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Giacomo Leopardi

15/9/2022

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La vicenda di Leopardi si svolge durante il Romanticismo, egli presenta una posizione totalmente
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LEOPARDI La Vita La vicenda di Leopardi si svolge durante il Romanticismo, egli presenta una posizione totalmente classicista ma resta sensibile alle idee romantiche, ovvero il conflitto tra uomo e società, lo sguardo all'infinito e la tensione per i motivi civili. Leopardi sarà colui che riesce a riassumere gli aspetti più significativi di tutte le ere in se stesso, così da apparire come l'ultimo antico e il primo dei moderni, tanto da diventare spunto per le opere di Pirandello e Montale. Nasce a Recanati il 29/06/1798 da Conte Monaldo e la Marchesa Adelaide Antici di cui ne darà un ritratto inquietante a causa della sua durezza in seguito ad un fallimento economico in famiglia. Ha 7 fratelli ma sopravvive solo PierFrancesco. Dai genitori vengono assunti vari precettori per l'istruzione, sfruttando la biblioteca paterna. 1809 1816: primi scritti poetici con 7 anni di studio matto, che provocarono in lui una grande cultura classica e religiosa ma anche problemi fisici. L'anno di svolta fu il 1816 con la "conversione letteraria" ● ● ● ● ● ● Negli anni successivi vive tra Milano e Bologna. 1826: va a Firenze dove stringe legami con Pietro Vieusseux (fondatore dell'Antologia - è un periodico quadrimestrale di letteratura, storia, scienze e arti) e si avvicina ad una visione contro il Romanticismo: Pur condividendo estetica e tematiche con i romantici, Leopardi...

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Didascalia alternativa:

è considerato un anti-romantico perchè egli sostiene che il romanticismo ha distrutto il rapporto uomo-natura. 1827: pubblica a Milano le Operette Morali, in contemporanea ai Promessi Sposi di Manzoni. ● Primavera del 28: si sposta poi a Roma dove riprende a comporre scritti poetici, come "A Silvia" e "ll risorgimento". ● 1817: incontro con il letterato Pietro Giordani; inizia la scrittura del diario che poi diventerà lo Zibaldone; scopre l'amore per la cugina Gertrude Cassi Lazzari 1818: "Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica" dove Leopardi spiega la sua posizione nei confronti del Romanticismo (vedi dopo) 1828 1830: Leopardi torna a Recanati principalmente per una mancanza di denaro, andando inoltre incontro ad un periodo di depressione insostenibile, al quale però risalgono 4 importanti componimenti: "Il pensiero dominante", "Amore e Morte", "A te stesso" e "Aspasia". 1830: a Firenze conosce Antonio Ranieri. ● 1831: prima edizione dei canti. ● 1832: scrive gli ultimi dialoghi delle Operette Morali. 1833: conclude lo Zibaldone. 1833: si sposta a Napoli, dove detta a Ranieri i "Pensieri" concentrati sulla vita sociale. Vi fu un tentativo di comporre un'edizione completa delle sue opere, ma interviene la censura che lo blocca. ● tenta la fuga dal padre ma non riesce nel suo intento, soprattutto a causa del peggioramento della vista. 1819 1822: conversione filosofica: avvicina ad una concezione atea e materialistica. 1822: Leopardi lascia Recanati e va a Roma, ma ne rimane deluso 1823: torna a Recanati e si avvicina al pessimismo con degli scritti filosofici 1824: inizia a scrivere le "Operette morali", dei dialoghi filosofici in cui critica la visione ottimistica di quel tempo e la sua concezione sugli uomini. 1825: lascia Recanati per andare a Milano, dove, con l'editore Stella, pubblica un commento al Canzoniere di Petrarca. ● 1836 1837: a Napoli c'è l'epidemia del Colera e allora Leopardi si sposta tra Torre del Greco e Torre Annunziata; qui da il via all'ultima stagione letteraria con il "Tramonto della luna" e la "Ginestra" o "Fiore del deserto". 1837: torna a Napoli dove muore per gravi condizioni di salute il 14/06/37. La stagione letteraria leopardiana è suddivisa in 4 periodi: ● Gli idilli (1819-1821), con la poesia sentimentale e i canti civili; ● I canti pisano-recanatesi, inaugurati a Pisa nel 27; Il ciclo di Aspasia, dal 31; ultima stagione dal 1836 Le Lettere Abbiamo 931 lettere, partendo da quelle composte a 12 anni fino a quelle scritte prima della sua morte. Importanti sono i numerosi destinatari con la quale assume un diverso rapporto: al padre: spiega di un rapporto molto difficile essendo un uomo quasi sottomesso dalla moglie; al fratello Carlo: l'autore ha con lui un rapporto di complicità, infatti vede in lui una sorta di comprensione che vede mancare nei genitori; alla sorella Paolina: con cui ha una complicità profondissima e in cui riconosce il suo alter ego, e la vede come la persona a cui confidare le proprie speranze e avventure; a Pietro Giordani: in cui vede un punto di riferimento pubblico e a lui confida il suo rapporto con la letteratura e le proprie speranze; ai letterati di quel tempo: Vincenzo Monti e Viesseux. Fino a quel momento le lettere venivano scritte con lo scopo di essere pubblicate. Leopardi rinuncia fin da subito all'editoria; queste lettere, infatti, non erano destinate al pubblico, motivo per cui possiamo giudicarle come veritiere e spontanee. Esse sono caratterizzate da un discorso lento e molto diretto. La Formazione La formazione di Leopardi si basò sulle fonti prese dalla biblioteca del padre che gli offrirono una grande opportunità sul piano culturale; egli avendo una grande attrazione per la conoscenza sfrutta questa possibilità gettandosi nello studio in diversi ambiti. Leopardi accoglie con molto entusiasmo le idee illuministiche, ereditandone la fiducia nella scienza e nella ragione, ma inizialmente applica questi ideali ad un contesto ideologico cattolico, per via delle influenze genitoriali. Dal 1816, con la conversione letteraria, delinea un modello intellettuale moderno, e con l'influenza di Giordani aderisce alle idee classiciste vedendo negli antichi un bacino da cui attingere per altri insegnamenti. Queste sue grandi attività di studio gli permisero di diventare un eccellente filologo, grazie anche alla sua conoscenza del greco, del latino, dell'ebraico e del sanscrito, che gli permisero di accompagnare a questa conoscenza una conoscenza dell'evoluzione delle lingue e dei loro rapporti. Ciò è concentrato soprattutto nello Zibaldone e nei Paralipomeni della Batracomiomachia (poemetto satirico in ottave). Lo Zibaldone Nel 1817, a 19 anni, inizia a scrivere i suoi pensieri e riflessioni su un quaderno, che prenderà il nome di "Zibaldone di Pensieri", pubblicato poi nel 1833. Esso è composto da 4562 pagine e in esse Leopardi affronta un'ampia varietà di argomenti, alternandosi in anni più fecondi, tra il 1821-23, e anni meno. Prima della sua morte, Leopardi affida lo Zibaldone a Ranieri chiedendo di non pubblicarlo, ma Carducci ne entra in possesso e lo pubblica tra il 1898 - 1900. Anche lo Zibaldone, così come le Lettere, non nasce come un'opera da pubblicare, tant'è che troviamo anche varie annotazioni e abbreviazioni di Leopardi stesso e riflessioni e pensieri del tutto personali; consideriamo infatti questo componimento come un "Diario Intellettuale". Abbiamo dei temi ricorrenti su cui l'Autore costruisce un filo logico, anche se si assiste soprattutto a una continua evoluzione ideologica, definendo lo Zibaldone come un pensiero in progressione, proprio per il fatto che questo diario venne portato avanti da Leopardi durante tutto il corso della sua vita. In generale la scrittura dello zibaldone non ha nulla a che fare con un'opera destinata al pubblico, infatti si colloca in una dimensione del non-finito, che a sua volta fa riferimento a delle microstrutture, ovvero abbreviazioni che danno un'idea di infinito, e a delle macrostrutture, ovvero la disposizione caotica e mescolata. Leopardi, dunque, scrivendo per se stesso preferisce esaltare la coincidenza tra oggetto e pensiero per poter chiarire le sue idee, creando un rapporto concreto tra esperienza e riflessione. - T4 libro In questo testo troviamo 4 diversi passi che trattano argomenti differenti: Il primo brano (1819) contiene una riflessione che l'autore espone sullo scorrere del tempo e sulla precarietà dell'uomo, questo brano si legherà poi alla poesia "la sera del dì di festa". Nel secondo brano (1820) abbiamo la descrizione del tutto negativa della figura materna: Leopardi descrive la madre come una persona bigotta devota solo alla religione in cui vede la realtà assoluta, disumanizzandola e dichiarandola incapace di essere comprensiva. Da questo brano si percepisce un ampliamento del suo pensiero sostenendo quindi che la religione è nemica della natura; la religione è innaturale dal momento che, imponendo cose contro ragione e quindi contro la natura, essa diventa una cosa non razionale e perciò non naturale. Leopardi riporta l'esempio del pianto che si fa quando muore una persona, che in teoria secondo la religione non dovrebbe essere un dispiacere dal momento che si va a vivere una vita liberandosi dai peccati terreni, ma gli umani attuano questo pianto perché attaccati ai legami umani seguendo la ragione, ovvero la natura. La ragione è dunque quel mezzo che ci permette di eliminare quell'illusione secondo cui la morte non è un atto solamente positivo ma piuttosto un atto di sofferenza. A questo proposito Leopardi va a ricordare il pensiero: ● O - dei pitagorici: anche se la morte è liberazione non puoi per natura non stare male; O - di Lucrezio: che giustifica anch'egli i suoi atti negativi con la religione, O - di Foscolo: dove nei sepolcri rievoca il ricordo attraverso la tomba. Il terzo brano (1828) rievoca la felicità nel ricordo della giovinezza che è trascorsa con troppa velocità, e associa a quella felicità che provava da giovane la felicità che prova ora nello scrivere. Il quarto brano (1828) ricorda le parole di una sua amica che lo rimproverava perché viveva questa sua giovinezza senza approfittarne e andando contro l'idea secondo la quale un uomo deve lasciarsi trascorrere dal tempo, ovvero viversi tutti i momenti della sua vita a pieno. Il Sistema filosofico Leopardi non è un pensatore sistematico (ovvero che si occupa di un solo ambito). Dopo la seconda guerra mondiale Leopardi viene visto anche come filosofo, contrario però a tutte le filosofie moderne (idealismo e positivismo non potevano accettare il suo pessimismo e visione atea e quindi anti-cristiana). Egli ha l'idea di sfiducia nei confronti del processo e parliamo quindi di pessimismo, che si oppone quindi all'idealismo e positivismo tipico di quel periodo. Leopardi è un pensatore non sistematico, non conforme, non coerente, ma ciò non comporta l'abolizione di qualsiasi limite e pensiero. Egli è l'unico autore letterario il cui sistema è legato ad un piano filosofico. Leopardi non costruisce un sistema vero e proprio ma parliamo di un "sistema leopardiano aperto", riferendoci al fatto che elabora vari argomenti e tematiche, lo caratterizza infatti un'apertura verso qualsiasi tema. Leopardi rifiuta la filosofia come schema fisso e definito, ma la ritiene semplicemente un sistema che permette di pensare in quanto uomo, coinvolgendo soprattutto l'esperienza personale: il vero è quindi soggettivo, ma è anche oggettivo perché è regolato dal sistema sociale. La riflessione filosofica di Leopardi è suddivisa in più fasi: 1^ fase: PESSIMISMO STORICO (1817-1818): in questa fase sostiene che l'infelicità dell'uomo è frutto di cause storiche. Essa è influenzata da Rousseau e dal pensiero illuministico: qui affronta il problema dell'infelicità umana, considerando il fatto che egli credeva che la natura avesse fatto l'uomo felice. Questo perché la natura lo ha dotato della facoltà d'immaginazione, che crea illusioni, e in questo modo l'uomo si dimostra capace di virtù e di grandezza, rendendo l'uomo felice. In un secondo momento subentra la ragione e la società umana, che distolgono l'attenzione dalle illusioni, che però erano ciò che abbellivano la vita; essa risulta quindi infelice: le illusioni rendevano la vita felice ma la civiltà le ha distrutte, quindi l'uomo è infelice non per natura ma per storia. Secondo l'autore gli unici in grado di essere felici erano gli antichi e solo attraverso il recupero delle loro grandi illusioni (ovvero l'eroismo, l'azione, il rischio e il disprezzo della vita) l'uomo potrà ancora essere felice, creando illusioni grazie all'immaginazione. Leopardi affronta il problema dell'uomo infelice, T5: Leopardi in questo testo sottolinea che seppur la condizione dell'uomo viene mutata non risulta più adeguata, poichè ciò che l'uomo ha fatto è stato solo complicare il rapporto con la natura stessa, e per colmare questo errore ricade nell'arte intesa come dovere artigianale che consente all'uomo di appagare la propria infelicità. L'uomo dunque è l'unica fonte problematica che si allontana dalla natura stessa che invece fornisce l'equilibrio originario e quindi la felicità, l'uomo infatti non si sentirebbe a disagio se questo cambiamento fosse dettato dalla natura, ma dal momento che è lui stesso a farlo ne risente in modo negativo, (riprende la teoria di Rousseau per cui l'uomo sta bene solo nel suo stato di natura ovvero nel suo stato originario), andando a creare una seconda natura per nascondere il progresso della corruzione da lui stesso ideata. 1819: lascia il cattolicesimo e si avvicina al sensismo illuministico e inizia quindi a ricercare l'utile importante per l'uomo. 1819 1823: assume un punto di vista materialistico, sostenendo che l'anima è un pensiero che non può esistere senza un corpo e collegandosi quindi al concetto dell'uomo come MATERIA PENSANTE. 2^ fase: TEORIA DEL PIACERE, PESSIMISMO COSMICO: (1819-1823) Cosa rende l'uomo infelice? Il bisogno stesso di essere felice e l'insoddisfazione della ricerca della felicità: formula la teoria del piacere: l'uomo aspira ad un piacere illimitato ma ne raggiunge un livello inferiore, lasciando quindi il piacere insoddisfatto, poichè il desiderio fa aspirare ad un piacere sempre maggiore ma irraggiungibile. Nella fase del essimismo storico la natura era benefica, ma visto che ha costituito il desiderio non raggiungibile, essa diventa malefica; sembra quasi che la natura non si interessi all'uomo. La civiltà, quindi, ha rivelato la vera condizione dell'uomo, rendendolo più egoista e fragile, visto che impegna tutta l'esistenza ad inseguire ciò con cui si puó salvare, cercando di sopravvivere. T6: leopardi in questo testo espone la teoria del piacere attraverso varie argomentazioni: l'anima desidera sempre di più all'infinito senza badare alla sua durata, poiché il desiderio finisce solo con la morte, né senza badare all'estensione, poiché nessun piacere è circoscritto, risulta infinito; questo genera nell'uomo un appagamento incolmabile poiché nessun piacere è eterno e nessun piacere è infinito. Alla condanna della civiltà si accompagna una riflessione complessa e ambivalente su di essa: - Da una parte la civiltà è l'arma con cui l'uomo smaschera la verità della propria condizione e accetta la propria condizione di infelicità, questo però solo nelle fasi di pensiero in cui l'uomo ha indagato sulla sua stessa natura. D'altra parte però la civiltà ha permesso all'uomo di diventare più egoista e fragile per una questione di sopravvivenza, vedendo nella società una lotta per l'affermazione individuale e cercando qualcosa a cui aggrapparsi (Plauto e Hobbes: omo-ominis-lupus; Schopenhauer: vita x morte). - 3^ FASE: IMPEGNO ETICO E CIVILE: tra il 1823 e 1827 in Leopardi si vede un ideale distaccato e scettico ispirato agli antichi. Rinuncia così alla poesia e si dedicherà alle operette morali che sono i risultati pessimistici contenenti la sua filosofia. Questo distacco risulta la conseguenza di un nodo non risolto che riguarda proprio il giudizio sulla civiltà e solo dal 1830 tornerà in primo piano la sua esigenza civile. Si assiste così a una valorizzazione dell'esperienza compiuta dall'uomo, che consente di rispondere alla questione del suicido, che costituisce un errore perché provoca dolore in chi ancora vive, e perché lo sforzo dell'uomo è quello di soccorrersi scambievolmente al fine di fondare un sentimento di fraternità sociale che permette di riconoscere il male nella condizione umana, poiché denunciare il male è un dovere morale: questo è un nuovo progetto di vita e di civiltà, un nuovo modo di vivere: gli uomini devono essere consapevoli del male comune e del nemico comune ovvero la natura e devono allearsi per ridurre il dolore e assicurarsi la felicità. Leopardi dà così a tutti gli uomini il potere dell'eroismo gettando una base democratica al suo pensiero. - critica Timpanaro In questo testo l’autore analizza il nesso tra la filosofia pessimistica di leopardi e il suo atteggiamento politico e democratico. Il cattolicesimo liberale era contro l'ideale di Leopardi poiché si fondava sulla credenza del progresso senza un ideale razionale, sulle scoperte tecnico scientifiche, dando al cattolicesimo una visione ottimista. Leopardi al contrario vedeva nel cattolicesimo una visione totalmente pessimistica poiché ne ricava i motivi materialistici e razionali: secondo lui ci deve essere uno smascheramento delle illusioni e quindi dei miti, secondo lui l'uomo deve essere messo di fronte alla realtà della vita, senza credere in un progresso superficiale e del tutto falso. Sul piano politico invece è contro ai moderati cattolici, ma a favore dei motivi patriottici classici: secondo lui la civiltà deve attuare un progetto di rifondazione, poiché questa visione pessimistica non è ferma in blocco ma grazie alla solidarietà degli uomini si può lottare contro la natura che risulta l'unica nemica dell'uomo, e se questa solidarietà viene meno, si diventa egoisti e vittime (Hobbes). La Poetica La poetica di leopardi appartiene alla sua giovinezza, inizia nel 1818 con il discorso di un italiano intorno alla poesia romantica che inviò all'editore Stella in risposta a Ludovico di Breme (riguardo al romanticismo secondo Breme vi erano due differenti immaginazioni: quella degli antichi, secondo cui ogni cosa poteva essere poesia poiché non avevano le conoscenze, e quella dei moderni, basata sulla conoscenza che riduce tutto al patetico e quindi legato al sentimento per svelare la natura); questo scritto non fu pubblicato poiché rappresentava un ideale antiromantico. Questo testo riguarda il rapporto tra sensi e poesia: i romantici vogliono escludere il legame che c'è tra poesia e natura rinnegando però la funzione della poesia, che consiste nel mantenimento del rapporto tra natura e poesia; secondo Leopardi la poesia deve essere capace di servirsi dei sensi e quindi dell'esperienza per ristabilire il rapporto diretto con la natura che la civiltà, tramite l'intelletto, ha distrutto, e l'unica strada per fare ciò è lo studio degli scrittori antichi e della loro imitazione. Il classicismo di Leopardi condanna il presente poiché la modernità è segnata dal distacco della natura e dal prevalere della riflessione sull'immaginazione. È il compito della poesia quello di garantire il bisogno antropologico di immaginare e di illudersi al fine di rafforzare il rapporto della natura con l'esistenza umana. La poesia deve avere una funzione sociale, ben diversa da quella dei romantici, poiché quella di Leopardi risulta più profonda e si tratta di tenere vivi quei modi di sentire la natura sviluppati dagli antichi e che rischiano di scomparire nei moderni. Dall'illuminismo Leopardi recupera quindi la componente sensistica, e da Vico recupera quel parallelismo che c'è fra evoluzione dell'uomo e evoluzione dei popoli deducendo che la massima affermazione dell'immaginazione si ha nel periodo dell'infanzia; perciò la fanciullezza permette un sentire poetico che con la maturità si va a perdere. Da qui derivano le idee di Leopardi sulla sfiducia del progresso e della storia che lo allontanano dagli ideali moderati dei romantici italiani. Il suo classicismo non ha nulla di tradizionalista ma si ritrovano in lui molti punti di incontro con gli ideali romantici anglosassoni: io-mondo, dolore, infinito, mistero, angoscia... La funzione antropologica che la poesia deve avere è quella dell'esaltazione della virtù con il patriottismo per una necessità di riscatto nazionale (All'Italia) e quella dell'esaltazione dell'esperienza esistenziale (Idilli). Il bisogno concreto che dà alla poesia è il dovere di dare il piacere all'uomo servendosi dell'immaginazione che tende all'indeterminatezza e a sua volta la poesia deve avere un'espressività indeterminata. Questa immaginazione si esercita grazie alla memoria e al desiderio: la poesia deve essere capace di utilizzare il ricordo per soddisfare un desiderio e andare incontro al piacere. Dal 1823 la crisi delle illusioni e della natura determina un nuovo orientamento per l'autore ovvero quello del rifiuto della poesia e un'esaltazione della prosa con le operette morali; la rinascita della poesia si avrà nel 1828 quando riprende i temi chiave della poetica giovanile, ovvero la prospettiva della memoria e la ricerca del vago e dell'indefinito: la rappresentazione delle illusioni e il suo giudizio filosofico saranno sempre condotte insieme, non potranno più essere staccate: resiste perciò l'uso della memoria accompagnata però da una continua riflessione. Muta anche il compito sociale della poesia che deve solo stabilire il vero e comunicarlo agli uomini: da poesia sentimento a poesia pensiero. T2C: in questo testo Leopardi ipotizza una torre posta sull'orizzonte: l'uomo avrà il desiderio di superare questa torre per poter cogliere l'infinito: Leopardi presuppone così un oggetto che deve permettere al pensiero di fare un salto e di andare oltre. T2G: in questo testo esprime quello che secondo l'autore risulta essere l'obiettivo dell'arte ovvero quello di ricercare la sensazione dell'indefinito appoggiandosi sul finito, per condurre un trampolino di lancio verso l'infinito. T2H: in questo testo Leopardi definisce l'uomo come sensibile e immaginoso dal momento che l'uomo deve stabilire un contatto con la natura attraverso i sensi grazie anche all'immaginazione, che permette di andare oltre e quindi di tendere all'infinito. Grazie all'immaginazione l'uomo deve creare delle immagini che siano simbolo e allo stesso tempo analogie per poter pensare a una cosa ma allo stesso tempo rimandare ad un'altra grazie all'immaginazione: ciò implica una capacità di vedere doppio. T2B: in questo testo si vede il ricordo inteso come piacere, capace di soddisfare l'uomo e renderlo felice grazie alla memoria. Leopardi dice che il pensare alla fanciullezza permette di pensare all'idea delle cose e non all'oggetto stesso e questo ci permette di esplorare il ricordo dando soddisfazione al nostro bisogno emotivo e affettivo. Tutto ciò è permesso dal nostro senso di immaginazione che ci permette di non fermarci al solo oggetto ma di andare oltre. T2F: in questo brano, che ispirerà Pasquali, con il tema dell'arte allusiva si va ad intendere quel procedimento per cui la mente, dopo all'esperienza e grazie all'immaginazione, ci permette di collegare delle immagini differenti: una reale e una legata all'indefinito. T21: in questo testo per rimembranza si intende il ricordo che desta un emozione e che risuscita dei sentimenti, sempre grazie al potere della memoria e dell'immaginazione che ci permettono di andare oltre al solo ricordo. Progetto intellettuale Leopardi ha un ruolo di scrittore lontano dalle tradizioni, lui rifiuta l'arte come concezione di bellezza, rifiuta la prospettiva umanistica, ma piuttosto esalta l'ideale illuminista e razionale. D'altra parte non intende arte e letteratura con un ruolo di servizio per l'umanità poiché non sono degli strumenti, perciò egli è lontano dai veri illuministi. La sua posizione risulta isolata ed eccentrica, diversa. Per lui scrivere significa esprimere in modo concreto il proprio io, la propria personalità psichica e biologica: da qui deriva la sua inclinazione lirica, il suo io è fatto di sensazioni, di corpo capace di riassumere tutti i caratteri per definirsi uomo. Prevale in lui la tendenza a distruggere e smascherare il carattere illusorio, in questo caso si lega all'illuminismo riconoscendone l'aspetto critico verificandone le credenze e i valori, venendo meno con le credenze romantiche. La concezione di leopardi dell'intellettuale è rivendicata su base antropologico-empirica della ricerca filosofica e della funzione della società. Ne deriva una prospettiva liberata: secondo cui il fondamento è solo nel rapporto tra io e mondo, grazie alla ricerca della condizione naturale di esistenza e della dimensione artificiale della società: l'uomo valuta sia l'ambito personale che sociale. È nel discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani che si vede la distanza tra l'Italia e gli altri paesi d'Europa, poiché in Italia manca una società stretta ovvero un sistema di valori comuni a tutti, sostituiti da dei valori artificiali. Questa arretratezza da un lato viene vista con durezza, ma dall'altro smaschera i valori artificiali della società. Le Operette Morali Inizia a scrivere nel 1824, ne scrive 20. La prima edizione esce nel 1827 e contiene solo le prime 20, poi +1 nel 1827, poi +2 1827, +2 1832, per un totale di 25. La seconda edizione esce a Firenze nel 1834, poi l'anno dopo sarà censurata. Edizione definitiva a cura di Ranieri nel 1845 ne ha 24 essendo stata eliminata quella del 1824 per scelta di leopardi. Le operette morali vengono abbozzate, sotto forma di satira, nel 1819/20 quando Leopardi decide di vendicarsi del mondo; nel 1820 e 1821 già si potevano vedere alcune bozze sotto forma di commedia poiché descrive la miseria umana, la politica, la filosofia e l'andamento generale del secolo. Nelle operette morali vi è tutto il nucleo filosofico elaborato tra il 1819/23; la scelta della prosa e l'abbandono della poesia coincidono: con l'ultimo canto di Saffo, Alla sua donna. Nel 1824 inizia la scrittura in prosa: da una parte descrive le vicende sconsolate della società del tempo, dall'altra segnano l'ingresso in una fase di disimpegno civile, segnando un ripiegamento psicologico e culturale di Leopardi. La struttura è organizzata in modo vario e disorganico: cambiano prosa, tecnica e protagonisti; l'organicità sta nel fine del libro per mostrare sia il vero sia individuare i mores, ovvero le modalità di vita adeguate al vero. Il fine dell'opera ne decreta il carattere morale dei testi, e il termine "operette" ne decreta il carattere difensivo dalla formula letteraria prescelta da leopardi: non seria, ma satirica. I caratteri più salienti sono: il registro comico e la contaminazione dei generi e delle forme. I modelli greci di Luciano sono un punto di riferimento, così come quelli di Parini. A causa dei diversi temi e protagonisti di ogni operetta si può giustificare il ricorso all'abbassamento comico anche di fronte a temi importanti. Sono numerosi i temi affrontati da leopardi: - natura e civiltà - Teoria del piacere - Concezione materialistica - Virtù: derisa e screditata - Critica alla civiltà Illusione antropologica - Rovescio del mito del progresso - Prospettiva religiosa. Lo stile risente della contaminazione dei generi: si passa da un registro alto a uno medio a uno basso e colloquiale. Lui tende a sostenere uno stile classico nella composizione sintattica e nella scelta attenta del lessico, preferisce la coordinazione alla subordinazione. Domina il bisogno di verità e di ricchezza espressiva. Leopardi pur usando una lingua nazionale odierna, non intendeva, al contrario di Manzoni, presupporre un certo tipo di pubblico, anzi la l'ambivalenza linguistica permetteva di vedere il pubblico come ingenuo, ignaro dei miti ideologici delle operette, ma allo stesso tempo un pubblico cattolico di intellettuali lamento delle ideologie: perché dietro alla sua comicità, Leopardi intende dunque usare uno stile persuasivo con atteggiamento critico-distruttivo. Da ciò dipende il ricorso all'ironia che permette uno smascheramento della morale tradizionale mettendo in luce i modi effettivi di essere. L'ironia e il riso hanno una funzione liberatoria e positiva, poiché permettono di paragonare l'infelicità alle illusioni e dal momento che si è consapevoli si può accettare. Hanno tre funzioni fondamentali: - rappresentare il dolore - Smascherare e deridere le illusioni - Additare una reazione all'infelicità. Operette: - La prima operetta morale è Storia del genere umano, una prosa mitica e allegorica sull'umanità: gli dei messi in un mondo senza varietà si annoiano perciò decidono di rendere più vario il mondo. Giove infonde malattie e dolori, sparge desideri e sparge Giustizia, Virtù, Amore, Gloria e Amor per la patria. Gli uomini che si stancano di questa situazione iniziano a diventare crudeli l'uno con l'altro, e desiderano di conoscere la Verità insegnata a loro dalla Sapienza. Così Giove manda loro la Verità insieme ad Amore, l'unica capace di resistere alla Verità. Consolati da Amore gli uomini vivono infelici e l'unica possibilità per essere felici è quella di essere visitati da Amore Celeste che premiava i meritevoli. - Dialogo di Ercole e di Atlante: qui si ironizza sulla mancanza di vitalità e dell'apatia sulla terra. I due si mettono a giocare a calcio con la terra, facendola anche cadere ma gli uomini non si accorgono di nulla. - Dialogo della Moda e della Morte: Leopardi all'interno dell'operetta, dialogo della morte e della moda, immagina una discussione tra le due: La morte sostiene che un giorno o l'altro l'andrà a prendere, ma la moda si definisce sorella della morte e immortale, proprio come lei. Essa è sicura infatti, di aiutare la morte a mietere vittime, proprio perché per creare una moda bisogna uccidere quella precedente, la stessa sostiene che molte delle vittime delle morte siano state aiutate a morire dalla moda. La moda, inoltre, afferma che lei stessa abbia messo delle imposizioni per cui la vita sarebbe più morta che viva; sempre la moda continua dicendo che tanti nell'arco della sua vita si siano definiti immortali poiché in vita si erano comportati da eroi, e che per tale motivo sarebbero rimasti nella memoria della gente, ma, che per merito suo, non era stato così. Questa operetta morale ha un tono prevalentemente comico, quasi di burla soprattutto per via delle battute dal tono lugubre tra la morte e la moda. La moda per leopardi reincarna la sfiducia e irritazione ai tempi moderni e non vede di buon occhio la nascente produzione industriale e dei consumi; Leopardi vede la moda come simbolo delle apparenze e della vanità tipiche dei tempi ormai moderni, in cui lui stesso viveva. Leopardi, inoltre, le definisce sorelle, proprio perché una moda prima di affermarsi deve assicurarsi che quella precedente sia morta, entrambe, figlie della fugacità ed immortali. - Dialogo di un folletto e di uno gnomo: Questo dialogo sviluppa un ragionamento serrato che si articola in una serie di punti. - La notizia della fine dell'uomo: lo gnomo racconta al follettodi essere stato incaricato da suo padre di scoprire che fine abbiano fatto gli uomini, giacché è da tempo che non se ne vede nessuno in giro. Il folletto gli spiega che gli uomini sono tutti morti, si sono estinti. - Le conseguenze dell'assenza degli uomini: il mondo procede anche in assenza del genere umano. Senza i calendari, il computo dei giorni può essere effettuato grazie all'andamento della luna. I giorni della settimana rimarranno senza nome, ma saranno ugualmente fuggevoli e non si potrà comunque richiamarli indietro. - Le cause dell'estinzione umana: gli uomini, spiega il folletto, si sono estinti in parte facendosi guerre a vicenda, in parte oziando, in parte conducendo vite disordinate, in parte nuocendo contro la natura e rovinandosi l'esistenza. Anche nelle ere passate alcune specie di animali si sono estinti e di loro rimangono solo tracce fossili. - Discussione sulla finalità del mondo: lo gnomo concorda con il folletto sul fatto che tutte le specie animali credano che il mondo sia stato creato per loro, anche gli stessi gnomi e folletti. - La falsa presunzione degli uomini: più di tutte le altre specie però è l'uomo a ritenere che il mondo sia stato creato per lui, e che sia dunque di sua proprietà. Gli uomini riferiscono a se stessi tutto ciò che esiste e che accade in natura, tanto da sentirsi padroni addirittura di specie da loro sconosciute. - Conclusione: l'uomo pensa che anche l'universo sia suo appannaggio; ma ora che l'uomo si è estinto non si deve credere che i pianeti abbiano smesso di girare e che si siano vestiti a lutto per lui. Tutto continua come prima. Il folletto e lo gnomo, creature immortali, muovono una feroce critica alla società umana: chi si crede il padrone del mondo ora è scomparso e la natura continua allo stesso modo, per nulla impressionata né coinvolta da questo fatto. Cade dunque anche l'inganno che la natura sia partecipe della avventura esistenziale dell'uomo. La natura si caratterizza qui per la sua "disumanità cosmica" (Damiani), che lascia l'uomo al disincanto di sapersi senza speranze. Il genere umano, visto con gli occhi delle altre specie, è solo una stirpe infestante e fastidiosa per lo più non necessaria alla vita della natura, la quale persegue un finalismo suo proprio, teso al perpetuarsi di se stessa. La supposta grandezza dell'uomo, la sua pretesa di onnipotenza si stempera così nell'ottica di un arido relativismo, senza più possibilità di illusioni. L'ispirazione per questa operetta venne molto probabilmente a Leopardi da uno spunto del cosiddetto "paradosso di Senofane”, secondo il quale ogni specie anima- le si figura gli dèi a propria immagine e somiglianza. L'antico filosofo greco Senofane mette in scena un dialogo tra un ca- vallo e un bue e proprio questi due animali comparivano come protagonisti di questa operetta leopardiana nelle prime stesure del testo. - Dialogo di malambruno e di farfarello: - Dialogo tra un fisico e un metafisico: Contenuto nell'Opera di Giacomo Leopardi: "Operette Morali" troviamo il "Dialogo di un fisico e di un metafisico", dove l'autore fa dialogare due figure, facendo rappresentare al primo la ragione della scienza e al secondo la critica della filosofia. Il testo si apre con il famoso lemma "Eureca" pronunciato dal fisico richiamando Archimede al quale il metafisico stupito domanda il motivo di tutta questa felicità. La scienza, infatti, era riuscita a trovare il modo di vivere più a lungo e, scrivendo in un libro, di acquistare la gloria immortale. Il Metafisico, però, indagando e ben sapendo che non sempre la vita umana fosse vissuta in modo felice, consiglia al fisico di nascondere il libro fino al momento in cui non sia stata scoperta "l'arte di vivere felicemente", poiché, secondo il filosofo, l'unica vita ben vissuta è quella felice. Infatti sostiene anche che, fino a quando non sarà scoperta quest'arte, stimeranno di più un libro che "contenesse l'arte di viver poco". Inizia ora una discussione tra la "scienza" e la "filosofia", dove per la prima l'importante non è vivere una vita felice o triste, ma una vita lunga e sana, mentre per la seconda l'importante non è la lunghezza della vita, ma la qualità di essa, sottolineando come è proprio dell'essere umano desiderare e amare solamente la propria felicità, e riesce ad amare e vivere la vita solo in quanto esistenza felice. Ora parlando della storia, antica e contemporanea, il metafisico sottolinea come da sempre alcune persone scelsero la morte potendo vivere, e oggi scelgono di uccidersi non riuscendo poi a vivere un esistenza felice, essendo per natura infelice questa esistenza. A queste considerazione il fisico reagisce cercando di spostare il punto di vista sulla "bellezza" della vita senza la morte, cercando di evitare queste discussioni, che sono, a suo dire, troppo malinconiche e interroga il metafisico chiedendo direttamente: "credi tu che non gli piacesse (vivere in eterno)"? La filosofia risponde con favole e esempi di persone che sono vissute "molti secoli" o di Dei che, per noia della vità, "chiesero licenza" di poter morire, così come "Gl'Iperborei", popolo che potrebbe vivere in eterno, ma che sceglie di saltare da una rupe in mare per morire. Così chiede al fisico se popoli, i quali cittadini si spengono a circa 40 anni, siano, a suo dire, più miseri o più felici degli altri. Qui la scienza esclama: più miseri, venendo a morire più presto; al contrario, la filosofia sostiene invece che siano più felici, poiché la loro vita, corta la metà degli altri, è "meno vuota" ed è, invece, abbondante, poiché una vita breve sicuramente non sarebbe noiosa. Il fisico, pur rispettando il punto di vista della metafisica, domanda al filosofo, se non si trova d'accordo sul fatto che la vita sia più bella della morte, anche se non sempre felice. Il filosofo, pur essendo d'accordo, fa l'esempio dei barbari che "per ciascun giorno infelice della loro vita, gittavano in un turcasso una pietruzza nera, e per ogni di felice, una bianca, penso quanto poco numero delle bianche è verisimile che fosse trovato in quelle faretre alla morte di ciascheduno, e quanto gran moltitudine delle nere.", sostenendo come lui vorrebbe vivere eliminando tutte queste pietre nere. Invece il Fisico sostiene che, insieme ad altri, preferirebbe vivere con molti sassolini neri, poiché la morte è sicuramente il sassolino più nero e triste. La filosofia conclude, consigliando alla scienza, di non trovare solamente l'arte di una vita lunga o eterna, ma anche di una vita felice, assecondando la natura, e cercando di dare un beneficio agli uomini, quello di avere una vita occupata ma viva, vera, senza dolore e senza disagio poiché in caso contrario "la morte la supera incomparabilmente di pregio." - Dialogo tra la natura e un islandese: Il tema principale è quello dell'infelicità. L'islandese è convinto che è la natura a rendere infelice gli uomini e quindi fugge da essa, ma viene comunque perseguitato da essa. Durante la sua fuga si imbatte in questa figura gigantesca di donna che personifica la natura stessa e che rivela all'islandese che la natura ha in realtà un'indifferenza nei confronti degli uomini, tanto da essere essa stessa materialista. Alla natura non interessa dunque il bene o il male dell'uomo ma segue un ciclo di produzione e distruzione. L'islandese chiede quindi spiegazioni alla Natura ma il dialogo si chiude senza una risposta. - Dialogo di Federico ruysch e delle sue mummie: La vicenda è ambientata nello studio dello scienziato; Federico Ruysch viene svegliato nel cuore della notte dal canto dei defunti risorti poiché si sta compiendo "l'anno grande e matematico", ossia quel momento in cui i pianeti si ritrovano nella stessa posizione in cui si trovavano quando ebbe inizio il loro moto. Allo scoccare della mezzanotte i morti di ogni dove hanno facoltà di parlare coi vivi per un quarto d'ora. Ma a una condizione: che siano i vivi a rivolgere loro domande, poiché i defunti, tra loro, non saprebbero che dirsi. L'imbalsamatore vince a fatica la paura che lo inchioda a letto, si alza e ordina alle sue mummie di fare silenzio. Da qui l'atmosfera dell'operetta perde quella solennità creata dai versi per lasciare spazio a momenti di ironia e a passaggi burleschi, dovuti essenzialmente alla goffaggine del personaggio Ruysch, che si ritrova inaspettatamente di fronte a una situazione paradossale. Impaurito che i cadaveri siano risuscitati, Ruysch rimane spiazzato finché il primo non lo rassicura con queste parole: Poco fa, sulla mezza notte appunto, si è compiuto per la prima volta quell'anno grande e matematico, di cui gli antichi scrivono tante cose. L'olandese allora improvvisa una serie di domande che corrispondono ad altrettanti luoghi comuni sul tema della morte, che i cadaveri si apprestano a smentire o correggere. Ruysch chiede che cosa si prova in punto di morte e, con sua sorpresa, si sente rispondere che non si avverte proprio niente, esattamente come non ci si avvede del momento in cui ci si addormenta. Col procedere del dialogo, l'anatomista cerca di incalzare i suoi interlocutori ma si ritrova sempre più disorientato dalle loro risposte. "Non sentiste nessun dolore in punto di morte?" domanda alle mummie. Alla nuova risposta negativa esse aggiungono che la morte non solo non è un'esperienza dolorosa, ma non è nemmeno un "sentimento", quanto "piuttosto il contrario". Si devono quindi ricredere tanto gli epicurei quanto coloro che credono nella vita spirituale: la morte è semplicemente un affievolirsi progressivo di tutte le facoltà senzienti, fino al completo spegnimento. Si arriva così alla risposta decisiva che i morti danno a Ruysch quando egli chiede loro: "Dunque che cosa è la morte, se non è dolore?". Alla luce di questa risposta si comprende come la morte non solo venga scagionata dall'essere fonte di dolore, ma venga definita addirittura come un possibile piacere, proprio perché il piacere consiste nel non sentire. Secondo Leopardi la percezione della vita è di per sé dolore perché essa è caratterizzata in ogni momento da una tensione verso un desiderio irraggiungibile. L'indebolimento delle nostre facoltà, invece, ci libera da questa morsa per consegnarci a un non essere che è positivo proprio perché corrisponde a un non sentire. Il piacere è, insomma - come viene detto nell'operetta - la "languidezza": è l'indebolimento delle nostre forze fino al non essere più. Successivamente i morti rispondono che, per sua stessa natura, l'uomo, fino all'ultimo secondo, rimane aggrappato alla vita. Spera cioè di continuare a vivere anche quando è malato o ormai prossimo al trapasso. Un mistero drammatico si nasconde dietro questa chiusa apparentemente comica, che circolarmente riporta Ruysch nella stesso luogo dove era all'inizio, il letto, lasciandolo in balia di quella stessa incomprensione dell'arcano che egli, come tutti gli uomini, aveva prima di intraprendere il dialogo con le sue mummie. Tra il punto di vista dei vivi e dei morti esiste una simmetria: ai morti la vita appare tale quale la morte ai vivi, una cosa "arcana e stupenda" (nel senso che desta stupore); mentre ai vivi, però, il pensiero della morte può incutere timore e accrescere il dolore, ai morti ricordare la vita non fa paura. Dal punto di vista formale possiamo notare la pacatezza assoluta del discorso, ottenuta mediante un susseguirsi di periodi brevi, spezzati da pause sintattiche minori (punti e virgola, due punti, incisi) e mediante l'assenza di significative variazioni di tono. Anche similitudini, antitesi, coppie di termini coordinati separati da virgola assolvono alla funzione di rallentamento del ritmo. - Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez: II Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez viene composto tra il 19 e il 25 ottobre 1824 a Recanati ed è presente in tutte le edizioni delle Operette morali, ma esce ancor prima sull'Antologia di Firenze e sul milanese "Nuovo Ricoglitore" nel 1826 insieme ad altre due operette. Alle domande dell'amico Gutierrez, che inizia a dubitare di trovare terre emerse nella nuova direzione, Colombo non sa opporre valide argomentazioni. Anzi, confessa che le speranze che lo avevano condotto all'ardita navigazione, che ha messo a repentaglio la sua vita e quella dei suoi uomini, gli sembrano ora fallaci. Si sente totalmente smarrito nell'ignoto: la sua mente di audace navigatore, che si è appoggiata alle più rivoluzionarie teorie scientifiche, è in totale balia del mistero. Il primo tema presente è dunque la demistificazione del viaggio come tentativo vano di carpire i segreti della natura. Tuttavia il viaggio ha un'altra valenza importante e questa volta positiva. Si lega al l'insopprimibile spirito della vita, un istinto altrettanto misterioso. "Di questo dialogo viene messa soprattutto in risalto la tesi della necessità del rischio a sollevare la vita dalla noia". Se il dolore e la noia dominano l'esistenza, c'è pure in essa il vivo desiderio della felicità, di una pienezza dell'essere, che la ragione scopre illusoria, ma tuttavia ineliminabile. Vengono così connotati positivamente la navigazione, il balzo nel buio e nell'ignoto; quel rischio che solo può dare all'uomo l'illusione di ricominciare la vita in uno slancio costruttivo, facendogli per un attimo scordare la consapevolezza del nulla in cui è immerso. Il mare, che all'inizio suggerisce il senso del dubbio e dello scetticismo sulle false sicurezze umane, dà voce positiva a uno slancio speranzoso e, almeno parzialmente, liberatorio. Solo nell'attesa di qualcosa che non conosciamo, possiamo vivere l'unica felicità a noi concessa, creando con l'immaginazione una realtà conforme alle nostre profonde esigenze e attese. - Cantico del gallo silvestre: è l'ultima operetta composta nel 24 e in essa troviamo la conciliazione della forma lirica al pessimismo cosmico. Il Cantico del gallo silvestre riassume alcuni temi riportati all'interno dell'opera fino ad ora, come la materialità dell'esistenza, il prevalere del male e del dolore, l'assenza della felicità e la superiorità della morte sulla vita. nel preambolo, l'autore dice di aver trovato un antico manoscritto che riporta il cantico del gallo tradotto da lingua aramaica. In paragone al dialogo di Federico Ruysch, il testo che è diviso in due parti, sono tra loro in rapporto: in questo testo: il dialogo ha una funzione ironica con la funzione di attenuare le forze e i simboli biblici. Nella parte iniziale vi è la presentazione del gallo descritto come gigante le cui gambe toccano la terra e la testa tocca il cielo, vien poi ironicamente definito come un "pappagallo ammaestrato". Il canto originariamente era una poesia ma poi viene trascritto in prosa, ma ne rimangono alcuni tratti di riferimento. Questi elementi ironici urtano con il messaggio dettato dal gallo che però placa il senso di terrore. Vi sono anche dei punti di contatto con lo zibaldone: il tema del mattino come ora più felice paragonata alla gioventù della vita e la sera come la parte più triste della vita paragonata invece all'anzianità; altro punto di contatto è la convinzione che il nulla sia l'origine e la fine di ogni cosa e la convinzione della relatività della conoscenza umana. Il linguaggio è segnato da un brusco cambio di stile: il gallo usa un tono aulico che testimonia una prosa di qualità poetica dove compiano cesure, versi veri e propri, settenario sdrucciolo, endecasillabi, elementi ripetuti, coppie di verbi,sostantivi e cadenze ritmiche. Vi sono immagini e elementi lessicali in similitudine con i Canti di leopardi stesso per esempio l'infinito, il fior degli anni, il desiderio del mare, del nulla e della morte messa in rilievo dal gallo, visto come contemplatore, che osserva il genere umano. Il messaggio che ci vuole comunicare il gallo in modo metaforico riguarda il cammino della vita umana: la giovinezza dell'uomo che è piena di speranza e fatta di attese che poi non verranno soddisfatte durante il giorno e tantomeno la sera. La natura differentemente dalla vita dell'uomo può godere di una rinascita mentre l'uomo differentemente non gode di questa possibilità. Questa idea era già presente in leopardi, infatti ipotizza che anche l'intero universo si diriga poco a poco verso l'estinzione e procede verso il nulla. Il cantico termina dunque con un silenzio nudo che si rivolge all'uomo e alla sua vita che si estingueranno sempre di più. - Dialogo di Plotino e Porfirio: temi: l'infelicità umana, il rapporto tra uomo e natura e soprattutto il tema del suicidio. Plotino ha capito che Porfirio vuole uccidersi e tenta di dissuaderlo. Inizialmente Porfirio smonta tutte le argomentazioni classiche contro il suicidio con molta semplicità, negando anche che il suicidio sia contro natura, poiché è contro natura la condizione dell'uomo, che è stato creato con un bisogno insostenibile di felicità. Plotino riesce però a convincere Porfilio convincendolo sul piano sociale, perché il suicidio aumenterebbe l'infelicità nie vivi, aumentando in loro il dolore. Gli uomini devono quindi collaborare per tentare di rendere più sopportabile la vita. Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere: dialogo composto nel 1832 incluso nelle Operette Morali del 1834, il tema rappresentato è un aspetto della teoria del piacere: la felicità è sempre nel futuro, cosicché il giudizio della vita si basa sull'attesa e sull'illusione. - Olmi, 1954, fa un cortometraggio, seppur in un contesto diverso, per collaudare una nuova cinepresa. Il video è suddiviso in 2 parti: - Nella prima parte ci sono dei contadini diretti verso la campagna e incontrano un loro rivale, ovvero un suonatore di violino. Poiché i contadini ogni anno si esibivano per guadagnarsi qualche soldo. - Nella seconda parte viene ritratto il dialogo di un venditore di almanacchi che passeggiava per un borgo e dialoga con il venditore. Il dialogo si compone di uno scambio di battute tra il contadino e il passante. Gli interventi del passante ritraggono la filosofia di leopardi, e sono composti da domande più sostanziose a cui il passante risponde in modo seccato, breve e ingenuo. L'amara conclusione è tratta dal passante stesso: a patto di rifare la vita di prima nessuno vorrebbe rinascere. La lunghezza delle battute si alternano alcune sono più lunghe e articolate, mentre per esempio nel venditore sono secche e quasi balbettanti. Il passeggere inoltre sa già la risposta che ottiene così che il venditore replicando conferma le teorie del passante. Il venditore rappresenta un punto di vista ingenuo e ottimistico, il passante contrappone una visione pessimistica e disincantata: l'unico piacere dell'uomo sta nel futuro poiché il piacere sta nella speranza e nell'attesa. In questo dialogo riemerge il metodo socratico (maieutica) in cui grazie al dialogo emerge la verità con un tono malinconico e diretto. - Dialogo di tristano e di un amico: 01/09 è il dialogo conclusivo. A Tristano possiamo affiancare Leopardi; vi è una duplicità in questi due "personaggi" perché in Tristano vediamo la stessa figura dell'autore: è come se quando parla Tristano, parlasse Leopardi. Nel dialogo si affronta un giudizio sulle intere Operette Morali. Un amico accusa Tristano di avere una visione troppo pessimistica e quindi egli finge di aver cambiato parere e di aver aderito quindi alle ideologie ottimistiche di quel tempo. Piano piano però reintroduce tutti i temi trattati nelle operette. Il dialogo si chiude con un aspetto malinconico, dove Tristano esalta la morte e dichiara di attenderla per liberarsi dal dolore terrestre. - Dialogo tra due bestie e un cavallo e un toro: Dialogo di un cavallo e un bue: - Dialogo galantuomo e mondo: - I Canti Leopardi parla del rapporto tra modernità e poesia sostenendo che le vera poesia è quella degli antichi, poiché primitiva e colma di illusione, mentre quella moderna è dominata dalla ragione che distrugge le illusioni e l'immaginazione. Inizialmente tenta di riprendere le illusioni antiche attraverso lo studio dei classici, in un secondo momento sceglie di distruggere determinate illusioni trattandole nei suoi scritti. In entrambe le due stagioni afferma la centralità della lirica poiché massima espressione linguistica che rimane all'uomo, che però si deve adattare al periodo corrente smascherando i non valori della comunità. Prima di leopardi la lirica si fondava sull'ideale di Petrarca e quindi sulla centralità del soggetto. In Leopardi però il soggetto diventa l'io concreto, e le sue liriche si fondano su un'esperienza concreta: questa soggettivazione segnerà la lirica moderna. D'altra parte però leopardi tendeva a oggettivare, ovvero ad argomentare con dimostrazioni filosofiche, dando vita ad un soggetto che oltre che vedere e sentire poteva anche pensare. La produzione poetica è tutta raccolta nei canti con 41 testi di varia lunghezza, composti tra 1816 e 1837: principalmente tra 18-22 e poi 28-36. La prima edizione dei canti ne conteneva 23, a Firenze nel 1831, la seconda edizione a Napoli, 1835, ne conteneva 39, progettata da leopardi; la terza e definitiva a cura di Ranieri, 1836, con 41 canti. Prima dei canti Leopardi pubblicò dei testi: - canzoni: 10 testi - Versi: 9 testi Questi testi rappresentano la sua consapevolezza di aver lavorato su due filoni ideologici differenti: - il primo che coincideva con le canzoni - Il secondo con gli idilli. Leopardi non segue un ordine cronologico di composizione ma dispone i testi per blocchi cronologicamente omogenei; senza nessun tipo di suddivisione per generi. Anche il titolo dei canti ricorda l'unificazione di due filoni differenti: Canzoni e idilli; che suggerisce una lettura molteplice del libro. La sua produzione poetica si può suddividere in più fasi: 1^: canzoni civili e suicidio - 2^: 1818-22 idilli - 3^: 28 canti pisano-recanatesi - 4^: 31 ciclo di Aspasia e canzoni sepolcrali - 5^: 36 la ginestra. Leopardi in ambito della scelta metrica attua una modifica graduale, non prediligendo le metriche principali del periodo ovvero il sonetto, la lode e la canzonetta (i versi sono tutti brevi, in genere settenari, e le strofe spesso molto più corte che nella canzone). Per quanto riguarda i versi, egli predilige nuove forme metriche personali: attribuisce alle inarcature una funzione principale, così come il rapporto tra metrica e sintassi. Con A Silvia definisce la canzone libera leopardiana: alternanza di endecasillabi e settenari e libertà nel numero delle strofe. L'altra forma metrica che prevale è l'endecasillabo sciolto o libero (endecasillabi non legati da rime). La novità c'è anche in ambito dello stile, infatti presenta la componente prosastica accompagnata ad uno stile elevato che non riguarda la lingua poiché lui mira ad una lingua diversa dalla storia, ovvero una lingua che deve esprimere il senso di diversità nei confronti del presente = valore evocativo. Le scelte linguistiche derivano da un'intensa elaborazione teorica intorno alla lingua; infatti le voci che esprimono vaghezza e infinito si fondano su una distinzione importante tra termini e parole: - termini: presentano l'idea concreta e circoscritta infatti sono di tipo tecnico-scientifico; - Parole: presentano solo l'idea e sono più di tipo poetico. I significati delle parole e dei termini rappresentano complessità e ricchezza che si esprimono in facoltà di rappresentare le idee e nello stesso tempo favorire l'immaginazione del lettore. Le Canzoni del Suicidio 12\1821 e 5\1822 scrive: - bruto minore: suicidio civile e chiude il tema civile delle prime cinque canzoni. Bruto minore è protagonista dell'assassinio di cesare; deluso dai valori della repubblica, rivendica la stolta virtù seguita fino a quel momento e accusa l'indifferenza dell'universo e degli dei all'infelicità dell'uomo; infine esprime il desiderio di confondersi, una volta morto, nella materia = ateismo materialistico. ultimo canto di Saffo: suicido esistenziale e conclude la rottura moderna del rapporto armonioso con la natura. Composta nel 1822 intende rappresentare l'infelicità di un animo delicato e nobile in un corpo brutto e giovane come quello di Saffo, innamorata infelicemente di Faone. Il contrasto con interiorità e aspetto fisico brutto servivano a rappresentare l'esperienza di Leopardi rimandando al contrasto tra soggetto e mondo, rispondendo ad un tema filosofico della sua ricerca rilanciando il tema dell'inesattezza della virtù e dell'indifferenza degli dei al destino dell'uomo. Analisi: è notte poco prima dell'alba e sta sorgendo venere precedendo il sole, questo paesaggio però è così inadatto all'interiorità della protagonista che infatti essendone consapevole decide di mettere in atto situazioni crude e violente. Queste stanze di 18 versi presentano un abbondanza di inarcature che permettono una musicalità estrema. Poi viene rappresentata la bellezza della natura armoniosa grazie all'evocazione di elementi della natura come il cielo stellato, contrapposta però all'infelicità di Saffo che ne rimane delusa, poiché il suo amore per la natura non è ricambiato e lei si sente esclusa; Muscetta (critico) fa riferimento al fiume che tende a deviarla e indirizzarsi verso i fiori, da quanto la natura gli è nemica. Il verso 39 e 44 iniziano con due domande retoriche in cui Saffo sottolinea la propria innocenza per spiegare meglio quanto la natura gli sia nemica, concludendo che l'unica cosa di cui lei è certa è il dolore: ciò lo si vede grazie all'accrescere del pathos presente nei versi alla riga 47 con nostro dolor. secondo alcuni il plurale sta per il singolare, secondo altri, come per Valdi, c'è invece una protesta nascosa, poiché tutti i soggetti sono destinati al dolore, che è l'unica cosa certa. Poi dal verso 55 Saffo prende la decisione di uccidersi, inteso come estremo risarcimento del crudele destino che l'ha fatta brutta e sensibile; perciò augura all'amato di essere felice essendo però consapevole dei limiti della felicità poiché si limita alle illusioni della giovinezza. E al verso 67 attraverso un climax ascendente e con la frase ripresa dalle Georgiche di Virgilio inaugura la voglia di scappare dalla vita e quindi il tema del suicidio esaltato dalla presenza della dea degli inferi al verso 71. Poi la poesia finisce in silenzio con un parallelismo perfetto. Interpretazione: il riferimento è alla lettera che Ovidio fa scrivere in prima persona da Saffo nelle Heroides, ovvero una raccolta di 21 lettere che 18 eroine scrivono ai loro amanti lontani. La prima strofa si apre con un paesaggio notturno e in cui Saffo controlla la natura illuminata dalla luna ma subito scopre la mancanza di armonia (rovesciamento del tema romantico) tra lei e la natura (tempeste, venti forti, animali spaventati, fiume); nella seconda strofa inizia la lamentatio, ovvero Saffo inizia a sentirsi esclusa dalla natura e si lamenta di ciò con gli dei, con il destino e con la natura; nella terza strofa giunge alla conclusione che l'unica certezza umana è il dolore che non è più personale ma dell'umanità intera; alla fine emerge poi la sua colpevolezza ovvero lei è brutta e le virtù essendo contenute in quel corpo sono destinate a non essere amate; l'ultima strofa affronta il suicido con cui Saffo decide di sfidare la natura che l'ha esclusa. Durante la stesura di questa poesia leopardi non aveva ancora scritto le operette morali, quindi non aveva ancora scritto il dialogo di Plotino e Porfirio e la rappresentazione del suicidio era ancora solo in una dimensione di espressione del disagio del poeta e non come dimensione sociale, in cui il suicido non viene visto contro natura ma per eliminare quell'infelicita comune a tutti gli uomini. Inizialmente il paesaggio, e quindi la natura, sembra creare un dualismo con il soggetto che sembra contemplare, ciò però fino al verso 5 poiché poi richiama il fato che spezza questo dualismo e si crea disarmonia che viene rappresentata da una natura tempestosa ed estrema che si fonda sulla mancata partecipazione di Saffo in essa e la bellezza del paesaggio resta perciò esclusa da lei. Importante è anche il termine al verso 6 "sembianze" che rappresenta un momento decisivo del testo poiché per sembianze della natura si intendono cose piacevoli e amate che però sono solo apparenti e quindi permette lo smascheramento del dolore della protagonista. Gli Idilli Idilli dal greco quadretti indicano solitamente esperienze di vita agreste ma leopardi ne stravolge totalmente il contenuto. Nascono tra il 1819122 e sono 5 e occupano dalla 12 alla 16 posizione nei canti: - l'infinito - La sera del dì di festa - Alla luna - Il sogno La vita solitaria Gli idilli rappresentano situazioni, affezioni e avventure dell'anima del protagonista, ovvero al centro c'è l'io lirico e il carattere soggettivo ed esistenziale del poeta. Gli idilli presentano un punto di vista lirico soggettivo che però non esclude un orientamento riflessivo filosofico e argomentativo. Una differenza importante con le canzoni riguarda il linguaggio, infatti sceglie un lessico più comune a cui associa la ricerca del vago. Per lo stile Leopardi sfrutta quello colloquiale e intimo. Abbandona lo stile classico delle canzoni per utilizzare l'endecasillabo sciolto e fa spesso ricorso alle inarcature. "L'infinito" Scritto nel 1819 segna l'inizio della poesia moderna. Esso fa riferimenti alla realtà materiale, alle percezioni sensoriali, ai sentimenti e alle riflessioni che si fondano su uno scambio tra sensazioni ed emozioni. Il dato materiale di partenza è una siepe posta su un colle che non permette la vista di ciò che sta al di là di essa e permette un processo immaginativo sul concetto limite di infinito a partire dalla sensazione di limitatezza; il rumore delle foglie mosse dal vento chiamano in causa un secondo concetto limite quello dell'eterno e l'abbandono alle sensazioni e alle immaginazioni per il raggiungimento di un piacere indefinito. Analisi: Il testo è composto da 15 endecasillabi sciolti; tutti i versi sono legati da inarcature, eccetto il primo e l'ultimo, dove quindi sintassi e metrica coincidono, ad indicare che l'infinito inizia in confini limitati e vi è poi uno smarrimento dei sensi. Il componimento è divisibile in due momenti suddivisi in 7 versi e mezzo, con l'8 verso che permette un passaggio da uno all'altro; nella prima sezione Leopardi fa riferimento ad un infinito spaziale, mentre nella seconda sezione ad un infinito temporale. A sottolineare la continuità dei due momenti c'è un elemento sintattico, ovvero la E (congiunzione coordinativa). Queste due sezioni si dividono in maniera simmetrica grazie a vari elementi anche sul piano sintattico, come al verso 4 e 5 con gli "infiniti spazi e sovrumani silenzi" ripresi al verso 10 "infinito silenzio". Questa simmetria si rompe però sul piano lessicale dal momento che dove troviamo l'infinito spaziale abbiamo parole più lunghe che descrivono l'esperienza vertiginosa, rispetto a quelle relative all'infinito temporale che sono più corte per esprimere la pace del naufragio dell'io. Leopardi utilizza aggettivi, verbi e pronomi alla prima persona singolare, confermando il ruolo principale dell'io-lirico del poeta. Un punto fondamentale dell'opera è che essa è composta da 15 versi: il sonetto era composto da 14 versi e Leopardi in questo modo vuole andare oltre i limiti del finito per raggiungere l'infinito. "A se stesso" e "Aspasia", invece, sono composti da 16 versi perché l'infinito non era più concepito come una possibilità. Ne "L'infinito" Leopardi abbatte delle strutture finite perché il cuore e l'io del poeta devono arrivare e quindi "naufragare" nel mare dell'infinito, nella vastità. (ultimo verso). Interpretazioni: De Santis: legge l'Infinito con una chiave religiosa pensando che Leopardi affermi che l'infinito abbia un carattere religioso, ma in realtà nel componimento non è rilevabile alcun tipo di accenno alla dimensione sovrannaturale, non ci sono caratteristiche del divino. Nello Zibaldone Leopardi addirittura lo esclude (ricordiamo infatti la sua concezione atea e materialistica in seguito alla rottura dei rapporti con i genitori). L'infinito di cui parla ardi è quir soggettivo, non può essere oggettivo, perché è creato dall'immaginazione dell'uomo, non da un'entità superiore. Cataldi critica: infinito di leopardi come lirica più bella, leopardi 21enne, rappresenta un modo speciale di vivere la realtà tipico dell'adolescenza con esperienze interiori che la accompagnano. Nell'infinito parla del modo in cui si può fare esperienza: il concetto di infinito è una di quelle cose impensabili dall'uomo, è un concetto limite perché non è pensabile dall'uomo che può pensare solo cose finite. L'idea di ciò che non finisce è un'idea che nasce e si manifesta nell'adolescenza, la scoperta che le cose finiscono e contemporaneamente scoprire che esiste uno spazio indefinibile che è in noi che non accetta questo limite: es malinconia, es memoria. La scoperta della vita come luogo fatto di limiti e allo stesso tempo dell'illimitato è contraddittoria e avviene nella giovinezza. Leopardi non elimina dalla scena i riferimenti ai limiti, anzi la scena è fatta di quelli, e partendo da quelli ne costruisce una possibilità di vedere l'infinito. Nella finzione mentale l'uomo può continuamente vivere altre esperienze; io e realtà esterna sono in conflitto (idea romantica) in cui l'io vuole imporre le proprie pretese alla società e alla materialità. Inseminati- spazi e sovrumani-silenzi, tra aggettivo e sostantivo ce una piccola siepe che non permette al concetto di costruirsi, con le parole non si può costruire le cose. Questa infinità è una tecnica ripetuta nel testo. Da un punto di vista storico fa appello alla tradizione del sensismo, per rifiutare il modo con cui i romantici avevano spiritualizzato la poesia, resa astratto ciò che era concreto. Leopardi parte dalle percezioni sensoriali concrete. Leopardi costruisce un'esperienza emotiva e soggettiva dell infinito: finzione mentale ed emotiva: scoprire la propria forza ed inadeguatezza nel mondo. I Canti pisano-recanatesi Dopo un momento di concentrazione su testi in prosa, nella primavera del 28 Leopardi riprende a scrivere testi poetici, cominciando così la seconda stagione, ovvero quella dei canti pisano-recanatesi tra il 1828-30. Essi non possono essere definiti Grandi Idilli perché altrimenti si presupporrebbe una continuità con gli Idilli del 1819-22, ma dobbiamo tenere anche conto del nuovo carattere filosofico, che permise il passaggio da poesia sentimento a poesia ragionamento. I componimenti più importanti sono: Il risorgimento A Silvia Le ricordanze Canto notturno di un pastore errante dell'Asia La quiete dopo la tempesta Il sabato del villaggio Con i canti pisano-recanatesi tornano in evidenza i sentimenti. Il linguaggio è quello quotidiano "A Silvia" Composta nell'aprile 1828, A Silvia è la prima canzone libera; essa è composta da 6 strofe di lunghezze diverse, per un totale di 34 settenari e 29 endecasillabi, di cui 26 sciolti e i restanti legati da rime. 1. La prima strofa si apre con il nome della fanciulla, Silvia, proprio come nell'Aminta di Tasso, che rappresenta Teresa Fattorini, una donna ormai morta citata nei Ricordi d'infanzia e di adolescenza di Leopardi. Leopardi usa il presente al v. 1 "rimembri" per richiamare alla mente ed evocare sentimenti. La strofa si conclude con "salivi", e notiamo una grande maestria con cui Leopardi scrive se prendiamo in riferimento come la strofa si era aperta, ovvero con "Silvia": è presente quindi una paronomasia (= vocali e = consonanti). 2. Nella seconda strofa si passa ad una dimensione memoriale evocata dall'imperfetto, infatti viene rappresentata la vita giovanile di Silvia, che mentre lavorava al telaio (ripresa del 7° libro dell'Eneide - Penelope) cantava e pensava felice al futuro. 3. La terza strofa parla dell'io, affiancando alla giovinezza di Silvia, la vita e le azioni da giovane dell'lo, sempre al tempo imperfetto. Troviamo anche un chiasmo ai vv. 15 - 16. 4. Nella quarta strofa troviamo il centro concettuale della canzone, accomunando al v. 30 con "ci" le prime strofe nell'attesa del futuro sia da parte di Silvia che da parte dell'Autore, protagonista della terza strofa. Leopardi espone uno scoraggiamento nei confronti del futuro e della natura, che non dà all'uomo ciò che egli si aspettava, e fa assumere così alla canzone un andamento drammatico, sottolineato dalla ripetizione del "mi", che sottolinea però anche la differenza tra i destini dei due. Espone quindi a questo proposito due domande alla natura ai vv. 38 - 39. 5. La quinta strofa è in continuità con la quarta, con un esplicito riferimento al ciclo della natura, con l'arrivo dell'inverno che secca la natura, al quale è possibile paragonare la morte della stessa Silvia, e l'inverno pone una contrapposizione alla seconda strofa, dove si parla di maggio e quindi primavera; in questa strofa c'è poi un ulteriore richiamo alla seconda strofa, perché Silvia torna ad essere l'unica protagonista. Leopardi elenca tutti i piaceri e aspetti persi con il passare della giovinezza. Torna a dominare la strofa l'imperfetto. 6. Nella sesta strofa i tempi verbali evocano tutte le dimensioni ed essa è posta in continuità con la quinta; così come alla seconda strofa su Silvia seguiva quella sull'autore, anche alla quinta, dedicata alla disillusione di Silvia, segue la sesta dedicata alla disillusione del poeta. Leopardi gioca con i dittici questo e quello nei vv. 56-59. Ai vv. 58 - 59 egli pone una questione filosofica molto importante, chiedendo alla natura se l'illusione e la disillusione è il destino di tutto il genere umano. A proposito di ciò, egli personifica la speranza al v. 54 con "Cara compagna". Possiamo fare un parallelismo tra due personaggi di questa canzone, ovvero Silvia e la speranza, perché, morta Silvia, Leopardi inizia a parlare con la speranza, ma da lì a poco anche essa morirà. A Silvia si conclude con tre versi posti non a caso, perché infatti la scena della donna che indica la tomba sta a ricordare il vero significato dell'esistenza. Nell'ultimo verso invece l'avverbio "di lontano" riprende l'inizio del canto, ovvero l'avverbio "ancora" al v. 1. "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia" Composto tra il 1829 e il 1830 è l'ultimo grande canto pisano-recanatese in ordine cronologico, anche se poi nell'edizione dei canti è riportato prima della Calma dopo la tempesta. Già il titolo richiama l'attività dei pastori kirghisi e la natura ironica dell'opera. "Notturno": evoca la notte, momento tipico dell'esistenzialismo dove si esprimono grandi interrogativi sul senso della vita. "Pastore": ha una duplice valenza: la lirica bucolica e la poesia pastorale (es: Teocrito e Virgilio) + l'immagine che il canto ha ascendenze bibliche. Il personaggio principale è quindi umile. "Errante": è una parola vaga, polisemica, secondo Leopardi con il significato di vagabondare e sbagliare, quindi il pastore vive lo smarrimento. "Asia": porta un'idea di lontananza e di ignoto. Importante il fatto che in questo canto non c'è alcun riferimento autobiografico, né all'io lirico del poeta, né ai luoghi descritti; la riflessione sul senso della vita viene infatti affidata al pastore. Il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia è una canzone libera composta da sei strofe e l'ultimo verso di ciascuna termina in -ale. ● - vv. 1 - 20 il canto ha un attacco virgiliano, ispirato al secondo libro dell'Eneide. Il pastore rivolge domande esistenziali alla Luna sulla sua valenza e sul suo scopo; i due punti ai vv. 14 - 18 servono ad introdurre le spiegazioni alle quattro domande poste. Il pastore al v.11 viene associata la metafora della Luna, poiché entrambi "sorgono"; il pastore e la Luna, quindi, sono accomunati da una ripetizione degli stessi gesti, ma la ripetitività causa noia e non ha sbocchi di senso. ● vv. 21-38 All'inizio della seconda strofa troviamo un importante riferimento a Petrarca nella scelta del personaggio, ovvero il Vecchierel bianco, ripreso dal sonetto petrarchesco Movesi il vecchierel canuto et biancho" ma anche la vecchierella pellegrina del Canzoniere, con la differenza che ella aumentava le fatiche raddoppiando i passi perché alla fine di tutto c'era Dio, mentre secondo Leopardi alla fine di tutto c'è la morte, quindi il nulla; il vecchierel è allegoria della condizione umana, segnata dalla fatica e dalla sofferenza. In questa stanza viene riportata una serie di elencazioni segnate da polisindeti, asindeti (elenco senza congiunzioni) e parallelismi, utilizzando quindi la tecnica dell'accumulo. A collegare le prime due strofe il penultimo verso della seconda con il primo della prima, e l'ultimo della seconda con l'ultimo della prima per contrasto. vv. 39-60 Scrive che l'uomo nasce a fatica; fatica ha un duplice significato: la fatica vera e propria del nascere + l'uomo nasce per porre fine alla fatica e al dolore. La vita è quindi dolore e i bambini vanno consolati, perché il pianto dei bambini corrisponde al pianto dell'esistenza. Il punto di massima tensione lo abbiamo ai vv. 55 - 56 dove il pastore si chiede perché la vita continua se corrisponde al dolore e non ha significato; dietro a questi versi Leopardi denuncia l'incoerenza dell'uomo. L'uomo mortale si sente provocato dalla presenza della Luna, poiché questa sembra trascendere dalla caducità della vita umana. Quando Leopardi scrive di ciò richiama al v. 57 il v. 38. Il "forse" al v. 60 è la firma di Leopardi, perché egli è il "poeta del forse" ● vv. 61-84 Le strofe del canto sono tutte legate tra loro. Il forse del verso precedente segna il passaggio ad un'altra ipotesi: la luna conosce il significato segreto dell'esistenza, cosa che il pastore non conosce, e quest'ultimo aspetto è sottolineato dal patir e sospirar al v. 64, immagini che evocano in modo particolare la morte. Il forse del v. 60 si collega al certo del v. 69, dove l'ipotesi prende corpo. In seguito a ciò, la rappresentazione della morte in un'ottica umana senza un elemento spirituale viene abbandonata. vv. 85-104 ● in questa seconda parte della quarta strofa vediamo il soliloquio entrare in una dinamica più viva. L'immagine che si viene a formare crea un parallelismo con l'aforisma kantiano del cielo e delle stella; in realtà guardando il cielo laddove la legge biblica e la filosofia esaltano la grandezza dell'uomo, ciò che il filosofo nota è la minimalità dell'uomo; questo è il motivo per cui è presente una serie di domande prive di verbo, domande che questa volta non sono retoriche. La domanda più grande di tutte è chi sono io. Tra i vv. 98 - 100 c'è un chiasmo. Nella conclusione di questa strofa Leopardi scrive che la vita è segnata dal dolore e dal male. vv. 105 - 118 ● Il pastore canta la beatitudine del gregge, con un ritmo cadenzato grazie alla presenza dell'anafora, che viene sfruttata per l'elencazione. vv. 119-132 Il pastore si chiede per quale motivo ogni animale vivesse ozioso mentre l'uomo è in preda alla noia. ● vv. 133-143 l'ultima strofa è la più breve di tutte; essa rappresenta non una polemica ma una rassegnazione alla meditazione. Anche in questa strofa ritorna il termine forse, ripreso anche da Foscolo, con la differenza che in Foscolo il "forse" non è drammatico, mentre in Leopardi sì, perché egli ha perso ogni certezza. "La quiete dopo la tempesta" La quiete dopo la tempesta fu composta nel settembre del 1829 ed ha come tema principale quello della teoria del piacere e la cessazione del dolore. Nelle operette morali trovavamo l'utilizzo dell'ironia, mentre in questo canto Leopardi sfrutta il sarcasmo per colpire la ferocia della natura. Essa è una canzone libera di tre strofe, composte da settenari e endecasillabi. 1. Nella prima strofa abbiamo una scena descrittiva della natura e della vita in paese in seguito alla tempesta; alcuni critici hanno rilevato tra le fonti letterarie Foscolo e Ossian. 2. Mentre nella prima strofa ha posto la descrizione dello stato di quiete, Leopardi nella seconda strofa riporta l'evocazione della quiete. Troviamo un alternarsi di domande retoriche, seguito da un lungo periodo dal v. 32 al v. 41 senza un verbo principale. All'inizio della strofa, al v. 25 con "Si rallegra ogni core" Leopardi riprende il v. 8 "Ogni cor si rallegra", in modo tale da collegare le due strofe. Dal v. 37 pone una serie di aspetti della natura che aumentano nell'uomo la paura per la morte, come i fulmini, le nuvole e il vento della tempesta; la paura della morte supera quindi la consapevoleza di porre fine alla vita (parallelismo e climax). 3. la terza strofa si apre in maniera ironica, scrivendo che la natura è cortese (v. 42) e chiamando "doni" la paura che essa genera negli uomini. La terza strofa conclude il canto affrontando quella che prende il nome di teoria del piacere e affrontando quindi il tema dell'infelicità umana. Il canto è composto da tre strofe e la seconda e la terza sviluppano la teoria leopardiana del piacere e la concezione della natura come cattiva e malefica. Negli Idilli predomina l'elemento descrittivo, mentre in questo canto si intreccia la parte descrittiva con quella riflessiva. La descrizione si basa completamente sul tema del vago e dell'indefinito, perché infatti non vi è una scena oggettiva. ● la critica di Benedetto Croce ha negato il valore della parte riflessiva sostenendo che l'ispirazione può venire solo dalla parte Idillica, descrittiva, altrimenti si porterebbe alla distruzione della poesia stessa, poiché soprattutto le prime strofe ispirano felicità e gioia, ma poi entra in campo la consapevolezza dell'infelicità degli uomini. La metrica ha un ritmo leggero e veloce grazie alla presenza di gruppi di settenari come tra i vv. 4 - 19; aiuta anche il collegamento tra la seconda e la terza strofa grazie alla rima tra offese (v. 40) e cortese (v. 42). Nella Quiete dopo la tempesta il piacere è legato al passato e nel presente c'è la cessazione del piacere stesso. Per Leopardi fare poesia voleva dire utilizzare la parola per rendere un'idea, e a proposito di ciò Mario Truzzi sostiene che questa operazione serve per trasformare la parola da segno-convenzionale a una parola che vince. "Il sabato del villaggio" fu composto nel 1829 e compare già nell'edizione del 31, Firenze. È una canzone libera composta da 4 strofe diversissime tra di loro per quanto riguarda la lunghezza, visto che la prima è molto estesa rispetto alle altre tre. La poesia si apre con la figura della donzelletta che al tramonto torna a casa con rose e viole per poter decorare i propri capelli il giorno dopo. In questo passo la donzelletta ornata di fiori richiama una ninfa, Silvia, la ninfa di Tasso. L'immagine dei colori delle rose e dei fiori è un'immagine speranzosa e creano un contrasto con la vecchierella (v. 9); in questo termine Leopardi utilizza il vezzeggiativo per indicare la tenerezza di questa donna anziana, che pensa però ai giorni della sua giovinezza in cui si preparava. Se la donzelletta era la trasfigurazione della ninfa Silvia, allora la vecchierella è la metafora del destino ineluttabile che accomuna tutti gli uomini. Alla fine della prima strofa, c'è un parallelismo tra il contrasto tra la donzelletta e la vecchierella e il contrasto tra l'azzurro del cielo e l'imbrunire della sera. Alla seconda strofa Leopardi passa ai dati acustici, con il suono delle campane che annuncia l'arrivo del giorno festivo, i ragazzi che giocano e accanto gli zappatori di rientro da una giornata di lavoro. Nella terza strofa prevale invece il silenzio della notte, in cui però risuona il rumore degli attrezzi di una bottega di legni (vv. 33 - 35). Le ultime due strofe rappresentano il significato della lirica: la domenica sta arrivando e non c'è più attesa, quindi il giorno più importante non è la domenica, ma il sabato, poiché è il giorno in cui si pensa alla domenica: il piacere si può pensare solo nel futuro, perché nel presente il piacere si consuma. Il poeta vuole anche includere l'io lirico del lettore, tanto che l'ultima strofa, al verso 43, si apre con un'apostrofe, ovvero "garzoncello scherzoso", un'immagine felice ma allo stesso tempo è una verità amara, quindi è un'immagine terribile, come se fosse un'avvertenza al lettore sulla fugacità della giovinezza; in questo modo, la conclusione del poema risulta malinconica. Il componimento è formato da 25 settenari, versi più slanciati, e 26 endecasillabi, versi più gravi, che rappresentano ognuno un aspetto diverso della vita, ovvero la pesantezza della vita passata e la fugacità della giovinezza. I settenari sono presenti spesso in serie, come tra i vv. 20 - 27 dove abbiamo otto settenari consecutivi, che rappresentano la gioia della festività con i ragazzi che giocano. Le rime contribuiscono a dare grande musicalità al testo. Leopardi nel Sabato del villaggio ci presenta persone per lo più umili, come la donzelletta, la vecchierella, i fanciulli, lo zappatore e il legnaiuol, circondati da altri oggetti umili, come il fascio dell'erba e il mazzolin di rose e viole. Tutto il componimento gioca tra l'attesa del sabato e la disillusione della domenica, poiché la domenica apre alla constatazione amara dei piaceri della vita che non sono più godibili. ● Pascoli criticò Il sabato del villaggio poiché Leopardi mette nelle mani della donzelletta le rose e le viole: Pascoli aveva infatti grandi conoscenze botaniche e la stessa la doveva avere anche Leopardi dopo tutti quegli anni passati a studiare, e allora Pascoli gli critica il fatto che le rose sono dei fiori di maggio, mentre le viole di marzo, è quindi non c'è una genericità e mancata attenzione in tutta la poesia; in realtà la vaghezza di Leopardi si rispecchiava nel suo intento, ovvero la stessa ricerca del vago. La donzelletta addobbata di fiori richiama altre figure femminili come Matelda, donna che Dante incontra nel purgatorio nel paradiso terrestre, mentre le ombre richiamano il 50 canto del Canzoniere di Petrarca e alla prima Bucolica di Virgilio (con Titiro che all'ombra fa riecheggiare il nome dell'amata Amarillide). La conclusione riferita al garzoncello è un invito a non spingere lo sguardo oltre i confini dello sguardo giovanile. Il ciclo di Aspasia 1830-1833 Scritto in seguito all'esperienza dell'amore, che influenza i canti di questa stagione. Il tema principale è infatti quello di amore e morte. L'amore è considerato come un'illusione non smascherabile dalla ragione, nemmeno in età adulta. L'amore, quindi, è la dimostrazione più profonda dell'infelicità umana, visto che amando di concepisce e ci si avvicina ad un'idea di felicità che non si realizzerà mai. Al tempo stesso, però, l'amore è la maggiore consolazione concessa agli uomini, perché grazie a questa illusione potranno affrontare consapevolmente il male della vita. L'amore viene quindi associato alla morte perché concepito come un bene supremo per gli uomini. L'uomo con la sperimentazione dell'amore può sfidare ed arrivare anche ad evocare la morte. "A se stesso" 1833 Racconta il momento della disillusione con il conseguente disprezzo per la vita stessa La Ginestra E l'unico dei canti con un sottotitolo, "fiore del deserto", con il significato allegorico del deserto come la colata lavica e quindi la natura che avanzando distrugge tutto ciò che trova, in contrapposizione quindi al canto notturno di un pastore errante, dove la natura è un ciclo continuo di divenire e distruggere; a ciò sopravvive solo la ginestra e l'uomo è come questo fiore, che resiste contro l'avanzare della natura che distrugge tutto da verso 237 STROFA 6 237 - 248 l'inizio della strofa - attenzione al vesuvio, evocato con la perifrasi posta in una posizione strategica per l'inarcatura tra i vv. 244 245. fatal ricorda il destino crudele dell'uomo. Concentrato sull'immagine del villanello che richiama i poverelli al v. 248. Già a partire dall'inizio della strofa capiamo lo scopo temporale della strofa, poiché riporta all'eruzione del Vesuvio di anni prima. 248-257 258-268 il villanello vede nel suo pozzo l'acqua che ribolle ed è un segnale terribile dell'eruzione. l'immagine del nido, della casa e degli affetti diventeranno spunto per pascoli; in leopardi sono fonte di disperazione, perché li vede distrutti dall'eruzione. 269-288 elencazione ritmata dall'anafora e asindeto ai vv. 281 - 282. Riferimento agli scavi con la scoperta di Pompei, e questa distruzione, scene di morte, i pipistrelli, richiamano i Sepolcri di Foscolo, anche se Leopardi è un po' più cruento, più vicino allo stile gotico. 289 nucleo centrale dell'opera. definisce la natura ignara dell'uomo e delle età; la natura vive nell'indifferenza totale nei confronti dell'uomo; sta ferma (v.294) v. 295 c'è un verso ironico, perché l'uomo si crede padrone ed eterno, ma in realtà non è niente in confronto alla natura. la sesta strofa gioca tutta sul contrasto tra l'insignificanza del tempo umano e l'immobilità del tempo presente. La natura maligna incombe immutata nella sua minaccia. Su un paesaggio idillico (inizio 6 strofa) incombe la natura distruttrice. La natura è inerme. STROFA 7 in rispondenza circolare, ritorna protagonista la ginestra. variazione: la ginestra non è più odorata (strofa ???) ma lenta, ma il tema dell'odore ritorna nel verso successivo. Ma non del v. 307 in anafora con v. 309 la ginestra non è esonerata dalla morte, ma resiste fino all'ultimo momento. L'uomo deve n'è cedere alla disperazione, n'è deve allo stesso tempo lasciarsi prendere dalla superbia, non deve arrivare a ritenersi superiore agli altri: l'uomo deve essere sicuro della propria dignità Più saggia in antitesi con il verso successivo ritorno con insistenza sulla fragilità v. 315 la dignità dell'uomo vive nello spirito della ginestra, che diviene un modello di comportamento nobile ed eroico dell'uomo, perché il fragile fiore dovrà piegarsi davanti alla potenza della natura distruttrice, ma non cancella la sua vita, n'è ha eretto il capo per tentare di imporre il suo dominio sulle altre creature. INTERPRETAZIONE: dal punto di vista stilistico, qualche critico ha definito la ginestra con una sintassi tentacolare, perché c'è un pensiero sempre aperto verso nuove conquiste e nuove connessioni; c'è proprio una sorta di molteplicità di stili, perché prevale il tema argomentativo ma prevalgono anche delle proposizioni brevi ed incalzanti. Binni richiama ritmi lenti in alcuni versi, ma nelle sezioni discorsive c'è una progressione in crescendo: da un tempo lento, disteso e pacato, il discorso si va ad animare e il pensiero acquista corpo. Ci sono elementi di continuità con il canto notturno del pastore errante perché entrambi si basano sull'allegoria, e ciò diventa punto di riferimento per tanti autori, es. montale che dedica una poesia completamente all'allegoria. si parte da descrizioni fondate sull'esperienza, e il significato di tutto il componimento si fonda sulla sofferenza. Leopardi applica un razionalismo per dire che ciò che caratterizza l'uomo è la piccolezza e la fragilità; è per questo che ci sono dei tipi di uomini, a cui Leopardi affida un significato allegorico, come il villanello e i poverelli (vv. 240, 248). Sia lo stolto che il saggio vengono sottoposti al regime della vita; entrambi sono destinati alla distruzione, entrambi sono paragonati al formicaio distrutto dal frutto, entrambi vanno incontro alla morte. CRITICA BINNI Leopardi non è a favore di una letteratura consolatoria ma insiste su una proposta eroica, che fa casa comune contro l'avanzare di un nemico comune. Quando si parla di fiore c'è un'idea di bellezza e fertilità, non una denuncia della realtà dei fatti così aspra e dura come quella riportata da Leopardi. Ma lo si vede già dall'esordio. Bisogna accettare con coraggio quella che è la triste realtà che segna la condizione dell'uomo. CRITICA GIOANOLA posizione diversa da quella di binni; non c'è più l'eroismo che ha visto binni. il tema centrale è il dinamico avanzare della natura e la resistenza della creatura. è espressione della religione leopardiana, che sembra fare della poesia l'unica ancora a cui appellarsi per sopravvivere in questo sopravanza di negatività; motivo per cui egli parla di gratuità della poesia. CRITICA TIMPANARO (CLASSROOM) Critico di stampo marxista. Leopardi non è stato un vero e proprio rivoluzionario: egli lancia una proposta, ma non si occupa di una realizzazione politica. è una lotta esistenziale, non socio-politica. Paralipomeni della Batracomiomachia poema di 8 canti in ottave del 1831-1835 paraleipo in cgreco significa tralasciato, cose tralascaite; batracos significa rana, mius significa topo, mache significa battaglia: battaglia delle rane e dei topi. La Batracomiomachia è un poemetto attrivuito solitamente ad Omero tra il 4 e 3 sec a.c. Lepardi con quest'opera finge di integrare l'opera originale riprendendo la narrazione originale. Nell'opera originale c'è il re delle rane che persuade il figlio del re dei topi rubabriciole a preserlo in spalla per andare al lago Scoppia la guerra (in un giorno solo) tra i topi e le rane. I topi stavano per vincere e zeus interviene con un fulmine. Arrivano i granchi che fanno a pezzi i topi. Questa è una parodia dell'lliade con una critica alla guerra. Leopardi riprende i temi e mette al centro i topi e i granchi invasori; per la trama pag 83. C'è una trasfigurazione: i topi sono gli italiani liberali, i granchi sono gli austriaci; qui vengono presi in giro i patrioti che erano convinti di dover ricevere aiuti da altri stati per liberarsi degli austriaci ma poi falliscono. è una satira politica.