovuto confrontare con la censura che è stata pressante soprattutto durante il periodo fascista → le notizie erano selezionate per evitare che potessero suscitare e muovere le coscienze delle masse. Solo dopo il ventennio fascista (con la riconquista della libertà di stampa, con un processo di ricostruzione di un sistema più democratico dei mass media e con l'avvento delle nuove tecnologie e della rete) il giornalismo di guerra ha tentato di proporre una lettura di informazione libera con immagini, racconti e testimonianze. A Ernest Hemingway si deve LA FUSIONE TRA CRONACA (giornalismo fatto di cose viste sul campo e di personaggi ritratti sul campo) E IL RACCONTO → egli sottolinea la possibilità che l'autorità si possa trasformare in un'opera letteraria. Egli era un giornalista e scrittore che ricalca il modello di Jack London che vuole testimoniare il proprio tempo. Anche la figura del giornalista cambia → è una figura vivificata perché esprime con grande passione una riflessione politica e sociale e il GIORNALE acquisisce una NUOVA ESTETICA: diventa una struttura di comunicazione e di riflessioni politico sociale. Con Giuseppe Prezzolini la separazione tra giornalista e scrittore si fa sempre più sottile. I due campi del giornalismo e della letteratura si fondono →→ la letteratura deve confrontarsi sempre con l'attualità e la cronaca dei fatti si unisce con la capacità da parte dello scrittore di raccontare. Il giornalismo non è solo informazione ma anche divulgazione e indagine e trattazione, soprattutto quando si parla di argomenti di spessore come l'evento bellico. Con Curzio Malaparte il reportage diventa un genere letterario: si tratta di un ARCHIVIO DI VIOLENZA E DI SCANDALI DELLA GUERRA. L'autore descrive le cose che vede, ma soprattutto le impressioni (come egli vede le cose). Dà una visione personale della guerra. LA PELLE (Curzio Malaparte) La Pelle è un romanzo che suscitò molte polemiche poiché evidenzia con grande eroismo una Napoli smembrata moralmente e fisicamente dalla guerra nell'inverno del 1943 al marzo del 1944. L'autore rappresenta la lotta alla sopravvivenza con lucidità, senza lasciarsi trasportare da sentimentalismi. Si presenta uno scenario raccapricciante di un'Italia sconvolta e devastata. Malaparte venne visto come voce scomodante del partito fascista. Verrà arrestato più volte e verrà poi liberato dagli americani e dedica il suo romanzo ad un generale americano che lo ha salvato. LA BANDIERA capitolo X, da "La pelle" Si presenta una scena di violenza e terrore → c'è crudezza nel modo in cui vengono descritti i corpi di alcuni uomini che vennero schiacciati da un carro armato e risultano essere come un tappeto di pelle umana. IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO (Italo Calvino) E' un romanzo nel quale Calvino va a trattare il tema della RESISTENZA PARTIGIANA. Da un lato il romanzo si inserisce nel clima neorealista sia per il suo tema, ossia la guerra partigiana, sia per il suo essere: Calvino vuole fissare per i posteri in modo più realistico possibile un evento storico importante. Tuttavia il romanzo presenta anche caratteristiche innovative, che lo allontanano dal resto della letteratura neorealista. La caratteristica più importante è quella del PUNTO DI VISTA scelto per raccontare questo momento storico: la guerra e la Resistenza sono viste dallo sguardo di un bambino, Pin (il protagonista di questo brano). In questo punto di vista Calvino si identifica, dal momento che lo scrittore ha sì vissuto la Resistenza, ma non da protagonista. Lo sguardo di Pin è particolare perché egli non è un bambino come tutti gli altri, ma è un bambino orfano che vive in mezzo ai grandi. Il bisogno di affetto lo spinge a cercare la compagnia degli adulti. Gli adulti gli appaiono incomprensibili e contraddittori (essi dicono qualcosa e poi smentiscono quello che hanno detto); ma, pur di essere trattato alla pari, si sforza di seguire i loro discorsi. Un giorno all'interno dell'osteria dei grandi appare uno sconosciuto e i grandi chiedono a Pin di rubare una pistola di un marinaio tedesco (ci troviamo nell'epoca dell'occupazione tedesca in Italia). Pin non capisce bene, ma la notte ruba la pistola perché pensa che così potrà essere considerato uno di loro. Il giorno dopo la porta all'osteria, ma i grandi sembrano aver cambiato idea, sembrano non dare più importanza alla pistola. Così Pin, infuriato, scappa via e nasconde la pistola in un posto segreto, che solo lui conosce, lungo un sentiero dove fanno i nidi i ragni. Al ritorno in paese si imbatte nella polizia tedesca che gli stava dando la caccia; viene quindi interrogato e spedito in prigione. Durante l'interrogatorio il bambino cerca di mettere in difficoltà l'ufficiale e non rivela la verità sul furto perché non vuole tradire i compagni dell'osteria in quanto sono gli unici amici che lui ha. Dopo però lui subisce un'altra delusione: tra i tedeschi Pin riconosce il Francese che lo aveva spinto a rubare l'arma e che lo aveva spinto a non parlare di tutto ciò; il Francese lo aveva tradito ed era passato dalla parte dei fascisti. Da questo momento in poi Pin viene in contatto con i partigiani e si unisce, senza capirne le ragioni, alla loro lotta. Un'altra caratteristica originale di questo romanzo è che i partigiani non sono sempre presentati come degli eroi: la storia della resistenza attraverso lo sguardo di questo bambino perde quell'aspetto mitico ed eroico che si è sempre cercato di evidenziare sui libri; il bambino riesce a cogliere anche l'aspetto contraddittorio dei partigiani. (Sia da parte dei fascisti sia da parte dei partigiani si aveva la tendenza a raccontare le vicende in maniera oggettiva perché si voleva dare come una sorta di presa visione della realtà; in questo modo però non si teneva conto di tante cose che potevano essere legate ad uno aspetto dell'individuo.) Può essere considerato anche un romanzo di crescita, la guerra come sfondo esalta dolore e paura già presenti nel protagonista. Pin indaga, paragona, analizza gesti e desideri altrui per scoprire che tipo di persona vuole diventare. Si va a raccontare quindi anche la ricerca di sé stesso da parte del bambino. IL PARTIGIANO JOHNNY (pubblicato postumo 1968) Beppe Fenoglio Il partigiano Johnny NON viene classificato come un romanzo poiché si presenta sia come romanzo di formazione sia come cronaca storica degli anni della guerra. Viene definito un "libro grosso": è molto esteso, dovrebbe coprire l'intero arco della guerra, infatti venne sottoposto a più stesure. Il libro si fonda sull'esperienza autobiografica di Fenoglio sulla RESISTENZA durante la Seconda guerra mondiale. Il libro ruota intorno la figura del giovane Johnny → egli rappresenta l'eroe della Resistenza, simbolo vivente dell'antifascismo, la vera incarnazione del partigiano assoluto, che vive la sua avventura senza illusioni. La sua figura è ricalcata da vicino su quella di Fenoglio stesso e le sue vicende ripercorrono la biografia dello scrittore. Dopo l'armistizio di Badoglio nel 1943 Johnny riesce a tornare a casa e viene nascosto dai genitori in una villetta sulle colline delle Langhe, nei pressi di Alba, per evitare di essere ripreso dai fascisti che avevano formato la repubblica di Salò e che stavano richiamando tutti i giovani alle armi, per partecipare alla guerra. Per ingannare il tempo Johnny si intrattiene leggendo, ma sembra impazzire: anche la letteratura che era la sua passione non gli basta più. L'isolamento fa crescere dentro di sé il senso di libertà, la voglia di riportare giustizia alla sua città e il desiderio di contribuire attivamente alla salvezza del proprio paese. Ciò lo porta a scappare e a dirigersi verso Alba, dove decide di unirsi ai partigiani. La vicenda si conclude con un violento scontro a Valdivilla nel febbraio del 1945. La Resistenza che Fenoglio narra è un'avventura umana universale; gli uomini combattono per un aspetto collettivo: tutti sono uniti nella lotta per la libertà → non si rassegnano al loro destino, ma si oppongono in modo eroico perché sono spinti e motivati dai grandi ideali. Il loro è un pessimismo "resistente", non rassegnato: anche se siamo tutti destinati alla morte, sul piano esistenziale siamo già vinti, quindi dobbiamo andare incontro al nostro destino (la condizione ideale dell'uomo di tutti i tempi è quella di combattere per la propria dignità e per la propria libertà). La guerra però NON è il fine della narrazione, ma il mezzo della narrazione: viene presentata come lo scontro dell'uomo con la violenza, con la sofferenza e con la morte; la guerra toglie ogni dignità umana all'individuo. Johnny infatti non viene visto come un eroe dal suo autore, non vi è niente di epico nelle sue gesta: egli viene presentato soltanto come un uomo alla ricerca di una ragione, di una verità. Gli studiosi individuano il brano come un racconto di stile epico: NON c'è un tono celebrativo ma una amara ironia e si mantiene una visione oggettiva: prevale una narrazione secca degli eventi, non dando importanza ai pensieri e all'opinione del personaggio. Lo scrittore usa anche un linguaggio quotidiano e uno stile aulico ed evocativo. Inoltre c'è una forte mescolanza dell'inglese e dell'italiano. Il Paradiso, Dante La Commedia Il Paradiso è un nuovo regno della Commedia; è la città celeste, il regno dello spirito. È costituito da NOVE CIELI, rotanti intorno alla terra (si segue la dottrina tolemaica secondo la quale si trova al centro dell'universo) con un movimento che aumenta l'intensità sempre di più dal primo all'ultimo. Gli angeli si trovano nell'empireo e man mano scendono e incontrano Dante. L'empireo (il decimo ed ultimo cielo a partire dalla terra) è un cielo immobile, immateriale e infinito, sede di dee e dei Beati. Il Paradiso appare a Dante come un mare di luce → Dante fa un viaggio alla ricerca della luce, di Dio e man mano incontra anime differenti tra loro: alcune appaiono fiammeggianti, altre che danzano e ballano. Qui Dante arriva a contemplare il sommo bene. La materia nel Paradiso è INEFFABILE → inesprimibile a parole, ciò che non può essere concepito attraverso la parola. C'è un allontanamento dal tangibile, ossia ciò che può essere concepito attraverso i sensi. Il compito di Dante è di rendere l'ineffabile: è impossibile raccontare per chi scende dal Paradiso ciò che lui ha visto e vissuto. Dante, nel procedere verso l'alto e giungendo al Paradiso, perde le certezze del mondo tangibile → il salire non è un salire fisico, MA un desiderio (a Beatrice basta guardare in alto con desiderio per raggiungere il luogo desiderato). Abbandonando tutte le certezze, parla del REGNO DELLO SPIRITO. Il regno dello spirito è di difficile comprensione perché non ci sono termini di paragone con la vita terrena. Non è un luogo fisico, ma fatto di luce, di stelle. Per umanizzare la materia sovrumana (ciò che non può essere compreso dal nostro pensiero), Dante utilizza la LUCE e la MUSICA e mantiene sempre una LUCIDITA' RAZIONALE; ciò gli permette di non abbandonarsi mai a un totale misticismo. La POESIA è l'unica che può esprimere L'INESPRIMIBILE e rendere il mondo dello spirito COMPRENSIBILE E CONCEPIBILE per i mortali. Le novità A livello metrico viene impostata la TERZINA DANTESCA → versi endecasillabi con rima incatenata. La struttura della terzina è costituita da trentatré sillabe (il numero 3 allude alla trinità, alla perfezione). Può essere rappresentata attraverso una figura spirale, ripropone lo stesso viaggio che il pellegrino fa nell'ottica della purificazione per raggiungere la salvezza. Dal punto di vista stilistico, è presente uno svariato numero di SIMILITUDINI → si ha la ripresa della similitudine che stava decadendo all'interno della poesia medievale). Un'altra novità è la LINGUA: non c'è un testo autografo, ovvero non esiste un testo originale (abbiamo solo testimoni). Ma si può risalire alla lingua di Dante solo attraverso alla RIMA. E' inoltre il PLURILINGUISMO poiché si usano diversi livelli della lingua: la presenza di latinismi è molto ricorrente (esempio: il termine labor, in italiano lavoro, indica la fatica), ci sono anche modelli linguistici intrecciati tra loro che furono attestati per la prima volta da Dante, ma che resistono anche nei nostri giorni (esempio: fertile deriva dal latino ed indica portare o l'aggettivo mesto che significa essere triste, addolorato). La Commedia è il testo che ha permesso di introdurre i latinismi nella lingua comune. CANTO I I primi versi costituiscono il Proemio, il quale è costituito da: ➤ PROTASI → c'è un'invocazione alla musa ➤ APOTASI → parte destinata all'argomento Si sviluppa in 12 terzine ed inizia con la perifrasi di Dio (c'è un giro di parole per arrivare ad un concetto) → Dio viene menzionato nel primo verso, in quanto è colui che muove tutto l'universo. Dante invoca Apollo (Dio della poesia) per chiedergli aiuto; spera di ricevere da parte sua la corona di alloro (simbolo della gloria). IL CANTO SESTO È un canto politico → si ha L'EVOLUZIONE DEL TEMA POLITICO. Nel corso della Commedia il tema politico si accresce, c'è una sorta di climax: si parte dalla visione di Firenze divisa al tempo nell'inferno, per poi passare al purgatorio dove si ha ancora una volta la denuncia di due fazioni (guelfi e ghibellini) che hanno portato alla decadenza civile dell'Italia. Nel paradiso viene affrontato il tema dell'ISTITUZIONE IMPERIALE e del RUOLO PROVVIDENZIALE nel mondo per mostrare come le due fazioni dell'epoca (guelfi e ghibellini) cercarono di appropriarsi del comando dell'impero. Il protagonista di questo canto è Giustiniano → l'imperatore dell'impero romano d'Oriente (dal 527 al 565 a.c), noto per aver istituito le leggi giuste. L'opera finale di Giustiniano fu il Corpus Juris Civilis (opera scritta per diretta ispirazione divina), basata sull'importanza della giustizia e delle leggi (secondo Giustiniano l'unità giuridica era la chiave per arrivare ad unità politica) e necessaria per effettuare l'UNIVERSALIA' DELL'IMPERO. Per la sua opera a Giustiniano viene riconosciuta la RESTAURAZIONE DELLA TRIPLICE UNITA' DELL'ITALIA IMPERIALE: a livello bellico-territoriale per le varie conquiste, a livello religioso poiché l'unità religiosa è il presupposto per l'unità politica (inizialmente Giustiniano era un monofisita, credeva solo nella natura divina di Cristo; quando entra in contatto con la chiesa e con il Papa comprende anche la natura umana di Dio) e a livello legislativo, in quanto con l'unità giuridica si può procedere all'unità politica. Giustiniano viene considerato il simbolo stesso dell'impero e l'ideale di imperatore che deve portare nell'impero stabilità, giustizia, ordine, pace (ciò è anche la base dell'azione spirituale della chiesa, ovvero condurre gli uomini verso la felicità). Siamo nel secondo cielo o CIELO DI MERCURIO. Mercurio è un pianeta piccolo ("è una piccola stella, verso 112) in cui scendono gli spiriti che in vita erano attivi ed operanti soltanto per conseguire gloria terrena, onore e fama. Queste anime si muovono silenziosamente; sono luce che si muove nel profondo della luce. Gli spiriti vengono paragonati a dei pesci che convergono nella peschiera con la pastura (si allude all'importanza dell'ACQUA, elemento utilizzato per la comprensione della materia divina, ineffabile). Con questa SIMILITUDINE si allude al fatto che, nonostante il pianeta sia piccolo, le anime convergono in tantissime su un unico punto. Il discorso di Giustiniano occupa l'intero canto e può essere diviso in quattro parti → il discorso inizia già nel canto precedente e termina nelle prime terzine del settimo canto. Nel settimo canto, ad un certo punto del suo discorso, Giustiniano canta un inno di lode a Dio e si dilegua danzando insieme alle anime mercuriali nell'Empirio per dirigersi verso Dio. Questa danza era una componente necessaria nelle cerimonie e spettacoli sacri. Attraverso l'aquila si ripercorrono le vicende dell'impero romano. L'AQUILA ("uccel di Dio", "sacre penne") rappresenta il simbolo dell'insegna dell'autorità imperiale, simbolo dell'impero romano e simbolo della giustizia. L'aquila ha il compito di guidare gli uomini verso la salvezza e spianare le vie alla chiesa. Dante parla anche di come Costantino va da occidente verso oriente ("contro il corso del sole") nello spostamento della capitale a Costantinopoli e riprende la teoria dei due soli, secondo la quale sia il papa che l'imperatore ricevono il potere da Dio e sono entrambi importanti per il raggiungimento della felicità. Dante sottolinea anche la decadenza di tutte le istituzioni politiche del suo tempo perché sono queste la causa del disordine della giustizia nella quale si trova l'Italia. Polemizza contro i guelfi e i ghibellini, considerati la causa dei mali del mondo. In questo cielo Giustiniano cita anche l'anima di Romeo Villanova, un esempio di politico devoto, corretto e fedele che venne respinto ed esiliato per ostilità dei suoi concittadini. Anche lui si trova nel cielo di Mercurio. CANTO 33 Dopo la guida di Virgilio, simbolo della razionalità, e di Beatrice, simbolo della teologia, ora a guidare Dante è San Bernardo di Chiaravalle, che rappresenta il momento mistico, il momento che mette in condizione l'uomo di guardare la divinità. Ci troviamo nell'Empireo. Il canto si apre con LA PREGHIERA ALLA VERGINE San Bernardo prepara Dante all'incontro con Dio, pregando la Vergine. Egli rappresenta la guida ultima che permette che questo viaggio si concluda. La ergine rappresenta il tramite fondamentale tra l'uomo e Dio. Dante penetra con lo sguardo nella luce di queste anime che sono disperse nella luce → è come se Dante si fondesse nella perfetta armonia universale della luce di Dio. In un primo momento c'è la lode alla Vergine. Questa preghiera è detta LODE OSSIMORICA: in questa preghiera Dante sforza di risolvere tutti quegli aspetti oppressivi del limite umano attraverso L'OSSIMORO → Maria è sia vergine che madre. Maria è figlia del suo figlio, perché creatura di Dio e madre di Cristo, di Dio. È umile ed alta. C'è un ossimoro anche di Cristo: esso non è solo creatore, ma anche creatura. Nella poesia di Dante l'ossimoro non è un artificio retorico che serve per sorprendere il lettore, ma diviene il mezzo più efficace per illustrare la verità di fede, la materia ineffabile che non sarebbe mai comprensibile. La rappresentazione ossimorica di Maria dimostra come la logica umana non sia più sufficiente. Inoltre, sono presenti DUE METAFORE (similitudini senza nessi connettivi) che disegnano la Vergine attraverso il chiasmo: meridiana pace e fontana vivace. Comincia poi, in un secondo momento, la supplica alla Vergine → l'invocazione di Dante per ottenere la grazia della visione di Dio. Questo brano è denso di simboli e metafore che sono connotate con il tratto semantico del caldo il caldo si collega con l'immagine della fecondità. C'è una rappresentazione dell'amore come fuoco. San Bernardo conclude la preghiera invitando Maria a posare lo sguardo su Beatrice perché Beatrice, insieme a tutti gli altri beati del Paradiso, giunge come mediatrice affinché a Dante sia data la più alta grazia → LA CONTEMPLAZIONE DELLA LUCE DI DIO.