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29 nov 2025

31 pagine

La Vita e le Opere di Giacomo Leopardi

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Alessandro Venturino

@alessandroventurino

Il pensiero di Giacomo Leopardi rappresenta uno dei vertici della... Mostra di più

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# Giacomo Leopardi

## Vita

Nasce a Recanati il 29 giugno del 1798, che si trova
attualmente nelle Marche, che al tempo faceva
parte dello

Vita di Leopardi

Giacomo Leopardi nasce a Recanati il 29 giugno 1798, in una famiglia aristocratica dello Stato Pontificio, uno degli stati più conservatori d'Italia. Figlio del conte Monaldo e di Adelaide, riceve un'educazione classica in un ambiente familiare rigido e tradizionalista.

A soli dieci anni inizia un percorso da autodidatta, dedicandosi a quello che lui stesso definirà "studio matto e disperatissimo". Il giovane Giacomo si rivela un bambino prodigioso, padroneggiando greco, latino e lingue semitiche, e traducendo numerosi classici. La svolta avviene tra il 1815 e il 1816 quando entra in contatto con il pensiero romantico, sebbene mantenga sempre un atteggiamento critico verso questa corrente. L'amicizia con Pietro Giordani gli fornisce quell'affetto e quel supporto intellettuale che gli mancano in famiglia.

⚡ Il clima soffocante di casa Leopardi diventa insostenibile nel 1819, quando tenta una fuga che viene scoperta e impedita dai genitori.

Nel 1822, ormai ventiquattrenne, i genitori gli permettono finalmente di lasciare Recanati. Si reca a Roma dallo zio, ma resta profondamente deluso dalla città, i cui monumenti rappresentano per lui solo il ricordo di una grandezza ormai svanita. Da questa delusione nascono le "Operette morali" (1822-23). Successivamente, un editore milanese lo assume per commenti e traduzioni, permettendogli di raggiungere l'indipendenza economica dalla famiglia e di entrare in contatto con importanti intellettuali a Milano, Bologna e Firenze.

Tra il 1827 e il 1828 soggiorna a Pisa, dove riprende a scrivere poesie: è la stagione dei Grandi Idilli, che include "A Silvia". Dopo un breve ritorno a Recanati, si trasferisce a Firenze dove conosce Fanny Targioni Tozzetti, di cui si innamora senza essere ricambiato, e Antonio Ranieri, con cui si sposterà a Napoli. Nella città partenopea comporrà "La ginestra" e qui morirà nel 1837, dopo anni di infermità.

# Giacomo Leopardi

## Vita

Nasce a Recanati il 29 giugno del 1798, che si trova
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La poetica di Leopardi

La filosofia di Leopardi attraversa diverse fasi, iniziando con quello che possiamo definire pessimismo individuale. In questa prima fase, Leopardi sviluppa una visione pessimistica legata principalmente alla sua esperienza personale: la famiglia conservatrice, le sue infermità fisiche e la sua condizione di isolamento.

Il passaggio al pessimismo storico segna una trasformazione importante del suo pensiero. Tutta l'opera leopardiana si fonda su un sistema di idee continuamente meditate e sviluppate nello Zibaldone, una sorta di diario intellettuale dove annota riflessioni e pensieri. Al centro di queste meditazioni c'è l'infelicità dell'uomo, che Leopardi interpreta in chiave storica.

💡 Nella "Teoria del piacere", Leopardi identifica la felicità con il piacere sensibile e materiale, affermando che l'uomo aspira al piacere infinito, impossibile da raggiungere.

In questa fase, Leopardi concepisce la natura come madre benigna che offre all'uomo un rimedio contro l'infelicità: l'immaginazione e le illusioni. Secondo il poeta, il problema è che l'uomo moderno, allontanandosi dalla sua condizione naturale originaria attraverso il progresso e la ragione, perde questa capacità immaginativa. L'infelicità dei contemporanei è quindi frutto di uno sviluppo storico che ha spento le illusioni necessarie alla felicità.

Questa concezione entrerà però in crisi quando Leopardi si renderà conto che la natura mira solo alla conservazione della specie, sacrificando il bene del singolo. Il male non è più visto come un semplice accidente, ma come parte integrante del piano della natura. La natura non è più madre amorosa ma meccanismo cieco, indifferente alla sorte delle sue creature. Nasce così una concezione meccanicistica e materialistica in cui l'infelicità è causata da mali esterni come malattie, cataclismi, vecchiaia e morte.

Si arriva così al pessimismo cosmico: l'infelicità non è più una condizione storica e relativa ma assoluta, un dato eterno e immutabile. Di fronte a questa realtà, Leopardi assume un atteggiamento contemplativo, ironico e distaccato, ispirandosi all'ideale del saggio stoico e alla sua atarassia, il distacco imperturbabile dalla vita.

# Giacomo Leopardi

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Il pensiero maturo di Leopardi

Il pessimismo cosmico rappresenta l'approdo finale della riflessione leopardiana, in cui la condizione negativa dell'uomo viene compresa come strutturale e universale. Anche quella felicità antica che sembrava esistere era solo frutto di illusione, un generoso inganno della natura che conferma come la vera condizione umana sia l'infelicità.

La concezione di una natura malvagia diventa centrale. Leopardi comprende che la natura punta alla conservazione della specie e può sacrificare il bene del singolo, generando sofferenza. Il male non è accidentale, ma parte integrante dell'ordine naturale. La natura non è più vista come madre amorosa, ma come meccanismo cieco e indifferente alla sorte delle sue creature. Questa visione materialistica porta a concludere che l'infelicità non dipende dall'uomo stesso, ma dalla natura che lo ha creato vulnerabile ai mali esterni.

⚡ Nel pessimismo cosmico, l'infelicità diventa una condizione universale, non più legata a una particolare epoca o società, ma intrinseca all'esistenza di ogni essere umano.

A questa fase corrisponde un atteggiamento contemplativo e rassegnato, simile all'atarassia degli stoici, quel distacco imperturbabile che cerca di ridurre la sofferenza attraverso l'accettazione del proprio destino.

Fondamentale per comprendere la poetica di Leopardi è il concetto di vago e indefinito. Secondo il poeta, il bello poetico si manifesta proprio in ciò che è sfumato e non completamente definito. Se nella realtà il piacere infinito è irraggiungibile, l'uomo può figurarselo mediante l'immaginazione. La realtà immaginata diventa così compensazione di una realtà vissuta che è solo infelicità e noia.

Leopardi elabora due teorie complementari: la teoria della visione, secondo cui sono piacevoli le immagini che suscitano idee vaghe e indefinite, come la vista ostacolata da una siepe; e la teoria del suono, che valorizza suoni suggestivi perché vaghi, come un canto che si allontana o lo stormire del vento tra le fronde. Entrambe stimolano l'immaginazione e aprono spazi di libertà creativa nella mente.

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Il classicismo romantico e i Canti

Leopardi si colloca in una posizione unica tra classicismo e Romanticismo, elaborando una sintesi personale di entrambe le correnti. Critica il Romanticismo per il suo distacco dalla tradizione classica e l'enfasi sull'irrazionalità, pur condividendo temi come il "vago e indefinito", il titanismo e il conflitto tra immaginazione e realtà. La sua poesia privilegia l'espressione soggettiva e lirica, integrando elementi dell'Illuminismo, del Classicismo e del Romanticismo in una visione profondamente personale.

Nel 1826 Leopardi pubblica i "Versi", una raccolta di componimenti che include quelli inizialmente intitolati "Idilli". Le successive edizioni del 1831, 1835 e 1845 vengono arricchite e rinominate "Canti". La scelta del titolo "canto" rimanda a una dimensione interiore e lirica, non facilmente classificabile nella tradizione letteraria italiana.

💡 La canzone libera leopardiana unisce la tradizione metrica italiana a una nuova libertà espressiva, alternando endecasillabi e settenari in uno schema non fisso che aumenta la musicalità del verso.

Le canzoni hanno un'impronta prettamente classica, come nel caso di "Ad Angelo Mai". "Ultimo canto di Saffo" e "Bruto minore" rappresentano figure classiche che si suicidano, viste in un'ottica romantica di incomprensione: questi componimenti segnano una fase di transizione tra pessimismo storico e pessimismo cosmico.

Gli idilli si dividono in piccoli (fino al 1823) e grandi (fino al 1828). Pur richiamandosi alla tradizione classica dell'idillio come descrizione di un paesaggio piacevole, Leopardi si riferisce al termine greco "eidyllion" (immagine, quadro) per indicare una breve descrizione di ambienti naturali. L'idillio leopardiano non è però una semplice descrizione del paesaggio, ma un movimento reciproco: dalla natura ai sentimenti del poeta e dai sentimenti alla natura.

Questa nuova forma espressiva trova la sua realizzazione compiuta nella canzone libera leopardiana, che riprende lo stile dei piccoli idilli ma con maggiore musicalità grazie allo schema non fisso, in cui si alternano endecasillabi e settenari, creando un ritmo più fluido e adatto all'espressione del sentimento.

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L'infinito: il capolavoro dell'indefinito

"L'infinito" è una delle poesie più celebri di Leopardi, composta nel 1819 sul Monte Tabor, vicino a Recanati. Il componimento, di soli 15 versi in endecasillabi sciolti, rappresenta in forma lirica quella che diventerà poi la teoria del piacere e del vago e indefinito, su cui il poeta rifletterà sistematicamente nello Zibaldone a partire dal 1820.

Il poeta si trova davanti a una siepe che gli impedisce di vedere gran parte dell'orizzonte. È proprio questo limite visivo che stimola la sua immaginazione a costruire uno spazio infinito e immaginario, esemplificando perfettamente la "teoria della visione" leopardiana.

La poesia si articola in due momenti distinti ma interconnessi, ciascuno legato a una diversa sensazione sensoriale:

  1. Il primo momento versi18versi 1-8 parte da una sensazione visiva, o meglio dalla sua negazione: la siepe che "da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude". Questo ostacolo fisico spinge la mente a costruire mentalmente spazi immensi, "interminati", colmi di "silenzi sovrumani" e di una "profondissima quiete". È la costruzione di un infinito spaziale che genera un senso di "spaura", uno sgomento di fronte all'immensità immaginata.

  2. Il secondo momento versi815versi 8-15 nasce invece da una sensazione uditiva: il fruscio del vento tra le piante. Questo elemento sonoro viene confrontato con il silenzio dell'infinito evocato prima, portando il poeta a pensare al tempo e al suo fluire. Si passa così a un'esperienza dell'infinito temporale, in cui l'io si "annega nell'immensità", trovando paradossalmente dolcezza in questa dissoluzione.

⚡ L'esperienza dell'infinito in Leopardi non è mistica o religiosa, ma sensistica: l'infinito non è un'entità trascendente, ma una costruzione soggettiva dell'immaginazione che parte da stimoli sensoriali concreti.

La struttura formale del componimento è straordinariamente compatta e simmetrica: i due momenti centrali occupano esattamente sette versi e mezzo ciascuno, divisi da una sinalefe nel cuore del verso 8. La sintassi fluida, che raramente si interrompe a fine verso, crea un continuum che rafforza l'idea di un flusso di coscienza ininterrotto, come un'onda che travolge il lettore fino all'epilogo del "naufragar" dolcissimo e abissale.

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La sera del dì di festa: il contrasto tra illusione e realtà

"La sera del dì di festa" appartiene al periodo del pessimismo storico e individuale di Leopardi, in cui il poeta vede la felicità come preclusa a lui solo, mentre gli altri possono ancora goderne. Il componimento si apre con una delle immagini più suggestive della poesia leopardiana: un notturno lunare. Questa scelta non è casuale: la luce della luna, tenue e sfumata, rappresenta perfettamente quell'idea di "vago e indefinito" che Leopardi considera fondamento della capacità poetica.

La canzone libera, composta da 46 versi endecasillabi sciolti, si può dividere in due parti. Nella prima, il poeta contrappone la sua condizione infelice a quella serena della donna amata:

"Tu dormi, che t'accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai né pensi
Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto."

Il poeta soffre mentre la donna dorme tranquilla, ignara del dolore che ha causato. Questo contrasto si inserisce in un paesaggio notturno, delicato e sereno, che fa da sfondo alla tempesta interiore dell'io lirico.

💡 Il notturno lunare leopardiano si ispira a modelli classici, in particolare a una similitudine dell'Iliade, ma viene rielaborato attraverso il filtro della sensibilità moderna e personale del poeta.

Nella seconda parte, a partire dal verso 24, segnato da una sinalefe, il poeta ode il canto di un artigiano che torna a casa a tarda notte. Questo suono solitario nella notte diventa spunto per una riflessione più ampia sul tempo e sulla caducità di tutte le cose:

"E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia."

Si passa così dalla dimensione personale a quella universale: il dolore individuale si allarga a una meditazione sulla transitorietà di ogni grandezza umana, perfino dell'impero romano. Come ne "L'infinito", un suono remoto evoca per contrasto il silenzio che domina la scena, facendo emergere il tema dell'oblio che inghiotte non solo i singoli momenti, ma persino la gloria dei popoli antichi.

La poesia rappresenta un perfetto esempio della capacità leopardiana di unire l'esperienza personale a una riflessione filosofica più ampia, utilizzando la potenza evocativa di immagini vaghe e indefinite.

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A Silvia: memoria e disillusione

Composta a Pisa nell'aprile del 1828, "A Silvia" inaugura la stagione dei Grandi Idilli e rappresenta uno dei vertici della poesia leopardiana. Il componimento è dedicato a Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta giovane di tisi, a cui il poeta dà il nome letterario di Silvia, tratto dall'Aminta di Tasso.

La struttura del componimento si sviluppa attraverso il contrasto tra il ricordo della giovinezza e la consapevolezza della morte. Leopardi descrive il canto della fanciulla mentre lavora al telaio in un "maggio odoroso", e come lui stesso, dal suo studio, interrompeva spesso i libri per ascoltarla:

"Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
......
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela."

⚡ In "A Silvia" non troviamo un episodio d'amore concreto, ma un legame simbolico: ciò che unisce Silvia e il poeta è la condizione condivisa della giovinezza, con le sue promesse, i suoi sogni e, soprattutto, la sua tragica delusione.

La figura di Silvia non è descritta in modo realistico o dettagliato. Il ritratto fisico si riduce a un solo particolare: gli "occhi ridenti e fuggitivi". Sul piano psicologico, emerge un atteggiamento interiore che mescola letizia e pensosità, simbolo del passaggio delicato dalla fanciullezza all'adolescenza. Questa vaghezza è deliberata e si oppone alla tradizione petrarchesca, ricca di dettagli fisici stilizzati.

Anche il paesaggio è rarefatto, quasi evanescente, definito da aggettivi essenziali come "quiete", "odoroso", "sereno", "dorate". Questa rarefazione risponde alla poetica del "vago e indefinito" teorizzata nello Zibaldone: la poesia non deve rappresentare il reale nella sua concretezza, ma stimolare l'immaginazione attraverso impressioni vaghe che aprano allo spazio dell'infinito.

La natura emerge come ingannatrice, che illude i giovani con promesse di felicità per poi rivelare la cruda verità della morte. La lirica si conclude con l'immagine potente di Silvia che, caduta "all'apparir del vero", indica con la mano "la fredda morte ed una tomba ignuda", simboli della disillusione definitiva.

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Le ricordanze: la memoria e il tempo perduto

"Le ricordanze", composto nel periodo dei "grandi idilli", rappresenta una summa tematica ed emotiva della poetica leopardiana, dove si intrecciano i due poli fondamentali del suo immaginario: l'illusione e la disillusione, la giovinezza sognante e l'età adulta disincantata. Il titolo stesso dichiara il tema centrale: la memoria, quella forza interiore che consente al poeta di recuperare, con malinconica consapevolezza, i momenti della giovinezza ormai perduti.

La poesia si apre con un'apostrofe alle stelle dell'Orsa, che il poeta contempla dal giardino di casa, lo stesso luogo dove aveva vissuto da fanciullo e "delle gioie sue visto la fine". Questa apertura immediatamente colloca il componimento tra passato e presente, tra la felicità perduta dell'infanzia e la consapevolezza dolorosa dell'età adulta.

💡 Le immagini vaghe e indefinite – il cielo stellato, la voce lontana delle rane, il vento tra i viali profumati – possiedono secondo Leopardi la massima efficacia poetica proprio perché imprecise, stimolando l'immaginazione.

Leopardi alterna sapientemente strofe dominate dal ricordo e dalla vaghezza con altre in cui prevale il tema del "vero", della verità dolorosa dell'esistenza. Nelle strofe nostalgiche, il poeta evoca le dolci illusioni della giovinezza, le speranze e i sogni che animavano la sua vita. In quelle più amare, invece, riflette sulla sua condizione presente di isolamento a Recanati, "natio borgo selvaggio", tra gente "zotica, vil" che disprezza la cultura e il sapere.

Particolarmente toccante è l'ultima parte del componimento, dedicata a Nerina (altro nome fittizio per Teresa Fattorini), figura femminile che rappresenta la giovinezza e la bellezza perdute. Il poeta le si rivolge direttamente, chiedendole: "Dove sei gita, che qui sola di te la ricordanza trovo, dolcezza mia?". La finestra da cui la fanciulla era solita parlargli è ora deserta, e la sua assenza riempie ogni momento della vita del poeta:

"Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
Van gli amanti recando alle fanciulle,
Dico: Nerina mia, per te non torna
Primavera giammai, non torna amore."

"Le ricordanze" si configura così non solo come un poema della memoria, ma anche come testimonianza della frattura insanabile tra ciò che è stato e ciò che è, tra l'immaginazione che un tempo colorava la realtà di promesse e la consapevolezza odierna che ogni bellezza, ogni sogno, erano solo illusioni destinate a spegnersi.

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Alla luna: il conforto del ricordo

"Alla luna" è un idillio composto a Recanati nel 1820, inizialmente intitolato "La Ricordanza" ma rinominato nel 1831. Si tratta di un componimento breve ma intenso, strutturato in 16 endecasillabi sciolti, che si può dividere in due parti: l'evocazione del paesaggio nel ricordo vv.19vv. 1-9 e la riflessione sul valore consolatorio della rimembranza vv.1016vv. 10-16.

Come ne "L'infinito", l'ambientazione è il Monte Tabor, e il poeta si rivolge direttamente alla luna, figura ricorrente nella sua poesia:

"O graziosa Luna, io mi rammento
che, or volge l'anno, sovra questo colle
io venia pien d'angoscia a rimirarti"

Leopardi ricorda come un anno prima si trovasse nello stesso luogo, guardando la luna che illuminava la stessa selva. All'epoca, i suoi occhi erano velati dal pianto e la sua vita era già "travagliosa". La condizione di sofferenza non è cambiata ("ed è, né cangia stile"), ma ora il poeta trova conforto nel ricordare e nel "noverar l'etate del mio dolore".

⚡ Il ricordo, anche di esperienze dolorose, diventa paradossalmente fonte di consolazione: "Oh come grato occorre... il rimembrar delle passate cose, ancor che triste, e che l'affanno duri!"

Leopardi utilizza una ricca trama di figure retoriche: apostrofi, metafore ("le luci" per indicare gli occhi), metonimie ("ciglio" per gli occhi), enjambements e iperbati che sconvolgono l'ordine naturale della frase, creando un effetto di sospensione e musicalità. Il lessico è ricco di arcaismi ("pendevi", "noverar l'etate"), scelti per evocare l'idea del vago e dell'indefinito, mentre la sintassi rimane semplice e fluida.

Nel 1835 Leopardi aggiungerà i versi 13 e 14, che approfondiscono la riflessione sul valore del ricordo nella giovinezza: "nel tempo giovanil, quando ancor lungo la speme e breve ha la memoria il corso". Questi versi suggeriscono che la gioventù, pur avendo davanti a sé un lungo cammino di speranza, ha una memoria limitata del passato, e proprio questa combinazione rende particolarmente prezioso il ricordo.

Il componimento esemplifica perfettamente il legame leopardiano tra ricordo e indefinito: nel ricordo i contorni delle immagini sono meno nitidi, sfumano, e questo stimola la fantasia a ricrearle nel sentimento. La rimembranza e l'indefinito diventano così la sorgente stessa della poesia, nutrita dalle illusioni che solo la memoria può preservare.

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La quiete dopo la tempesta: il piacere negativo

"La quiete dopo la tempesta" sviluppa una profonda e amara riflessione sulla condizione umana, esplorando il rapporto paradossale tra sofferenza e piacere. Il componimento è nettamente bipartito: la prima parte, puramente descrittiva, presenta un quadretto di vita paesana che riprende la sua normalità dopo un temporale; la seconda parte svela il significato filosofico di questa scena apparentemente idillica.

Nelle prime strofe, Leopardi descrive con toni quasi bucolici il ritorno alla vita del villaggio: gli uccelli che "fan festa", la gallina che ritorna sulla via, l'artigiano che si affaccia sull'uscio con "l'opra in man, cantando", la "femminetta" che esce a raccogliere l'acqua piovana. Non si tratta però di una semplice descrizione naturalistica, ma di un quadro filtrato attraverso la sensibilità del poeta, costruito con elementi tipici della poetica del "vago e indefinito".

💡 Leopardi arriva a una verità fondamentale della sua concezione della vita: il piacere è sempre e solo negativo, consiste unicamente nella cessazione di un dolore, di una paura, di un affanno.

Questa apparente serenità fa da contrasto alla seconda parte della poesia, in cui l'elemento descrittivo cede il passo a una meditazione filosofica disillusa. Leopardi generalizza l'esperienza concreta della gioia per la fine della tempesta, per giungere a una conclusione universale: il piacere che l'uomo può conoscere è solo un "piacer figlio d'affanno", una "gioia vana" che nasce esclusivamente dalla cessazione di uno stato peggiore.

In questo contesto, la natura non è più vista come madre benevola, ma come forza ostile e indifferente, che semina "pene... a larga mano" e dalla quale solo occasionalmente, "per mostro e miracolo", nasce qualche effimero piacere. Il sarcasmo leopardiano emerge in frasi taglienti come "O natura cortese, son questi i doni tuoi?" o nell'ironica "Umana prole cara agli eterni!".

La struttura stessa del componimento riflette questa opposizione tematica: nella prima parte, il verso scorre fluido, con sintassi piana e frasi brevi, quasi musicali; nella seconda, il discorso si fa teso e drammatico, con frasi più secche alternate a periodi più articolati, spesso scanditi da interrogazioni retoriche ed esclamazioni. È su questa dialettica tra illusione e verità che si fonda la potenza espressiva del testo, culminante nell'amara conclusione che l'unica vera felicità per l'uomo sarebbe essere liberato "d'ogni dolor" dalla morte.



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Il pensiero di Giacomo Leopardi rappresenta uno dei vertici della letteratura italiana dell'Ottocento. Poeta, filosofo e scrittore marchigiano, Leopardi ha sviluppato una visione profondamente pessimistica dell'esistenza umana, elaborando teorie sul rapporto tra natura, ragione e felicità. La sua poetica, tra... Mostra di più

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Vita di Leopardi

Giacomo Leopardi nasce a Recanati il 29 giugno 1798, in una famiglia aristocratica dello Stato Pontificio, uno degli stati più conservatori d'Italia. Figlio del conte Monaldo e di Adelaide, riceve un'educazione classica in un ambiente familiare rigido e tradizionalista.

A soli dieci anni inizia un percorso da autodidatta, dedicandosi a quello che lui stesso definirà "studio matto e disperatissimo". Il giovane Giacomo si rivela un bambino prodigioso, padroneggiando greco, latino e lingue semitiche, e traducendo numerosi classici. La svolta avviene tra il 1815 e il 1816 quando entra in contatto con il pensiero romantico, sebbene mantenga sempre un atteggiamento critico verso questa corrente. L'amicizia con Pietro Giordani gli fornisce quell'affetto e quel supporto intellettuale che gli mancano in famiglia.

⚡ Il clima soffocante di casa Leopardi diventa insostenibile nel 1819, quando tenta una fuga che viene scoperta e impedita dai genitori.

Nel 1822, ormai ventiquattrenne, i genitori gli permettono finalmente di lasciare Recanati. Si reca a Roma dallo zio, ma resta profondamente deluso dalla città, i cui monumenti rappresentano per lui solo il ricordo di una grandezza ormai svanita. Da questa delusione nascono le "Operette morali" (1822-23). Successivamente, un editore milanese lo assume per commenti e traduzioni, permettendogli di raggiungere l'indipendenza economica dalla famiglia e di entrare in contatto con importanti intellettuali a Milano, Bologna e Firenze.

Tra il 1827 e il 1828 soggiorna a Pisa, dove riprende a scrivere poesie: è la stagione dei Grandi Idilli, che include "A Silvia". Dopo un breve ritorno a Recanati, si trasferisce a Firenze dove conosce Fanny Targioni Tozzetti, di cui si innamora senza essere ricambiato, e Antonio Ranieri, con cui si sposterà a Napoli. Nella città partenopea comporrà "La ginestra" e qui morirà nel 1837, dopo anni di infermità.

# Giacomo Leopardi

## Vita

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La poetica di Leopardi

La filosofia di Leopardi attraversa diverse fasi, iniziando con quello che possiamo definire pessimismo individuale. In questa prima fase, Leopardi sviluppa una visione pessimistica legata principalmente alla sua esperienza personale: la famiglia conservatrice, le sue infermità fisiche e la sua condizione di isolamento.

Il passaggio al pessimismo storico segna una trasformazione importante del suo pensiero. Tutta l'opera leopardiana si fonda su un sistema di idee continuamente meditate e sviluppate nello Zibaldone, una sorta di diario intellettuale dove annota riflessioni e pensieri. Al centro di queste meditazioni c'è l'infelicità dell'uomo, che Leopardi interpreta in chiave storica.

💡 Nella "Teoria del piacere", Leopardi identifica la felicità con il piacere sensibile e materiale, affermando che l'uomo aspira al piacere infinito, impossibile da raggiungere.

In questa fase, Leopardi concepisce la natura come madre benigna che offre all'uomo un rimedio contro l'infelicità: l'immaginazione e le illusioni. Secondo il poeta, il problema è che l'uomo moderno, allontanandosi dalla sua condizione naturale originaria attraverso il progresso e la ragione, perde questa capacità immaginativa. L'infelicità dei contemporanei è quindi frutto di uno sviluppo storico che ha spento le illusioni necessarie alla felicità.

Questa concezione entrerà però in crisi quando Leopardi si renderà conto che la natura mira solo alla conservazione della specie, sacrificando il bene del singolo. Il male non è più visto come un semplice accidente, ma come parte integrante del piano della natura. La natura non è più madre amorosa ma meccanismo cieco, indifferente alla sorte delle sue creature. Nasce così una concezione meccanicistica e materialistica in cui l'infelicità è causata da mali esterni come malattie, cataclismi, vecchiaia e morte.

Si arriva così al pessimismo cosmico: l'infelicità non è più una condizione storica e relativa ma assoluta, un dato eterno e immutabile. Di fronte a questa realtà, Leopardi assume un atteggiamento contemplativo, ironico e distaccato, ispirandosi all'ideale del saggio stoico e alla sua atarassia, il distacco imperturbabile dalla vita.

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Il pensiero maturo di Leopardi

Il pessimismo cosmico rappresenta l'approdo finale della riflessione leopardiana, in cui la condizione negativa dell'uomo viene compresa come strutturale e universale. Anche quella felicità antica che sembrava esistere era solo frutto di illusione, un generoso inganno della natura che conferma come la vera condizione umana sia l'infelicità.

La concezione di una natura malvagia diventa centrale. Leopardi comprende che la natura punta alla conservazione della specie e può sacrificare il bene del singolo, generando sofferenza. Il male non è accidentale, ma parte integrante dell'ordine naturale. La natura non è più vista come madre amorosa, ma come meccanismo cieco e indifferente alla sorte delle sue creature. Questa visione materialistica porta a concludere che l'infelicità non dipende dall'uomo stesso, ma dalla natura che lo ha creato vulnerabile ai mali esterni.

⚡ Nel pessimismo cosmico, l'infelicità diventa una condizione universale, non più legata a una particolare epoca o società, ma intrinseca all'esistenza di ogni essere umano.

A questa fase corrisponde un atteggiamento contemplativo e rassegnato, simile all'atarassia degli stoici, quel distacco imperturbabile che cerca di ridurre la sofferenza attraverso l'accettazione del proprio destino.

Fondamentale per comprendere la poetica di Leopardi è il concetto di vago e indefinito. Secondo il poeta, il bello poetico si manifesta proprio in ciò che è sfumato e non completamente definito. Se nella realtà il piacere infinito è irraggiungibile, l'uomo può figurarselo mediante l'immaginazione. La realtà immaginata diventa così compensazione di una realtà vissuta che è solo infelicità e noia.

Leopardi elabora due teorie complementari: la teoria della visione, secondo cui sono piacevoli le immagini che suscitano idee vaghe e indefinite, come la vista ostacolata da una siepe; e la teoria del suono, che valorizza suoni suggestivi perché vaghi, come un canto che si allontana o lo stormire del vento tra le fronde. Entrambe stimolano l'immaginazione e aprono spazi di libertà creativa nella mente.

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Il classicismo romantico e i Canti

Leopardi si colloca in una posizione unica tra classicismo e Romanticismo, elaborando una sintesi personale di entrambe le correnti. Critica il Romanticismo per il suo distacco dalla tradizione classica e l'enfasi sull'irrazionalità, pur condividendo temi come il "vago e indefinito", il titanismo e il conflitto tra immaginazione e realtà. La sua poesia privilegia l'espressione soggettiva e lirica, integrando elementi dell'Illuminismo, del Classicismo e del Romanticismo in una visione profondamente personale.

Nel 1826 Leopardi pubblica i "Versi", una raccolta di componimenti che include quelli inizialmente intitolati "Idilli". Le successive edizioni del 1831, 1835 e 1845 vengono arricchite e rinominate "Canti". La scelta del titolo "canto" rimanda a una dimensione interiore e lirica, non facilmente classificabile nella tradizione letteraria italiana.

💡 La canzone libera leopardiana unisce la tradizione metrica italiana a una nuova libertà espressiva, alternando endecasillabi e settenari in uno schema non fisso che aumenta la musicalità del verso.

Le canzoni hanno un'impronta prettamente classica, come nel caso di "Ad Angelo Mai". "Ultimo canto di Saffo" e "Bruto minore" rappresentano figure classiche che si suicidano, viste in un'ottica romantica di incomprensione: questi componimenti segnano una fase di transizione tra pessimismo storico e pessimismo cosmico.

Gli idilli si dividono in piccoli (fino al 1823) e grandi (fino al 1828). Pur richiamandosi alla tradizione classica dell'idillio come descrizione di un paesaggio piacevole, Leopardi si riferisce al termine greco "eidyllion" (immagine, quadro) per indicare una breve descrizione di ambienti naturali. L'idillio leopardiano non è però una semplice descrizione del paesaggio, ma un movimento reciproco: dalla natura ai sentimenti del poeta e dai sentimenti alla natura.

Questa nuova forma espressiva trova la sua realizzazione compiuta nella canzone libera leopardiana, che riprende lo stile dei piccoli idilli ma con maggiore musicalità grazie allo schema non fisso, in cui si alternano endecasillabi e settenari, creando un ritmo più fluido e adatto all'espressione del sentimento.

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L'infinito: il capolavoro dell'indefinito

"L'infinito" è una delle poesie più celebri di Leopardi, composta nel 1819 sul Monte Tabor, vicino a Recanati. Il componimento, di soli 15 versi in endecasillabi sciolti, rappresenta in forma lirica quella che diventerà poi la teoria del piacere e del vago e indefinito, su cui il poeta rifletterà sistematicamente nello Zibaldone a partire dal 1820.

Il poeta si trova davanti a una siepe che gli impedisce di vedere gran parte dell'orizzonte. È proprio questo limite visivo che stimola la sua immaginazione a costruire uno spazio infinito e immaginario, esemplificando perfettamente la "teoria della visione" leopardiana.

La poesia si articola in due momenti distinti ma interconnessi, ciascuno legato a una diversa sensazione sensoriale:

  1. Il primo momento versi18versi 1-8 parte da una sensazione visiva, o meglio dalla sua negazione: la siepe che "da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude". Questo ostacolo fisico spinge la mente a costruire mentalmente spazi immensi, "interminati", colmi di "silenzi sovrumani" e di una "profondissima quiete". È la costruzione di un infinito spaziale che genera un senso di "spaura", uno sgomento di fronte all'immensità immaginata.

  2. Il secondo momento versi815versi 8-15 nasce invece da una sensazione uditiva: il fruscio del vento tra le piante. Questo elemento sonoro viene confrontato con il silenzio dell'infinito evocato prima, portando il poeta a pensare al tempo e al suo fluire. Si passa così a un'esperienza dell'infinito temporale, in cui l'io si "annega nell'immensità", trovando paradossalmente dolcezza in questa dissoluzione.

⚡ L'esperienza dell'infinito in Leopardi non è mistica o religiosa, ma sensistica: l'infinito non è un'entità trascendente, ma una costruzione soggettiva dell'immaginazione che parte da stimoli sensoriali concreti.

La struttura formale del componimento è straordinariamente compatta e simmetrica: i due momenti centrali occupano esattamente sette versi e mezzo ciascuno, divisi da una sinalefe nel cuore del verso 8. La sintassi fluida, che raramente si interrompe a fine verso, crea un continuum che rafforza l'idea di un flusso di coscienza ininterrotto, come un'onda che travolge il lettore fino all'epilogo del "naufragar" dolcissimo e abissale.

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La sera del dì di festa: il contrasto tra illusione e realtà

"La sera del dì di festa" appartiene al periodo del pessimismo storico e individuale di Leopardi, in cui il poeta vede la felicità come preclusa a lui solo, mentre gli altri possono ancora goderne. Il componimento si apre con una delle immagini più suggestive della poesia leopardiana: un notturno lunare. Questa scelta non è casuale: la luce della luna, tenue e sfumata, rappresenta perfettamente quell'idea di "vago e indefinito" che Leopardi considera fondamento della capacità poetica.

La canzone libera, composta da 46 versi endecasillabi sciolti, si può dividere in due parti. Nella prima, il poeta contrappone la sua condizione infelice a quella serena della donna amata:

"Tu dormi, che t'accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai né pensi
Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto."

Il poeta soffre mentre la donna dorme tranquilla, ignara del dolore che ha causato. Questo contrasto si inserisce in un paesaggio notturno, delicato e sereno, che fa da sfondo alla tempesta interiore dell'io lirico.

💡 Il notturno lunare leopardiano si ispira a modelli classici, in particolare a una similitudine dell'Iliade, ma viene rielaborato attraverso il filtro della sensibilità moderna e personale del poeta.

Nella seconda parte, a partire dal verso 24, segnato da una sinalefe, il poeta ode il canto di un artigiano che torna a casa a tarda notte. Questo suono solitario nella notte diventa spunto per una riflessione più ampia sul tempo e sulla caducità di tutte le cose:

"E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia."

Si passa così dalla dimensione personale a quella universale: il dolore individuale si allarga a una meditazione sulla transitorietà di ogni grandezza umana, perfino dell'impero romano. Come ne "L'infinito", un suono remoto evoca per contrasto il silenzio che domina la scena, facendo emergere il tema dell'oblio che inghiotte non solo i singoli momenti, ma persino la gloria dei popoli antichi.

La poesia rappresenta un perfetto esempio della capacità leopardiana di unire l'esperienza personale a una riflessione filosofica più ampia, utilizzando la potenza evocativa di immagini vaghe e indefinite.

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A Silvia: memoria e disillusione

Composta a Pisa nell'aprile del 1828, "A Silvia" inaugura la stagione dei Grandi Idilli e rappresenta uno dei vertici della poesia leopardiana. Il componimento è dedicato a Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta giovane di tisi, a cui il poeta dà il nome letterario di Silvia, tratto dall'Aminta di Tasso.

La struttura del componimento si sviluppa attraverso il contrasto tra il ricordo della giovinezza e la consapevolezza della morte. Leopardi descrive il canto della fanciulla mentre lavora al telaio in un "maggio odoroso", e come lui stesso, dal suo studio, interrompeva spesso i libri per ascoltarla:

"Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
......
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela."

⚡ In "A Silvia" non troviamo un episodio d'amore concreto, ma un legame simbolico: ciò che unisce Silvia e il poeta è la condizione condivisa della giovinezza, con le sue promesse, i suoi sogni e, soprattutto, la sua tragica delusione.

La figura di Silvia non è descritta in modo realistico o dettagliato. Il ritratto fisico si riduce a un solo particolare: gli "occhi ridenti e fuggitivi". Sul piano psicologico, emerge un atteggiamento interiore che mescola letizia e pensosità, simbolo del passaggio delicato dalla fanciullezza all'adolescenza. Questa vaghezza è deliberata e si oppone alla tradizione petrarchesca, ricca di dettagli fisici stilizzati.

Anche il paesaggio è rarefatto, quasi evanescente, definito da aggettivi essenziali come "quiete", "odoroso", "sereno", "dorate". Questa rarefazione risponde alla poetica del "vago e indefinito" teorizzata nello Zibaldone: la poesia non deve rappresentare il reale nella sua concretezza, ma stimolare l'immaginazione attraverso impressioni vaghe che aprano allo spazio dell'infinito.

La natura emerge come ingannatrice, che illude i giovani con promesse di felicità per poi rivelare la cruda verità della morte. La lirica si conclude con l'immagine potente di Silvia che, caduta "all'apparir del vero", indica con la mano "la fredda morte ed una tomba ignuda", simboli della disillusione definitiva.

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Le ricordanze: la memoria e il tempo perduto

"Le ricordanze", composto nel periodo dei "grandi idilli", rappresenta una summa tematica ed emotiva della poetica leopardiana, dove si intrecciano i due poli fondamentali del suo immaginario: l'illusione e la disillusione, la giovinezza sognante e l'età adulta disincantata. Il titolo stesso dichiara il tema centrale: la memoria, quella forza interiore che consente al poeta di recuperare, con malinconica consapevolezza, i momenti della giovinezza ormai perduti.

La poesia si apre con un'apostrofe alle stelle dell'Orsa, che il poeta contempla dal giardino di casa, lo stesso luogo dove aveva vissuto da fanciullo e "delle gioie sue visto la fine". Questa apertura immediatamente colloca il componimento tra passato e presente, tra la felicità perduta dell'infanzia e la consapevolezza dolorosa dell'età adulta.

💡 Le immagini vaghe e indefinite – il cielo stellato, la voce lontana delle rane, il vento tra i viali profumati – possiedono secondo Leopardi la massima efficacia poetica proprio perché imprecise, stimolando l'immaginazione.

Leopardi alterna sapientemente strofe dominate dal ricordo e dalla vaghezza con altre in cui prevale il tema del "vero", della verità dolorosa dell'esistenza. Nelle strofe nostalgiche, il poeta evoca le dolci illusioni della giovinezza, le speranze e i sogni che animavano la sua vita. In quelle più amare, invece, riflette sulla sua condizione presente di isolamento a Recanati, "natio borgo selvaggio", tra gente "zotica, vil" che disprezza la cultura e il sapere.

Particolarmente toccante è l'ultima parte del componimento, dedicata a Nerina (altro nome fittizio per Teresa Fattorini), figura femminile che rappresenta la giovinezza e la bellezza perdute. Il poeta le si rivolge direttamente, chiedendole: "Dove sei gita, che qui sola di te la ricordanza trovo, dolcezza mia?". La finestra da cui la fanciulla era solita parlargli è ora deserta, e la sua assenza riempie ogni momento della vita del poeta:

"Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
Van gli amanti recando alle fanciulle,
Dico: Nerina mia, per te non torna
Primavera giammai, non torna amore."

"Le ricordanze" si configura così non solo come un poema della memoria, ma anche come testimonianza della frattura insanabile tra ciò che è stato e ciò che è, tra l'immaginazione che un tempo colorava la realtà di promesse e la consapevolezza odierna che ogni bellezza, ogni sogno, erano solo illusioni destinate a spegnersi.

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Alla luna: il conforto del ricordo

"Alla luna" è un idillio composto a Recanati nel 1820, inizialmente intitolato "La Ricordanza" ma rinominato nel 1831. Si tratta di un componimento breve ma intenso, strutturato in 16 endecasillabi sciolti, che si può dividere in due parti: l'evocazione del paesaggio nel ricordo vv.19vv. 1-9 e la riflessione sul valore consolatorio della rimembranza vv.1016vv. 10-16.

Come ne "L'infinito", l'ambientazione è il Monte Tabor, e il poeta si rivolge direttamente alla luna, figura ricorrente nella sua poesia:

"O graziosa Luna, io mi rammento
che, or volge l'anno, sovra questo colle
io venia pien d'angoscia a rimirarti"

Leopardi ricorda come un anno prima si trovasse nello stesso luogo, guardando la luna che illuminava la stessa selva. All'epoca, i suoi occhi erano velati dal pianto e la sua vita era già "travagliosa". La condizione di sofferenza non è cambiata ("ed è, né cangia stile"), ma ora il poeta trova conforto nel ricordare e nel "noverar l'etate del mio dolore".

⚡ Il ricordo, anche di esperienze dolorose, diventa paradossalmente fonte di consolazione: "Oh come grato occorre... il rimembrar delle passate cose, ancor che triste, e che l'affanno duri!"

Leopardi utilizza una ricca trama di figure retoriche: apostrofi, metafore ("le luci" per indicare gli occhi), metonimie ("ciglio" per gli occhi), enjambements e iperbati che sconvolgono l'ordine naturale della frase, creando un effetto di sospensione e musicalità. Il lessico è ricco di arcaismi ("pendevi", "noverar l'etate"), scelti per evocare l'idea del vago e dell'indefinito, mentre la sintassi rimane semplice e fluida.

Nel 1835 Leopardi aggiungerà i versi 13 e 14, che approfondiscono la riflessione sul valore del ricordo nella giovinezza: "nel tempo giovanil, quando ancor lungo la speme e breve ha la memoria il corso". Questi versi suggeriscono che la gioventù, pur avendo davanti a sé un lungo cammino di speranza, ha una memoria limitata del passato, e proprio questa combinazione rende particolarmente prezioso il ricordo.

Il componimento esemplifica perfettamente il legame leopardiano tra ricordo e indefinito: nel ricordo i contorni delle immagini sono meno nitidi, sfumano, e questo stimola la fantasia a ricrearle nel sentimento. La rimembranza e l'indefinito diventano così la sorgente stessa della poesia, nutrita dalle illusioni che solo la memoria può preservare.

# Giacomo Leopardi

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La quiete dopo la tempesta: il piacere negativo

"La quiete dopo la tempesta" sviluppa una profonda e amara riflessione sulla condizione umana, esplorando il rapporto paradossale tra sofferenza e piacere. Il componimento è nettamente bipartito: la prima parte, puramente descrittiva, presenta un quadretto di vita paesana che riprende la sua normalità dopo un temporale; la seconda parte svela il significato filosofico di questa scena apparentemente idillica.

Nelle prime strofe, Leopardi descrive con toni quasi bucolici il ritorno alla vita del villaggio: gli uccelli che "fan festa", la gallina che ritorna sulla via, l'artigiano che si affaccia sull'uscio con "l'opra in man, cantando", la "femminetta" che esce a raccogliere l'acqua piovana. Non si tratta però di una semplice descrizione naturalistica, ma di un quadro filtrato attraverso la sensibilità del poeta, costruito con elementi tipici della poetica del "vago e indefinito".

💡 Leopardi arriva a una verità fondamentale della sua concezione della vita: il piacere è sempre e solo negativo, consiste unicamente nella cessazione di un dolore, di una paura, di un affanno.

Questa apparente serenità fa da contrasto alla seconda parte della poesia, in cui l'elemento descrittivo cede il passo a una meditazione filosofica disillusa. Leopardi generalizza l'esperienza concreta della gioia per la fine della tempesta, per giungere a una conclusione universale: il piacere che l'uomo può conoscere è solo un "piacer figlio d'affanno", una "gioia vana" che nasce esclusivamente dalla cessazione di uno stato peggiore.

In questo contesto, la natura non è più vista come madre benevola, ma come forza ostile e indifferente, che semina "pene... a larga mano" e dalla quale solo occasionalmente, "per mostro e miracolo", nasce qualche effimero piacere. Il sarcasmo leopardiano emerge in frasi taglienti come "O natura cortese, son questi i doni tuoi?" o nell'ironica "Umana prole cara agli eterni!".

La struttura stessa del componimento riflette questa opposizione tematica: nella prima parte, il verso scorre fluido, con sintassi piana e frasi brevi, quasi musicali; nella seconda, il discorso si fa teso e drammatico, con frasi più secche alternate a periodi più articolati, spesso scanditi da interrogazioni retoriche ed esclamazioni. È su questa dialettica tra illusione e verità che si fonda la potenza espressiva del testo, culminante nell'amara conclusione che l'unica vera felicità per l'uomo sarebbe essere liberato "d'ogni dolor" dalla morte.

Pensavamo che non l'avreste mai chiesto....

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Greenlight Bonnie

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Knowunity è un applicazione fantastica,considerando che ha degli schemi veramente molto carini e sfiziosi e che ci sono dei quiz,oltre al fatto che questa cosa dell intelligenza artificiale "school gpt" è almeno per me molto utile, perché a differenza di Chatgpt ti da le spiegazioni, ti spiega ciò che non è chiaro! Posso studiare più velocemente tramite gli schemi e che posso pubblicare io stessa gli schemi è una funzione utilissima per gli altri studenti. Knowunity è PERFETTA

Aurora

utente Android

L’app funziona benissimo e puoi trovare qualsiasi tipo di informazione. Non ho l’abbonamento ma la parte gratuita è sufficiente per uno studio approfondito.

Martina

utente iOS

in questi ultimi mesi di scuola dove il tempo è ormai poco, mi sta aiutando molto perché piuttosto che farmi io gli schemi su quello che leggo sul libro guardo questi già fatti e li uso come ripasso piuttosto che rileggermi tutto il libro

Chiara

utente IOS

Questa app è una delle migliori, nient’altro da dire.

Andrea

utente iOS