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Riassunti novelle Decameron

22/11/2022

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Ser Ciappelletto
"Ser Ciappelletto" rappresenta la novella iniziale della prima giornata del
Decameron, in cui i giovani ragazzi, protagonis

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Ser Ciappelletto "Ser Ciappelletto" rappresenta la novella iniziale della prima giornata del Decameron, in cui i giovani ragazzi, protagonisti dell'opera, si lasciano andare al libero piacere della narrazione, senza un particolare tema o modello da seguire. Pampinea, "regina"della giornata, affida a Panfilio il compito cominciare il racconto della storia, che si apre con un'interpretazione, attuata dal narratore, molto particolare, della realtà; essa viene vista come insieme di "cose temporali", quindi soggette al trascorrere degli anni e destinate a morire. A tutto questo, fragile ed insignificante, si contrappone la grandezza e la potenza di Dio, la cui grazia si rivolge agli uomini non per i loro meriti, bensì per via della naturale bontà celeste. Gli uomini, non potendosi rivolgere direttamente a "Lui", concentrano le loro preghiere e le loro suppliche verso coloro che in vita hanno seguito la volontà del e che ora sono diventati eterni e beati (i santi). Alle volte capita, tuttavia, che le persone siano ingannate e prendano come intermediario qualcuno che è stato condannato da Dio stesso all'inferno. È il caso del protagonista di questa novella, Ser Ciappelletto, descritto da Boccaccio come "il peggior uomo che mai nascesse", ma considerato venerabile dalla comunità. Egli è un falsario pronto ad utilizzare tutti i suoi mezzi per contorcere la realtà, un abile bugiardo e uno spietato disseminatore di litigi...

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e contrasti all'interno di parenti e amici; assassino, bestemmiatore, traditore della Chiesa e della religione (che naturalmente non segue), ladro, ruffiano nei confronti di uomini e donne è, oltretutto, un accanito bevitore di vino: un uomo, quindi, non estraneo al peccato, anzi avvezzo a deliziarsi di ogni colpa e piacere mondani. Egli viene assunto da Musciatto Franzesi per la gestione dei suoi intricati affari sparsi in innumerevoli regioni. Durante il suo viaggio, trova accoglienza in casa di due fratelli usurai e qui, inaspettatamente, è vittima di un malore. I due proprietari, timorosi delle ripercussioni che la diffusione della notizia della morte di un personaggio simile nella loro abitazione senza l'estrema unzione avrebbe comportato, cominciano a interrogarsi sul da farsi. I loro dialogo, però, non sfugge alla orecchie vigili del moribondo, che rassicura i suoi ospiti garantendo loro nessuna preoccupazione futura. Proprio per questo motivo, ordina di far venire al suo capezzale un parroco, il più "santo"possibile, per una sua prima ed ultima confessione. Durante la visita del prete, Ciappelletto gli fa credere di essere un uomo timoroso di Dio, assiduo frequentatore della Chiesa nonché cristiano abituato a fare l'elemosina, ad ammonire i peccatori più spudorati a calibrare accuratamente ogni più piccola azione ed ogni più minuscolo pensiero in base alle leggi del Signore. Il frate, stupito da tanto candore e da una simile purezza, dopo la morte dell'uomo, raccoglie tutti i suoi fratelli in riunione con il solo obiettivo di tessere le lodi del defunto. I due usurai, intanto, preparano, servendosi dei soldi di Ciappelletto stesso, il suo funerale. Alla straordinaria cerimonia, posteriore ad un'altrettanto solenne veglia funebre, partecipa un gran numero di persone che, convinte che ciò che è stato detto riguardo il morto sia del tutto vero, adorano la sua salma proprio come se si trattasse di un individuo degno di essere beatificato ed adorato. Andreuccio da Perugia La novella è inserita nella seconda giornata, riservata a "chi, da diverse cose infestato, sia oltre sua speranza riuscito a lieto fine". Il protagonista, Andreuccio, giovane e ingenuo, si trova a Napoli con una borsa piena di cinquecento fiorini d'oro, con i quali avrebbe dovuto comperare un cavallo, visto il buon mercato che Napoli offriva a quel tempo. Ingenuamente mostra i suoi averi palesemente a chiunque passi, attirando l'attenzione di una bella e malintenzionata siciliana che, vista la ricchezza che possedeva quel giovane, decide di sottrargliela escogitando una beffa, funzionale quanto meschina. La donna si spaccia per sua sorella, della quale lui ignorava l'esistenza, e fornendo una serie di fatti reali e credibili, riesce a persuadere il povero giovane che crede ad ogni parola, convincendolo con astuzia a fermarsi per la notte a casa sua. Andreuccio, convinto della veridicità delle affermazioni della ciciliana, accetta l'invito. La sera stessa, a casa della presunta sorella, Andreuccio compie il primo grande errore: abbandonare incustoditi i suoi denari. Spinto con l'inganno, entra in un luogo buio e inciampando in una tavola sconficcata dai travicelli, finisce nel vicoletto che fa da fondo alla latrina. Approfittando dell'occasione, la donna gli ruba la borsa che lui aveva incautamente lasciato in una stanza. Il povero Andreuccio, trova una via di uscita dal mal chiassetto scavalcando un muro e, commiserandosi, dice: "oimè lasso, in come piccol tempo ho io perduti 500 fiorini e una sorella!". Trovandosi senza i suoi averi, bussa e grida alla porta svegliando un uomo che, affacciandosi, minaccia il giovane terrificato, che scappa. Urlando e lamentandosi per la disavventura, il protagonista attira l'attenzione dei vicini della siciliana, tra cui quella di due “briganti”, ai quali Andreuccio spiega l'intera vicenda. I due, resisi conto dell'ingenuità di costui, decidono di sfruttarlo per i loro fini, convincendolo a prendere parte ad un furto. I due avevano infatti intenzione di profanare una tomba nella chiesta dov'era custodito il corpo di un ricco arcivescovo che si diceva essere stato seppellito con un tesoro, compreso un anello di valore superiore a tutti i fiorini che aveva perso Andreuccio. Il giovane accetta di prendere parte all'operazione, per potersi rifare del furto subito, ma decide prima di lavarsi in un pozzo vicino, dove viene calato dai due ladri, che lo abbandonano nel momento in cui vedono arrivare dei gendarmi. I gendarmi tirano su il secchio ma appena si accorgono della presenza di Andreuccio scappano impauriti. Egli riesce comunque ad uscire dal pozzo. Ritrovati i due ladri, si reca alla tomba in questione. Aperto l'uscio, i due costringono Andreuccio a entrare nella tomba che, previdentemente, prende subito l'anello e passa fuori dalla tomba tutto il resto tranne quello, immaginando che l'avrebbero chiuso dentro. Infatti i ladri, vedendo avvicinarsi un gruppo di persone, fra le quali anche un sacerdote, richiudono la bara con Andreuccio dentro e scappano. Il prete, spavaldo, si introduce nel sepolcro, ma quando si sente afferrare per una gamba, lancia un grido di terrore, spicca un balzo e salta fuori. Tutti scappano terrorizzati, lasciando però la tomba aperta e quindi la possibilità al giovane di uscire. Il protagonista, "lieto oltre a quello che sperava, subito si gittò fuori e per quella via onde era venuto se ne uscì dalla chiesa", soddisfatto di aver conquistato il tesoro beffando i ladri. Insomma, riesce così ad essere ripagato della truffa subita con uno stupendo anello di valore, ritrovandosi, con un po' di fortuna, più ricco di prima. Tancredi e Ghismunda Tancredi, principe di Salerno, è un signore di indole benigna; ha una figlia, di nome Ghismunda, di bell'aspetto, forte e saggia. Un giorno questa si innamora di uno scudiero del padre, chiamato Guiscardo, uomo umile, ma nobile per virtù; il giovane ne è lusingato e allo stesso modo si innamora di lei. In tal modo la ragazza cerca di manifestare il suo amore in modo malizioso e il giorno dopo gli scrive una lettera con la quale gli suggerisce di andare in una grotta, da molto tempo disabitata, dove possono incontrarsi senza essere visti da Tancredi. I due continuano a vedersi nella grotto di giorno in giorno finchè la fortuna si mostra contraria; infatti un giorno Tancredi scopre la verità ma all'inizio decide di tacere. La volta seguente manda due servi ad arrestare Guiscardo, il quale viene portato al suo cospetto dove Tancredi lo svergogna. In momento Ghismunda piange la cattura dell'amante ma con grande coraggio svela al padre il suo amore per Guiscardo e lo difende con forte decisione. Ma Tancredi, nonostante riconosca la grandezza d'animo della figlia, non le crede e ordina ai servi di giustiziare Guiscardo e di portargli il suo cuore. Il giorno seguente Tancredi mette il cuore di Guiscardo in una coppa d'oro e lo pone alla figlia. La giovane, si dispera e giura che raggiungerà Guiscardo per riunire le loro anime, poi riempie la coppa del siero velenoso di alcune piante e si avvelena. Tancredi, con le lacrime agli occhi, decide di seppellire i due amanti nello stesso sepolcro. Federigo degli Alberighi Alla metà del '300 il territorio italiano vede al suo interno l'ascesa del ceto borghese, che porta con se nuovi modelli etici mentre nel meridione sopravvive uno stile di vita cortese, proprio della società aristocratica. Questa situazione sociale si rispecchia anche nella letteratura di Boccaccio, reduce da un soggiorno a Napoli dove conosce la situazione aristocratica e, mentre risiede a Firenze dove si sta affermando il ceto borghese. Nella novella di Federigo degli Alberighi sono presenti i diversi modelli di società, che coesistono in Italia, messi a confronto dall'autore, grazie anche alla varietà di esperienze sociali con cui egli è entrato a far parte. Viene narrata la storia d'amore che lega Federigo degli Alberghi a Monna Giovanna, il primo rappresentante di un'oramai decaduta e antica aristocrazia mentre lei, appartenente alla ricca borghesia. Boccaccio nel presentarci i due protagonisti della novella mette a confronto la decadente aristocrazia con la nascente e più rigogliosa borghesia, descrivendo con nostalgia i comportamenti cortesi ma dando atto della sopraffazioni su questi da parte della seconda. Il comportamento di lui si mantiene coerente con gli schemi cortesi: infatti per omaggiare la presenza della donna le offre il falcone, l'unica cosa di valore che gli resta, mentre ciò che caratterizza la donna è il suo spirito economico e razionale. Da questo punto, con la perdita del falcone, ultimo simbolo della sua nobiltà Federigo subisce un avvicinamento alla borghesia, da ciò nasce un nuovo uomo che rispecchia il modello di società voluto da Boccaccio. Federigo ritorna ad essere ricco mantenendo il suo comportamento nobile ma migliora nell'amministrare i beni. Il ceto sociale che idealizza Boccaccio manterrà quindi le caratteristiche etiche del mondo aristocratico e la ricchezza e la razionalità tipiche della società borghese. Analizzando la nuova classe dirigente possiamo notare in esso un sentimento di nostalgia ma allo stesso tempo una critica verso quelli che erano i canoni etici seguiti dall'aristocrazia, favorendo quelli che sono gli aspetti più umanisti della società borghese come il senso di individualità. Federico degli Alberighi, un ricchissimo nobile di Firenze si innamorò di monna Giovanna, una delle donne più belle della Toscana. Per sedurla organizzò feste in suo onore e le fece doni fino a sperperare tutti i suoi averi e senza suscitare in lei nessuna attrazione. Si ridusse così a possedere solo un piccolo podere ed un falcone, uno dei migliori del mondo che gli permettevano di sopravvivere. Avvenne però che il marito di monna Giovanna morì e questa andò a trascorrere l'estate con il figlio in una tenuta vicino a quella di Federico. Questo e il ragazzo fecero presto la conoscenza, grazie al grande interesse del giovane per il falcone. Il figlio di Giovanna si ammalò e quando gli chiese cosa lui desiderasse, quello rispose che se avesse avuto l'uccello di Federico sarebbe sicuramente guarito. Il giorno dopo la madre si recò da Federico con una altra donna, non senza vergogna di andare a chiedere a lui che a causa sua si era ridotto in miseria una cosa così preziosa. L'accoglienza fu calda, le donne dissero che si sarebbero fermate per la colazione, ma l'uomo non trovando niente da cucinare tirò il collo al falcone e lo servì a tavola. Il pasto trascorre piacevolmente, fino a quando monna Giovanna, raccolto il coraggio, chiede il falcone per il figlio moribondo. Federico scoppia a piangere davanti a lei e le spiega che glielo avrebbe donato volentieri se non lo avesse usato come vivanda per la colazione uccidendolo proprio perché non aveva niente altro di adatto ad una donna come lei. Giovanna torna cas commossa per il gesto dell'uomo ma sconsolata e nel giro di pochi giorni il suo unico figlio muore, forse per la malattia, forse per il mancato desiderio dell'uccello. Essendo però ancora giovane viene spinta dai fratelli a rimaritarsi per dare un erede ai beni acquisiti dal defunto marito. La donna essendo obbligata, sceglie come sposo Federico per la sua generosità, facendolo finalmente ricco, felice e più accorto nelle questioni finanziarie. Calandrino e l'elitropia A Firenze vi erano a quel tempo numerosissime persone stravaganti, ignoranti e credulone, e una di queste era un certo Calandrino, un pittore che era solito frequentare due suoi amici di nome Bruno e Buffalmacco. Maso del Saggio era invece un giovane bello e capace, il quale sentendo parlare di Calandrino decise di giocargli uno scherzo per divertirsi alle su spalle. Con l'aiuto di un amico, incontrandolo per caso nel Battistero di San Giovanni, Maso cominciò a parlare di pietre dai poteri favolosi e inimmaginabili, di modo che la vittima prescelta sentisse; Calandrino non tardò ad unirsi ai loro discorsi che in realtà riguardavano luoghi immaginari e fasulle faccende, proprio perché erano destinati a farsi beffe dell'ingenuo ragazzo. Interessato soprattutto ad una pietra, chiamata l'elitropia, con la presunta capacità di rendere invisibile chi la portava con sé, si fece indicare il luogo, ovvero Mugnone, in cui avrebbe potuto trovarla, e si recò immediatamente a riferire la notizia ai suoi due compagni, i quali, capendo che si trattava di una burla, decisero di assecondare Calandrino per divertirsi pure loro. La mattina della domenica successiva, come deciso, andarono a setacciare il rio, e come Bruno e Buffalmacco videro il loro amico carico di pietre cominciarono a fingere di non vederlo e ad accusarlo di averli lasciati lì da soli dopo essersi preso gioco di loro. Cominciarono allora a lanciare pietre apparentemente a caso in segno di rabbia ma, in realtà, tutti questi sassi finivano addosso a Calandrino, il quale cercava di soffrire in silenzio per evitare che gli altri due capissero che lui era ancora lì. Ritornando in città, Bruno e Buffalmacco riuscirono a protrarre la burla con l'aiuto dei gabellieri e del fato, ma appena il giovane fu arrivato a casa capì che la moglie lo poteva vedere, ragione per cui la prese a botte con violenza. Mentre era ancora intento a percuotere la moglie Tessa, giunsero a chiamarlo i due amici, coi quali cominciò a giustificarsi assicurandogli che non li aveva voluti prendere in giro, ma che aveva trovato la pietra e li aveva seguiti per tutto il tragitto mentre loro non lo potevano vedere. Purtroppo però, proseguì, appena arrivato a casa la moglie lo aveva visto perché, come tutti sanno, le donne sono in grado di far perdere le virtù ad ogni cosa, e per questo motivo l'aveva percossa. I due gli dissero allora che era stata solo colpa sua perché, sapendo di questo potere delle donne, avrebbe dovuto avvertirla prima di non comparirgli davanti, e in oltre doveva dir subito loro di aver trovato la pietra magica. Così, dopo aver riconciliato i due sposi e trattenendo a stento le risate, Bruno e Buffalmacco se n'andarono. I temi trattati nella novella sono: la concezione borghese dell'economia, la fortuna intesa come fattore importante nella vita a quel tempo, l'importanza del denaro, la generosità e la riconoscenza. Elisabetta da Messina Questa è la quinta novella della quarta giornata sotto il reggimento di Filostrato, il tema riguarda "coloro i cui amori ebbero infelice fine". La protagonista della novella è Lisabetta, una giovane ragazza molto bella ed educata, che viveva a Messina insieme ai suoi tre fratelli, mercanti assai ricchi poiché avevano ereditato tutte le fortune del padre. Lisabetta, nonostante la sua bellezza e il suo fascino non è ancora maritata e presto s'innamora di un aiutante dei fratelli di nome Lorenzo, il quale dimostrò subito di contraccambiare i sentimenti della giovane. Una sera uno dei tre fratelli, recandosi presso la stanza di Lorenzo, con enorme fastidio scopre che Lisabetta di notte si fermava a dormire con Lorenzo. La mattina seguente ne parla con gli altri fratelli, e tutti insieme decidono di far finta di sapere nulla, almeno finché non essero eliminato definitivamente colui che rappresentava un'onta per la sorella e per tutta la famiglia. Così un giorno i tre conducono con l'inganno Lorenzo fuori città, lo portano in un luogo isolato, lo uccidono e lo seppelliscono. Tornati a Messina diffondono la notizia di averlo mandato lontano per portare a termine alcuni affari, cosa a cui tutti credettero facilmente visto che erano soliti farlo. Lisabetta, vedendo che Lorenzo non tornava a casa, comincia a chiedere sue notizie ai fratelli in maniera sempre più insistente, senza ricevere risposta alcuna. Sempre più preoccupata e triste, la ragazza piange in continuazione per il suo amore, finché una notte lui le appare in sogno, dicendole che i suoi tre fratelli lo avevano ucciso, e quindi di non aspettarlo oltre, e dopo averle spiegato con precisione il luogo in cui era sepolto, scompare. Il giorno seguente, senza avere coraggio di affrontare i fratelli, Lisabetta si dirige verso il luogo che Lorenzo le aveva indicato in sogno e trova il corpo del suo amante. Sapendo di non potergli dare degna sepoltura, ne taglia il capo dal busto e lo porta con sé. Arrivata casa mette la testa dell'amato in un bel vaso, lo riempe di terra e pianta numerosi rami di basilico salernitano, che da quel giorno in poi innaffia con nient'altro che acqua profumata o le proprie lacrime. Questa sua ossessione per quel vaso di basilico viene notata da alcuni vicini, i quali informano i tre fratelli che, dopo aver più volte rimproverato la ragazza, decidono di sottrarle il vaso. Rendendosi conto della privazione Lisabetta impazzisce, e non fa altro che piangere e chiedere indietro il vaso ai fratelli, cosa che li sorprende a tal punto da voler capire a tutti i costi cosa avesse di tanto speciale questo vaso: versata la terra, trovano sul suo fondo i resti della testa di Lorenzo, e per paura che questo fatto si venisse a sapere, dopo aver risotterrato la testa trasferiscono tutti i propri affari a Napoli. Nel giro di poco tempo, Lisabetta muore continuando a piangere e a domandare del vaso, e con lei muore il suo grande amore.