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Arthur Schopenhauer - maturità

14/9/2022

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ARTHUR SCHOPENHAUER (1788-1860)
Schopenhauer si rivolge al mondo in maniera amara e disincantata, mettendo in evidenza il conflitto
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ARTHUR SCHOPENHAUER (1788-1860) Schopenhauer si rivolge al mondo in maniera amara e disincantata, mettendo in evidenza il conflitto e la sofferenza che lo costituiscono. Per sfuggire a questo dolore, lui mette in risalto delle vie di liberazione (arte, morale, ascesi). Egli scorge l'essenza del reale nella volontà, brama di vivere che anima tutto ciò che esiste e alla cui legge l'uomo deve imparare a sottrarsi. RADICI CULTURALI Schopenhauer si pone come punto di incontro tra diverse esperienze filosofiche, dalle quale riprende: Platone: teoria delle idee; Kant: l’impostazione soggettivistica della gnoseologia; Illuminismo: filone materialistico e dell'ideologia; Voltaire: tendenza demistificatrice (mettere in evidenza le deformazioni a cui un'ideologia è stata soggetta); Romanticismo: tema dell'infinito e del dolore; Filosofie orientali: prezioso repertorio di immagini e di espressioni suggestive, e la tecnica dell'ascesi per liberarsi dal dolore. FILOSOFIA DI SCHOPENHAUER ● ● ● Il suo punto di partenza è la distinzione Kantiana tra "fenomeno" e "noumeno" ovvero tra "la cosa così come appare" e "la cosa in sé": per Schopenhauer il fenomeno è parvenza, illusione e sogno, ovvero ciò che nell'antica sapienza indiana era detto Velo di Maya, mentre il noumeno è quella realtà che si "nasconde" dietro l'ingannevole trama del fenomeno. Il concetto di fenomeno è quindi più vicino alla filosofia indiana rispetto che a Kant. Il fenomeno di cui parla è la rappresentazione soggettiva, cioè esiste...

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Didascalia alternativa:

solo dentro la coscienza. Tale rappresentazione (= la realtà in quanto oggetto di conoscenza da parte di un soggetto) ha due aspetti essenziali e inseparabili: il soggetto rappresentante e l'oggetto rappresentato. Soggetto e oggetto esistono soltanto come "facce" della stessa medaglia e nessuno dei due precede o può sussistere indipendentemente dall'altro. Sulle orme del criticismo, anche Schopenhauer ammette solamente tre forme a priori: spazio, tempo e causalità. Quest'ultima è l'unica categoria (si ricordi che Kant ne aveva elencate dodici), in quanto tutte le altre sono a essa riconducibili. La causalità assume forme diverse a seconda degli ambiti in cui opera. Poiché Schopenhauer paragona le forme a priori a vetri sfaccettati, considera la rappresentazione come una fantasmagoria ingannevole, traendo la conclusione che "la vita è sogno", cioè un tessuto di apparenze o una sorta di "incantesimo". Partendo sempre dalla filosofia di Kant, Schopenhauer opera delle integrazioni necessarie che comportano un annullamento del divario da fenomeno e noumeno. Considerandoci esclusivamente come conoscenza e rappresentazione non potremmo mai uscire dal mondo fenomenico. Noi siamo dati a noi stessi come corpo, pertanto possiamo sia vederci da fuori, che viverci dal di dentro. Questa sorta di analisi interiore è l'esperienza base che ci permette di squarciare il velo di Maya e renderci conto che la cosa in sé del nostro essere è la brama o volontà di vivere, un impulso che spinge a esistere e a agire. Noi siamo vita e volontà di vivere, e il nostro stesso corpo non è che la manifestazione esteriore dell'insieme delle nostre brame interiori. L'intero mondo fenomenico non è altro che il modo in cui la volontà si manifesta o si rende visibile a sé stessa nella rappresentazione spazio-temporale. Quando io vivo il mio corpo, invece di renderlo un oggetto, lo sottraggo all'approccio fenomizzante, cioè smetto di usare spazio, tempo e causalità. Per tale motivo mi rivolgo al "noumeno" al singolare piuttosto che al plurale, come faccio per il fenomeno. Vanendo meno alle forme di: Spazio: la volontà è unica; Tempo: la volontà è primordiale, inconscia, eterna e incausata; Causalità: Schopenhauer la chiama "principio di ragione", venendo meno a essa, la volontà è una forza libera, cieca e irrazionale, che non ha alcuna meta oltre sé stessa. Gli esseri non vivono che per vivere e continuare a vivere. Ne deriva che non può esistere Dio, e che l'unico assoluto è la volontà stessa. Schopenhauer ritiene che l'unica e infinita volontà di vivere si manifesti nel mondo fenomenico attraverso due fasi logicamente guibili: nella prima, la volontà si oggettiva in un sistema di forme immutabili, a-spaziali ed a- temporali, che chiama platonicamente "idee" e che considera alla stregua di archètipi del mondo; ● ● ● nella seconda, la volontà si oggettiva nei vari individui del mondo naturale, che sono nient'altro che la moltiplicazione, delle idee. Tra gli individui e le idee esiste un rapporto di copia-modello, per cui i singoli esseri risultano semplici riproduzioni di un prototipo originario che è l'idea. (Platone). Il mondo delle realtà naturali si struttura a propria volta in una serie di "gradi" disposti in ordine ascendente: più si procede verso l'alto, più la volontà si fa consapevole; il culmine della piramide è appunto l'uomo. Ma ciò che essa acquista in coscienza, perde in sicurezza: la ragione è meno efficace dell'istinto e questo è il motivo per cui l'uomo è un "animale malaticcio". PESSIMISMO Dolore, piacere e noia Volere significa desiderare e desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione per la mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere. Per definizione, quindi, il desiderio è assenza. Poiché nell'uomo la volontà è più cosciente, proprio l'uomo risulta il più bisognoso e mancante tra gli esseri, destinati a non trovare mai un appagamento verace e definitivo. Per di più, ciò che gli uomini chiamano "godimento" o "gioia" non è altro, come aveva già sostenuto Giacomo Leopardi, che una cessazione di dolore, ossia lo "scaricarsi" di una tensione preesistente: perché ci sia piacere è necessario che ci sia stato uno stato precedente di tensione o di dolore. La stessa cosa non vale per il dolore, che non può essere ridotto a cessazione di piacere. Accanto al dolore, Schopenhauer pone come terza situazione di base dell'esistenza umana, la noia, la quale subentra quando viene meno l'aculeo del desiderio. La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando attraverso l'intervallo fugare ed illusorio del piacere e della gioia. Ma se il dolore costituisce la legge profonda della vita, ciò che ci distingue è il modo diverso in cui il dolore si manifesta. Tale dolore è universale, come detto in precedenza, quindi tutte le creature soffrono. Questa sofferenza è evidente nel mondo della natura, dove gli animali vivono per divorarsi l'un l'altro, risultando uno strumento al servizio della specie (perpetuare la vita, quindi il dolore). Il fatto che alla natura interessi solo la sopravvivenza della specie trova una sua manifestazione emblematica nell'amore, uno dei più forti stimoli dell'esistenza. Il fine dell'amore è solo l'accoppiamento (ed è per questo che l'atto sessuale è accompagnato da un particolare piacere). Manifestazioni di tale "essenza biologica" dell'amore è la triste constatazione del fatto che la donna, dopo aver adempiuto alla procreazione, perde ben presto bellezza e attrattive. Se l'unico scopo dell'amore è quello di perpetuare la specie, non c'è amore senza sessualità. Questo implica un senso di peccato e vergogna nei confronti dell'amore. Altro aspetto essenziale è che l'amore è il responsabile del maggiore dei delitti, cioè della procreazione di altre creature destinate a soffrire. L'unico amore di cui si può tessere l'elogio non è quello generativo dell'éros, ma quello disinteressato della pietà. CRITICHE ALL'OTTIMISMO Cosmico: quello di Hegel, che interpretava il mondo come un organismo perfetto, governato da Dio o da una Ragione immanente. Per Schopenhauer questa visione risulta falsa, poiché la vita è un'esplosione di forze sostanzialmente irrazionali, e il mondo non è il regno della logica, ma dell'illogicità e sopraffazione. ● ● Qui viene apertamente criticato Hegel, ma tra le due filosofie vi sono punti concordanti, come il concetto di Ragione assoluta (Hegel) e volontà assoluta (Schopenhauer); entrambi portano avanti una metafisica. Al contrario di Kierkegaard che sarà un esistenzialista e si concentrerà sul concreto. Sociale: i rapporti umani non si basano sulla bontà e socievolezza degli uomini, ma sul conflitto e sulla sopraffazione. Basta un nonnulla perché anche gli individui apparentemente più mansueti rivelino la loro natura di felini rabbiosi. Gli uomini vivono insieme solo per bisogno; lo Stato e le leggi esistono affinché l'uomo possa difendersi e possa regolare gli istinti aggressivi. Viene accusato di misantropismo In realtà, il pessimismo antropologico e sociale favorisce la scelta della via etica della pietà. Solo chi ha la sensibilità di avvertire che i rapporti umani si costituiscono per lo più nell'orizzonte dell'ingiustizia può sentire il desiderio interiore di seminare e curare quei "fiori dell'eccezione" che sono la giustizia e l'amore. Storico: la volontà è eterna e unica, quindi l'uomo ha sempre sofferto) e sempre continuerà a farlo (il destino dell'uomo è sempre lo stesso. A questo proposito, la storia non ha più la funzione di mettere in evidenza il progresso, ma quello di far prendere consapevolezza all'uomo che la storia stessa non è altro che il fatale ripetersi di un medesimo dramma e fargli prendere coscienza di sé e del proprio destino. VIE DI LIBERAZIONE DAL DOLORE Tra queste non rientra il suicidio, che Schopenhauer critica aspramente per due motivi: il suicidio è un atto di forte affermazione della volontà stessa, in quanto il suicida "vuole la vita ed è solo malcontento delle condizioni che gli sono toccate", per cui, anziché negare la volontà, egli nega piuttosto la vita; ● ●. La vera risposta al dolore del mondo consiste nella liberazione dalla stessa volontà di vivere, attraverso: arte, morale e ascesi. L'ARTE L'arte è conoscenza libera e disinteressata che si rivolge alle idee: nell'arte viene colta l'essenza immutabile di tutte le cose. Il suo carattere contemplativo fa si che l'individuo si sottragga alla catena infinita dei bisogni e desideri quotidiani; grazie all'arte l'uomo contempla la vita. il suicidio sopprime soltanto una manifestazione fenomenica della volontà di vivere, e lascia intatta la cosa in sé, la quale, pur morendo in un individuo, rinasce in mille altri. A seconda del diverso grado di manifestazione della volontà, le arti si possono suddividere in ordine gerarchico: esse vanno dall'architettura, fino alla scultura, pittura e poesia. Esalta la tragedia, come autorappresentazione del dramma della vita; e la musica come immediata rivelazione della volontà. Schopenhauer afferma che la musica si configura come l'arte più profonda e universale. L'arte ha una funzione liberatrice temporanea, quindi il cammino della redenzione richiede altri sentieri. LA MORALE Impegno nel mondo a favore del prossimo. Schopenhauer riconosce il disinteresse alla base della moralità, ma l'etica non sorge da un imperativo, bensì da un sentimento di pietà e compassione, attraverso cui sentiamo come nostre le sofferenze degli altri. Non basta sapere che la vita è dolore e che tutti soffrono: bisogna sentire e realizzare questa verità nel profondo del nostro essere. Pertanto è la moralità a produrre la conoscenza. Tramite la pietà sperimentiamo quell'unità metafisica di tutti gli esseri che la filosofia teorizza. La morale si concretizza in due virtù cardinali: la giustizia e la carità (o agápe): la giustizia, primo freno all'egoismo, ha un carattere negativo poiché consiste nel non fare il male; la carità si identifica con la volontà positiva e attiva di fare del bene. Diversamente dall'éros, falso amore, l'agápe è amore autentico. Ai suoi massimi livelli, la morale consiste nella pietà e nell'assumere su di sé il dolore cosmico. L'ASCESI ● ● La morale rimane attaccata alla via stessa, quindi Schopenhauer persegue una liberazione totale attraverso l'ascesi. Questa consiste nell'estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere. L'ascesi comporta: castità perfetta, la rinuncia ai piaceri, l'umiltà, il digiuno, la povertà, il sacrificio; tutti fattori che svincolino l'uomo dalle sue catene. Continuando sul cammino si arriva al nirvana buddista, ovvero esperienza del nulla: un nulla che, non è il niente, bensì un nulla relativo al mondo, cioè una negazione del mondo stesso. In altre parole, se per l'asceta schopenhaueriano il mondo è un nulla, analogamente il nirvana è un tutto.