La crisi dell'impero romano rappresenta uno dei periodi più complessi e significativi della storia antica, caratterizzato da profondi cambiamenti politici, economici e sociali che segnarono il declino della più grande civiltà del mondo antico.
Durante il II secolo d.C., l'impero romano raggiunse la sua massima espansione sotto l'imperatore Traiano, estendendosi dall'Britannia fino all'Egitto, dalla Spagna fino al Mar Caspio. Questo periodo di grande splendore fu seguito da una fase di progressivo declino, iniziata nel III secolo d.C. Le cause della crisi furono molteplici: l'instabilità politica dovuta alle continue lotte per il potere tra gli aspiranti imperatori, le crescenti difficoltà economiche causate dall'inflazione e dalla svalutazione della moneta, e le pressioni dei popoli barbarici ai confini dell'impero. Un momento cruciale fu rappresentato dall'editto di Caracalla (212 d.C.), conosciuto anche come Constitutio Antoniniana, che concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi dell'impero.
La crisi si manifestò in modo particolare durante il III secolo d.C., quando l'impero dovette affrontare una serie di problemi interconnessi. Le continue guerre di difesa contro i popoli germanici e l'impero persiano prosciugarono le risorse dello stato. L'economia entrò in una spirale negativa, con un drastico calo della produzione agricola e commerciale. La società romana si trasformò profondamente: le città persero importanza a favore delle campagne, dove i grandi proprietari terrieri costruirono veri e propri centri di potere autonomi. Il sistema amministrativo divenne sempre più inefficiente e corrotto, mentre l'esercito, composto in gran parte da mercenari stranieri, perse gradualmente la sua antica disciplina e fedeltà. Questi cambiamenti portarono a una progressiva trasformazione dell'impero, che culminò nelle riforme di Diocleziano alla fine del III secolo, segnando il passaggio all'età tardoantica.