Gregorio VII e la riforma della chiesa
Gregorio VII ha giocato un ruolo fondamentale nella lotta per le investiture, portando a una riforma della Chiesa che ha rafforzato il potere decisionale del Papa e ha affermato il suo primato su qualsiasi altra autorità. Il suo decreto del 1075 proibì agli laici di investire ecclesiastici e formulò i principi teocratici nel testo dictatus papae, sottolineando l'infallibilità della Chiesa Romana e l'insindacabilità del pontefice.
Lo scontro con Enrico IV
Enrico IV non accettò le disposizioni papali e convocò a WORMS un'assemblea di vescovi, dichiarando Gregorio decaduto. In risposta, il Papa scomunicò l'imperatore, che a sua volta, nel 1077, temendo di perdere il regno, chiese perdono a Gregorio, umiliandosi a Canossa con l'intercessione della contessa Matilde. Tuttavia, Enrico elegge come antipapa il vescovo Clemente III, provocando una seconda scomunica da parte di Gregorio.
La situazione si intensifica
Di fronte a questo, l'imperatore decise di rispondere con le armi, arrivando a occupare Roma nel 1083. Solo l'intervento di Roberto il Guiscardo, in aiuto al Papa, costrinse Enrico alla ritirata. La lotta per le investiture continuò fino a quando Enrico V e Callisto II raggiunsero un accordo nel 1122 (Concordato di Worms).
Accordi e compromessi
L'accordo prevedeva che l'imperatore accettasse che la nomina dei vescovi spettasse al clero e l'investitura spirituale al Papa, mentre la Chiesa riconosceva all'imperatore il diritto di cedere e revocare i benefici feudali a vescovi e abati. Inoltre, il Papa assunse il titolo di Vicario del Cristo, affermando ulteriormente il potenziamento burocratico della Curia.
In conclusione, la lotta per le investiture fu un periodo di conflitto tra la Chiesa e il potere temporale, che si risolse con un compromesso tra Papa e imperatore, garantendo una certa indipendenza e sovranità a entrambe le istituzioni.