La Scuola Siciliana e Federico II di Svevia
La Scuola Siciliana fiorì tra il 1220 e il 1250 alla corte di Federico II di Svevia, imperatore del Sacro Romano Impero e re di Sicilia. Questa scuola poetica ebbe un'importanza fondamentale per lo sviluppo della letteratura italiana.
Definizione: La Scuola Siciliana fu un movimento letterario composto principalmente da notai-poeti della corte di Federico II che scrissero poesie d'amore in volgare siciliano.
Federico II, figlio di madre normanna e nipote di Federico Barbarossa, fu una figura chiave nel promuovere la cultura alla sua corte.
Highlight: Federico II concluse una crociata in modo diplomatico, garantendo ai cristiani il possesso di Gerusalemme, Betlemme e Nazaret, mentre ai musulmani l'area di Gerusalemme con la Moschea.
I poeti della Scuola Siciliana erano principalmente notai della cancelleria imperiale che, nel tempo libero, componevano poesie siciliane d'amore. Introdussero nuove forme poetiche come:
- La canzone (con versi endecasillabi e settenari)
- La canzonetta (con settenari, ottonari e novenari)
- Il sonetto, inventato da Jacopo da Lentini
Definizione: Il sonetto è una composizione poetica di 14 versi endecasillabi, distribuiti in due quartine e due terzine.
La poesia della Scuola Siciliana si caratterizzava per:
- L'uso del volgare siciliano
- La tematica amorosa
- L'esame interiore degli stati d'animo
- Un linguaggio non particolarmente originale
Highlight: La poesia siciliana famosa di Jacopo da Lentini "Amore è un desio che ven da core" è un esempio emblematico dello stile della Scuola.
L'importanza della Scuola Siciliana fu riconosciuta da Dante Alighieri nel suo trattato "De vulgari eloquentia". Dante sosteneva che il volgare siciliano avesse posto le basi per lo sviluppo della lingua letteraria italiana.
Quote: "Se non fosse stato per il siciliano, non ci sarebbero state le basi del volgare." - Dante Alighieri
La Scuola Siciliana ebbe una profonda influenza sulla successiva poesia toscana e sullo sviluppo del volgare illustre, che Dante definì come "cardinale, aulico e curiale" nel suo trattato.