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L'età preletteraria latina
L'età preletteraria latina

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Angelo Asselti
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Caratteristiche principali e inquadramento generale del contesto storico delle origini della letteratura latina
3ªl
Appunto
ETÀ PRELETTERARIA LATINA Con l'espressione età preletteraria latina si indica comunemente quella fase della storia della letteratura latina che va dalla fondazione di Roma all'avvento della fase letteraria propriamente detta, il cui inizio suole essere identificato con la rappresentazione nel 240 a.C. del primo dramma teatrale scritto in lingua latina, per opera di Livio Andronico, per celebrare la vittoria romana della Prima guerra punica. Durante tale periodo, cui corrispondono l'età regia e la prima età repubblicana, Roma, il cui nucleo originario era formato da abitanti di stirpe latina, ebbe modo di accogliere le influenze provenienti dagli altri popoli della penisola italica con cui ebbe contatti, quali gli Etruschi, i Sabini, gli Osci e i coloni della Magna Grecia. Poté dunque svilupparsi una fiorente produzione di testi a prevalente carattere orale, privi di finalità letteraria. Contesto storico e caratteristiche letterarie Il periodo delle origini della letteratura latina comprende convenzionalmente l'intervallo di tempo che va dalla fondazione di Roma, tradizionalmente fissata per il 21 aprile del 753 a.C., fino al termine della Prima guerra punica, con cui Roma assume il dominio dell'intera penisola italica. Nel 240 a.C. Livio Andronico, liberto di stirpe greca, fece rappresentare la prima vera opera teatrale della latinità, per celebrare la vittoria romana della Prima guerra punica. Il motivo principale secondo cui la letteratura...
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latina nacque solo cinquecento anni dopo la fondazione della città, risiederebbe nel fatto che Roma rimase per molti secoli un piccolo Stato agricolo, fondato su un'aristocrazia di piccoli proprietari terrieri in una società altamente militarizzata. Le continue guerre per il dominio di nuovi territori, mal si conciliava, infatti, con lo sviluppo della fantasia e la creatività letteraria. La letteratura latina poté, pertanto, nascere solo quando Roma ebbe il sopravvento sull'intera Italia peninsulare, e quindi su molte città della Magna Grecia, che furono inglobate insieme alla loro cultura ellenistica (vedi guerre pirriche) e quindi Roma, dopo la conquista della Magna Grecia, ebbe un contatto prima di scontro e poi di incontro con gente di cultura greca. In effetti le forme della letteratura latina sono per la maggior parte derivate da quella greca. Ciò non significa che la letteratura latina non riuscì, col tempo, ad affermare una sua propria originalità, certamente partendo da una prima fase di imitazione di quanto i Greci erano riusciti a costruire in secoli della loro storia. Vero è anche che la letteratura latina fu influenzata non solo dai Greci del Sud della penisola italica, ma anche dagli Etruschi (a Nord), che dominarono Roma per almeno un secolo. Questi ultimi, influenzarono enormemente la città latina, soprattutto nella concezione religiosa, ossessionati com'erano dal pensiero della morte, dall'oltretomba, immaginato con caratteri assai spaventosi, oltreché dall'arte degli aruspici e degli auguri. Lingua e primi documenti linguistici La lingua latina, appartenente al ceppo occidentale delle lingue indoeuropee, nacque come parlata regionale del Latium, ma si estese poi alle terre sotto il dominio di Roma, arricchendosi tramite gli influssi italici, etruschi e greci. L'alfabeto latino, che iniziò a diffondersi attorno al VII secolo, come testimoniano le iscrizioni ritrovate su alcuni oggetti di uso quotidiano o su lastre di pietra, derivò da quello greco di Cuma tramite la mediazione degli Etruschi; la scrittura, inizialmente da destra verso sinistra, assunse gradualmente andamento bustrofedico per poi divenire definitivamente orientata da sinistra verso destra. 1 Tra VII e VI secolo a.C., sotto il regno dei Tarquini, la diffusione della scrittura conobbe un forte impulso; Roma tuttavia rimase fino alla fine dell'età regia sostanzialmente bilingue, con la coesistenza della lingua etrusca accanto al latino. È attestata, attorno al IV secolo a.C., la presenza nell'Urbe di scribae professionisti, al servizio dei magistrati incaricati dell'amministrazione statale; contemporaneamente, la lingua latina era adoperata per scopi di natura giuridica o sacrale, seppure non esistesse una reale cultura letteraria. Caratteristica di tale lingua, ancora instabile sul piano della grafia, era la sintassi semplice ed elementare, prevalentemente paratattica. L'origine dei vocaboli, talvolta derivati direttamente dalle lingue dei popoli limitrofi, era quella rurale e agreste; solo nel III secolo a.C., tramite il contatto con la letteratura e la filosofia greca, il latino poté acquisire un vocabolario tecnico e concettuale più ampio e complesso. Nella Roma arcaica del VII secolo a.C. era già diffusa la scrittura, sia per uso privato che pubblico: a testimoniarlo sono i rari documenti epigrafici rinvenuti, scritti in maniera poco chiara con caratteri alfabetici di derivazione greca, a conferma dell'influenza che ebbero le città della Magna Grecia sulla cultura romana. Esempi dei primi documenti linguistici latini sono l'iscrizione bustrofedica (da destra a sinistra e viceversa, come il solco di aratro trainato da buoi) del lapis niger, scoperto nel Foro romano nel 1899; l'iscrizione del vaso di Dueno, scoperto nel 1880 e risalente al VI secolo a.C.; il lapis Satricanus, una pietra proveniente dall'antica città di Satricum (Lazio meridionale) che riporta una dedica di un dono votivo Mamartei, "a Marte". Più recenti sono la coppa di Civita Castellana (V-IV secolo a.C.) e la Cista Ficoroni (IV-III secolo a.C.), che riportano iscrizioni facilmente decifrabili rispetto a quelle più arcaiche. [¹4] La fibula Praenestina, invece, che reca un'iscrizione da destra a sinistra in caratteri grecizzanti e che un tempo veniva datata ad una data anteriore al VI secolo a.C., è stata considerata un falso dall'archeologa fiorentina Margherita Guarducci. Produzione di documenti preletterari Sono considerati documenti preletterari alcuni testi latini arcaici, orali e scritti, rinvenuti per via epigrafica su vari supporti, oppure tramandati per via letteraria, che risalgono a un'epoca compresa tra gli inizi documentati della lingua latina e la fine del III secolo a.C.. I documenti letterari di questo lungo periodo possono essere, poi, suddivisi in documenti ufficiali (in prevalenza di natura religiosa) e documenti privati (tra cui le iscrizioni funebri).[¹2] Si tratta di testi di vario genere, alcuni definibili "protoletterari", altri di carattere puramente occasionale, non facenti parte delle prime opere della letteratura latina, la cui nascita coinciderebbe con le prime opere scritte di Livio Andronico (metà del III secolo a.C.). I testi latini arcaici propriamente detti testimoniano in modo più o meno fedele le fasi linguistiche più arcaiche del latino. L'arco cronologico di queste attestazioni non si spinge oltre il 240 a.C., ritenuta solitamente la data approssimativa dell'inizio della letteratura latina. FORME ORALI TESTI RELIGIOSI Carmina Il carmen (da canere= cantare) era una forma religiosa in versi, in bilico tra poesia e prosa, caratterizzata da ripetizioni foniche, utilizzata presso i Romani per accompagnare un rito in tono solenne e dal carattere propiziatorio, augurale. In latino il termine Carmen va spesso a indicare generi diversi dalla poesia, come i responsi profetici, le formule magiche o di incantesimo. Pertanto i poeti che definivano la propria poesia carmen potevano voler indicare una connessione con un ambito magico-sacrale. Perfino le sentenze delle leggi delle XII tavole furono definite carmina. 2 Venivano trasmessi oralmente di generazione in generazione. Di questa produzione, che doveva costituire un patrimonio assai consistente, conosciamo soltanto alcuni testi che sono stati messi per iscritto in età molto più tarda rispetto alla loro origine. Essi sono documenti preziosi di cerimonie e riti più antichi e s'inquadrano in una concezione pragmatica, utilitaristica e formalistica della religione. Ricordiamo il Carmen Lustrale, Carmen Arvale e il Carmen Saliare. Il Carmen Lustrale era un carme preletterario latino consistente in una preghiera rituale del culto privato rivolta al dio Marte, dove il pater familias rivolgeva alla divinità questa preghiera per ottenerne, in cambio, la protezione e la purificazione (lustratio) degli arva, i campi coltivati, dalle forze e dagli spiriti maligni. Il Carmen Arvale era un canto liturgico tradizionale dei Fratelli Arvali (Fratres Arvales), un antico collegio sacerdotale romano, recitato come purificazione dei campi (Ambarvalia)agli inizi di maggio oppure recitato a marzo e ottobre, periodo di inizio e fine delle campagne militari, dai sacerdoti Salii (conosciuti anche come i "sacerdoti saltellanti"), per ingraziarsi il favore degli di Marte. In quest'ultimo rito i sacerdoti, eseguivano le loro danze sacre e cantavano danzando e percuotendo i loro dodici scudi sacri (ancilia). TESTI CELEBRATIVI E PRIVATI Carmina convivalia venivano poi chiamati quei canti, in versi saturni, che venivano intonati durante i banchetti di famiglie aristocratiche per celebrare le glorie degli antenati della gens oppure i Carmina triumphalia, che venivano improvvisati dai soldati, per inneggiare il trionfo del loro comandante vittorioso. Il Carmen Nelei (Carme di Néleo), composizione drammatica, era un'anonima opera letteraria mitologica latina di età arcaica, di cui restano pochi frammenti. Si trattava di un carmen convivalium testo di argomento prevalentemente epico o leggendario che veniva recitato durante i banchetti presso le case delle più prestigiose famiglie romane, di cui abbiamo notizia, assieme al Carmen Priami. A differenza del Carmen Priami (che narrava della presa di Troia, collegandosi alle leggendarie origini di Roma), il Carmen Nelei non era composto di versi saturni, ma di senari giambici. Non è possibile stabilire con sicurezza quando l'opera fu scritta, probabilmente tra il III e il II secolo a.C., tuttavia essa testimonia l'esistenza di una materia epica a Roma anche nella fase preletteraria. Laudationes funebres La laudatio funebris (lett. lode funebre) era l'orazione che veniva pronunciata presso i romani in memoria di un defunto, durante la cerimonia funebre. Il rito del funerale prevedeva più fasi, tra cui una processione durante la quale i familiari del defunto esponevano le imagines dei loro antenati, mentre donne appositamente pagate (praeficae) intonavano i lamenti funebri, detti neniae e spesse volte urlavano e si si graffiavano le guance e si strappavano i capelli in segno di disperazione per il lutto. Vi era quindi la laudatio, recitata normalmente da parte del figlio del defunto o di un suo parente, che esaltava anche la gens di partenenza. IL TEATRO PRELETTERARIO Nel mondo greco-italico si assiste alla fioritura di spettacoli teatrali fin dal VI secolo a.C. nei quali prevale l'aspetto buffonesco. In Magna Grecia e Sicilia dalla fine del V al III secolo a.C. si diffonde la farsa fliacica, commedia popolare, in gran parte improvvisata in cui gli attori-mimi erano provvisti di costumi e maschere caricaturali. Tutto quello che ne è rimasto sono le raffigurazioni su vasi, ritrovate nei pressi di Taranto, il cui studio ha permesso solo una parziale ricostruzione del genere. Nel 364 a.C., durante i ludi romani fu introdotta per la prima volta nel programma della festa una forma di teatro originale, costituita da una successione di scenette farsesche, contrasti, parodie, canti e danze. Tito Livio, in Ab Urbe condita libri, racconta come in quell'anno (364 a.C.) i Romani, non riuscendo a debellare una pestilenza, decisero di inserire, per placare l'ira divina, anche ludi scenici, 3 per i quali fecero venire appositamente dei ludiones (cioè artisti e danzatori), dall'Etruria. Queste manifestazioni, per lo più considerate come bassi divertimenti popolari, subirono la severità dei legislatori dell'epoca. Il carattere licenzioso e gli attacchi a personalità di spicco dell'epoca incorsero nello sfavore delle autorità, che misero dei limiti a queste rappresentazioni, con leggi austere a difesa dei costumi romani e persino la proibizione di posti a sedere nei teatri. Atellana L'Atellana, farsa popolaresca di origine osca, fu importata a Roma nel 391 a.C. da Atella, città campana: prevedeva maschere ed era caratterizzata dall'improvvisazione degli attori su un canovaccio. Era uno spettacolo in cui gli attori interpretavano di solito quattro ruoli fissi, improvvisando su un intreccio di base (trica): il vecchio stupido (Pappus), lo scimunito (Maccus), il cialtrone (Bucco), il gobbo furbo (Dossennus). Le atellane ebbero molto successo a Roma, esercitando un'influenza notevole sulla successiva produzione teatrale. Fescennini I versi fascennini, tipicamente popolari, erano la più antica forma di arte drammatica presso i Romani. Di derivazione etrusca, non ebbero mai una vera e propria evoluzione teatrale, ma contribuirono alla nascita di una drammaturgia latina. Secondo il grammatico Festo, il termine "fescennini" avrebbe due diverse origini. Secondo la prima, esso deriverebbe dalla città di Fescennium, al confine fra Etruria e Lazio, dove si svolgevano feste agresti per il raccolto ed era radicato l'uso di festeggiare per l'abbondanza del raccolto scambiandosi dei versi in forma sboccata e licenziosa, come ringraziamento alla divinità fallica. Per la seconda, invece, il nome avrebbe origine da fascinum, che significa al tempo stesso "malocchio" e "membro virile", in riferimento alle maledizioni che venivano lanciate sui carri (che trasportavano l'uva) degli altri agricoltori durante la vendemmia. Questo genere letterario sarebbe quindi il risultato o dell'influenza etrusca nella cultura romana o il tentativo di esorcizzare il forte timore che i romani avevano per il malocchio scherzando su di esso ed irridendolo con il fallo. Satura drammatica Lo spirito farsesco dei fescennini e delle rappresentazioni di musica e danza etrusche generò la prima forma drammaturgica latina di cui abbiamo notizia: la satura. "Satura quidem tota nostra est" (Institutio oratoria, X, 1.93), diceva con orgoglio Quintiliano nel I secolo: rispetto ad altri generi importati, la satira (letteralmente miscuglio) è totalmente romana. Questo genere consisteva in una rappresentazione teatrale mista di danze, musica e recitazione. FORME SCRITTE Iscrizioni La più famosa iscrizione del periodo rimane quella del Lapis Niger nel Foro romano a Roma (dove si dice che sia morto Romolo e poi asceso al cielo con il nome di Quirino), su un cippo mutilo a forma piramidale in un alfabeto latino arcaico, cioè coi caratteri alfabetici di derivazione greco-etrusca, con andamento bustrofedico (alternativamente, da sinistra a destra e da destra a sinistra, come si muovono i buoi quando arano il campo). Si tratta di una prescrizione di carattere religioso, forse un divieto di passaggio sul luogo, pena altrimenti la consacrazione agli dèi inferi (SAKROS ESED, vi si legge, cioè SACER SIT); probabilmente esisteva nel sito un antico sepolcro incluso ormai nell'abitato, che non doveva essere profanato per nessun motivo. Fino alla dimostrazione di falso storico di fine 800 (e non risalente al VII-VI sec. a.C.), anche se studi più recenti ne dimostrano il contrario, della Fibula praenestina, una spilla rinvenuta a 4 Palestrina, l'antica Preneste, questa è sembrata essere la più antica iscrizione latina mai rinvenuta, risultando di ardua comprensione. A queste iscrizioni possiamo aggiungere quelle incise su vasellame: il Vaso di Duenos (forse si voleva indicare l'aggettivo bonus), vaso d'argilla dato dall'unione di tre vasetti, risalente al VI o V sec. a.C. e la Cista Ficoroni, datata IV sec. a.C., così detta dal cognome dello scopritore, un vaso cilindrico di bronzo, forse urna cineraria, con un'iscrizione riportata sul coperchio. Hentbe HEMEDD Fibula prenestina 16 161104 Il vaso di Dueno 5 os Lapis niger 6 Cista Ficoroni GLI SCRITTI GIURIDICI Leggi delle XII Tavole Le Leggi delle XII tavole (Duodecim tabularum leges), che Tito Livio definì la fonte di ogni diritto pubblico e privato; redatte da una commissione di dieci magistrati (i Decemviri legibus scribundis) nel biennio 451-450 a.C., rappresentano il primo documento di prosa organizzata del periodo delle origini. Rappresentano la prima redazione scritta di leggi nella storia di Roma. Si racconta che i decemviri, prima di comporle, studiarono attentamente la legislazione greca, forse delle vicine città della Magna Grecia. Sotto l'aspetto della storia del diritto romano, le Tavole si considerano le più antiche fonti insieme ai mores ed alla lex regia. Secondo la versione tradizionale, tramandata dagli storici antichi, la creazione di un codice di leggi scritte sarebbe stata voluta dai plebei nel quadro delle lotte tra patrizi e plebei che si ebbero all'inizio dell'epoca repubblicana. In particolare, i plebei chiedevano un'attenuazione delle leggi contro i debitori insolventi e leggi scritte che limitassero l'arbitrio dei patrizi nell'amministrazione della giustizia. In quell'epoca, infatti, l'interpretazione del diritto era affidata al collegio sacerdotale dei pontefici, che era di esclusiva composizione patrizia. Annales maximi Gli Annales Maximi o Annales Pontificis Maximi erano una raccolta di annales pontificum, in seguito raccolta e pubblicata in 80 libri dal pontifex maximus Mucio Scevola nel 130 a.C. Gli annales pontificum erano antichi archivi pubblici della città di Roma che trattavano dei fatti 7 più rilevanti accaduti anno per anno. Il pontefice massimo era l'autorità che metteva per iscritto gli avvenimenti di ogni anno, esponendoli al popolo su una tavola bianca (tabula dealbata) presso la sua dimora, in modo che tutti potessero prenderne visione. Su questa tavola bianca venivano annotati in genere i fatti più salienti della vita sociale e politica della città di Roma. Fasti I Fasti consulares conservati nel Palazzo dei Conservatori, nella sala della lupa in Campidoglio. I pontefici redassero un calendario civile, i fasti, di fondamentale importanza per i romani: in esso venivano segnati i giorni fasti, cioè quelli in cui era possibile dedicarsi alle attività pubbliche, e i giorni nefasti, in cui ciò non era lecito per motivi di natura religiosa. I fasti consulares erano trascritti gli elenchi di fatti storici rilevanti, appuntati annualmente dai consoli in carica. Su di essi venivano registrati tutti i fatti e gli avvenimenti ritenuti importanti per la storia di Roma durante l'anno consolare, compresa l'elezione di nuovi magistrati. I consoli erano tenuti a tenere queste scritture ed a presentarle di anno in anno al senato. I fasti triumphales erano invece un elenco annuale dei trionfi effettuati dai magistrati nell'antica Roma. Contenevano l'elenco dei generali vittoriosi dalla fondazione di Roma fino al principato di Augusto. Sono conservati in una più ampia iscrizione presso i Musei Capitolini a Roma. Elogia Gli Elogia erano dei testi elogiativi, spesso in versi saturni, scritti sulle tombe dei defunti, del tutto simili a una laudatio funebris ( che erano legate al patrimonio dell'oralità) ma più brevi. Contenevano brevi informazioni sulla carriera politica e sulle origini familiari del defunto. Essi venivano usati per lodare le imprese del defunto. I più antichi da noi conosciuti sono quelli della famiglia degli Scipioni trovati nel loro sepolcro sulla Via Appia. Autore del periodo: Appio Claudio Cieco Unico autore di questo periodo preletterario sembra sia stato il grande uomo politico degli inizi del III secolo a.C., Appio Claudio Cieco, del quale ci è giunta una raccolta di Sententiae, in versi saturni, precetti e massime a carattere moraleggiante e filosofeggiante, particolarmente apprezzate dal filosofo greco Panezio, nel II secolo a.C. Secondo un'informazione fornita da Cicerone, Appio Claudio avrebbe risentito dell'influenza della dottrina pitagorica, mentre risulta oggi più probabile che le sue massime siano da collegarsi ai versi sentenziosi della contemporanea commedia nuova greca. Nell'opera, di cui ci sono giunti esclusivamente tre frammenti, Appio Claudio sviluppava argomenti vari di carattere sapienziale; particolarmente importante risulta la risoluzione che egli propose per alcuni problemi dell'ortografia latina, quali l'applicazione del rotacismo, ovvero la trasformazione della "s" intervocalica in "r", e l'abolizione dell'uso della "z" per indicare la "s" sonora. Risulta probabile che l'intera opera fosse scritta in versi saturni, come due dei tre frammenti di cui disponiamo. 8