Il dibattito sulla decadenza dell'eloquenza: altre voci
Il tema della decadenza dell'eloquenza non è esclusivo di Petronio ma coinvolge numerosi intellettuali dell'epoca, ciascuno con la propria interpretazione delle cause e possibili rimedi.
Quintiliano nella sua Institutio oratoria individua le cause sia nella scuola, dove gli insegnanti non stimolano adeguatamente gli studenti, sia nella degenerazione dei costumi familiari. Come soluzione, propone di tornare al modello ciceroniano e riprende la definizione catoniana dell'oratore come "vir bonus dicendi peritus" (uomo valente dai sani principi, esperto nell'eloquenza). Per Quintiliano, il bravo retore deve saper collaborare con il potere imperiale.
Seneca il Vecchio attribuisce la colpa alla mancanza di moralità e alla mollezza delle nuove generazioni, incapaci di formarsi adeguatamente. Seneca il filosofo, nella lettera 114 a Lucilio, stabilisce un nesso tra decadenza linguistica e immoralità: quando la vita diventa sfrenata, anche il linguaggio perde la sua forza, diventando oscuro e snervato.
🔍 La riflessione più originale viene da Tacito che nel Dialogus de oratoribus stabilisce un collegamento fondamentale tra eloquenza e libertà politica: senza libertà, l'oratoria diventa un vuoto esercizio privo di reale impatto.
Nel Dialogus de oratoribus, opera attribuita a Tacito, diversi personaggi dibattono sul tema. Marco Apro difende lo stile contemporaneo, sostenendo che non vi è decadenza ma solo adattamento ai tempi. Messalla si allinea a Quintiliano, individuando le cause nel sistema scolastico e nell'educazione familiare. Infine, Curiazio Materno offre la riflessione più profonda: paragona l'oratoria a una fiamma che necessita di libertà politica per essere alimentata. Nel principato, dove le decisioni sono prese da un solo individuo, l'eloquenza pubblica perde la sua funzione e diventa inevitabilmente un esercizio futile.