Struttura e significato: perché il dolore consola?
La cosa più affascinante di questa poesia è la sua struttura a dittico: due parti che si specchiano e si completano.
La prima parte (fino al v. 10) è pura elegia notturna. Leopardi torna sul colle, guarda la luna sfocata dalle lacrime, constata che nulla è cambiato: "pien d'angoscia" allora, "pien d'angoscia" ora. La luna diventa quasi una figura femminile ("graziosa", "diletta"), una presenza consolatrice che testimonia silenziosamente il suo dolore immutabile.
La seconda parte inizia con l'avversativa "E pur mi giova" e svela il paradosso centrale: perché ricordare cose triste ci consola? Leopardi non lo spiega direttamente nella poesia, ma nel suo Zibaldone chiarisce tutto. Gli anniversari hanno un potere magico: fanno rivivere "come in ombra" ciò che è morto per sempre.
Il ricordo funziona come antidoto contro l'annullamento. Nella giovinezza, quando "la speranza ha lungo corso" e "la memoria breve corso", rievocare il passato - anche doloroso - significa dare continuità alla propria esistenza, resistere all'idea che tutto finisca nel nulla.
Chiave di lettura: Il ricordo non elimina il dolore, ma lo trasforma in esperienza consolatoria attraverso la distanza temporale.