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Verga

14/11/2022

1885

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LA VITA
Nasce a Catania nel 1840 da una famiglia di proprietari terrieri. I primi studi furono con maestri privati, ad
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LA VITA Nasce a Catania nel 1840 da una famiglia di proprietari terrieri. I primi studi furono con maestri privati, ad esempio Abate, da cui apprese il patriottismo e il gusto letterario romantico, fondamentali per la sua formazione. GIOVANNI VERGA Gli studi superiori non furono regolari, si iscrisse alla facoltà di legge a Catania e non terminò i corsi, preferiva dedicarsi al lavoro letterario e al giornalismo politico. Con gli studi irregolari segna il suo stile di scrittura che si allontana dalla tradizione: i testi a cui si ispira sono quelli degli scrittori francesi moderni e ai romanzi storici italiani, che lasciano il segno nei primi romanzi di Verga. Nel 1865 si reca a Firenze, ci torna nel 1869 e ci resta più a lungo perché per diventare un buono scrittore doveva venire a contatto con la vera società italiana. Nel 1872 si trasferisce a Milano, era il centro culturale più vivo e più aperto. Qui entra in contatto con gli ambienti della Scapigliatura; in questo periodo scrive: "Eva", "Eros" e "Tigre reale", legati allo stile romantico. Nel 1878 cambia i suoi ideali verso il Verismo e pubblica "Rosso Malpelo", successivamente pubblica le novelle "Vita dei campi" (primo romanzo del ciclo dei Vinti), "I Malavoglia", "Novelle rusticane", "Vagabondaggio"; pubblica poi il secondo romanzo del ciclo...

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Didascalia alternativa:

dei Vinti: "Mastro-don Gesualdo". Dal 1893 torna a vivere definitivamente a Catania. Dopo la scrittura dell'ultimo dramma "Dal tuo al mio" smette praticamente di scrivere, inizia quindi a dedicarsi alla cure delle proprietà agricole ed è preoccupato dalla situazione economica. Le sue posizioni politiche diventano più chiuse e conservatrici; nel dopoguerra assume posizioni nazionalistiche mantenendosi distaccato dagli interessi politici militanti. Muore nel 1922, anno che vede l'ascesa del fascismo e la marcia su Roma. ROMANZI PREVERISTI Le produzioni più significative vengono scritte a Firenze e a Milano. A Catania aveva pubblicato il romanzo "Una peccatrice" fortemente autobiografico; poi a Firenze aveva scritto un romanzo sentimentale "Storia di una capinera" che gli aveva assicurato notevole successo. A Milano finisce "Eva", un romanzo iniziato a Firenze, era la storia di un pittore siciliano che recatosi a Firenze brucia le sue illusioni e ideali per l'amore verso una ballerina, simbolo della corruzione della società. La protesta per le nuove condizioni dei letterati (emarginati dalla società) è molto vicina agli ideali della Scapigliatura (polemica anticapitalistica). Successivamente scrive "Eros" e "Tigre reale", due romanzi sono criticati come esempi di realismo e analisi dei danni psicologici e sociali; in realtà questi romanzi appartengono a un clima tardoromantico, rappresentando ambienti aristocratici con passioni complesse, sono inoltre scritti con un linguaggio emotivo e enfatico. LA SVOLTA VERISTA Dopo un silenzio di tre anni nel 1878 scrive un racconto che si discosta da quelli precedenti, "Rosso Malpelo", narrato con linguaggio nudo e scarso che si avvicina al modo di raccontare di una narrazione popolare, questa è la prima opera del nuovo ideale verista ispirata a una rigorosa impersonalità. Il cambio dei temi e di linguaggio è interpretato come una "conversione". In principio Verga aveva strumenti inadatti e condizionati ancora dal romanticismo. Il Verismo è quindi una chiarificazione progressiva di pensieri già esistenti, matura la concezione materialistica della realtà e dell'impersonalità. Verga però non abbandona gli ambienti dell'alta società, anzi vuole tornare a studiarli coi nuovi strumenti del verismo, partendo dalle classi più basse fino all'aristocrazia e politica. POETICA E TECNICA NARRATIVA DEL VERGA VERISTA Poetica dell'impersonalità Alla base del nuovo metodo narrativo c'è il concetto dell'impersonalità. I suoi principi si basavano sul raccontare ciò che fosse realmente accaduto, quindi quello che si racconta deve essere reale e documentato in modo tale che il lettore legga i fatti come sono avvenuti senza vederli attraverso lo sguardo dello scrittore. Lo scrittore non deve quindi comparire nell'opera con le reazioni soggettive, riflessioni e spiegazioni, si deve mettere nei panni dei personaggi, in questo modo chi legge assiste ai fatti che si verificano sotto i suoi occhi. Lo scopo di questo metodo è quello di eliminare l'artificiosità letteraria. Per Verga questo metodo è solo un procedimento tecnico ed espressivo per dare forma all'opera. Tecnica narrativa A raccontare non è più il narratore onnisciente tradizionale, ma il punto di vista dello scrittore non si avverte mai, si mimetizza nei gli stessi personaggi adottando il loro modo di pesare, è come se a raccontare fosse uno di loro. ● Un esempio è il racconto di "Rosso Malpelo": malpelo stava a indicare che aveva i capelli rossi perché era una ragazzo malizioso e cattivo, questo indica una visone primitiva e superstiziosa della realtà, è come se a raccontare fosse uno dei personaggi che lavoravano nella cava con lui. Il narratore non informa appieno sul carattere e sulla storia dei personaggi e non descrive dettagliatamente i luoghi. Chi narra, per esprimere un giudizio sui fatti, si basa sulla visione elementare e rozza del popolo, il quale non coglie le motivazioni psicologiche. Il linguaggio è povero, ricco di modi di dire, imprecazioni e proverbi. L'IDEOLOGIA VERGHINIANA Verga ritiene che l'autore non abbia il diritto di giudicare la materia che rappresenta. Alla base della sua visione ci sono posizioni molto pessimistiche, la società umana è dominata dal crudele meccanismo della lotta per la vita in cui il più forte schiaccia il più debole, generosità, pietà e altruismo non fanno parte della realtà; gli uomini sono mossi dall'interesse economico e dall'egoismo. Questa è una legge della natura, valida anche per gli animali, universale che non si può modificare, per questo non ritiene opportuno dare giudizi, approva solo il giudizio correttivo, l'indignazione e la condanna esplicita in nome dell'umanità, giustizia e progresso. La letteratura non può contribuire a modificare la realtà. Il pessimismo è portato dall'ideologia conservatrice, l'autore rifiuta le ideologie progressiste contemporanee, democratiche e socialiste, giudicate infantili. Grazie al pessimismo Verga riesce a cogliere con lucidità le cose negative, mettendole in luce con grande precisione, rappresenta l'oggettività delle cose, quindi il pessimismo è un valore conoscitivo e critico. Nelle opere di Verga non si verifica l'atteggiamento populistico, che consiste nella pietà sentimentale per gli "umili" e nella speranza di un miglioramento delle condizioni. In Verga sono assenti sia il mito populistico progressivo che quello romantico e reazionario. Verga non si contrappone però al mito della campagna, considerata come l'Eden di incorrotta autenticità e come antidoto alla società cittadina, ma successivamente non la reputa più così perché anche la campagna è dominata da interesse economico ed egoismo. Verga è uno scrittore che stimola la riflessione critica nel lettore, senza diffondere miti. IL VERISMO DI VERGA E IL NATURALISMO ZOLIANO Si nota quindi la profonda differenza tra verismo di verga e naturalismo di Zola, che si verifica specialmente nelle tecniche narrative. Nei romanzi di Zola la voce narrante rappresenta il modo di vedere/esprimersi dell'autore, guardando dall'alto la materia e spesso interviene con giudizi espliciti o impliciti. Da giudizi secondo il suo codice morale borghese, tra narratore e personaggi c'è un netto distacco. Zola, nell'Assimmoir in cui riproduce il gergo particolare dei proletari parigini, ma si verifica solo in un episodio limitato, nelle parti in cui è il narratore a parlare si usa un linguaggio letterario e colto. Zola è quindi estraneo all'originale tecnica di Verga della "regressione". Per Zola l'impersonalità significa assumere il distacco dello scienziato, che vede la materia dall'alto, per Verga significa nascondersi nell'oggetto. Parlando di radici sociali Zola pensa che la letteratura possa influenzare il reale perché è uno scrittore borghese democratico; si rivolge a un pubblico capace di catturare il suo messaggio e di reagire. Verga è il tipico proprietario terriero conservatore, infatti vive nella convinzione che nulla mai può mutare nella storia dell'uomo e quindi la letteratura è solo un mezzo per far conoscere la realtà ma non la può cambiare. ROSSO MALPELO (DA VITA DEI CAMPI) Trama La novella inizia con la presentazione di Rosso Malpelo, un ragazzo che lavorava in una cava di sabbia siciliana e che era considerato da tutti un giovane cattivo e malvagio a causa dei suoi capelli rossi, che secondo le credenze popolari erano indice di cattiveria. Per questo motivo veniva maltrattato dai suoi compagni di lavoro e da tutta la sua famiglia, perciò viveva completamente isolato. Lo tenevano lavorare nella cava perché il padre vi era morto in seguito alla caduta di una parete, il figlio assistette; nessuno dei lavoratori lo aiutò, infatti solo il figlio continuava a scavare per salvare il padre dalle macerie. Dopodiché Malpelo continua a lavorare nella cava, ma i suoi colleghi si accaniscono contro di lui e gli affidano i lavori più pericolosi. Un giorno iniziò a lavorare in miniera anche un ragazzo di nome Ranocchio, che era zoppo a causa di un incidente. Malpelo gli dimostrava affetto e lo tormentava continuamente in modo da prepararlo alla vita difficile. Successivamente Malpelo va a trovare la madre e la sorella, le quali si erano trasferite altrove, ma le due donne si vergognavano talmente tanto che non vedevano l'ora che andasse via. Nella cava viene trovato il corpo del padre di Malpelo, egli porta a casa i suoi vestiti e le suo scarpe custodendoli con gelosia. Malpelo, solitamente, aveva l'abitudine di maltrattare un asino per sfogarsi, ma quando l'animale muore, la carcassa viene mangiata da altri animali e Malpelo decide di portare Ranocchio a vedere la scena per dargli una lezione di vita. Ranocchio, non riesce però a vivere questa crudele vita a cui lo stava preparando Malpelo perché si ammala e muore poco dopo che il ragazzo lo va a trovare. Dopo la morte di Ranocchio, alla cava arriva un nuovo ragazzo, scappato dal carcere, ma presto ci torna perché preferiva vivere dietro le sbarre piuttosto che avere una dura vita lavorando sottoterra. In fine Malpelo viene mandato in esplorazione in una zona pericolosa e non torna più. I ragazzi della cava, quando parlavano di lui, si esprimevano sempre a bassa voce per paura di vederlo comparire con i suoi capelli rossi e gli occhi grigi. Analisi Si tratta di far presente al mondo tematiche come povertà e sfruttamento delle classi disagiate della Sicilia alla fine del XIX secolo. Un altro tema importante è l'emarginazione del diverso, solo per il colore rosso dei suoi capelli, che per ignoranza veniva associato al male. L'unica cosa che legava Malpelo alla sola persona che lo amava (il padre) è la fine che entrambi fanno e il durissimo lavoro nelle cave siciliane. La narrazione in Rosso Malpelo è impersonale e popolare, qualcuno che racconta quando già i fatti si sono conclusi. Narratore popolare significa che a raccontare è la voce di tutto il popolo, come se fosse il punto di vista della comunità che circonda il protagonista. Verga, per quanto possibile, non esprime mai il suo punto di vista: in quanto persona è completamente assente e come autore ribadisce in continuazione tramite il testo che il punto di vista della narrazione non è il suo. Il popolo e la comunità rappresentano il pregiudizio nei confronti di un ragazzino qualunque che viene considerato maligno solo per il colore dei capelli. Il pregiudizio rende logico qualcosa che non lo è e viene condiviso da tutti. Il lettore viene indotto a svelare la falsità del giudizio popolare. Come già accennato, il punto di vista del narratore e quello dell'autore non coincidono; l'autore regredisce e racconta con la voce del popolo invece che con la sua. La struttura del racconto può essere definita antifrastica, ovvero una tesi viene sostenuta ma si fa intuire che potrebbe essere anche tutto il contrario di ciò che viene affermato. Un esempio concreto è: chi è il cattivo? Si tratta di Rosso Malpelo, col sui astio e la sua cattiveria, o il pregiudizio della comunità, che giudica e perseguita un ragazzino, prima fra tutti sua madre? Il personaggio di Rosso Malpelo è vittima di una serie di sventure nella sua vita: emarginato, rifiutato dalla famiglia stessa e da chi lo circonda, la sua diversità traspare anche dai dettagli fisici come i capelli rossi, visti come chiaro segnale della sua malvagità. Rosso Malpelo vive una lotta eterna per sopravvivere in un mondo in cui vince chi è più forte e prevarica gli altri, cosa che si nota perfettamente nel tipo di rapporto che instaura con Ranocchio, tra l'amicizia e il bullismo, tra amore e odio, valori posti in continuo contrasto. Attraverso la storia di Rosso Malpelo Verga esprime tutto il suo pessimismo, la concezione di vita priva di speranze che gli appartiene. Malpelo per primo non si ribella alle ingiustizie che subisce perché gli sembrano inevitabili: se sogna di ribellarsi poi torna immediatamente a ciò che è reale e immutabile dal suo punto di vista. Il pessimismo espresso da Verga in Rosso Malpelo è assoluto, non conosce vie d'uscita, lo porta a pensare che non essere mai nato sarebbe stato meglio. Il linguaggio in Rosso Malpelo e intriso di modi di dire popolari e di metafore, similitudini tratte dal mondo che circondava Verga. IL CICLO DEI VINTI Verga inizia a progettare nel 1878 una serie di 5 romanzi, con lo scopo di definire la società italiana e i suoi componenti: ceti popolari, borghesia terriera e aristocrazia. Il nome "ciclo dei vinti" esprime la sua visione pessimistica della realtà, mettendo in risalto la "regola" universale della lotta per la vita che domina nella società (trionfo del forte sul più debole). Il primo romanzo, "I Malavoglia", pubblicato nel 1881, ha come protagonisti una famiglia di pescatori siciliana, successivamente all'Unificazione dell'Italia. La famiglia decide di intraprendere una piccola attività commerciale, sperando di ottenere facili guadagni; purtroppo vanno incontro a sfortune e vanno in rovina cadendo in miseria, riescono a ricomporsi solo nel finale del racconto. Lo scrittore racconta dello stravolgimento della vita con l'avanzare della modernità; nella visione pessimista e fatalista di Verga, tutte le persone che cedono al benessere dovrebbero tornare indietro e accettare la loro condizione, accettando il loro destino; si deve seguire "l'ideale dell' ostrica": ogni individuo deve mantenere il proprio ruolo fisso all'interno della gerarchia familiare e sociale senza aspirare al cambiamento. Nei "Malavoglia" il principio di impersonalità è accentuato dal procedimento della regressione, cioè collocare il punto di vista narrativo al livello culturale dei personaggi; Verga infatti racconta con un linguaggio vivace del parlato, attraverso l'uso di termini dialettali e discorso indiretto. Il romanzo inoltre è caratterizzato da un impianto corale e una costruzione bipolare, cioè ci sono due gruppi distinti con diversi ideali, da un lato i Malvoglia con valori positivi (onestà e altruismo) e dall'altro la comunità paesana con interesse egoistico. Il secondo romanzo "Mastro Don-Gesualdo", viene pubblicato nel 1889, narra l'ascesa sociale e il declino di un umile muratore che vive nella Sicilia pre-risorgimentale, con i suoi sforzi riesce ad accumulare una notevole fortuna e sposare una donna nobile, ma questo lo porta a essere solo e disprezzato da tutti. In questo romanzo il conflitto è interno perché il protagonista ha due necessità: avere relazioni umane autentiche oppure interessarsi solo all'aspetto economico. L'ambiente rappresentato è quello borghese e aristocratico, perciò il livello del narratore si alza e coincide con quello dell'autore; il linguaggio ha un registro medio, si usa di più il discorso indiretto libero, facendo prevalere l'ottica soggettiva del protagonista. "Il ciclo dei vinti" non venne mai portato a termine. I "VINTI" E LA "FIUMANA DEL PROGRESSO" Quest'opera è la prefazione dell'intero "ciclo dei vinti" in cui descrive i vinti di ogni classe sociale, a partire dai contadini e dai pescatori, fino all'aristocrazia. I vinti secondo la concezione verghiana sono tutti coloro che lottano per cambiare la loro condizione sociale ma non ci riescono dato che è impossibile, e se si rassegnassero potrebbero vivere con maggiore serenità. Nella prefazione ai Malavoglia, Verga chiarisce il proprio pensiero immobilista, ritenendo che l'uomo sia destinato ad essere vittima di se stesso e quindi non possa elevarsi. Il primo paragrafo è dedicato specificamente al primo romanzo del ciclo, i Malavoglia, indicando il tema dell'equilibrio di un mondo tradizionale che viene rotto dall'insoddisfazione della propria condizione di vita. Nel secondo paragrafo Verga tratta di tutti i romanzi del ciclo in cui l'attenzione si concentra sulla "fiumana del progresso", cioè il processo di trasformazione dell'economia e della società, successiva all'unificazione italiana. Questo processo è spinto dai bisogni dell'uomo, dalla lotta per l'esistenza, dal bisogno dei beni materiali, mettendo in risalto la concezione materialistica. Il terzo paragrafo contiene invece le posizioni ideologiche dello scrittore di fronte al progresso. Verga esprime la sua ammirazione verso il progresso ripetendo che l'individuo, perseguendo il suo interesse personale coopera in consapevolmente al benessere di tutti ma ne risalta anche gli aspetti negativi tra cui l'avidità, l'egoismo, i vizi, la meschinità... Per quanto riguarda lo stile narrativo, Verga usa un narratore esterno alla vicenda che parla in terza persona, poiché secondo la sua opinione il compito dello scrittore è solo quello di studiare e rappresentare le cose come stanno realmente senza giudicarle o esprimere la propria opinione. I MALAVOGLIA È stato scritto nel 1881, è la storia di una famiglia di pescatori chiamati Malavoglia (soprannome che era una caratteristica contraria a come erano realmente). Vivono ad Aci Trezza, hanno una casa, una barca e fanno una vita pressoché tranquilla. Il giovane 'Ntoni, figlio di Bastianazzo, deve partire per il servizio militare. La famiglia si trova quindi in difficoltà dovendo pagare un lavoratore. A questo si aggiunge la pessima annata di pesca e la figlia Mena che necessita della dote. Per superare la difficoltà aprono un piccolo commercio: la vendita di lupini al porto vicino. La barca naufraga nella tempesta, Bastianazzo muore e il carico si perde. Da qui iniziano le sventure: la casa viene pignorata, il secondogenito muore in battaglia, la madre muore per colera. Le sventure disgregano il nucleo famigliare: 'Ntoni, ormai abituato alla vita di città, non riesce più ad adattarsi e inizia a frequentare l'osteria, cattive compagnie e viene sorpreso nel contrabbando, reagendo accoltella una guardia. A causa del disonore sulla famiglia Mena non può più sposarsi con Alfio. L'ultimo figlio, Alessi, riscatta la casa continuando il lavoro del nonno. 'Ntoni, uscito di prigione torna dalla sua famiglia, ma si rende conto che non è più il suo posto e va via per sempre. I Malavoglia rappresentano un mondo rurale e chiuso, ma non è del tutto immobile, si rompono gli equilibri, la storia condiziona molto la vita della famiglia. Il racconto, infatti inizia il giorno dopo l'Unità italiana e viene messo alla luce come il popolo di un paesino vive nella tensione per la trasformazione dell'Italia. Da quando 'Ntoni parte, iniziano le difficoltà economiche e le sventure (tasse, crisi della pesca). Il sistema sociale del villaggio è diviso in diversi strati di classe. La famiglia subisce un processo di declassazione perché diventarono nullatenenti. Ma ci sono anche dei processi di ascesa sociale. Il mondo del villaggio appare immobile solo per come viene raccontato, ma non è così. 'Ntoni è un personaggio che rappresenta le forze disgregatrici, il moderno e non riesce a riadattarsi alla vita immobile della sua famiglia al villaggio; per questo era in conflitto col nonno, che aveva un forte spirito tradizionalista. Il finale è emblematico: 'Ntoni si distacca per sempre dalla famiglia per andare verso la realtà delle grandi città, il suo percorso è continuato da Gesualdo che è l'esponente della modernità. I Malavoglia venivano interpretati come la celebrazione di un mondo primordiale e dei suoi valori, ma in realtà è il contrario poiché quei valori non esistono. Da qui c'è il distaccamento dall'idea che la campagna è un Eden di valori umili e questa famiglia segna il cambiamento irreversible di questo pensiero, poiché in tutte le classi sociali domina la legge della lotta per la vita. Il mondo dei Malavoglia è caratterizzato da: avidità, avarizia, attaccamento alle proprietà e malignità. Il romanzo ha una costruzione bipolare. È corale perché ci sono molti personaggi, ma manca la presenza di un protagonista. Ci sono due punti di vista opposti: i Malavoglia che hanno valori puri e la comuità del paese, cinica e pettegola. Il romanzo ha una costruzione problematica perché vengono messi a confronto due punti di vista dello stesso autore: il verismo e il romanticismo. IL MONDO ARCAICO E L'IRRUZIONE DELLA STORIA (cap. 1) Ad Aci Trezza, un piccolo paesino presso Catania, in Sicilia, vive una famiglia di pescatori, i Toscano, soprannominati da tutti Malavoglia. Capo famiglia è padron 'Ntoni, ci sono poi il figlio Bastianazzo con la moglie Maruzza, soprannominata Longa, e i figli: 'Ntoni, il maggiore, di vent'anni, Luca, Mena, soprannominata Sant'Agata perché passa tutto il suo tempo al telaio, Alessi e la piccola Lia. Il quadro familiare è quindi variegato: Bastianazzo ha ereditato la forza e la dedizione al lavoro da padron 'Ntoni; 'Ntoni è da subito un giovane buono ma sfaticato. I Malavoglia, dal punto di vista sociale, sono dei "possidenti" poiché, oltre alla casa del nespolo, sono i proprietari della "Provvidenza", una barca da pesca. L'ordine della famiglia viene turbato quando 'Ntoni riceve la chiamata per fare il militare: quest'evento priva la famiglia di una vitale forza-lavoro. Essendo in un periodo di ristrettezze e pensando di fare un affare, padron 'Ntoni, con la mediazione di Piedipapera, acquista a credito dal ricco zio Crocifisso, l'usuraio del paese, un carico di lupini e manda Bastianazzo con la Provvidenza, a venderli a Riposto. Con lui parte pure Menico. LE "NOVELLE RUSTICANE", "PER LE VIE" E "CAVALLERIA RUSTICANA" Tra il 1° e il 2° romanzo del ciclo dei vinti passano 8 anni, in questo intervallo Verga pubblica "il marito di Elena", che analizza le inquietudini di una moglie che con le sue ambizioni conduce il fedele marito alla rovina. Nel 1883 escono le "novelle rusticane" con personaggi e ambienti della campagna siciliana con prospettiva pessimistica, portando in primo piano le azioni dell'uomo condizionate dall'aspetto economico. Nelle novelle "per le vie" viene analizzato lo stesso concetto. Nel 1884 pubblica un testo teatrale drammatico, "cavalleria rusticana", tratto da "vita dei campi", che ottiene molto successo. LA ROBA (dalle Novelle rusticane) La roba è un esempio classico della narrazione impersonale di Verga per il suo verismo. Viene raccontato di un anonimo viaggiatore che osserva il paesaggio siciliano e inizia a domandare in giro a chi appartengano tutti quei terreni ricevendo la stessa risposta da tutti: "di chi sono quelle terre? "- "Di Mazzarò". Allora il viaggiatore riferisce le proprie impressioni sulle risposte della gente, portando la narrazione alla descrizione fisica e caratteriale del protagonista che dà avvio al racconto: Pareva che Mazzarò fosse disteso tutto grande per quanto era grande la terra, e che gli si camminasse sulla pancia. Invece egli era un omiciattolo, diceva l'infermiere, che non gli avreste dato un baiocco, a vederlo; era grasso e non aveva altro che la pancia, e non si sapeva come facesse a riempirla, perché non mangiava altro che un po' di pane; era molto ricco, ma aveva la testa ch'era un brillante, quell'uomo. Come si può vedere dalla descrizione, Mazzarò è un uomo che, nonostante l'immensa ricchezza accumulata, continua a vivere esattamente come quando faceva il bracciante. Uomo di intelligenza fine e grande forza di volontà, Mazzarò è privo di vizi e dedica la propria vita al lavoro senza curarsi minimamente di tutto quanto altro la vita possa offrirgli. Egli ha infatti sviluppato uno strano tipo di avidità: non è il denaro ad attrarlo, ma la "roba", ossia i beni materiali, i terreni, i palazzi, gli oggetti e quant'altro. Ciò che non è roba non ha per lui la minima importanza ed egli sa che la sua ascesa sociale è dovuta alla sua indole per il lavoro e per il risparmio. Le cose cominciano per lui a mettersi male con l'avanzare dell'età: comincia a rendersi conto del fatto che tutta la sua "roba" sarebbe rimasta senza padrone. Ma Mazzarò è un uomo che negli anni ha rinunciato a ogni affetto personale e si è guadagnato, con la sua avidità, solo la paura o il disprezzo dei suoi dipendenti. L'impossibilità di individuare un erede e la coscienza di non poter avere più tempo per contemplare le sue vigne, oliveti e terreni finiscono per rendere Mazzarò completamente pazzo. La novella si conclude con la follia del protagonista, che fugge sbraitando da casa, ormai in punto di morte, verso i suoi allevamenti, prendendo a bastonate i suoi animali e gridando disperato "roba mia, vientene con me." MASTRO-DON GESUALDO Esce nel 1889 ed è il 2° romanzo del ciclo dei Vinti. Il racconto è ambientato nei primi decenni dell'800, con l'Italia preunitaria, nella cittadina di Vizzini (Catania). Gesualdo Motta era un semplice muratore, con la sua intelligenza riesce ad accumulare una fortuna. All'inizio del racconto la sua ascesa sociale sarebbe assicurata col matrimonio di Bianca Trao (nobile in rovina), ma nonostante questo rimane escluso dalla società nobiliare che lo disprezza per le origini. Lo chiamavano mastro-don perché don vuol dire signore e mastro sta a indicare la sua umile provenienza. Anche la moglie non lo ama e lo respinge. Nasce una bambina, Isabella, che è figlia di Bianca e un suo cugino. Anche Isabella crescendo respinge Gesualdo. I nobili, nel 1848, spingono il popolo a odiare Gesualdo, che riesce a salvarsi per poco dalla folla. Isabella gli provoca altro male innamorandosi di un cugino povero e fuggendo con lui, per sistemare le cose Gesualdo la da in sposa a duca de Leyra, dandogli una notevole dote. Tutte queste sventure gli provocano un cancro al piloro. Viene accolto nel palazzo del genero a Palermo, ma le sue rozze maniere viene messo in disparte. Gesualdo, infine, muore da solo. In questo testo Verga rimane fedele al principio di impersonalità, ma cambia il livello sociale, infatti viene scritto di un ambiente borghese e aristocratico; perciò anche il livello del narratore si alza, andando a coincidere con quello dell'autore reale, il narratore ha uno sguardo lucidamente critico. Nel Gesualdo, al contrario dei Malavoglia, c'è una figura protagonista al centro dell'attenzione che risalta dallo sfondo; la maggior parte della narrazione è focalizzata su di lui, quindi vediamo i fatti come li vede lui, questo avviene grazie al discorso indiretto libero. Al contrario dei Malavoglia, in questo testo il conflitto tra due idee diverse è racchiuso in un unico personaggio: necessità di relazioni umane autentiche e l'attenzione per l'interesse economico. Gesualdo sceglie la "roba" al posto dei rapporti umani, segnando la sconfitta umana. Dalla sua lotta per la "roba" ricava solamente odio, amarezza e dolore, tutto ciò lo porta poi alla morte. Parte di lui ha ancora l'esigenza di affetti e moti generosi, per questo prende conoscenza del suo fallimento. Infatti da questa storia ne esce vincitore materialmente ma vinto sul piano umano. LA MORTE DI MASTRO-DON GESUALDO Gesualdo Motta, abbandonato da tutti e tutto, muore solitario nel palazzo del genero, il duca de Leyra, marito di Isabella, la figlia che lui aveva adottato da Bianca. Il protagonista rimane consapevole della sua situazione, sia fisica che emotiva, quindi ordina ad un domestico di avvertire Isabella ma purtroppo la giovane verrà informata una volta che la morte è già avvenuta. Persino il domestico si dimostra infatti insensibile di fronte alla condizione del protagonista, anzi si sente proprio esasperato, come se desiderasse che il suo decesso avvenisse nel minor tempo possibile, infatti Verga descrive Gesualdo con i suoi "sibili, guati rauchi" e anche il suo "rantolo" che gli impedisce di dormire. Già da questo episodio, è facile capire come i protagonisti di questo capitolo siano effettivamente i servi, la cui massiccia presenza però non diventa un coro tragico o solenne, bensì si dimostrano in mala fede attuando una sorta di verdetto di condanna nei confronti di Gesualdo, per la sua vita all'insegna di limiti, rinunce che alla fine si sono rivelati completamente inutili, dato che si trova a morire da solo. Appare come se la servitù si rifiutasse di riverire il protagonista in quanto realmente non aristocratico, le sue origini erano infatti umili: era semplicemente un muratore che si era costruito la propria fortuna, e questo aspetto viene rivelato in parole che esprimono la volontà di servire "quelli che realmente sono nati meglio". Le generazioni che avevano infatti preceduto Gesualdo erano tutte umili, e quindi per i domestici, anche per don Leopoldo che è incaricato di vegliarlo fino alla morte, non era degno di morire "nella battista come un principe". Tuttavia, nelle loro parole emerge anche un'assoluta ingratitudine, in quanto i loro stipendi erano proprio garantiti dalla roba che il protagonista aveva accumulato in vita, presentano dunque una visione tipicamente immobilistica della storia, ideologia che segue l'ideale dell'ostrica, per cui una persona è obbligata a sottostare alle condizioni e allo status sociale in cui nasce. Non a caso, Verga racconta l'agonia finale dal punto di vista di don Leopoldo, che addita il protagonista come "quell'accidenti di malato" e si mostra irritato dalla sua sofferenza. Anche il momento della vera e p morte avviene tramite una focalizzazione esterna "a un tratto s'irrigidì e si chetò del tutto" tra l'indifferenza di alcuni e il sollievo di altri, sempre don Leopoldo infatti lo vede morire e poi con calma si veste e inizia a mettere in ordine la camera. L'ULTIMO VERGA Dopo Gesualdo, Verga, lavora a lungo sul terzo romanzo ma non venne mai concluso, a causa della poca ispirazione, la stanchezza e difficoltà di affrontare i temi dell'alta società con il suo metodo, il quale andava incontro a innovazioni nei primi del 900. Dal 1893 torna a Catania lasciando Milano, segnando così la rinuncia alla letteratura. Successivamente scrive ancora tre opere: "I ricordi del capitano d'Arce", "Don Candeloro & C." e "Dal tuo al mio".