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Crepuscolari, Gozzano, Svevo e Pirandello

10/9/2022

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I CREPUSCOLARI
La definizione di "crepuscolari" risale al 1909 e indica quei poeti che compongono le loro opere sulla base
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I CREPUSCOLARI La definizione di "crepuscolari" risale al 1909 e indica quei poeti che compongono le loro opere sulla base della convinzione che sia ormai esaurita quella tradizione di cui hanno fatto parte Carducci e d'Annunzio, i quali avevano concepito un tipo di poesia adatta a celebrare i grandi fatti della Storia. Alla retorica e ai contenuti espressi da questi poeti, i crepuscolari contrappongono l'amore per le piccole cose, immerse nelle atmosfere più grigie e comuni della vita quotidiana, rievocate attraverso un linguaggio dimesso e prosaico, tendenzialmente vicino al parlato. Mutano dunque radicalmente la concezione e il significato della poesia, che non ha più messaggi eccezionali da proporre, ma si mimetizza nell'opacità dell'esistenza borghese, presentandosi come un'esperienza minore, se non addirittura inutile. I modelli di questa tendenza poetica vanno ricercati nel Simbolismo francese, ma soprattutto nell' intimismo pascoliano. Il Crepuscolarismo non fa riferimento a un programma né fa capo a un gruppo preciso: si tratta piuttosto di un orientamento diffuso, che interpreta, in maniera diversa, la crisi dei valori poetici nel mondo borghese. Anche geograficamente, del resto, i poeti crepuscolari appartengono ad aree diverse e lontane, senza che vi siano, in molti casi, rapporti diretti fra di loro: i principali esponenti sono stati a Roma Sergio Corazzini (1886-1907), in Emilia Romagna Corrado Govoni(1884 - 1965),...

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Didascalia alternativa:

a Firenze Aldo Palazzeschi (1885 - 1974), che per un periodo aderirà al Futurismo, e a Torino Guido Gozzano (1883 - 1916), il più noto e celebrato dalla critica. GUIDO GOZZANO Nato a Torino nel 1883, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza, senza tutta condurre a termine gli studi. Preferisce frequentare le lezioni della facoltà di Lettere, dove insegnava letteratura italiana Arturo Graf, anch'egli poeta non estraneo alla cultura decadente (Medusa, 1880; Le rime della selva, 1906). Tra gli studenti che si riunivano intorno a Graf, Gozzano acquista presto una posizione di rilievo, fino a divenire il più rappresentativo fra i giovani scrittori torinesi. Si forma una larga e raffinata educazione letteraria, dagli autori dei primi secoli (soprattutto Dante e Petrarca) ai più significativi scrittori e pensatori contemporanei (fra cui Nietzche). I versi di Gozzano sono caratterizzati dall'accettazione di un'esistenza senza avvenimenti di rilievo; l'ironia però, che percorre tutta la sua opera, permette al poeta di allontanare da sé il dolore che la coscienza dell'inutilità di una vita così potrebbe produrre. Nel 1907 esce la prima raccolta di versi, La via del rifugio, seguita dai Colloqui nel 1911, che ne consacrano la fama e in cui l'autore ripercorre poeticamente il proprio itinerario intellettuale ed esistenziale. All'attività poetica Gozzano affianca collaborazioni giornalistiche: anche queste prose rivelano la disposizione dello scrittore ad allontanare e a rimuovere il rapporto con la realtà, mediandolo attraverso lo schermo della finzione letteraria e attraverso un atteggiamento ironico, distaccato; la letteratura sembra offrire un'alternativa, il solo modo per sfuggire alla negatività del presente, senza però riuscire a evitare del tutto quel processo di degradazione in cui l'intera realtà sembra coinvolta. Dal punto di vista formale Gozzano mescola espressioni comuni a termini e citazioni che risalgono alla più alta tradizione letteraria, a partire da Dante e Petrarca; ma questi riferimenti sono inseriti in un contesto decisamente più basso, che ne distorce il loro significato originario. Di qui la carica corrosiva della sua poesia, che riguarda sia i valori della società borghese sia le finzioni e gli inganni della letteratura. Bisogna tuttavia notare che, malgrado appaiano a prima vista comuni e dimessi, i versi gozzaniani rivelano una grande cura sia nella scelta delle parole, sia nell'abilità metrica. La signorina Felicita ovvero la felicità. La prima strofa in cui il poeta si rivolge direttamente alla donna introduce il motivo della memoria. La presentazione dei due personaggi assume un carattere tipicamente borghese. Nelle strofe successive vengono ricreate le immagini del paesaggio canavesano e in particolare di villa Amarena. Nella terza strofa c'è la presentazione di Felicita dove il poeta ne presenta l'aspetto poco attraente che tuttavia finisce per attrarre il poeta. Nelle strofe successive la scene si sposta nel solaio, visto come luogo della fantasia e del sogno, in questo ambiente irreale si distende una più ampia riflessione. L'immagine della farfalla è segno della morte, così come l'immagine del pipistrello. I colloqui La raccolta ripercorre poeticamente l'itinerario intellettuale ed esistenziale dell'autore, presentando una struttura particolarmente omogenea e compatta. Il titolo è lo stesso dei componimenti con cui si apre e si chiude l'opera. Quello iniziale introduce una precisa condizione sentimentale, insistendo sull'aridità del poeta, su una giovinezza sentita già come vecchiaia, sul motivo del rimpianto, su una sorta di sdoppiamento che sostituisce le ragioni dell'arte a quelle della vita, una vita che il protagonista-poeta non è stato capace di vivere e che altri ha vissuto per lui. La raccolta è distinta in tre sezioni: Il giovenile errore, che richiama un famoso verso del Canzoniere di Petrarca. Alle soglie e Il reduce. La prima presenta, come scrisse lo stesso Gozzano, alcuni «episodi di vagabondaggio sentimentale», in cui le esperienze della vita sono filtrate da un'ironia amara e disincantata. Le due strade colgono, attraverso il motivo petrarchesco dello scorrere del tempo, il contrasto simbolico tra giovinezza e maturità, tra il sorgere e lo sfiorire delle illusioni, cercando invano una speranza di salvezza. L'Elogio degli amori ancillari parodizza l'immagine dannunziana della donna fatale, mentre Invernale, riprendendo la polemica contro d'Annunzio, esclude la possibilità di rivestire i panni del superuomo e scopre, in una cornice di frivola mondanità (la scena si svolge in una pista di pattinaggio), l'angoscia della morte. La seconda parte, Alle soglie, «adombrante qualche colloquio con la morte», inizia con la poesia dal titolo omonimo: nei «<colloqui» del poeta con il suo cuore si affronta, con impietosa e autoironica lucidità, il motivo della malattia, centrale per comprendere gli sviluppi della poesia gozzaniana. In questa seconda sezione sono collocati i due poemetti più famosi di Gozzano, La Signorina Felicita e L'amica di nonna Speranza: l'attrazione per una provinciale «quasi brutta, priva di lusinga», e la fuga a ritroso negli anni del passato risorgimentale, mentre valgono come sogno nostalgico di ciò che è lontano nello spazio e nel tempo, ribadiscono l'alienazione dell'autore, l'impossibilità di sfuggire alla negatività del presente. Conclude la sezione Cocotte, ricordo di una "cattiva signorina» che ha rappresentato, per l'ignaro fanciullo, il fascino dell'immaginazione e dell'evasione fantastica, opposte al grigiore della vita familiare. La sezione Il reduce, infine, riflette «<l'animo di chi, superato ogni guaio fisico e morale, si rassegna alla vita sorridendo»>. La condizione è meglio precisata da due versi, di impronta leopardiana, contenuti nella poesia In casa del sopravvissuto. Il senso di estraneità alla vita appare irrigidito e fissato in una situazione atemporale, come risulta dalla poesia introduttiva, Totò Meri meni, degradazione dell'eroe dannunziano e trasparente controfigura del poeta; la stessa Torino vive nei contorni appiattiti di una <<stampa antica». L'ultima lirica, I colloqui, conclude emblematicamente la raccolta riassumendo le motivazioni dell'intera opera e tracciando un desolato bilancio esistenziale. Le farfalle Negli ultimi anni Gozzano iniziò anche a lavorare a un ambizioso poema in endecasillabi sciolti, Le farfalle, rimasto incompiuto. L'opera, prendendo a modello i poemi didascalici del Settecento e opere di scrittori contemporanei, mira a ricostruire un itinerario spirituale, proiettato nella metamorfosi che trasforma l'insetto da bruco a farfalla. Attraverso il simbolo della farfalla (che, nella mitologia greca, accompagnava le anime nel regno dei morti). Gozzano offre anche un ultimo e sommesso tributo alla poesia, alla sua delicata inutilità rispetto alla violenza della storia. ITALO SVEVO Italo Svevo (pseudonimo letterario di Aron Hector Schmitz) nasce nel 1861 a Trieste, città che allora faceva parte dell'Impero austro-ungarico, in una famiglia di origini ebraiche. Per volere del padre durante l'adolescenza frequenta scuole tecniche, prima in Germania e poi a Trieste. Nel 1880, a causa delle difficoltà economiche della sua famiglia, è costretto ad accettare un impiego in banca. La letteratura rappresenta per lui una via di fuga e uno svago da un lavoro che non lo appassiona: fin da giovane Svevo collabora a un giornale con articoli letterari e teatrali e inizia a scrivere di narrativa. Nel 1892 pubblica Una vita, che suscita scarsa attenzione. Nel 1896, grazie al matrimonio con la cugina Livia Veneziani, Svevo entra nella ditta del suocero e diviene anch'egli uomo d'affari e dirigente industriale. A questo punto abbandona l'attività letteraria che ora guarda con sospetto, come qualcosa di «ridicolo e dannoso», parole sue, nei confronti di quel solido mondo borghese, dove contano soltanto gli affari e il profitto e di cui ormai fa parte. I momenti fondamentali nella crescita intellettuale di Svevo sono due: nel 1906 viene incoraggiato da James Joyce, importante scrittore e suo insegnante di inglese, a proseguire l'attività letteraria, e nel 1910 si appassiona alle teorie psicoanalitiche di Sigmund Freud. Nel 1914, allo scoppio della Prima guerra mondiale, Svevo, rimasto senza lavoro perché la sua fabbrica di vernici viene utilizzata per scopi bellici, riprende l'attività intellettuale. Nel 1919 inizia a scrivere il suo terzo romanzo, La coscienza di Zeno, che pubblica nel 1923 e che, come i precedenti, non viene apprezzato immediatamente dal pubblico. Il successo arriva solo nel 1925, grazie a una recensione positiva di Eugenio Montale e all'interessamento di Joyce, che fa conoscere il romanzo in Francia. Il successo ottenuto con La coscienza di Zeno spinge Svevo a scrivere altri racconti e testi teatrali e a progettare un quarto romanzo, rimasto però incompiuto a causa della morte improvvisa dell'autore avvenuta per un incidente d'auto nel 1928. Svevo non è il tradizionale intellettuale italiano di fine Ottocento sia per l'ambiente in cui vive e opera sia per le caratteristiche della sua formazione: Trieste è infatti una citta di confine, dove convivono culture differenti (italiana, tedesca e slava), che sono richiamate nello stesso pseudonimo dell'autore (il nome Italo rimanda alla cultura italiana e il cognome Svevo richiama quella tedesca). La stessa lingua in cui scrive risente sia del dialetto triestino, che egli parla quotidianamente, sia del tedesco, che conosce molto bene. Inoltre Svevo compie studi commerciali e da solo affronta quello della letteratura e della filosofia: la scrittura letteraria non è per lui una professione, ma un'attività secondaria rispetto al lavoro impiegatizio. Leggendo le opere di Svevo ci si accorge immediatamente del suo interesse nei confronti della cultura filosofica e delle scienze. Gli autori da lui più ammirati sono i filosofi tedeschi Schopenhauer e Nietzsche e lo scienziato inglese Charles Darwin. Di Schopenhauer gli interessava il pessimismo radicale, basato sulla convinzione dell'inutilità della volontà dell'uomo per decidere del proprio destino tanto che, per il filosofo, illudersi di poter scegliere nei vari casi della vita è puro autoinganno. Da Nietzsche trae la convinzione della relatività del soggetto, inteso come pluralità di stati d'animo in continuo divenire, e un profondo disprezzo per le convenzioni del mondo borghese. Per influenza di Darwin, poi, Svevo tende a presentare il comportamento dei suoi personaggi come un prodotto di leggi naturali non dipendenti dalla volontà dell'uomo. Malgrado ciò, egli seppe però anche cogliere il fatto che quei comportamenti hanno una radice sociale e sono quindi non un prodotto di natura ma un risultato delle componenti storico-sociali. L'atteggiamento critico di Svevo nei confronti della società è influenzato anche dal marxismo: la psicologia dei protagonisti dei suoi romanzi è legata alla realtà della classe sociale a cui il singolo individuo appartiene, e i conflitti che li caratterizzano sono determinati dal contesto costituito dalla società borghese degli anni tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo. Altrettanto importante, ma anche complesso, è il rapporto dell'autore con le teorie psicoanalitiche: Svevo è interessato alla psicoanalisi non come terapia, che mira a guarire il malato di nevrosi, ma come strumento per indagare la psiche nel profondo. Gli autori più amati da Svevo sono i romanzieri del Realismo (Balzac, Stendhal, Flaubert), del Naturalismo (Zola) e del romanzo psicologico francese. Da Flaubert, in particolare, Svevo riprende la rappresentazione della cattiva e falsa coscienza della piccola borghesia: i protagonisti sognatori di Una vita e di Senilità ricordano il personaggio principale di Madame Bovary di Flaubert. Allo stesso modo, questo scrittore ispira a Svevo la derisione dell'inettitudine e della capacità di illudersi, di mentire a se stessi dei protagonisti dei suoi primi due romanzi. L'influenza di Zola si intravede nelle descrizioni minuziose degli ambienti, mentre quella del romanzo psicologico francese nell'interesse verso l'analisi dei processi interiori. Anche alcuni scrittori russi, come Turgheniev e Dostoievskij, forniscono spunti a Svevo nella costruzione della figura dell'inetto" e nell'esplorazione della psiche umana. Il primo romanzo: Una vita (1892) Il protagonista è Alfonso Nitti, giovane ragazzo interessato di letteratura che, dopo la morte del padre (nella vita di Svevo è "dopo il fallimento del padre") è costretto a lavorare come impiegato di banca. Nitti cerca di fare la sua scalata sociale instaurando una relazione amorosa con la figlia del suo datore di lavoro, ma preso dallo paura rinuncia al matrimonio e cerca la morte come unica via di fuga dall'odio e dal disprezzo che lo circondano. Alfonso è un "inetto", che ha grandi sogni ma non riesce a realizzarli, tipico dei romanzi sveviani. L'inettitudine in Svevo non è una condizione individuale e psicologica, ma è una condizione sociale nel mondo della borghesia, che riconosce come valori solo il profitto, la produttività, l'energia nella lotta per l'affermazione di sé, emarginando e schiacciando ogni "diverso". Wilde si ribella a questo mondo utilitaristico con la sua concezione di vita e di arte a-morale, mentre Svevo sembra esserne prigioniero. Senilità (1898) Il protagonista è Emilio Brentani e presenta caratteri simili all'inetto Alfonso Nitti. Riesce a distinguersi da ragazzo come autore di un romanzo, ma da adulto non scrive più nulla e vive un'esistenza grigia, lavorando come impiegato in una compagnia di assicurazioni. L'insoddisfazione lo porta a cercare un'avventura con una ragazza di condizioni modeste, Angiolina, di cui si innamora, trasfigurandola in una creatura angelica. Amalia, sua sorella che accudisce Emilio come una madre, muore ed Emilio scopre il tradimento di Angiolina con Stefano. Allora Emilio si chiude di nuovo in se stesso, rassegnandosi a un'esistenza "senile" e senza emozioni. La descrizione dell'ambiente sociale qui ha meno rilievo rispetto al romanzo Una vita, mentre la narrazione si concentra sull'analisi psicologica del protagonista, che è un “inetto”, che ha grandi sogni, ma non ha il coraggio di realizzarli. Emilio è la tipica figura dell'impotente intellettuale piccolo borghese, che non riesce e non vuole affrontare il mondo esterno restando nel nido domestico (Pascoli). La narrazione è focalizzata soprattutto su Emilio, ma il suo punto di vista si rivela falso perché tende a stendere veli di Maya per nascondere la sua debolezza, illudendosi e mostrandosi come un uomo abile ed esperto che educa una ragazza ingenua (le maschere di Pirandello). La coscienza di Zeno (1923, venticinque anni dopo Senilità) La coscienza di Zeno ha una struttura profondamente diversa dai precedenti. Svevo abbandona la narrazione con narratore esterno per affidare il racconto alla voce del protagonista (come in tutti i miei romanzi), che è Zeno Cosini. Zeno, seguendo il consiglio dello psicoanalista, ripercorre la propria vita scrivendo di questa come terapia. Originale e innovativo è anche il trattamento del tempo: le vicende sono raggruppate in nuclei tematici e non sono narrate cronologicamente, ma seguono il tempo soggettivo della memoria (Bergson), con continue oscillazioni avanti e indietro; in questo senso il tempo si dice "misto”. Anche qui il protagonista è un "inetto" (come suggerito anche dal nome), inconcludente e immaturo, appartenente a una ricca famiglia borghese. Quindi non riesce a integrarsi nel sistema di vita borghese "sano e normale" (al quale aspira con tutte le sue forze) non per la sua condizione economica, ma per quella psicologica: anche in questo caso Zeno è un inetto che ha grandi sogni, ma non riesce a realizzarli. Zeno è malato di nevrosi e mente continuamente a se stesso per nascondere le vere cause dei suoi gesti e le vere pulsioni del suo animo. La sua è quindi una falsa coscienza (smascherata da Nietzsche e Freud), contorta e mascherata (Pirandello, Schopenhauer). Eppure, la sua prospettiva contraddittoria riesce finalmente a mettere in discussione le incrollabili certezze borghesi degli altri: quell'ingabbiamento di Svevo nella borghesia confermato nei romanzi precedenti, qui comincia a venire meno: rispetto ai primi romanzi, infatti, la figura dell'inetto qui è più aperta e problematica. Come scrive nell'Uomo e la teoria darwiniana (saggio incompiuto), l'inetto è l'abbozzo di un essere in una forma ancora non definitiva e per questo capace di evolversi (anche positivamente) in qualsiasi direzione. ANALISI DEL BRANO "IL VIZIO DEL FUMO" Il brano " Il vizio del fumo ", è tratto dal romanzo " La coscienza di Zeno " che è stato scritto da Italo Svevo. Rappresenta una sorta di "identikit interiore" di un commerciante triestino, Zeno Cosini, succube del vizio del fumo. Questo romanzo rappresenta un sorta di raccolta di riflessioni, di domande, di meditazioni e di monologhi, che riguardano la sua vita. In questo modo, Zeno, quasi, s'abbandona a sé stesso, vi è in lui un sentimento di profonda rassegnazione alla sua vita priva di ogni senso, con un destino già segnato. Il brano è molto ricco di frasi incisive e significative che danno ancora di più al brano il tono di un'esplorazione dell'inconscio. Questa vogli di Zeno di raccontarsi, nasce dal bisogno di sfogarsi con qualcuno, anche sollecitato dal suo psicanalista. Zeno rivive momenti della sua infanzia, della sua adolescenza, compresi i suoi turbamenti, il vizio di fumare, non con l'ordine con il quale sono avvenuti, così come affiorano nella sua mente. Zeno rievoca gli innumerevoli tentativi di liberarsi del vizio del fumo: questa sua incapacità di smettere di fumare, diventa il simbolo di tutta la sua vita segnata dall' incoerenza, dalla mancanza di volontà, dall' inettitudine. Zeno era una vittima del fumo e rappresenta in sé per sé la rassegnazione ad una vita priva di sogni, speranze, illusioni. Il vizio del fumo incarna in Zeno la voglia di rovinarsi, quasi a mettere la parola FINE alla sua esistenza. Nel brano, il narratore è lo stesso Zeno, quindi il narratore è interno e onnisciente: il suo punto di vista è A FOCALIZZAZIONE ZERO. La morte del padre (Italo Svevo) Il rapporto conflittuale e antagonistico col padre è un carattere comune a tutti gli "inetti" sveviani, i quali non possono coincidere con quell'immagine paterna, virile, solida, sicura, perché in crisi con sé stessi e con la società del tempo. Dunque, Zeno offre del padre un ritratto cattivo, corrosivo, che al di là dell'apparente affetto filiale rivela una profonda tensione. Si tratta di vero odio e inconsciamente spinge Zeno a ricercare in sé la sua particolare inettitudine, per contrapporsi al padre borghese e alle sue incrollabili certezze. Per questa ragione tutta l'aggressività di Zeno si rivela specialmente in occasione della malattia del padre, quando vengono meno la sua forza e il suo potere simbolico. Dietro lo sgomento e il dolore del figlio affiora continuamente il desiderio che il padre muoia. Naturalmente Zeno non ammette a sé stesso questi impulsi malvagi ed anche a distanza di anni dagli eventi narrati si costruisce alibi e autoinganni, rendendo inattendibile il suo intero racconto. Come avverte il dottor S. nella prefazione del romanzo, esso contiene tante bugie quante verità: il carattere ambiguo dell'opera rivela confusamente i conflitti interiori del protagonista-narratore, ma non consente di scoprire la realtà oggettiva dei fatti. Peraltro, verità e menzogna sono indissolubili, perché fissate nelle stesse pagine, nelle stesse parole: le affermazioni di Zeno palesemente false sul piano oggettivo sono, però, vere nelle sue convinzioni. Per la sua instabilità Zeno è strumento straniante della società borghese: ciò che essa ritiene "normale" e "sano" è, ai suoi occhi, "debole" e "avvelenato". Con questo meccanismo egli muove una critica acuta del mondo borghese contemporaneo e, nella fattispecie, ne mostra i limiti attraverso il ritratto del padre. Il rapporto tra Zeno e il padre è, insomma, una semplice sfaccettatura del conflitto esistenziale del protagonista con il mondo in cui vive. Ne è la prova il ritratto che Zeno fornisce, più avanti, del dottor Coprosich, il quale rappresenta una superiorità autorevole e indagatrice (i suoi "occhi terribili"). Zeno teme che il dottore scopra i suoi impulsi omicidi verso il padre e il suo recondito senso di colpa, perciò trasferisce su di lui il conflitto, il suo odio profondo. Il medico, con le sue certezze scientifiche e positivistiche, risulta quindi un altro bel campione di rigidezza e di immobilità borghese. I racconti e le commedie Svevo oltre ai tre romanzi scrive anche numerosi racconti, con tematiche simili a quelle dei romanzi (quindi l'inettitudine e il mondo borghese), tredici commedie sulle tensioni nella vita della famiglia borghese, scritti autobiografici e saggi. Dopo La coscienza di Zeno ha impostato un romanzo, rimasto poi incompiuto per la sua morte, dal titolo Il vecchione (o Le confessioni del vegliardo), che doveva essere una specie di continuazione proprio della Coscienza di Zeno. LUIGI PIRANDELLO Pirandello nasce presso Agrigento nel 1867 da un'agiata famiglia borghese. Si laurea nel 1891 a Bonn in Lettere e dall'anno successivo si stabilisce a Roma. Grazie ad un assegno concessogli dal padre può dedicarsi completamente alla letteratura. Nel 1903, a causa della perdita delle rendite familiari, è costretto a intensificare la sua produzione di novelle e romanzi.Lavora anche per l'industria cinematografica, scrivendo soggetti per film. In seguito al disastro economico la moglie, che aveva già mostrato segni di squilibrio psichico, sprofonda definitivamente nella follia. Nel 1910 lo scrittore inizia l'attività teatrale, ma è dal 1920 che il suo teatro conosce il successo. I suoi drammi tra gli anni '20 e' 30 vengono rappresentati in tutto il mondo. Dal' 22 abbandona la cattedra universitaria e si dedica completamente al teatro. Nel 19 2 4 si iscrive al partito fascista e nel' 25 assume la direzione del Teatro d'Arte a Roma. Nel 1934 riceve il premio Nobel per la Letteratura. Muore aRoma il 10 dicembre 1936. Alla base della visione del mondo pirandelliana vi è una concezione vitalistica secondo cui la realtà è un «flusso continuo», un incessante movimento di trasformazione da uno stato all'altro. Tutto ciò che si stacca da questo flusso per assumere una «<forma» distinta e individuale si irrigidisce e comincia a <<morire»>. Lo Scrittore afferma che anche la coscienza dell'uomo è costituita da una continua successione di pensieri e di stati d'animo sempre diversi, facendo così crollare il concetto di identità personale. Le convenzioni sociali impongono però all'uomo di fissarsi in una«<forma»> coerente e definitiva indossando <<maschere» e recitando ruoli fissi. Queste costrizioni diventano ben presto delle vere e proprie «trappole»>, che mortificano ogni intima aspirazione e rendono la vita insopportabile. Tra gli istituti della vita sociale che imprigionano l'uomo, si riconoscono soprattutto la famiglia e il lavoro. L'unica via di relativa salvezza dalla «trappola» della «<forma» è la fuga nella dimensione fantastica dell'immaginazione oppure nella follia. Se la realtà è multiforme e in perpetuo divenire, non esiste una prospettiva privilegiata da cui osservarla; al contrario le prospettive possibili sono infinite e tutte equivalenti: ciascuno ha la propria verità, che deriva dal modo soggettivo di vedere le cose. Questo radicale relativismo conoscitivo determina un'inevitabile incomunicabilità fra gli uomini: essi non possono comprendersi, perché ciascuno fa riferimento alla realtà com'è per lui e non sa, né può sapere, come sia per gli altri. Pirandello con le sue teorie rifiuta la possibilità di conoscere la realtà dal punto di vista sia oggettivo (come riteneva di poter fare il Positivismo) sia soggettivo(come sosteneva invece il Decadentismo), collocandosi così in pieno nel clima culturale novecentesco LA POETICA L'esposizione più chiara e completa della concezione dell'arte pirandelliana è contenuta nel saggio intitolato L'umorismo (1908). Tratto caratterizzante dell'arte umoristica è il «sentimento del contrario», che nasce dalla <<riflessione» e permette di cogliere il carattere molteplice e contraddittorio della realtà, osservandola da diverse prospettive contemporaneamente. La riflessione nell'arte umoristica, infatti, non si limita a riconoscere il ridicolo nel comportamento di una persona (questo è l'avvertimento del contrario», su cui si basa il «comico»), ma ne individua anche il fondo dolente, di umana sofferenza, guardandolo con pietà; viceversa, se si trova di fronte al serio e al tragico, non può evitare di fare emergere anche il ridicolo. In una realtà multiforme e polivalente, tragico e comico vanno sempre insieme, il comico è come l'ombra che non può mai essere disgiunta dal corpo tragico. Secondo la definizione fornita da Pirandello l'arte umoristica non può che risultare disarmonica e in-coerente, poiché il suo compito è quello di scomporre la realtà per farne emergere le ambiguità e le contraddizioni e così svolgere una funzione eminentemente critica La produzione poetica di Pirandello conserva i moduli espressivi e le forme metriche tradizionali e si ricollega ai modelli di Carducci e di Pascoli; in seguito prevale umoristico con temi come il relativismo conoscitivo e la frammentarietà del reale. Pirandello compone novelle per tutta la vita e nel 1922 elabora il progetto di una raccolta complessiva intitolata Novelle per un anno. Dei 24 volumi previsti ne sono pubblicati però soltanto 14 e uno postumo. Nella raccolta non è possibile individuare un criterio organizzativo unitario e coerente e questo sembra riflettere l'immagine di un mondo disordinato e caotico, tipica della visione pirandelliana. Si possono però riconoscere alcune costanti nelle ambientazioni e nei temi: una parte delle novelle si svolge in Sicilia e mette in luce gli aspetti mitici e folklorici della realtà contadina, con personaggi bizzarri e ai limiti della follia che vivono situazioni paradossali e insensate; un'altra parte invece è ambientata a Roma e si concentra sulle vicende di individui borghesi meschini e frustrati, prigionieri degli oppressivi obblighi familiari o di un lavoro monotono e avvilente. Pirandello conduce la narrazione con atteggiamento «umoristico», cogliendo in ogni situazione gli aspetti tragici e comici, strettamente connessi, e proponen do una riflessione pietosa sulla sofferenza umana. I ROMANZI Nel corso della sua lunga attività letteraria Pirandello compone sette romanzi. I primi testi conservano ancora alcuni legami con il Naturalismo e con il Verismo per quanto riguarda le tecniche narrative, ma sotto l'aspetto ideologico si allontanano decisamente da questi movimenti letterari. Alla fiducia positivistica nella possibilità di interpretare la realtà in modo univoco e coerente mediante gli strumenti della ragione subentra infatti la convinzione che la verità non possa mai essere stabilita con certezza, poiché ogni uomo elabora un'immagine soggettiva del mondo. L'esclusa (1901) racconta la storia di una donna che viene ripudiata dal marito quando è innocente e viene riammessa in casa soltanto dopo essere stata costretta dagli eventi a commettere effettivamente adulterio. Il meccanismo deterministico tipico della visione naturalistica, che individua nelle vicende umane un rapporto logico e consequenziale tra cause ed effetti, viene qui sostituito dal gioco imprevedibile e beffardo del caso, che vanifica tutti gli sforzi compiuti dagli uomini per pianificare la propria esistenza. Lo stesso tema è al centro del secondo romanzo, che si intitola Il turno (1902) e narra la vicenda di un uomo che dovrà superare molti ostacoli prima di poter sposare la sua innamorata. Dopo Il fu Mattia Pascal (1904), romanzo dall'impianto narrativo originale e innovativo, Pirandello pubblica / vecchi e i giovani (1909) e Suo marito (1911), che sembrano adottare soluzioni più tradizionali. A ben guardare, però, entrambe le opere presentano novità interessanti per quanto riguarda la focalizzazione. Nel quarto romanzo, infatti, le vicende sono descritte attraverso una pluralità di punti di vista diversi, spesso anche marginali, che mettono in evidenza la natura complessa e multiforme della realtà umana; nel quinto, invece, la fallimentare esperienza matrimoniale dei coniugi Silvia Roncella e Giustino Boggiolo viene analizzata attraverso le prospettive opposte dei due protagonisti, che si alternano continuamente nella narrazione. Attraverso queste scelte formali Pirandello intende dimostrare che la verità non esiste perché ciascuno interpreta la realtà in modo soggettivo e che dunque i rapporti umani sono necessariamente caratterizzati dell'incomunicabilità. Gli ultimi romanzi si intitolano Quaderni di Serafino Gubbio operatore (1915) e Uno, nessuno e centomila (1925-26) e sono caratterizzati da un altissimo livello sperimentale. UNO, NESSUNO E CENTOMILA L'ultimo romanzo di Pirandello, intitolato Uno, nessuno e centomila, racconta la storia paradossale di Vitangelo Moscarda. In seguito alla scoperta di un piccolo difetto fisico, egli arriva a comprendere che gli altri si fanno di lui un'immagine diversa da quella che egli si è creato di se stesso; capisce perciò di non essere <<uno», come aveva creduto sino a quel momento, ma di essere <<centomila>> nel riflesso delle prospettive degli altri, e quindi nessuno». Questa presa di coscienza fa saltare tutto il suo sistema di certezze e determina una crisi sconvolgente. Vitangelo ha orrore delle «<forme» e dei ruoli imposti dalle convenzioni sociali, ma è angosciato anche dalla solitudine in cui piomba allo scoprire di non essere nessuno »>. Decide perciò di distruggere tutte le immagini che gli altri si fanno di lui per cercare di essere uno per tutti». Ricorre cosi ad una serie di gesti folli e sconcertanti, come vendere la banca che gli assicura l'agiatezza, Costretto dalle circostanze, decide infine di donare tutti i suoi averi per fondare un ospizio per poveri, ed egli stesso vi si fa ricoverare, estraniandosi totalmente dalla vita sociale. Proprio in questa scelta trova una sorta di guarigione dalle sue ossessioni, rinunciando definitivamente ad ogni identità e abbandonandosi pienamente al puro fluire della <<vita>>. Il romanzo viene pubblicato tra il 1925 e il 1926 e rappresenta il completo superamento delle forme narrative naturalistiche, presentandosi allo stato di un ininterrotto monologo, nel quale il racconto dei fatti perde ogni consistenza, travolto da un flusso continuo di riflessioni e fantasie. Il personaggio di Vitangelo Moscarda porta inoltre alle estreme conseguenze la critica al concetto di identità personale, poiché realizza la sua liberazione dalle <<forme» diventando un tutt'uno con la natura che lo circonda e identificandosi felicemente nel continuo movimento e mutamento della vita. IL FU MATTIA PASCAL Il fu Mattia Pascal (1904) racconta la storia paradossale di un piccolo borghese imprigionato nella trappola»> di una famiglia insopportabile e di una misera condizione sociale, che, per un caso fortuito, si trova improvvisamente libero e padrone di sé: vince una notevole somma di denaro al casinò e apprende di essere ufficialmente morto, in quanto la moglie e la suocera lo hanno riconosciuto nel cadavere di un annegato. Però, invece di approfittare della liberazione dalla «<forma» sociale per vivere immerso nel fluire della <<vita»>, Mattia Pascal si sforza di costruire un'identità nuova. Ben presto si accorge con grande dolore che la sua falsa identità non gli consente di stabilire veri legami con gli altri, e decide tanto di rientrare nella sua vecchia identità, tornando in famiglia, ma scopre che la moglie si è risposata ed ha avuto una figlia da un altro. Non gli resta dunque che adattarsi alla sua condizione sospesa di «forestiere della vita», che contempla gli altri dall'esterno, consapevole di non essere più «nessuno»>. Con il suo terzo romanzo Pirandello abbandona definitivamente ogni legame con il Verismo e sperimenta soluzioni narrative nuove. Attraverso la storia di Mattia Pascal Lo scrittore conduce una critica serrata contro il concetto di identità personale, che si riduce a una «maschera»inconsistente ma soffocante, imposta agli uomini dalle convenzioni della vita sociale. La riflessione su questo tema centrale viene condotta secondo i princìpi dell'arte umoristica, che consiste nella compresenza di elementi tragici e comici all'interno della narrazione. La Realtà, attraverso il gioco paradossale del caso, viene infatti ridotta a un meccanismo bizzarro e assurdo, ma al di là del riso che questo suscita vi è un'autentica sofferenza del protagonista di fronte alla progressiva presa di coscienza dell'impossibilità di sfuggire a una condizione esistenziale necessariamente infelice. Dal punto di vista formale l'opera è strutturata come un memoriale scritto in prima persona dal protagonista. Questa scelta consente all'autore di superare definitivamente il narratore onnisciente di derivazione naturalistica, e di presentare le vicende attraverso un punto di vista soggettivo, parziale, mutevole e sostanzialmente inattendibile, che contribuisce a dare il senso della relatività del reale. GLI ESORDI TEATRALI E IL PERIODO «GROTTESCO>> Luigi Pirandello fa il suo esordio in teatro nel 1910 con i due atti unici intitolati La morsa e Lumie di Sicilia. In seguito compone diversi testi prima soltanto in dialetto e poi anche in italiano. Questa prima fase della produzione si estende all'incirca fino al 19 2 0e comprende opere celebri come Pensaci, Giacomino!, Così è (se vi pare), Il piacere dell'onestà e Il giuoco delle parti, caratterizzate dall'adesione alla poetica del <<grottesco»>, che consiste in quella fusione di elementi tragici e comici che lo scrittore aveva già teorizzato nel saggio L'umorismo (1908). Egli sconvolge i fondamenti del dramma borghese naturalistico, che dominava sulla scena all'inizio del Novecento, ossia la verosimiglianza nel raffigurare la vita quotidiana borghese, la logica consequenzialità degli eventi e la tendenza a proporre personaggi dalla psicologia unitaria e coerente. Pur rappresentando la quotidianità borghese, Pirandello porta infatti all'estremo i casi della vita "normale" deformando-li in modo artificioso; inoltre mette in scena personaggi scissi, sdoppiati, ambigui, proponendo una visione della realtà alternativa attraverso il loro punto di vista straniato. In questo modo Pirandello riesce a condurre una critica serrata nei confronti della società contemporanea, spingendo la logica delle convenzioni borghesi alle estreme conseguenze attraverso la riduzione al paradosso e all'assurdo. Per impedire l'identificazione emotiva degli spettatori e favorire una lettura critica degli eventi rappresentati sulla scena lo scrittore adotta un linguaggio concitato e convulso, spesso interrotto da interrogazioni,esclamazioni, sospensioni e sottintesi. LA FASE DEL META TEATRO E I SEI PERSONAGGI IN CERCA D'AUTORE All'inizio degli anni Venti Pirandello sconvolge le convenzioni teatrali proponendo soluzioni originali e innovative con la trilogia del «<teatro nel teatro». Nel 1921 egli allestisce infatti i Sei personaggi in cerca d'autore, un testo metateatrale nel quale, attraverso l'azione scenica, si discute del teatro stesso e dei suoi problemi. Questa esperienza dal forte carattere sperimentale, nonostante l'iniziale rifiuto da parte critica e del pubblico, prosegue negli anni successivi con altri due testi: Ciascuno a suo modo (1924) e Questa sera si recita a soggetto (1930). Il carattere innovativo dei Sei personaggi in cerca d'autore emerge in modo evidente già dalla trama. Mentre su un palcoscenico spoglio una compagnia attori sta facendo le prove di un dramma di Pirandello,entrano in teatro sei figure: un Padre, una Madre, un Figlio, una Figliastra, un Giovinetto e una Bambina. Essi Dichiarano di essere nati dalla fantasia di un autore che si è rifiutato di scrivere la loro storia e chiedono al capocomico di mettere in scena il loro dramma familiare: la Madre aveva sposato il Padre e gli aveva dato un Figlio, poi si era innamorata del segretario del marito e aveva avuto con lui altri tre figli; alla morte del suo amante, si era trovata in grosse difficoltà economiche,tanto che la figlia era stata costretta a prostituirsi; un giorno il Padre era capitato nella casa d'appuntamenti e per poco non aveva giaciuto con lei. Gli attori, dopo una lunga esitazione, accettano di recitare queste vicende, ma i sei personaggi a poco a poco prendono il loro posto, poiché non sono soddisfatti del modo in cui i loro caratteri vengono interpretati sulla scena. Mescolando racconto e rappresentazione, i sei personaggi si avviano comunque a concludere la loro storia: la figlia più piccola affoga nella vasca del giardino e il figlio più giovane si spara un colpo di pistola. In questo modo Pirandello, invece del dramma dei personaggi, mette in scena l'impossibilità di scriverlo (per il rifiuto del carattere esasperato delle vicende,che mira soltanto a suscitare la commozione del pubblico) e di rappresentarlo (non solo per la mediocrità degli attori, ma per l'incapacità intrinseca del teatro di rendere sulla scena ciò che uno scrittore ha concepito) IL TRENO HA FISCHIATO - lettura Appartiene alle "Novelle per un anno", vi emerge un ambiente piccolo borghese angustiato da sofferenze. Belluca rappresenta l'uomo imprigionato nella trappola della società, a causa del suo lavoro di computista, e della famiglia. Pirandello porta all'assurdo attraverso l'esagerazione iperbolica, certo una moglie cieca susciterebbe commozione ma tre più due figlie vedove con sette figli suscita riso. Ciò che ha scatenato la follia di Belluca che lo porta a un gesto di rivolta verso il capoufficio è stata un'epifania, una rivelazione improvvisa, il fischio di un treno di notte, che lo porta a pensare che al di fuori di quella trappola vi scorre la vita. Così Belluca è portato alla follia, ma questo atteggiamento non è una totale astensione dalla realtà come per il Mattia Pascal, poichè Belluca ritonerà nel meccanismo, ritornerà ad essere il padre docile di sempre, e ci riuscirà grazie alla sua valvola di sfogo: la fantasia. <<NESSUN NOME>> Il passo conclude il romanzo "Uno, nessuno e centomila", che allo stesso modo de "Il fu Mattia Pascal" tratta della crisi dell'identità, ma la differenza è che Mattia Pascal è la pars destruens, è la parte negativa di questa crisi, egli distrugge l'identità ma non sa chi sia, non offre un'alternativa, restava ancora tuttavia legato al nome, egli si definiva il "fu" Mattia Pascal, quindi ci aggiungeva questo segno meno. Invece Moscarda non si limita a confessare di non sapere chi sia, va oltre, afferma di non voler essere più nessuno, di non avere nome, rifiuta ogni identità, il suo nome non è nemmeno preceduto da un segno meno, non esiste più, questo è un messaggio positivo poichè Moscarda si annulla fondendosi nella totalità del mondo, della vita, è una condizione gioiosa. Ciò fa pensare al panismo di D'Annunzio nell' Alcyone, e infatti nei due vi è una stessa matrice decadente, ma comunque ci sono differenze in quanto D'Annunzio riserva il panismo a un'elite, per Pirandello è un'esperienza democratica e conduce all'anarchismo non a un dominio dell'aristocrazia sulla borghesia come voleva D'Annunzio L'ULTIMA FASE DEL TEATRO Negli anni Trenta Pirandello scrive ancora novelle che, per le tematiche trattate, si muovono in una direzione affine a quella dei miti teatrali. In esse viene descritta la realta comune, ma i toni non sono più umoristici poiché l'autore è meno interessato alla riflessione sulle maschere che la società impone agli individui, mentre tende prevalentemente ad analizzare la dimensione dell'inconscio. Operando in questo modo egli mette a confronto la civiltà moderna, dove si svolge una vita alienata e meccanizzata, e il bisogno di autenticita: per raggiungerla lo scrittore propone un ritorno alla natura o una regressione all'infanzia, come accade nelle novelle I piedi nell'erba (1934) o Il chiodo (1936). In altre novelle preferisce invece descrivere vicende che si collocano in un clima surreale, come in C'è qualcuno che ride (1934).