Il De oratore: la formazione dell'oratore perfetto
Cicerone si dedicò anche a importanti opere di retorica, tra cui spicca il De oratore, un dialogo in tre libri scritto nel 55 a.C. che rappresenta la sua riflessione più matura sull'arte oratoria. La forma è quella del dialogo platonico-aristotelico, ambientato nel 91 a.C. nella villa di Crasso a Tuscolo.
Nel primo libro, Crasso (portavoce delle idee di Cicerone) sostiene che il grande oratore debba possedere un'ampia cultura politica, filosofica e giuridica. Antonio, suo interlocutore, ribatte sostenendo l'importanza delle doti naturali e dell'istinto. Il dibattito prosegue con l'analisi delle qualità essenziali dell'oratore: predisposizione naturale, intelligenza viva, memoria tenace e passione per l'eloquenza.
Nel secondo libro, Antonio esamina le parti tecniche della retorica: l'inventio (ricerca degli argomenti), la dispositio (organizzazione del discorso) e la memoria (tecniche mnemoniche). Sottolinea l'importanza della pratica forense e dell'imitazione dei modelli più che della cultura teorica.
Nel terzo libro, Crasso risponde analizzando l'elocutio (lo stile) e l'actio/ornatus (dizione, tono della voce e gestualità), completando così il quadro dell'oratore ideale: una figura dalla cultura universale, padrone di tutte le tecniche retoriche, capace di adattarsi a ogni situazione.
Eredità culturale: Il De oratore non è solo un manuale di retorica, ma un'opera che delinea un ideale umano e culturale. Per Cicerone, l'oratore perfetto è anche il cittadino perfetto, capace di guidare la società con la forza della parola e la profondità del pensiero.