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Giovanni Boccaccio

12/3/2023

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Boccaccio
1. La vita
Ira Firenze e Napoli
Insieme a Dante e Petrarca, Boccaccio è ritenuto una delle tre corone della lingua
italiana.
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Boccaccio 1. La vita Ira Firenze e Napoli Insieme a Dante e Petrarca, Boccaccio è ritenuto una delle tre corone della lingua italiana. Nacque, nel 1313, probabilmente a Certaldo, figlio illegittimo del mercante Boccaccino di Chellino. Nel 1327 si recò a Napoli con il padre in quanto socio della potente banca dei Bardi. Entrò a far parte della corte di Roberto d'Angiò, dove potette frequentare la nobiltà e l'alta borghesia napoletane. Il padre, però, spinse suo figlio a svolgere la pratica mercantile e ciò mise Boccaccio a contatto con numerose persone e realtà differenti favorendo lo sviluppo dello spirito di osservazione dello scrittore. Durante il periodo passato a Napoli, Boccaccio conosce e sperimenta sia l'ambiente "borghese", che quello "cortese”. A Napoli comincia ad appassionarsi alla letteratura cortese e ai Classici (sia latini che contemporanei) attraverso lo studio da autodidatta. A questo periodo risalgono anche le prime prove letterarie: il Filostrato e il Filocolo. Dalla corte al Comune: il ritorno a Firenze A ausa della crisi della Banca dei Bardi, Boccaccio fu costretto a tornare a Firenze nel 1340, passando così da un ambiente stimolante e ricco di svaghi ad un contesto caratterizzato da ristrettezze economiche. Qui, però, ottiene riconoscimenti ed incarichi grazie alle sue doti letterarie. A Firenze lo coglie, nel 1348, la terribile epidemia di peste nera e ciò causò la perdita...

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Didascalia alternativa:

del rispetto civile e l'imbarbarimento dei cittadini. È proprio in questo periodo che prende forma definitiva la sua opera maggiore, il Decameron. L'incontro con Petrarca e gli ultimi anni In occasione di uno dei viaggi in qualità di ambasciatore per il Comune, Boccaccio è ospite a Padova di Francesco Petrarca. Tra i due nacque una grande amicizia determinata da un'intensa corrispondenza epistolare che portò lo scrittore ad un maggiore amore per i classici. Nel 1360, Boccaccio ricevette gli ordini minori, e dal 1362 si ritirò a Certaldo. La sua casa divenne un autentico centro di irraggiamento culturale, di incontro e diffusione del petrarchismo. Nel 1373 accetta l'ultimo incarico pubblico, dedicandosi alle Esposizioni sopra la Commedia di Dante. Morì il 21 dicembre del 1375. 2. Il pensiero e la poetica Boccaccio è testimone della transizione dalla società comunale a quella signorile. Nella sua figura di intellettuale ritroviamo la compresenza di almeno tre modelli culturali: quello aristocratico-borghese, che si era espresso nella tradizione cortese e stilnovistica, quello borghese-comunale, vivo nella dimensione urbana e nella 1 cultura dei mercanti, e infine quello umanistico, che si fonda sul culto dei classici e sui valori dell'uomo. Questi modelli sono riconoscibili nel Decameron e in tutta la sua opera, che riflette la complessità e la forza della cultura borghese comunale. A dimostrare la sua modernità è inoltre una visione laica dell'esistenza e del mondo. I modelli su cui si forma Boccaccio sono essenzialmente due: Dante e Petrarca. Dante è per lui esempio di ricerca etica e civile. L'amicizia e il legame culturale con Petrarca furono determinati, invece, nell'indirizzare in senso pre-umanistico le scelte e gli interessi di Boccaccio. Ma l'influenza petrarchesca fu decisiva soprattutto nell'avviarlo allo studio e all'amore per i classici. Il ruolo di Boccaccio, come quello di Petrarca, è dunque un ruolo ponte tra due epoche. L'arte di raccontare Boccaccio è l'autore che ha consegnato alla cultura europea il primo grande modello di prosa narrativa. Il Decameron, infatti, è il libro su cui per secoli si definirà il canone della nostra prosa letteraria. Boccaccio, però, fondò un canone su una strada già esistente. Nel Decameron fa convergere modi e generi del narrare già vivi nelle culture latina e volgare per far sbocciare la novella moderna. Boccaccio fa della novella il genere capace di rappresentare l'imprevedibilità della realtà. Nel Decameron i personaggi acquistano spessore "realistico" perché i loro comportamenti non sono più riconducibili a modelli fissi e ripetitivi, e soprattutto perché su di essi agisce sempre l'azione delle forze in gioco nell'esistenza (la fortuna e l'amore su tutte). Ogni azione umana risponde a una morale laica e terrena che si fonda sull'istinto naturale. Per Boccaccio l'orientamento per l'uomo è la ragione chiamata a valutare quali scelte e comportamenti l'individuo può adottare. L'intento pedagogico della novella antica lascia il posto al valore del racconto in sé e al piacere della narrazione. Il valore etico della parola e l'"ordine" della narrazione si costituiscono dunque come riparo possibile al caos del mondo. 3. Le opere minori La vivacità e la varietà di interessi di Boccaccio durante gli anni giovanili trascorsi a Napoli, portano il poeta a sperimentare molti generi e a cimentarsi con diversi codici espressivi. Le opere del periodo napoletano Il Filostrato è un poemetto scritto in ottave che fa parte della produzione giovanile di Boccaccio e risale al periodo in cui l'autore risiede a Napoli. Il componimento preannuncia già nel titolo l'argomento che tratterà: il termine "filostrato" significa infatti "vinto d'amore", in accordo con la figura del protagonista, Troiolo, abbattuto da un sentimento irresistibile nei confronti di Criseide, che sconvolge per sempre il suo animo. Il tema scelto rimanda però anche al mondo omerico della guerra di Troia. Diverso è il carattere del Filocolo. Si tratta di un'opera narrativa in prosa che riprende la vicenda del romanzo medievale francese che narra la storia delle 2 peripezie di due giovani amanti, Florio e Biancofiore. Il termine Filocolo significherebbe "fatica d'amore", la narrazione sarebbe stata infatti intrapresa su richiesta e per amore di una donna indicata con il nome di Fiammetta. Le numerose digressioni che interrompono il filo della storia consentono a Boccaccio di stabilire un legame tra la vicenda dei due amanti che si svolge all'origine dell'età cristiana, e l'ambiente della Napoli angioina. L'opera successiva è il Teseida, un poema epico in ottave a cui Boccaccio inizia a lavorare a Napoli, ma che conclude dopo il ritorno a Firenze. Anche in quest'opera l'elemento centrale è costituito da una vicenda amorosa ambientata nell'antica Grecia, ma al mondo mitologico e classico si aggiungono elementi di tradizione medievale francese e della poesia italiana. Le opere del periodo fiorentino Dopo il ritorno a Firenze, Boccaccio scrive un altro romanzo in prosa, l'Elegia di madonna Fiammetta. L'opera segna tuttavia una svolta in Boccaccio; egli narra la vicenda non dal proprio punto di vista bensì da quello di una dama napoletana, Fiammetta, abbandonata dall'amante Panfilo. Fiammetta attende invano il suo ritorno ricordando i tempi dell'amore felice. Il tormento, inoltre, è accresciuto dal fatto che Fiammetta è sposata e deve nascondere al marito il vero motivo della sua infelicità. Oltre al nome della protagonista, elementi interessanti in comune con Decameron si trovano nella dedica alle donne contenuta nel Prologo. Le opere della maturità Gli anni che seguono la scrittura del Decameron sono segnati da un ripensamento della figura e del ruolo dell'intellettuale, testimoniato dalla scelta della lingua latina e dal carattere principalmente colto della produzione letteraria. Alla metà degli anni Sessanta sembra poter essere ricondotto il Corbaccio, l'ultima opera narrativa in volgare, che colpisce soprattutto per il contenuto misogino. Il titolo del testo è di dubbia interpretazione: forse rinvia al "corvo", uccello che annuncia sventura, riferibile all'autore stesso o alla vedova protagonista dell'opera. In ogni caso, l'opera conferma l'inesausto gusto di Boccaccio per la sperimentazione letteraria. 3 Il Decameron Il Decameron è una raccolta di 100 novelle scritte probabilmente tra il 1348 e il 1353, immediatamente dopo l'epidemia di peste che si abbattè su tutta Europa nell'XIV secolo. La cornice L'autore racconta come durante il periodo di pestilenza che devasta Firenze, 10 giovani fiorentini (sette ragazze e tre ragazzi), si siano trasferiti in campagna per sfuggire al contagio. Il contesto della peste rappresenta proprio la cosiddetta cornice (la situazione letteraria che unisce e racchiude le varie storie all'interno di un'opera unitaria). Quest'ultima è un elemento essenziale poiché nel caos epidemico narrato, Boccaccio intende riportare l'ordine ricomposto dall'armonica unità dell'allegra compagnia. I giovani novellatori incarnano dunque un modello positivo di vita in comune, una "nuova società" fondata su un ordine razionale che valorizza il gusto e la gioia di vivere. La "nuova società" creata dei novellatori, non rappresenta però una fuga utopica in un mondo ideale: i 10 giovani, infatti, rientreranno insieme a Firenze, nella realtà complessa e contrastata della storia e con essa dovranno tornare a fare i conti. Il titolo e la struttura Come il titolo dichiara (Decameron vuol dire "di dieci giorni"), il libro è suddiviso in 10 parti corrispondenti alle 10 giornate che il gruppo di ragazzi dedica alle narrazioni. In campagna, immersi tra la natura, i giovani si dedicano ad ozi quali il cibo, i balli ma soprattutto i giochi. Nel frattempo però nel pomeriggio, nelle ore più calde del giorno, decidono di raccontare una novella ciascuno. I nomi dei protagonisti sono: Fiammetta, Panfilo, Filostrato, Elissa, Dioneo, Emilia, Filomena, Lauretta, Neifile e Pampinea. Ogni giorno viene nominato un re o una regina che sceglie il tema di cui dovranno parlare le novelle raccontate dai fanciulli (fatta eccezione per Dioneo, a cui era concesso un tema a sua scelta ogni giorno). Le diverse novelle raccontate nei 10 giorni di narrazione sono stabilite, dunque, per tematiche: 1. Tema libero; 2. Sfortunati le cui vicende hanno un lieto fine; 3. Chi acquista o recupera con l'ingegno qualcosa che desidera; 4. Amori dalla fine tragica; 5. Amori ostacolati con lieto fine; 6. Chi fugge dal pericolo con l'astuzia; 7. Beffe delle mogli ai mariti; 8. Beffe che uomini e donne si fanno rec camente; 9. Tema libero; 10. Avventure amorose cortesi e magnanime. 4 Ogni giornata è introdotta da una premessa e da un'introduzione al tema che si andrà a trattare. In conclusione vi è poi una ballata cantata dall'"allegra brigata" di fanciulli. Se 10 sono le giornate dedicate ai racconti, sono invece 14 i giorni di permanenza fuori città, in quanto la narrazione, iniziata un mercoledì, viene sospesa il venerdì e il sabato. L'architettura interna del libro, poggia interamente sui numeri-simbolo 10, 7 e 3: 10 sono le giornate, in ognuna delle quali si raccontano 10 novelle, per un totale di 100; 10 sono anche i narratori, di cui 7 ragazze e 3 ragazzi. Un simbolismo che rivela come le radici del Decameron siano ancora connesse al pensiero medievale. I temi Uno dei protagonisti del Decameron è la città, o meglio la realtà urbana. Gran parte delle novelle infatti è ambientata nell'ambiente urbano e il poeta si concentra in particolare nel contesto mercantile del XIV secolo, ma nonostante celebri l'industriosità della classe borghese non manca di sottolinearne i limiti dell'eccessivo attaccamento al denaro. Però, nel momento in cui Boccaccio mette mano al suo libro, la società mercantile è ormai avviata in una crisi irreversibile. Anche per questo al mondo dei mercanti spesso si oppone nostalgicamente un altro modello: quello della civiltà cortese e cavalleresca, con i suoi valori di liberalità e nobiltà d'animo e la sua raffinata definizione dei rapporti umani. La vita dei mercanti è sottoposta quotidianamente ad imprevisti in quanto dominata da una forza imprevedibile: la fortuna. Però, mentre con Dante si pensava che la fortuna fosse una conseguenza del volere di Dio e fosse gestita da intelligenze angeliche, in Boccaccio la fortuna è intesa in senso laico, cioè non subordinata alla volontà divina. Un altro aspetto innovativo dell'opera è il ruolo assegnato alla figura femminile. Il Decameron si apre con il Proemio dove lo scrittore si preoccupa di giustificare il proprio libro. Boccaccio afferma nel Proemio che l'opera è dedicata a coloro che sono afflitti da pene d'amore ma, in particolar modo, alle donne, simbolo di un ideale di letteratura e di poesia. Sono le donne, secondo Boccaccio, a stimolare la virtù dell'uomo. Le donne di Boccaccio non sono più le donne angeliche della tradizione stilnovistica, ma esseri dotati di istinti naturali positivi capaci di difenderne le ragioni attraverso un uso consapevole e razionale della parola, e capaci di rivendicare il proprio ruolo di soggetti e non solo di oggetti del desiderio. Un'altra forza che, insieme alla fortuna, ordina e domina l'universo del libro è la natura, intesa come pulsione istintiva che è presente in ciascun individuo. Fortuna e natura, le "due ministre del mondo", possono convergere nella stessa direzione, o entrare in conflitto tra loro. Secondo Boccaccio, una terza forza interviene da protagonista nel Decameron, ovvero l'industria (da intendersi come capacità di iniziativa e ingegno). Grazie quest'ultimo, l'individuo può rivendicare il giusto riconoscimento delle qualità di cui la natura lo ha dotato, prendendosi una rivincita sul sistema rigido delle convenzioni sociali e sulla fortuna. 5 Se la natura è una delle "ministre" dell'universo di Boccaccio, l'amore è il campo in cui essa manifesta la sua forza. L'eros per Boccaccio è una forza naturale e istintiva, e in quanto tale positiva e vitale. L'amore celebrato da Boccaccio è comunque molto diverso dal sentimento narrato da Dante nella Divina Commedia o nelle altre sue opere. Per Dante, infatti, l'amore era quasi un sentimento rivolto alla spiritualizzazione dell'essere, mentre al contrario, Boccaccio ne celebra soprattutto l'aspetto carnale. Al centro del libro, inoltre, si colloca il potere della parola. La parola, fin dalla prima novella del libro, si fa strumento risolutivo, capace persino di ribaltare la realtà. Ai motti, ovvero quelle battute di spirito in grado di risolvere da soli una situazione difficile, è dunque dedicata la sesta giornata. Il tema dell'amore torna centrale nella settima e nell'ottava giornata, dove si intreccia con il motivo della beffa. Il modello, però, non è più quello della tradizione romanza alta, bensì quello popolare dei fabliaux, narrazioni francesi della fine del XII secolo di argomento lascivo e scatologico. A questa tradizione Boccaccio si spira per accentuare i registri del comico. Un parziale cambiamento di prospettiva sembra intervenire nella decima giornata, dedicata alle avventure amorose cortesi e magnanime. Dal contesto borghese e mercantile e ci si affaccia al mondo aristocratico e cortese. Lingua e stile Quando parliamo di lingua e stile del Decameron dobbiamo distinguere tra la lingua e lo stile dell'autore e la lingua e lo stile dei protagonisti. Il linguaggio dell'autore è infatti caratterizzato da uno stile alto e sostenuto, pieno di frasi subordinate con una sintassi modellata sul latino. Al contrario delle voci dei personaggi che comprendono un registro linguistico vario, che non esclude anche modi di dire popolari. 6 Decameron, IV, Introduzione La "novella delle papere" L'Introduzione alla quarta giornata presenta caratteristiche particolari che la distinguono dall'introduzione alle altre giornate. Boccaccio, rivolgendosi direttamente alle ideali destinatarie dell'opera, le donne, prende la parola in prima persona per difendere il suo libro dalle accuse dei diffamatori. Trama: A Firenze vive un uomo di nome Filippo Balducci, di umili origini, ma con un'attività ben avviata. Sua moglie, tanto amata, purtroppo muore lasciandolo nello sconforto e con un figlio di due anni. Filippo rimanendo sconsolato si ritira come eremita insieme al figlio in na grotta del monte Asinaio, dove conduce una vita al servizio di Dio. Al figlio parla solo di Dio e dei Santi e non della realtà esterna, dato che non gli è permesso uscire; il bambino non sa nulla del mondo se non quello che afferma la religione. A 18 anni il ragazzo convince il padre a portarlo con sé a Firenze (dove doveva andare per procurare ciò di cui avevano bisogno). L'uomo pensa che il figlio sia abituato a servire Dio e niente potrebbe distrarlo, ma arrivati in città mostra grande stupore nel vedere una miriade di cose nuove, come case, palazzi e chiese; è la prima volta che vede Firenze e ogni suo particolare lo colpisce. Mentre camminano incontrano un gruppo di donne giovani e belle di ritorno da una festa di nozze. Il ragazzo, dunque, chiese che cosa fossero, il padre rispose che erano una cosa cattiva, allora il figlio chiese ancora come si chiamassero quelle cose cattive, e il padre rispose che si chiamavano "papere". Il giovane ragazzo disse allora che le papere erano bellissime, come gli angeli dei dipinti che aveva visto in una chiesa, e chiese al padre di portarne una con loro, promettendo di prendersene cura e di imbeccarla tutti i giorni. Il padre gli rispose che non voleva prenderne una perché il figlio non sapeva come si imbeccassero e si pentì amaramente di averlo portato con sé a Firenze. Analisi: Boccaccio decide di raccontare solo una parte della novella per confonderla con quelle della brigata che servono per intrattenere, mentre la sua ha l'obiettivo di difendersi dalle critiche: veniva accusato di parlare in modo libero dell'amore e delle donne. Una delle tematiche della novella è dunque l'amore, un sentimento naturale, istintivo. Il padre del ragazzo capisce che anche se per tutta la vita ha cercato di tenerlo lontano dalle cose mondane, l'amore è una forza che scaturisce dalla natura, a cui è impossibile sottarsi. Un altro tema è il rapporto genitori-figli. Il padre cerca di difendere suo figlio dalle sofferenze, lui ha sofferto per la perdita dell'amata, e cerca di impedire che il figlio si innamori per evitare che subisca la stessa sofferenza. Di conseguenza, lo protegge impedendogli di vivere, ma chi ama le donne si comporta secondo natura e alle leggi della natura è vano tentare di opporsi. 7 Decameron, IV, 5 Lisabetta da Messina Siamo sempre nella quarta giornata, al cospetto di un altro amore infelice. La storia si ambienta nel Sud Italia, precisamente in Sicilia, e ne è protagonista e vittima una giovane donna: Lisabetta. La vicenda si svolge in un ambiente non aristocratico, ma borghese: mercanti sono infatti quei fratelli di Lisabetta che pretendono di difendere l'onorabilità della famiglia a prezzo di sangue. Irama La novella di Boccaccio parla della triste storia d'amore tra Lisabetta e Lorenzo. Lisabetta è una giovane ragazza messinese, orfana di padre, che vive insieme ai suoi tre fratelli, orig di San Gimignano e divenuti ricchi conducendo affari e commerci particolarmente proficui. La giovane donna commette lo sbaglio di innamorarsi di Lorenzo, un modesto ragazzo di Pisa che aiuta i fratelli nel loro lavoro. Il giovane appartiene a un ceto inferiore a quello di Lisabetta e di conseguenza il loro amore assume immediatamente implicazioni sociali molto complicate per l'epoca. I tre fratelli, una volta scoperto che la sorella si recava di notte dal suo amante, decidono di contrastare con ogni mezzo la loro unione, in quanto temevano che un ragazzo di origini mercantili avrebbe potuto rovinare il nome della loro famiglia. Inducono così Lorenzo a seguirli fuori città con una scusa, e una volta usciti da Messina lo assassinarono e ne nascosero il corpo. Lisabetta, non vedendo più il suo amato, chiese ai fratelli che giustificarono quest'assenza con un viaggio per motivi lavorativi. Quando l'assenza di Lorenzo diventa però sospetta, protraendosi per troppo tempo, la giovane donna innamorata comincia a disperarsi. Una notte il defunto comparve in sogno a Lisabetta, rivelandole di essere stato ucciso dai fratelli, e mostrandole il luogo dove è stato sepolto da questi. La ragazza, presa dallo sconforto e dalla disperazione, credendo in quest'apparizione, con la scusa di una passeggiata, si reca sul luogo indicatole in sogno da Lorenzo e trova il corpo. Qui ne disseppellisce il cadavere, e, non potendogli dare più degna sepoltura, gli taglia la testa per poter conservare vicino a sé almeno un ricordo del suo innamorato. Tornata a casa, Lisabetta nasconde la testa di Lorenzo in un vaso di terracotta e la copre con una pianta di basilico. I giorni a seguire la ragazza inizierà a trascorrere tutto il suo tempo a piangere accanto al vaso. Il comportamento di Lisabetta insospettisce i vicini, che segnalano l'anomalia ai fratelli; quest'ultimi decidono quindi di requisirle la pianta e, dopo aver trovato all'interno la testa dell'amato, fanno sparire il tutto. Timorosi dello scandalo che sarebbe potuto accadere se la notizia fosse giunta in città, decidono di trasferirsi a Napoli portando con loro Lisabetta, la quale muore di lì a poco di dolore. Il suo amore disperato, ci dice Filomena, narratrice degli eventi, viene ancor oggi ricordato in una struggente canzone, che ricorda il furto della pianta. 8