Il patto d'amore e la sua rottura
Per Catullo, l'amore non è solo passione ma anche patto sacro. Nel carme 109, il poeta parla di un foedus (patto) suggellato dalla fides (lealtà), termini che appartengono al linguaggio politico e religioso romano. Catullo auspica che il loro amore possa essere un "aeternum sanctae foedus amicitiae" (eterno patto di sacra amicizia), trasferendo questi concetti dal piano istituzionale a quello personale.
L'infedeltà di Lesbia porta però alla crisi di questo ideale. Nel celebre carme 85, in soli due versi Catullo esprime la sua condizione lacerante: "Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior" (Odio e amo. Perché lo faccia, forse ti chiedi. Non lo so, ma sento che succede e ne sono tormentato).
Nel carme 8, Catullo si esorta a prendere atto della fine della relazione: "Miser Catulle, desinas ineptire, et quod vides perisse perditum ducas" (Misero Catullo, smetti di essere folle e considera perduto ciò che vedi che è perduto). Il poeta alterna momenti di determinazione a ricadute nella nostalgia, rendendo con grande efficacia il conflitto interiore.
Aspetto interessante: Catullo distingue tra amor (amore sensuale) e bene velle (lato affettivo), evidenziando come l'infedeltà di Lesbia abbia spento il secondo, mentre il primo persiste in modo morboso.
Il tema dell'abbandono è presente anche nel carme 64, dove Catullo racconta la storia di Arianna abbandonata da Teseo. Il lamento della principessa cretese diventa un exemplum della mancanza di fides nell'amore, riflettendo la stessa esperienza vissuta dal poeta con Lesbia. Gli ultimi versi del lamento di Arianna sembrano una massima rivolta a tutte le donne: "Nunc iam nulla viro iuranti femina credat, nulla viri speret sermones esse fideles" (Ormai più nessuna donna creda all'uomo quando giura, nessuna più speri che siano degni di fiducia i discorsi di un uomo).