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programma di italiano quinto

22/11/2022

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TENDENZE LETTERARIE DEL SECONDO '800 TERZO ROMANTICISMO esagerazione del romanticismo LETTERATURA DI MEMORIA → si parla dell'unità d'Italia e devi eventi storici del tempo (come sarà dopo la seconda guerra mondiale) LETTERATURA PER RAGAZZI → con lo scopo di formare i ragazzi, Pinocchio e Libro Cuore → la storia di una classe torinese (1 capitale del Regno d'Italia) con bambini di diversa estrazione sociale, serve a far vedere l'importanza della scuola ROMANZO STORICO → racconto oggettivo dei fatti POSITIVISMO La cultura europea della seconda metà dell'800 fu dominata dal POSITIVISMO, una corrente di pensiero nata in Francia verso il 1820. Il termine "positivismo" indica una conoscenza modellata sulle discipline "positive" quali la matematica, la fisica e le scienze naturali, basato sull'osservazione dei fenomeni reali, concreti, e sul principio della verifica della teoria con la prova dei fatti. Tale corrente nasce in corrispondenza al periodo di progresso nel quale si vive, dovuto alla Rivoluzione industriale. - POSITIVISMO IN LETTERATURA Il positivismo considerava l'arte come una rinnovata esigenza di realismo nella quale l'intellettuale non era più poeta "vate" e neppure portatore di valori sentimentali e religiosi. Al contrario, aveva una illimitata fiducia nella scienza e nel progresso, esprime la fiducia nella ragione, nella scienza e nella tecnica, si tratta di una visione ottimistica del progresso umano, che si manifesta nell'applicazione del metodo scientifico alla...

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Didascalia alternativa:

società e all'uomo e nella nascita di nuove scienze sociali autonome, come la sociologia (studio della società), la statistica e la psicologia. L'intellettuale deve analizzare come un perfetto osservatore la situazione sociale, scriverne e sensibilizzare la società e le borghesie al potere, in modo tale che possano intervenire. REALISMO In concomitanza con le formulazioni teoriche del Positivismo, si affermarono nella letteratura europea della seconda metà del 800 le poetiche del naturalismo, in Francia, e del verismo, in Italia, considerate prosecuzioni e sviluppi del realismo del 1830. Con Realismo si indica una rappresentazione concreta e oggettiva della realtà, in stretto legame con la nascita della sociologia e del pensiero positivista, che si basa sull'osservazione diretta dei fenomeni e sul metodo scientifico. Questo genere di romanzi ha tali caratteristiche fondamentali quali l'utilizzo di termini lineari e oggettivi, in una PROSA piana e accessibile adatta ad un pubblico borghese (perché la poesia serviva soprattutto ed esternare l'interiorità dell'animo, e quindi non esprimeva i problemi sociali), la presenza di un narratore onnisciente in terza persona e una rappresentazione della realtà attenta alla classe borghese. NATURALISMO Il continuatore del Realismo narrativo e l'iniziatore del Naturalismo fu Gustave Flaubert. Egli scrive un romanzo che è il punto di passaggio tra queste due correnti, Madame Bovary, romanzo incentrato sulla critica della mentalità e dei comportamenti della società borghese di provincia. Il romanzo naturalista descrive oggettivamente le condizioni della società del tempo, stabilendo una differenza con il romanzo ottocentesco, che era un romanzo storico (Manzoni). Il Naturalismo condivise con il realismo l'attenzione alla realtà contemporanea, l'autore è uno scienziato e quindi può parlare soltanto di ciò di cui ha esperienza; di vicende a lui contemporanee analizzate oggettivamente. L'intellettuale ha il compito di descrivere oggettivamente le condizioni di tutti i giorni, di offrirle alla borghesia, di sensibilizzare le classi borghesi al potere, affinché intervengano a migliorare le condizioni delle classi subalterne. Tra i più importanti rappresentanti del Naturalismo francese ricordiamo Émile Zola. Emile Zola è il massimo esponente del naturalismo e nel 1870 pubblicò Il romanzo sperimentale, una raccolta di scritti teorici sul Naturalismo, secondo il quale il romanziere deve far proprio il metodo sperimentale delle scienze fisiche, deve osservare i caratteri e i comportamenti degli individui calandoli in precisi contesti ambientali e deve procedere come uno scienziato, in modo che il romanzo diventi un "verbale di un esperimento". EMILE ZOLA →→ LA RABBIA DELLA FOLLA Stefano Lantier organizza uno sciopero per i minatori di Montsou, portando alla luce le loro terribili condizioni di vita. Stefano lavora in miniera, dove ha passato gran parte della sua vita. Gli operai resistono per mesi, finché logorati dalla fatica, marciano sulle miniere implorando cibo. Interviene quindi l'esercito e lo sciopero si trasforma in una carneficina. I minatori, ormai sottomessi, si adeguano alle condizioni che si ritrovano imposte, fino a quando un macchinista russo inonda la miniera. Molti operai muoiono annegati, mentre Stefano si salva con difficoltà. Il racconto si conclude con Stefano che torna a Parigi, dove spera di trovare un mondo più giusto. Questo romanzo naturalista è molto interessante, perché fa capire come era difficile vivere nelle miniere, ma, come fece Stefano, non bisogna mai arrendersi di fronte a niente. Il testo è ambientato dopo lo scoppio della prima rivoluzione industriale. Con questa nacquero le prime ferrovie, che fecero aumentare fortemente la richiesta di estrazione di carbone dalle miniere. Ma questo lavoro non fu affidato solo agli uomini: donne e bambini, ugualmente impiegati, difficilmente sopravvivono in ambienti così ostili. VERISMO Il Naturalismo in Italia prende il nome di Verismo. Il principale centro di diffusione della letteratura verista è Milano, una città molto importante e già industriale. I suoi maggiori rappresentanti sono meridionali, perché le condizioni di degrado e di arretratezza del Sud divengono oggetto di questa letteratura (italia centro e sud ancora agricola). Tra i rappresentanti del Verismo italiano si ricordano i siciliani Luigi Capuana e Giovanni Verga (Matilde Serao e Grazia Greca) Il teorico del verismo fu Luigi Capuana, egli diffonde le idee di Zolà, adattandole alla situazione italiana. bisognava abbandonare il romanzo storico in favore del romanzo dei costumi contemporanei; occorreva raccontare scene di vita quotidiana di gente misera, ritraendola "dal vero"; seguire i principi dell'impersonalità, eliminando il narratore e i propri giudizi; non si deve trascurare la fantasia e l'immaginazione, per conferire interesse nei lettori. Il caposcuola del Verismo fu Giovanni Verga, che dà vita ad opere molto importanti. Al contrario del romanzo naturalista, quello verista vuole formare una coscienza sociale, giungendo ad una scienza del cuore umano e di rappresentare la realtà. Vediamo una visione pessimistica della vita; per il veristi arte e letteratura non possono influire sulla società regolata dalle leggi immutabili della lotta per la vita. Il romanzo verista intende rappresentare il mondo contadino e dei poveri del Meridione, il suo limite è il regionalismo: è limitato alle regioni di appartenenza degli autori. Catania 1840 Vita politica attiva anche direttamente -SPEDIZIONE DEI MILLE & GUARDIA NAZIONALE- 6 Va Firenze che era capitale d'Italia, qui produce una PECCATRICE -gusto tardo romantico- & STORIA DI UNA CAPIRENA Diventa amico di Luigi Capuana, influenzato da lui scriverà NEDDA -prima opera dal contenuto verista ma non verista nella forma, bisogna aspettare ROSSO MALPELO 100% verista - pregiudizi e condizioni di lavoro nella Sicilia Malavoglia flop. si dedica al teatro - CAVALLERIA RUSTICANA Ultima parte della sua vita diventa CONSERVATORE Catania 1922 VERISMO CENNI VITA IL CICLO DEI VINTI IMPERSONALITÀ - opera foto del reale, deve sembrare essersi fatta da sola - STILE PARLATO - ambiente sociale personaggi. proverbi, modi di dire. soprannomi - REGRESSIONE - volontariamente non scrive in maniera colta, narrazione oggettiva DISCORSO INDIRETTO LIBERO - no verbi dichiarativi sembra entrare nella testa personaggi STRANIAMENTO - divisione tra Verga e chi narra, modi diversi di vedere le cose IL LIMITE DEL VERISMO E IL REGIONALISMO Inizialmente 5 / solo Il completi / e titolo La Marea - similitudine destino che travolge Conseguenze del progresso in ogni ceto sociale da ricchi a umili In astratto il progresso ok ma da vicino ci sono i VINTI - chi tenta di migliorare la condizione. travolti dalla FIUMANA DEL PROGRESSO - La ricerca del meglio negli umili sono i beni materiali man mano che si alza livello sono cose complesse - MALAVOGLIA- insuccesso stile e tecnica lontani tradizione serie di sventure per la famiglia TOSCANI. IDEALE DELL'OSTRICA / fantasticheria /. tutti cambiano la loro posizione, chi non lo fa riscatta la Casa DEL NESPOLO. visione pessimista del progresso anche se siamo nel positivismo - Sicilia post Unione - MASTRO DON GESUALDO - GESUALDO MOTTA un MASTRO = manovale ma DON perché diventa PROPRIETARIO TERRIERO = Unione dei soprannomi = impossibile dimenticare origini, resta un vinto Simbolo della mobilità sociale, La ROBA MAZZARO, avidità delle ricchezze - La DUCHESSA DI LEYRA - solo primo capitolo, figlia Mastro Don Gesualdo, vanità dell aristocrazia -L ONOREVOLE SCIPIONE mondo politica -L UOMO DI LUSSO - sintesi dei vizi precedenti VITO DEI CAMPI Giovanni Verga NOVELLE RUSTICANE Prima Opera verista, 8 novelle, successo presso il pubblico Meccanismi mondo umili in Sicilia L AMANTE DI GRAMIGNA & FANTASTICHERIA = poetica verismo verga - Prefazione teorica / LETTERA a SALVATORE FARINA / - MORALE DELL OSTRICA 12 novelle ansia di conquista, possesso e conservazione dei beni materiali Figura emblematica = arrampicatore sociale Come MARRAZO LA ROBA diventa il motivo diventa il motivo centrale della vita causa di tante incomprensioni e infelicitá CENNI SULLA VITA Giovanni Verga nasce a Catania nel 1840 → famiglia liberale/antiborbonica. Negli anni degli studi si dedica all'attività politica diretta aderendo al progetto di unificazione nazionale, partendo alla Spedizione dei Mille di Garibaldi e arruolandosi nella Guardia Nazionale. Intanto inizia a lavorare per riviste letterarie e si trasferisce a Firenze (al tempo capitale d'Italia). Qui produce il suo primo romanzo mondano: UNA PECCATRICE (la storia di una suora innamorata). Pubblica successivamente STORIA DI UNA CAPINERA, nel quale mostra le classi popolari per dare una morale. Sarà fondamentale per lui l'incontro con Luigi Capuana (teorico del Verismo). Dopo l'insuccesso dei Malavoglia, si dedica al teatro con il dramma Cavalleria Rusticana. Inizia a scrivere il Ciclo dei Vinti. Muore a Catania nel 1922. NEDDA Influenzato proprio da Capuana compose il bozzetto Nedda, un breve racconto che ritrae personaggi ambienti della vita quotidiana. Con quest'opera comincia l'interesse dello scrittore per le novelle. È la prima opera dal contenuto verista, ma non è verista nella forma, per quello bisognerà aspettare la storia di Rosso Malpelo. SCELTE STILISTICHE - impersonalità → l'opera deve sembrare essersi scritta da sola, le opinioni vengono espresse dai personaggi - stile più vicino al parlato → dovuto al contesto in cui vivono i personaggi (proverbi, modi di dire, soprannomi) - artificio della regressione → sarebbe in grado di scrivere in maniera più colta ma decide volontariamente di non farlo con lo scopo di rendere più oggettiva la narrazione - discorso indiretto libero → il lettore sembra immergersi nei pensieri dei personaggi, abolizione dei verbi dichiarativi e del "che" - straniamento → divisione da chi narra e l'autore ROSSO MALPELO È la novella più famosa di Giovanni Verga, quella che è rimasta maggiormente nella memoria collettiva per il suo piccolo protagonista e per l'impatto sociale dei temi affrontati. La novella Rosso Malpelo può essere considerata il primo esempio di Verismo verghiano. In primis perché lo scrittore adotta la tecnica dell'impersonalità, assume cioè il punto di vista dell'ambiente che descrive: la sua voce corrisponde a quella del paese, della comunità che guarda al ragazzo con i capelli rossi con estremo sospetto. L'autore racconta i fatti dalla prospettiva popolare che è guidata dal pregiudizio, ma il lettore è portato ad andare oltre questa visione, contestandone la falsità. L'effetto di straniamento consiste nel deformare e non riconoscere i valori del personaggio presentandoli come qualcosa di anomalo e di strano. Emerge, dunque, che Malpelo è una vittima, un "vinto" dalla società che ignora valori come la pietà, il senso di giustizia, l'affetto sincero. I suoi comportamenti sono la reazione alle sventure che la vita gli pone davanti, a quella "lotta per la sopravvivenza" a cui è costretto a sottostare. La struttura del racconto è concepita per interrogare il lettore: la malvagità appartiene a Rosso Malpelo o alla comunità che lo isola e lo deride per il colore dei suoi capelli? In questo sta l'incisività della novella che, nei temi affrontati - l'emarginazione, la mancanza di speranza, la lotta alla sopravvivenza e il pregiudizio - si mostra in tutta la sua incredibile attualità. Condizioni, queste, che sembrano non avere subito l'ingerenza del tempo e che, nonostante siano passati secoli dalla stesura dell'opera da parte di Verga, continuano a essere "emergenze della nostra epoca". LA ROBA (NOVELLE RUSTICANE) La tecnica narrativa che apre la novella è quella della narrazione indiretta per presentare la ricchezza del personaggio principale: un viandante che attraversa la pianura di Catania, lungo la strada che costeggia il Lago Lentini, contempla stupito la vastità delle proprietà di Mazzarò. Poi lo stesso Mazzarò ci viene descritto seguendo un profilo sia fisico (basso e con una grossa pancia) che psicologico, e quest'ultimo viene davvero ben delineato grazie al racconto di come l'uomo abbia accumulato tanta "roba". Mazzarò è un uomo che ha sacrificato tutto nella sua vita, con fatica, perseveranza e ostinazione per accumulare più beni materiali possibili, ma è incapace di godere dei benefici che possono scaturire da tanta ricchezza. Non ha famiglia, vive in condizioni di povertà per non sprecare le sue ricchezze, lavora come un mulo nei campi. Non ha vizi, non ha amici. Ha allontanato tutti nella sua vita, per paura che potessero sottrargli la sua roba. La sua ribalta da povero bracciante sfruttato e sottopagato a proprietario di tutti i beni che sottrae a quello che una volta era il suo padrone è un'ascesa sociale sterile. La sua scalata riesce grazie al sacrificio e alla furbizia, ma una volta guadagnata una posizione migliore, l'uomo sembra mandare in fumo ogni possibilità di crescita personale. Sleale nei confronti di chi lavora per lui e ossessionato dall'accumulo della ricchezza, Mazzarò vive nel terrore della morte: che fine faranno i sacrifici e i traguardi di una vita intera quando morirà? Durante la sua vecchiaia Mazzarò si rende conto di quanto vuota e povera sia, in senso metaforico, la sua vita, e dunque il suo attaccamento ai beni materiali diventa, se possibile, ancora più tossico. Non avendo eredi né conoscenti, va in fumo anche la possibilità di trasferire i suoi beni a qualcuno. Il pensiero di non poter portare con sé i suoi beni nella vita ultraterrena lo fa addirittura impazzire e il testo si conclude con una scena pietosa e indimenticabile: lui che vaga nei campi, accecato dalla follia, distruggendo raccolti e colpendo animali e gridando "Roba mia, vientene con me!" L'ADDIO ALLA ROBA E LA MORTE (MASTRO DON GESUALDO) Nelle pagine conclusive del romanzo, Gesualdo visita il proprio potere e dà l'addio alla roba. Poiché ha saputo dai medici di avere un male incurabile, la sua prima reazione è di cieca ribellione, ma poi torna a sperare nella guarigione, quando la figlia e il genero lo portano nella loro casa a Palermo, dove resta fino alla morte. Gesualdo è un vinto e paga quella solitudine il prezzo del proprio successo economico L'emarginazione affettiva che caratterizza la fine della sua vita è drammatica ed è simbolicamente rappresentata dalla rabbia furiosa con cui egli si ribella alla morte e distrugge la roba. Gesualdo si dispera al pensiero che la figlia possa non averne cura, mentre vorrebbe che la rispettasse, perché le ha dedicato tutta la sua vita. In punto di morte ricorda a Isabella anche il valore affettivo della roba ma è tragicamente consapevole che il genero dilapiderà quella che è stata la sua ragione di vita. Gesualdo si preoccupa per il destino di Diodata e dei suoi due figli e più volte cerca di rivelare a Isabella il proprio segreto, in modo che lei possa provvedere a lasciare loro qualcosa dell'eredità, per amor suo. Alla fine, però, anche quest'ultimo gesto di riscatto non gli riesce, così come non comprende il segreto che avverte in Isabella, che pure manifesta ansia e dolore per l'imminenza della sua morte. Dopo pochi istanti di reciproca commozione inespressa, Gesualdo sente la figlia di nuovo ostile, chiusa nella superbia dei Trao. A quel punto egli si arrende e si abbandona a un dolore senza lacrime: assume l'atteggiamento eroico di un uomo che vede il fallimento totale della sua vita e lo accetta con dignità. Nel colloquio di Gesualdo con Isabella si alternano i punto di vista esterno del narratore Il racconto della morte del protagonista presenta particolari realistici, descritti dal punto di vista del servitore, seccato e sonnacchioso, ma lontani dall'accentuata scientificità dei naturalisti francesi. La scelta narrativa di affidare al servitore la descrizione della morte di Gesualdo ha lo scopo di suscitare nel lettore un effetto di straniamento, come pure di sottolineare, attraverso l'indifferenza e il cinismo generali, la sconfitta del protagonista, senza cadere nel patetico. LA FIUMANA DEL PROGRESSO (MALAVOGLIA) Concepita come prefazione ai Malavoglia, funge da prefazione all'intero Ciclo dei Vinti, di cui ne spiega i temi principali. Il primo paragrafo è dedicato specificamente al primo romanzo del ciclo, I Malavoglia. Ne indica il tema di fondo: l'equilibrio di un mondo tradizionale, quello di una famiglia di un piccolo villaggio di pescatori, rotto dall'insoddisfazione della propria condizione di vita. Nel paragrafo successivo Verga allarga il suo sguardo verso tutti i romanzi del ciclo. Qui l'attenzione si pone sulla "fiumana del progresso", cioè quel processo di trasformazione della realtà economica e sociale, in particolare dell'Italia post unitaria. La forza motrice di questo processo è data dai bisogni dell'uomo, dalla lotta per l'esistenza al bisogno dei beni materiali (impostazione fortemente materialistica). Il terzo paragrafo contiene invece le fondamentali prese di posizione ideologiche dello scrittore di fronte alla "fiumana del progresso". Verga esprime la sua ammirazione per la grandiosità del processo arrivando persino a ripetere uno dei principi basilari dell'ideologia borghese moderna formulato da Adam Smith: l'individuo, perseguendo il suo interesse personale, coopera inconsapevolmente al benessere di tutti. Verga insiste proprio sugli aspetti negativi: l'avidità, l'egoismo, i vizi, la meschinità, ... Difatti i protagonisti dei cinque romanzi sono proprio dei "vinti". Alla fine Verga aggiunge che ogni scena va rappresentata con colori adatti, cioè che ogni forma deve corrispondere al livello sociale rappresentato. Nei Malavoglia il narratore si adegua all'ambiente popolare, nel Mastro Don Gesualdo il linguaggio s'innalza in corrispondenza dell'ambiente sociale. LA FAMIGLIA MALAVOGLIA Il primo capitolo del romanzo mostra l'ambientazione dell'opera, cioè il villaggio di pescatori di Aci Trezza, nei pressi di Catania, dove si svolgono le vicende dei Malavoglia, soprannome popolare dato alla famiglia Toscano. In questa famiglia i componenti sono come le dita della mano; il dito più grande è Padron 'Ntoni, il capostipite della famiglia, che possiede la casa del Nespolo (dove vivono i Malavoglia e che prende il nome da un albero di nespole vicino alla stessa). Questo soggetto è carismatico, conosce chiunque in paese ed è saggio, portatore di valori come la famiglia (patriarcale) e il lavoro. Poi c'è suo figlio Bastianazzo, chiamato così perché grande e grosso, ubbidisce ciecamente al padre e per suo volere sposa Maruzza, detta La Longa, ma in realtà è bassa. Donna dedita alla tessitura, a salare acciughe e a fare figli. Poi ci sono i figli: 'Ntoni (più grande), un uomo svogliato e ribelle nei confronti della famiglia; Luca, il più giudizioso e buon lavoratore; Mena, detta Sant'Agata, perché lavora sempre al telaio e, infine, Lia una semplice adolescente. Ad un certo punto della storia la famiglia affronta una grave crisi economica e nel testo viene menzionato un riferimento alla crisi del Meridione causata dalla Destra Storica e al desiderio del ritorno dei Borboni al trono del Regno delle due Sicilie. Padron 'Ntoni cerca di rimediare comprando a credito dall'usuraio Zio Crocefisso dei lupini, per poi rivenderli, ma ciò lo porterà all'indebitamento e alla successiva fuga di Bastianazzo e Menico sulla Provvidenza, e poi moriranno in mare. Da ciò si evince, che la famiglia cercando di stare al passo con i tempi e partecipando al progresso viene schiacciata dal progresso stesso, quindi dal voler cercare di fare più soldi con la vendita dei lupini scattano vicende di disgrazia per la famiglia. Il narratore non partecipa alle vicende, ma lascia parlare i personaggi (eclissi dell'autore). La famiglia rimane stabile nel tempo,che è ciclico caratterizzata dai valori antichi, che contrastano la modernità, che è rappresentata da 'Ntoni, infatti alla fine del romanzo ritorna ad Aci Trezza, ma non si adatta perché è cambiato e quindi non è più adatto a quell'ambiente. DECADENTISMO Il Decadentismo nasce come reazione alla crisi del Positivismo e del pensiero scientifico. La sfiducia nella ragione, tanto esaltata prima nel Positivismo, determinò nel campo morale la crisi dei valori tradizionali (libertà, patria, progresso...) generando insicurezza, scetticismo e un senso di angoscia esistenziale. L'intellettuale si trova a disagio nella nuova società che essendo tutta tesa alla produzione e al guadagno, schernisce gli ideali di libertà e democrazia in nome dei quali era incominciata. L'intellettuale assume così l'atteggiamento del ribelle, del poeta maledetto e satanico che rifiuta la società borghese e ne dissacra i valori. La poetica del Decadentismo è strettamente connessa con la visione della vita intesa come mistero: la poesia, infatti, è concepita come strumento di conoscenza del mistero che ci avvolge, come illuminazione e rivelazione dell'ignoto, dell'inconscio e dell'assoluto. Ciò comporta una nuova concezione del poeta, egli è "veggente", cioè l'esploratore del mistero, dell'inconscio e dell'assoluto a cui perviene per improvvise folgorazioni e intuizioni; la sua poesia perciò non è un dialogo ma si riduce ad un monologo. Gli esponenti più importanti di questa corrente furono Charles Baudelaire, Paul Verlaine, Arthur Rimbaud e Stéphane Mallarmé e, per quanto riguarda l'Italia, Giovanni Pascoli, il simbolista per eccellenza. BAUDELAIRE L'ALBATROS →→ In questo componimento, il poeta riflette sul nuovo ruolo dell'artista nella società di massa, tema che verrà affrontato anche nel poemetto in prosa Perdita d'aureola. Il volo dell'albatro è allegoria della condizione di prestigio da sempre rivestita dai poeti: qui, però, l'uccello marino viene catturato, tormentato e deriso dai marinai. Probabilmente Baudelaire conosceva la Ballata del vecchio marinaio (1798) di Samuel T. Coleridge nella quale l'uccisione di un albatro da parte di un marinaio rappresenta il gesto che dà inizio a una serie di vicende funeste e sventurate per l'uomo. La riflessione di Baudelaire nasce dal onfronto con la società borghese a lui contemporanea, in cui l'arte diventa merce e il poeta non è un individuo eccezionale e superiore, ma è parte della massa anonima, ha perduto la sua sacralità. La poesia L'albatro si può dividere in due parti: le prime tre quartine descrivono il gruppo di marinai che deride l'albatro mentre nell'ultima il poeta riflette sul significato simbolo dell'evento. L'albatro è allegoria del poeta: quest'ultimo, principe delle nubi, cioè parte privilegiata di un mondo più elevato, distante da tutto ciò che avviene sulla terra, dove egli è incompreso, deriso, tormentato. SPLEEN →→ Il termine inglese "spleen", che indica uno stato d'animo malinconico e insofferente. In questo componimento, Baudelaire presenta una serie di immagini che possano trasmettere al lettore il senso di angoscia, di noia, di disagio che caratterizza lo "spleen": in una giornata piovosa, il poeta è come se si trovasse imprigionato nella sua stessa esistenza. Nella poesia sono posti in parallelo lo spazio esterno e quello interiore del poeta, entrambi rappresentati come prigioni dalle quali ogni tentativo di fuga risulta vano. Centrali sono in questa poesia le similitudini e le metafore. CORRISPONDENZE → La natura è vista come un tempio vivente, una foresta di simboli che solo il poeta, grazie alla sua sensibilità e veggenza, può decifrare. Secondo Baudelaire, la realtà che vediamo ne nasconde una più profonda, in cui ogni elemento è legato reciprocamente. I colori, i suoni, i profumi del mondo sono legati tra loro in una sorta di dialogo. Il poeta può percepire, grazie alla propria intuizione, i legami tra gli elementi della Natura, ma non conoscerli nel profondo. LA PERDITA DELL'AUREOLA →→ Perdita d'Aureola è un poemetto in prosa. Nella frenetica vita cittadina di Parigi il poeta ha perduto l'aureola, che gli è caduta nel fango; e ora racconta l'avvenimento a un amico incontrato in un bordello. Lo scenario cittadino non è casuale, come non è casuale l'ambientazione in un bordello: il poeta frequenta le prostitute perché è irresistibilmente attratto dall'analogia fra la loro situazione e la sua. D'altra parte la condizione del poeta moderno è quella dell'anonimato. Non vive più nell'Olimpo, ma è solo uno della folla. È importante notare che la perdita dell'aureola viene sentita come qualificante: è la consapevolezza di tale perdita che determina la modernità e la qualità della poesia. Chi raccoglierà quell'aureola e se la metterà in testa potrà essere solo un «poetastro», un artista arretrato e dunque di bassa qualità. Baudelaire mette a nudo la condizione del poeta nella società industriale con un immediatezza senza precedenti. Il poemetto è importante perché coglie con molta acutezza, in forma corrosiva e ironica, il mutamento di ruolo dell'artista nel mondo moderno. La forma scelta non è quella del saggio, ma quella della parabola brillante, tanto breve quanto incisiva. L'efficacia del poema in prosa è dovuta proprio alla sua struttura dialogica, rapida e ritmata. RIMBAUD VOCALI →→ è uno degli esempi più notevoli della novità del linguaggio poetico di Rimbaud. Rappresenta le sensazioni che le vocali, con il loro suono e con la loro forma, di volta in volta gli suggeriscono. Il sonetto è organizzato secondo un processo di associazioni che, partendo dall'immagine visiva (la forma delle vocali), creano un susseguirsi di analogie cromatiche. Il testo va però letto in chiave non realistica, ma fantastica: Rimbaud, partendo dalle vocali dell'alfabeto e dai colori che esse suggeriscono, si abbandona liberamente alle associazioni immaginative che tale spunto gli ispira. SCAPIGLIATURA La Scapigliatura è un movimento letterario della seconda metà dell'800, che ebbe i suoi centri a Milano e Torino. I suoi rappresentanti, oltre Arrighi, furono Praga, Tarchetti, Pisani, Dossi, Camillo e Arrigo Boito, Camerana e il pittore Cremona. L'ambiente sociale in cui si colloca è quello della nascente società industriale, della frenetica vita cittadina, in cui è presente la contrapposizione tra una borghesia avida di denaro e potere e la nascente classe operaia. In tale contesto l'intellettuale avverte la necessità di allargare il raggio delle sue esperienze ed è altrettanto consapevole d'avere perso il suo tipico ruolo di guida o d'interprete del movimento sociale, che gli appare sempre meno razionale e omogeneo e sempre più complicato e caotico. I suoi temi e gli atteggiamenti di contestazione tradiscono il disagio di un ceto intellettuale che non si riconosce più nei valori della cultura positivista, fiduciosa nelle conquiste della scienza e del progresso. La società moderna e di massa che nasce dalla rivoluzione industriale appare in tutto il suo carattere alienante, vincolate alla legge del successo e del profitto, ridotta ad una vita d'abitudine conformistica e di ottusità. Si preferirono le tematiche:, della vita bruciata dal vizio; del rifiuto della normalità borghese; drammi quotidiani dell'esistenza emarginata dei barboni e degli artistoidi delle periferie delle nuove metropoli industriali. Non a caso gli atteggiamenti tipici furono l'antiaccademismo, la ribellione alle convenzioni borghesi, l'ostentato anticonformismo, il gusto della trasgressione e della provocazione. Gli scapigliati sono giovani ribelli e anticonformisti, che hanno come modello l'artista "bohémien", povero e ignoto, che vive alla giornata. La volontà di scandalizzare è all'origine dei loro atteggiamenti sregolati (spesso sono drogati o alcolizzati) condivisi con i francesi Baudelaire, Rimbaud e Verlaine. Quindi il gusto per la polemica non rimane confinato nella teoria dei libri, ma diventa vera e propria esperienza esistenziale, che ostenta atteggiamenti di provocazione e sregolatezza. BOITO LEZIONE D'ANATOMIA →→. Il testo è un sezionamento di un cadavere, una lezione di medicina e serve a mostrare gli organi di un uomo e una donna per far si che chi deve operare conosca il corpo. Si basa sul cambiamento di atteggiamento dell'autore. Inizialmente sembra che l'autore prenda di mira la medicina, la figura del medico che profana il corpo di una giovane donna. Quando il medico continua l'autopsia, scopre un feto di 30 giorni, per cui scienza non ha rispetto per questa donna, svelando però la realtà. A quel tempo non era normale che un autore trattasse un argomento simile, visto come una provocazione. Rispetto al positivismo si capisce che l'uomo non è studiabile solo dalla scienza, ma è formato da una parte, il sentimento, che la scienza non studia. TARCHETTI MEMENTO →Questa lirica vuole contrapporre un gioco di immagini morbose di decomposizione e di morte all'idealismo amoroso caro al gusto romantico. La contrapposizione amore e morte è un tema romantico che Tarchetti affronta con grande originalità utilizzandolo per fini coerenti con la Scapigliatura facendone strumento di critica e di reazione alla cultura tradizionale dell'epoca e di polemica antiromantica e antiborghese. Il tema dell'amore e della sua seduzione è ribaltato in una mostruosa e repellente visione di morte, nascosta dall'ingannevole fascino della bellezza e la figura femminile viene rappresentata con immagini dissacranti che rompono completamente con la tradizione che vi associava invece immagini di purezza e freschezza. Rifiuto della tradizione. La realtà è fatta anche di cose brutte ma va analizzata e descritta così com'è (verità) PRAGA ANCORA UN CANTO ALLA LUNA → Può essere considerata una sorta di manifesto della Scapigliatura per l'accesso tono polemico e il riferimento alla perdita dei valori tradizionali, soprattutto quelli legati alla religione. Mette in ridicolo tutto quello che è stato il romanticismo (il tema della luna era un tema comune nella letteratura romantica). Il poeta invece di contemplarla e lasciarsi avvolgere dai propri pensieri decide di rientrare poiché sentiva freddo e si sarebbe ammalato a stare fuori. Punto di arrivo nuovo letteratura italiana Infanzia felice che ricorda costantemente nella sua produzione, fino al 10 agosto 1867 /uccisione padre/ Cerca di ricomporre il suo nido familiare per tutta la vita con le sorelle Insegna Uni Bologna aderisce alla prima internazionale di Marx e viene arrestato. passa a una visione di SOCIALISMO UMANITARIO Scrive la GRANDE PROLETARIA SI E MOSSA a favore della guerra di Libia GIOLITTI Muore a Bologna nei 1912 sensibilità decadente concezione della poesia come rivelazione dell'ignoto Valore per le piccole cose / SIMBOLI / decadentismo POETA IMPRESSIONISTA Profondo innovatore STILE - SPERIMENTALISMO LINGUISTICO - LESSICO PRECISO E TECNICO - assonanze, onomatopee, musicalità frantumata da pause, spazi bianchi e enjambement Manifesto della poetica Pascoliana In ogni uomo fanciullo che guarda con stupore quello che lo circonda, da adulti viene persa la sensibilità dell'infanzia che rimane invece nel poeta / per questo usa un linguaggio dove il suono assume forza e significato maggiore / Il poeta-fanciullino vede tutto con meraviglia come per la prima volta, non inventa nulla ma scopre simboli dietro le cose quotidiane. il mistero della vita presente nelle cose semplici VITA FANCIULLINO MYRICAE Giovanni Pascoli CASTELVECCHIO I CANTI DI Dedicati alla madre I edizione 1903 Ultima 1912 Castelvecchio di Barga = nido con la sorella Maria Temi Myriace ma complessi / vita dei campi, ricordi familiari, cose umili, rifugio mondo esterno / + temi nuovi - desiderio inappagato di amore - immaginario erotico del poeta Segue il tema del ciclo delle stagioni= alternanza di vita e morte Liriche più ampie e musicalità complessa - IL GELSOMINO NOTTURNO - La Mia SERA 20 anni di scrittura 5 edizione, la definitiva nel 1900, 156 componimenti in 15 sezioni Myriace significa tamerici, da un verso delle Bucoliche di Virgilio Richiama l'idea di una poesia umile attenta alle piccole cose, soprattutto legate alla campagna ambientate prevalentemente nella campagna romagnola descritta con rapide immagini / impressionista / Linguaggio poetico multiforme= metri della tradizione + musicalità nuova /FONOSIMBOLISMO / Linguaggio analogico con lessico preciso e tecnico Incombere della morte un dei temi fondamentali, unisce il tema dei cari morti a quello del NIDO - X AGOSTO - LAVANDARE - NOVEMBRE - TEMPORALE / TUONO / LAMPO TEMPORALE/LAMPO/TUONO (MYRICAE) Le tre liriche Temporale, Lampo e Tuono hanno un tema atmosferico rappresentato attraverso effetti visivi ed uditivi, che richiamano un avvenimento interiore e soggettivo. L'angoscia del poeta implica un'opposizione tra esterno ed interno, tra mondo e nido, un nido in cui vi è protezione, calore e salvezza. Tutte e tre le liriche ricorrono ad un'antitesi fra il nero della notte e il bianco della casa espressa anche dal canto della madre e dal moto di una culla (infanzia/nido → rimanda a un tempo felice) parole onomatopeiche successione T-R-B, dal suono più forte al meno forte, come se sentissimo il tuono spegnersi poeta impressionista X AGOSTO (MYRICAE) La poesia X Agosto ha un carattere fortemente autobiografico. L'uomo di cui si parla non è che il padre del poeta, Ruggero Pascoli, ucciso a fucilate il 10 agosto 1867 (data a cui rimanda il titolo) probabilmente da un rivale che aspirava a prendere il suo posto di amministratore della tenuta dei principi Torlonia. Le indagini non arrivarono mai a una conclusione e il delitto rimase irrisolto. All'epoca Giovanni aveva 12 anni e questo episodio fu il primo di tanti eventi funesti. Il poeta dovette per tutta la vita rappresentarsi l'origine del proprio dolore e l'origine stessa del male attraverso questo evento, centrale per la sua vita. Dal punto di vista del senso e del contenuto la prima strofa si lega all'ultima, mentre le strofe centrali si dividono in due dedicate alla rondine e due all'uomo. La prima strofa crea un senso di aspettativa, di una rivelazione che avverrà nell'ultima strofa e che ci consegna un nuovo senso della notte di San Lorenzo e delle sue stelle cadenti. Mentre la prima e l'ultima strofa di X Agosto sono riflessive, nelle strofe centrali il tono si fa narrativo e il poeta racconta due episodi che, seppur carichi di significati e riferimenti, si presentano prima di tutto come racconti di due eventi tragici. Nella prima strofa il giorno di San Lorenzo, il 10 agosto, viene personificato e a lui si rivolge l'invocazione che apre la poesia. Nell'ultima strofa il poeta si rivolge direttamente al cielo e gli attribuisce un'azione, la caduta delle stelle, e uno scopo, quello di evocare attraverso le stelle un pianto. Come in molte delle poesie di Pascoli, anche in X Agosto si crea un gioco di analogie, che collegano i vari elementi del discorso in una rete di corrispondenze. In particolare si instaurano rapporti analogici tra l'uomo e la rondine e tra le stelle cadenti e il pianto. Il pianto degli uomini diventa il pianto del cielo, mentre la morte della rondine rimanda a quella dell'uomo. La similitudine ha una funzione simile all'analogia, cioè quella di creare collegamenti tra immagini diverse. Nel caso della similitudine il collegamento è esplicitato attraverso l'uso del "come" o di altre parole simili. In X Agosto Pascoli usa la similitudine per dire che la rondine è "come in croce"e rendere ancora più esplicito il riferimento a Cristo che percorre tutto il componimento. METONIMIA → "anche un uomo tornava al suo nido" (v.13), per intendere che tornava a casa. Nella poesia X Agosto sono presenti molti riferimenti al martirio di Cristo, in particolar modo nei termini che il poeta sceglie per parlare delle morti della rondine e dell'uomo. NOVEMBRE (MYRICAE) La lirica parla dei giorni antecedenti a quelli di San Martino. L'aria si fa più calda e ci sembra quasi estate. Guardandoci intorno speriamo di trovare qualche albicocco in fiore, ma guardando più attentamente vediamo solo foglie secche. Pascoli allude ad una situazione di fragilità: l'illusione di un'estate fredda, quella dei morti. LAVANDARE Il poeta passeggia in campagna in una giornata d'autunno. Il paesaggio è avvolto in una nebbiolina che sale leggera dal terreno e Pascoli scorge nel mezzo di un campo, arato a metà, un aratro abbandonato. Da un fosso arriva il canto triste e lento delle lavandaie al lavoro. Il canto racconta di un'innamorata rimasta sola, in attesa che l'amato ritorni, ella si sente triste e malinconica come l'aratro abbandonato in mezzo al campo. La poesia "Lavandare" è un esempio di impressionismo pascoliano in quanto il poeta come in un quadro rappresenta, accostandoli, gli elementi che compongono la descrizione: II campo arato a metà con un aratro abbandonato nel mezzo, il canto triste delle lavandaie ed il malinconico e spoglio paesaggio della campagna autunnale. Si distinguono diverse aree sensoriali: La prima strofa è tutta giocata sui colori e prevalgono le sensazioni visive: l'aratro abbandonato, il campo mezzo nero e mezzo grigio, la nebbiolina creano un'immagine pittorica à impressionismo visivo; nella seconda strofa prevalgono invece le sensazioni uditive, parte onomatopeica: rumore sordo dei panni battuti nell'acqua e il canto triste delle donne à impressionismo uditivo nella quartina conclusiva, contenente le parole della canzone cantata dalle lavandaie, entrambi i sensi partecipano: le sensazioni uditive del soffiare del vento (il vento soffia) e visive del cadere delle foglie (nevica la frasca) e dell'aratro abbandonato (l'aratro in mezzo al maggese) fanno da contorno all'emergere, nei due versi centrali, della verità esistenziale della dolorosa solitudine dell'uomo à componente simbolistica. temi principali sviluppati da questo breve componimento poetico sono quelli dell'abbandono e della solitudine. Pascoli si serve degli aspetti della natura e delle cose in maniera emblematica, simbolista, per creare corrispondenze che conducono ad un'immagine desolata che trova il suo corrispettivo nello stato d'animo del poeta colmo di malinconia e di smarrimento. LA MIA SERA (CANTI DI CASTELVECCHIO) La mia sera è costruita su un'analogia: la serenità del paesaggio di campagna serale, dopo una giornata di tempesta, è specchio dell'animo del poeta. Questi due nuclei tematici (natura vs poeta) polarizzano il componimento, che progressivamente si sposta dall'osservazione della natura alla riflessione personale. Il paesaggio circostante è caratterizzato da una quiete resa ancor più evidente dal contrasto con il giorno. Questo contrasto, a livello semantico, è reso dalle continue coppie antitetiche. Non solo: il temporale del giorno è strumento fondamentale perché la quiete stessa possa esistere. Sotto questo aspetto, la poesia richiama un altro componimento: La quiete dopo la tempesta di Giacomo Leopardi. Entrambe le poesie partono dallo stesso evento fisico per spostarsi poi su un piano ragionativo, di astrazione spirituale, ma se la riflessione di Leopardi culmina in una legge universale, l'approdo di Pascoli sfocia in discorso personale. La quiete della sera, infatti, rievoca le ninne nanne della madre nella culla. La vita del poeta, vissuta come travaglio fin dall'infanzia (segnata dalla morte del padre, al centro della poesia X agosto), sarà riassorbita nel nido originario, nel sonno della morte. IL GELSOMINO NOTTURNO (CANTI DI CASTELVECCHIO) In questa poesia emerge uno dei temi cardine di Pascoli: il confronto tra la natura che lo circonda e ciò che prova, la sensibilità acuta e l'inquietudine esistenziale che traspaiono dalle sue poesie. Già a partire dal titolo, questa poesia fa degli evidenti ma delicati riferimenti all'erotismo. Il poeta contempla la casa in cui l'amico si appresta a consumare la prima notte di nozze, cui il testo è dedicato, introducendo una tematica sessuale in modo tale che risulti evidente quanto il poeta si senta estraneo ed escluso da questo tipo di piacere. Il tema sessuale viene sviluppato grazie a una serie di immagini liberamente riprese dalla natura che in quel momento circonda il poeta. Così Pascoli fa riferimento ai fiori notturni, i gelsomini, che hanno la precisa peculiarità di aprirsi al calare della notte per poi richiudersi con l'arrivo del sole, e alle farfalle crepuscolari. Seconda e terza strofa esprimono la tranquillità del momento in cui la giornata volge al termine e la sera sta arrivando, spezzata però dall'arrivo di qualcosa di misterioso che si sente nell'aria, come l'odore di fragole rosse. Questa è la sinestesia che Pascoli utilizza per alludere all'atto sessuale che il suo amico sta per compiere e che a lui, invece, è precluso e sconosciuto. In questo frangente Pascoli si sente come l'ape tardiva che, quando arriva, trova tutto l'alveare occupato; immediato arriva il parallelismo col cielo e con la costellazione delle Pleiadi. A questo punto lo sguardo del poeta osserva tristemente le luci nella casa che si accendono e si spengono nelle varie stanze, fino ad arrivare in camera da letto, dove la luce del lume che lascia definitivamente spazio al buio della notte: la prima notte di nozze sta per essere consumata dagli sposi. Nell'ultima strofa la notte è passata, e la felicità nuova data dal matrimonio consumato - così come lo sono i petali del gelsomino - è giunta. Gli ultimi versi, legati a qualcosa da covare in un "urna molle e segreta" fanno riferimento anche a una futura gravidanza. Qui c'è il punto di massima sensazione di esclusione comunicata dal poeta e l'allusione più esplicita all'erotismo con l'urna molle e segreta del gelsomino. Il gelsomino notturno è considerato uno dei capolavori cardine dell'espressione del simbolismo tipico di Pascoli. Qui l'autore allude in maniera sfumata ma piuttosto inequivocabile all'attività sessuale sfruttando ciò che lo circonda, i paesaggi e la natura, utilizzando molte figure retoriche. L'analogia domina la poesia, creando legami oscuri tra le cose di cui solo Giovanni Pascoli stesso può comprendere la profondità. Particolarmente curati anche gli aspetti fonosimbolici e percettivi del componimento, con vocali aperte e chiuse che si alternano sapientemente, verbi che rimandano a sensazioni uditive (suoni di vario genere) e sensazioni visive (percezione di colori e luci). Prima personaggio poi poeta 1863= albori unità Italia 1938 = dittatura fascista Nasce a Pescara, poi va a Roma / ambienti culturali mondani = IL PIACERE /. poi a Napoli GIOVANNI EPISCOPO 6 L INNOCENTE qui conosce anche MATILDE SERGO /verismo/ Crea un'immagine pubblica fatta di vita dispendiosa viaggi e scandali influenzato teoria superuomo Nietzsche Poeta vate Con Eleonora Duse va alla Capponcina a Firenze poi Parigi e muore nella villa-museo IL VITTORIALE vicino Brescia Parlamentare destra, poi sinistra NO CAMBIO IDEOLOGICO ma GESTO PROVOCATORIO - INCURSIONE AEREO SU POLA - BEFFA DI BUCCARI - VOLO SU VIENNA - IMPRESA DI FIUME / vittoria mutilata / PRIME RACCOLTE Sperimenta tutti i generi letterari ECLETTICO - PRIMO VERE come campagna pubblicitaria notizia sua morte 16 anni Temi e forme di Carducci prima sapiente guida poi maestro avverso - CANTO NOVO originalità poetica Cronaca poetica vacanza estiva giovani tra mare e boschi abruzzo amore abbandono sensi/ forza animalesca / ricerca del desiderio accostamento analogico e frammentazione della composizione con brevi immagini / 0 FALCE DI LUNA CALANTE / - POEMA PARADISIACO Itinerario autobiografico, ripercorre amori passati Rievocazione dell'infanzia e affetti familiari analogie segrete tra le cose - NOVELLE GIOVANILI = NOVELLE DELLA PESCARA dichiara fedele a verga e naturalisti ma la descrizione dell'Abruzzo distante dall impersonalità del verismo/naturalismo Le vicende si concludono con la morte dei personaggi, risultano forzate e artificiose VITO LAUDI ALCYONE 88 componimenti in 5 sezioni x la critica capolavoro della poesia dannunziana Diario lirico di una vacanza estiva del poeta IL PIACERE Estetismo Celebra la bellezza della natura, l'energia generata da essa e la FUSIONE PANICA CON LA NATURA - La PIOGGIA NEL PINETO Si definiva IMAGINIFICO= creatore immagini attraverso suoni Lessico vario che tende alla musicalità aMa cose rare = linguaggio arcaico e ortografia superata Suggestioni musicali rime e consonanze nel verso. analogia Sintassi breve e coordinata con metrica tradizionale, strofa libera e verso libero alla capponcina Dovevano essere 7 libri ognuno per una stella delle Pleiadi, scritti solo 5 Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi / CANTICO DELLE CREATURE/ - Mala / ELETTRA / ALCYONE / MEROPE = componimenti guerra Libia / ASTEROPE - PASTORI - LE STIRPI CANORE I ROMANZI DEL SUPERUOMO Gabriele D'Annunzio Giovanni Episcopo L'innocente Il trionfo della morte inizio della transizione dal mito dell'esteta a quello della teoria del superuomo di Nietzsche. Il protagonista è Giorgio Aurispa un esteta come Andrea Sperelli che disprezza il mondo borghese a differenza di Sperelli Aurispa è meno vitale, schiacciato dal senso di inutilità e di morte, il senso di vuoto anticipa temi personaggi tipici del 900 D'Annunzio si avvicina anteriormente alla teoria del super uomo. adattandola alla sua personalità. le vergini delle rocce il fuoco forse che sì forse che no Nonostante le eroiche aspirazioni i protagonisti di questi romanzi sono in capaci di trasformare in azioni e loro progetti di vita, ambizione fallita Il dandismo di questi personaggi e loro sdegno antiborghese sono un affermazione della volontà di dominio del singolo sulla massa reputata inferiore O FALCE DI LUNA CALANTE (CANTO NOVO) Questa breve ode fa parte della raccolta Canto novo, appartiene alla produzione giovanile di D'Annunzio (il poeta ha 19 anni) ed è una delle sue più famose e celebrate liriche "notturne". La poesia descrive una notte quieta in cui il mondo gli appare immobile sotto il chiarore dell'esile spicchio dell'ultimo quarto di luna. Non si ode alcun rumore, impercettibilmente solo le piante ed i fiori sembrano muoversi mentre gli esseri viventi, affaticati dal piacere, dormono un sonno profondo. In pochi versi D'Annunzio riesce a descrivere in maniera suggestiva e raffinata questo tema notturno, giocando sulla musicalità dei versi e sulla sensualità delle immagini. La natura viene umanizzata ed il poeta ne esalta gli aspetti più languidi rivelando il carattere decadente e sensuale della sua ispirazione. Non troviamo nulla di particolare, anche il tema della luna è un grande classico molto ricorrente. La poesia è musicale e armoniosa, troviamo uno scambio di vita tra la natura e il poeta. LE STIRPI CANORE (ALCYONE) Composta probabilmente tra il luglio e l'agosto 1902, questa lirica è un testo metapoetico: parla di se stessa, si autocelebra, si autodefinisce e, così facendo, rivela alcuni tratti significativi della poetica di Alcyone. L'autore loda la propria poesia per la sua varietà: per le infinite potenzialità di espressioni, suoni, significati di cui è capace; per la sua totale disponibilità a farsi interprete della "divina diversità" del mondo e della vita. In tal senso, la lirica riprende il tema della lode alla vita e alla Diversità che caratterizza Maia, il primo libro delle Laudi, ed è espressione di un panismo di matrice superomistica. D'Annunzio celebra la propria poesia anche per la sua naturalità. La poesia è prole delle foreste, delle onde, del sole, del vento: è essa stessa Natura, vive della stessa vita degli esseri dell'universo, è partecipe della loro essenza, voce fondamentale del grande Tutto. Tra le parole e le cose c'è una misteriosa corrispondenza. Anzi, soltanto il poeta e la poesia possono entrare nel segreto profondo del reale ed esprimerne, in suoni-parole, tutti i significati, che sono allo stesso tempo molteplici e univoci. In tal senso, con Le stirpi canore d'Annunzio esprime la matrice simbolista del suo panismo (è evidente la lezione delle Corrispondenze di Baudelaire). LA PIOGGIA NEL PINETO (ALCYONE) Il poeta, insieme a una donna chiamata Ermione, è sorpreso dalla pioggia mentre passeggia nella pineta di Marina di Pisa. Nella lirica si intrecciano i temi della metamorfosi (l'uomo e la donna si fondono gradualmente con lo spirito stesso del bosco → PANISMO) e della musicalità, grazie alla forza evocatrice della parola poetica. Il poeta invita Ermione a tacere e ad ascoltare le varie modulazioni che le gocce di pioggia producono sulle piante del bosco, cui si unisce il verso della cicala e della rana. La sinfonia dei suoni li conduce gradualmente in una dimensione di sogno, entro la quale avvengono i riti metamorfici: entrambi si fondono nella rigogliosa vita vegetale, che avviluppa i loro corpi (il cuore è come una pèsca, gli occhi sono come sorgenti, i denti sono mandorle acerbe). La lirica si chiude con la ripresa del tema della pioggia, quasi a prolungare quello stato di estasi cui il poeta e la compagna sono pervenuti. La lirica è un esempio, tra i più celebri, della parola che diventa musica, la parola è la formula magica che traduce i suoni della natura e rivela l'essenza della realtà. Il lessico è semplice, ma costellato qua e là di termini ricercati e di registro alto, anche per l'uso particolare degli aggettivi. La struttura è basata sul fluire impressionistico di immagini e di sensazioni. Ogni strofa comprende più periodi e la sintassi, con proposizioni coordinate brevi, è spezzata dagli enjambement, che contemporaneamente dilatano il verso. La ripetizione della parola-chiave piove costruisce una simmetria sintattica, esprime fonicamente il battere ritmico della pioggia e si arricchisce di immagini nuove, che comunicano la partecipazione alla vita della natura. → PIOVE, MONTALE Satira e parodia nei confronti di D'Annunzio. Troviamo un'anafora: "Piove" all'inizio di ogni verso + tante rime + assonanze. Montale vede la pioggia negativamente, notiamo la contrapposizione del pessimismo esistenziale di Montale con l'estetismo dannunziano. È una poesia più realistica, parla di sciopero generale e di cartelle esattoriali, è su un piano diverso da quello esteta di D'Annunzio (anche il linguaggio è diverso, estremamente colloquiale). Ci sono parole inglesi → "work in regress" come per dire che le cose vanno sempre peggio e non c'è speranza. I PASTORI (ALCYONE) I pastori è una notissima poesia di Gabriele d'Annunzio, che in questo componimento esprime tutto il suo amore per la terra d'origine. Il poeta ammira l'esistenza semplice dei pastori, che vivono in una natura incontaminata, legati alle antiche tradizioni. Nella poesia si descrive la vita semplice degli umili, uomini e animali. La migrazione autunnale delle greggi dai monti all'Adriatico selvaggio diventa, in modo naturale, un simbolo di continuità: la vita della natura si ripete immutabile, di stagione in stagione. Notiamo una sorta di nostalgia, il poeta di rende conto che quella è la vera vita e non l'artificiosità dell'estetismo. Il ritmo è più tranquillo e pacato, sembra quasi riflessiva (diversa dalla pioggia nel pineto). IL PIACERE La frequentazione della nobiltà romana offre a D'Annunzio gli spunti per "il piacere" (1899). La forte spinta estetica è affiancata da un marcato edonismo → il gusto del bello viene speso dall'arte all'esistenza intera. Il protagonista del romanzo è Andrea Sperelli, un gentiluomo che vive nel palazzo Zuccari in Piazza di Spagna, erede di una famiglia di artisti, ha dedicato la propria vita alla bellezza e alla cultura nonché alla costante ricerca del piacere. L'arte è il valore supremo e tutti gli altri valori (compiti quelli morali) le sono subordinati. Andrea ha però una volontà debole e l'estetismo diventa una forza distruttiva che lo porta alla solitudine e alla sconfitta nel rapporto affettivo con le donne. Con l'opera D'Annunzio intendeva soddisfare le esigenze del pubblico aristocratico che si rispecchia negli atteggiamenti snob del protagonista. Allo stesso tempo il dandy Andrea Sperelli è un Alter Ego di D'Annunzio e rispecchia la personalità dello scrittore che trasferisce nel personaggio molte delle proprie passioni, aspirazioni ma anche in soddisfazioni. Il mito dell'esteta si spiega come il tentativo degli intellettuali di fine '800 di recuperare una posizione di privilegio e di eccezionalità. Mentre altri autori decadenti (Baudelaire e Pascoli) reagiscono con frustrazione e disagio al conformismo omologante della società borghese di massa, D'Annunzio si pone al di fuori di essa con il suo modo di vivere. Lo sviluppo del romanzo non segue un ordine cronologico degli avvenimenti narrati ma procede per blocchi discontinui: flashback che mescolano presente e passato; estese e dettagliate digressioni sull'ambiente → Roma barocca; una minuziosa indagine interiore del personaggio. I nomi dei due personaggi femminili sono simbolici: → Elena è la donna fatale, evoca Elena di Troia la cui bellezza fu causa di terribili sciagure; Maria è la donna angelo, richiama la purezza della Vergine. ANDREA SPERELLI Sperelli è debole e privo di forza morale incarna il tipico dandy decadente, affetto da un'incurabile malattia dell'anima: l'arte è l'unica ragione di vita. L'esistenza di questo raffinato esteta è però segnata dall'incapacità di indirizzare le proprie azioni verso fini ideali: gli manca dunque la potenza di volontà del superuomo che d'Annunzio attribuirà a personaggi come nelle Vergine delle rocce, nello stesso tempo il personaggio anticipa una figura tipica della narrativa del '900, quella dell'inetto, l'uomo incapace di vivere all'interno della società moderna. Anche se D'Annunzio prende le distanze dal protagonista trasferisce molto di sé del personaggio come la contaminazione tra arte e vita o la Roma barocca, la stessa Roma frequentata da D'Annunzio e da lui descritta in vari articoli giornalistici. Nella struttura narrativa del romanzo ci sono sia scelte tradizionali (narratore esterno onnisciente) sia modalità innovative (discorso indiretto libero) che lasciano fluire in presa diretta la soggettività del personaggio e i suoi pensieri tortuosi. 3 ROMANZI A CONFRONTO (A ritroso, il ritratto di Dorian Gray, Il Piacere) A ritroso In questo romanzo viene narrata la vicenda di un'esteta che si chiama Des Esseintes. Questo protagonista è la tipica figura dell'esteta (fa della bellezza il supremo valore della sua vita) che disgustato del mondo volgare in cui vive, il mondo moderno, decide di ritirarsi in una villa in cui poi porta tutti oggetti ed opere d'arte che corrisponde al suo gusto estetico Questo isolamento è una sorta di rifiuto della modernità, un rifiuto talmente radicale che decide di rinchiudersi in queste condizioni di solitudine. Questo tentativo è un tentativo fallimentare perché la sua nevrosi non fa altro che peggiorare, è per questo costretto a tornare nel mondo moderno →→ fallimento del suo progetto di vita → Il ritratto di Dorian Gray Si tratta di un'altro protagonista che rappresenta un'altra figura dell'esteta: Dorian Gray → muore, fallimento del suo progetto di vita. → Il Piacere Sperelli rimane solo FUTURISMO Il futurismo nacque ufficialmente a Parigi nel 1909 con la pubblicazione del Manifesto del Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti e si diffuse rapidamente in tutta Europa. Il successo del Futurismo dirigo anche dall'intensa attività promozionale dei suoi membri. I futuristi celebravano la civiltà delle macchine e loro temi erano l'esaltazione della modernità, della velocità e del dinamismo. Tipiche dei futuristi furono anche le proposte provocatorie, come distruggere le biblioteche e musei e portare l'arte nelle strade per integrarla con la vita quotidiana. La letteratura del Futurismo era basata sulla teoria delle parole in libertà → Marinetti nel manifesto tecnico della letteratura futurista. esposta da La poesia doveva esprimere il ritmo della nuova civiltà delle macchine, doveva esaltare i ritmi della vita moderna ed eliminare ogni sensazione di stasi e di pausa. La tecnica letteraria corrispondente a questo tipo di poesia era (oltre alle parole in libertà) l'immaginazione senza fili, una sorta di analogia. abolizione dell'io; abolizione della punteggiatura, dei legami sintattici, dell'aggettivo e dell'avverbio; uso del verbo all'infinito, dell'onomatopea, dell'analogia e dei segni matematici; aspirazione a "un'arte totale", alla convergenza delle arti. Oltre a Marinetti appartengono al nucleo storico del Futurismo italiano Govoni e Palazzeschi LA PASSEGGIATA - PALAZZESCHI (FUTURISMO) La poesia appare come una sequenza di parole (di cui parecchie in francese), di lettere e di numeri. In realtà l'autore ha semplicemente riportato tutte le scritte che ha letto durante una passeggiata in Via Garibaldi, nonché i dialoghi fatti all'inizio ed alla fine del percorso. Seguendo le nuove tecniche artistiche introdotte dal futurismo, La passeggiata si rifà allo stile pittorico del collage, applicato alla poesia. LASCIATEMI DIVERTIRE - PALAZZESCHI (FUTURISMO) La poesia, dal sottotitolo eloquente Canzonetta, è una tagliente critica, con le armi del riso, del paradosso e dell'ironia, contro la tradizione poetica e il buon gusto del pubblico medio. Palazzeschi, qui nella sua fase più esplicitamente futurista, irride i modelli passati, dalla funzione del "poeta-vate" alla maniera dannunziana alle eccessive difficoltà stilistiche di chi scrive "in giapponese", passando per chi si spaccia per poeta senza aver nulla da dire. Il poeta palazzeschiano, invece, si vuole solo divertire. Lasciatemi divertire si presenta come un originalissimo manifesto di poetica e, al tempo stesso, come una dichiarazione di identità dell'io poetico che si inserisce nel panorama abbastanza variopinto della poesia di inizio Novecento. il poeta palazzeschiano rivendica il diritto al divertimento e al disimpegno, fino alla licenza per il paradosso e il nonsense. La percezione vitalistica dell'attività poetica diventa insomma occasione di gioco, innanzitutto con se stesso e con il materiale della propria creazione; la poesia si apre così con una serie di onomatopee, frequentemente ripetute nel testo, che parodizzano la tipica cura formale dei poeti "ufficiali". Come spiega lo stesso Palazzeschi, si tratta di un ribaltamento dei canoni più convenzionali IL MANIFESTO DEL FUTURISMO - MARINETTI (FUTURISMO) Il Futurismo nasce ufficialmente a Parigi nel 1909 con la pubblicazione a firma di Filippo Tommaso Marinetti del manifesto del Futurismo, una lunga e articolata dichiarazione di intenti che descrive una nuova idea artistica. Il testo del Manifesto del Futurismo è preceduto da un prologo nel quale Marinetti descrive i momenti di fondazione del Futurismo, raccontando di un'intera nottata trascorsa con gli amici a scrivere e discutere e che si conclude con una veloce corsa in automobile finita in un fosso per evitare due ciclisti. Si sviluppa in 11 punti programmatici. Audacia, ribellione, movimento aggressivo, velocità e lotta sono solo alcune delle parole chiave con cui il Futurismo irrompe nella scena artistica. Altra caratteristica è la ricerca di provocazione. L'ansia di rinnovamento si espande fino a tradursi in atti irrazionali così il futurista arriva a esaltare la guerra come sola igiene del mondo. Tra le prime più accese battaglie del Movimento futurista è quella contro ogni convenzione letteraria e culturale in particolare contro il classicismo e il decadentismo. Elemento centrale di questa trasformazione tecnologica è la macchina in tutte le sue varie e mutevoli manifestazioni. il mito della macchina come oggetto non solo concreto ma anche ideale come un nuovo paradigma della creatività della forza e dell'efficienza. modifiche del verbo, abolizione dell'aggettivo, dell'avverbio, della punteggiatura dinamicità dell'analogia disordine BOMBARDAMENTO - MARINETTI (FUTURISMO) Nel poemetto" Zang tumb tuuum. Adrianopoli ottobre 1912", pubblicato nel 1914, l'autore cerca di produrre quella rivoluzione dello stile e della sintassi che aveva definito in punti nel Manifesto tecnico della letteratura futurista: utilizza il verbo all'infinito, abolisce la punteggiatura, dispone le parole in maniera libera e quasi anarchica e conferisce loro un senso per il rumore che riproducono (quello dei bombardamenti) più che per le relazioni ed accostamenti che intrattengono. Le onomatopee, la distinzione tra parole scritte in neretto e quelle normali e la differenza di dimensione delle lettere sono gli elementi usati da Marinetti per esprimere l'ansia e forza del bombardamento effettuato dai Bulgari nella città turca di Adrianopoli. Ciò che maggiormente attira l'attenzione nel componimento futurista è l'utilizzo di veri e propri "rumori" al posto delle parole, tecnica che diventerà propria di un altro genere 'letterario', il fumetto, qualche anno più tardi. Quando Marinetti utilizza termini come "ZZZANG TUMB TUM" per indicare gli spari, o "taratatatatata" per la mitragliatrice; e ancora "trak trak" e "pic-pac-pum-tumb" di schiaffi, morsi e pugni, il lettore ha esattamente nelle orecchie un rumore preciso, che tra l'altro è uguale per tutti: infatti taratatatata rievoca comunemente il rumore di una mitragliatrice, e non solo al lettore italiano, ma in qualunque parte del mondo; anche DON-DAN-DON-DIN è riconosciuto ovunque come il suono delle campane, e BEEEE è il verso di una pecorella in Italia come in Giappone. La genialità della letteratura futurista dunque, risiede nella sua “universalità”: Marinetti non ha solo trovato il modo di tradurre in parole le sensazioni uditive, ma ha soprattutto trovato il modo di tradurle in maniera immediata e in una lingua universale, quella del rumore-suono. CREPUSCOLARI I principali esponenti sono Gozzano, Corazzini e Moretti. Usare per la prima volta nel 1910 il termine crepuscolarismo fu il narratore critico letterario Borgese, in cui individuava alcuni elementi comuni in questi autori: l'incapacità di dare identità e significato all'esistenza la scelta dell'isolamento accompagnato dall'autocompatimento L'atmosfera di malinconia presente nella loro poesia richiama la luce morente del Crepuscolo. I loro stati d'animo sono la tristezza, l'impossibilità di amare, la malattia e la noia esistenziale. Gli oggetti gli ambienti quotidiani di provincia sono i temi principali →le buone cose di pessimo gusto. Il lessico è comune, di uso quotidiano ma alternato a parole più colte. Il ritmo è lento, i versi sono liberi e lontani dall'armonia tradizionale. Il verso devi perdere la musicalità anche gli schianto di avvicinarsi alla prosa. Dichiarano a più riprese di non volere essere poeti, non si rispecchiano nella figura del poeta vate e per questo non amano D'Annunzio come personaggio in quanto troppo superficiale per la loro voglia di quotidianità. LA SIGNORINA FELICITA OVVERO LA FELICITÀ - GOZZANO (CREPUSCOLARISMO) Vedendo il calendario il protagonista della poesia si accorge che è il 10 luglio, Santa Felicita, ricorda così i momenti passati con una ragazza di nome Felicita a Villa Amarena. Questa era una semplice ragazza di paese che il poeta incontra a Ivrea (Torino) mentre lui è un avvocato, la storia è quella di un'amore mai realizzato. Nel corso della poesia si rivolge sempre a lei usando la terza persona anche se in realtà sta parlando da solo. Contrapposizione con la donna fatale di D'annunzio e probabilmente il suo scopo era proprio quello di fare una critica antidannunziana. All'interno del componimento, che ha un andamento quasi prosastico, emerge anche la consapevolezza di non sentirsi adeguati al loro tempo e alla loro vita. L'AMICA DI NONNA SPERANZA - GOZZANO (CREPUSCOLARISMO) Il poeta trova una vecchia fotografia della nonna, allora 17enne, e di una sua amica, Carlotta. Le due erano in vacanza dopo essere state in collegio, da poco portavano il vestito lungo (l'allungamento del vestito sanciva il passaggio dall'età infantile a quella adulta). Il poeta parla delle "buone cose di pessimo gusto" ossia tutte le cose borghesi nelle case in un'epoca dove le persone erano legatissime alla tradizione. Il poeta sembra essersi innamorato dell'amica della nonna ma è un'amore passato, quasi un ricordo malinconico ma dolce. Siamo nel 1850 guerre d'indipendenza, un tempo migliore rispetto a quello in cui il poeta è costretto a vivere. A CESENA - MORETTI (CREPUSCOLARISMO) Confronto con La pioggia nel Non abbiamo la metrica e la ricercatezza ma abbiamo un andamento prosastico. Diversa concezione della pioggia che viene assimilata alla bava. ROMANZO NEL '900 Negli ultimi anni dell'Ottocento l'ottimismo positivista entra in crisi a causa dei nuovi orientamenti filosofici di Nietzsche e Freud e delle nuove teorie scientifiche. Mutano infatti le concezioni di tempo con la teoria della relatività di Einstein. Inoltre Freud con la psicoanalisi dimostra l'incapacità della ragione di governare l'uomo, in quanto molte delle nostre azioni sono condizionate da qualcosa di totalmente incontrollabile dalla ragione stessa, ovvero l'inconscio. Le ricadute di questi mutamenti sociali e culturali sul romanzo dell'800 sono molteplici, al punto da farne mutare radicalmente le caratteristiche del Novecento. DIFFERENZE CON IL ROMANZO DELL '800 1. A differenza del romanzo dell'800 in cui prevale la narrazione dei fatti, nel romanzo del '900 risultano importanti le conseguenze che i fatti hanno sulla mente e sulla coscienza del personaggio. 2. Alle lunghe e dettagliate descrizioni degli ambienti, gli autori prediligono la descrizione della psicologia dei personaggi. La narrazione quindi si trasforma da oggettiva a soggettiva, in quanto è proprio il personaggio che racconta la propria esperienza. Per questo motivo nel romanzo del '900 prevale il monologo che permette di registrare ciò che avviene nella coscienza del personaggio. 3. Alla successione cronologica degli avvenimenti e del loro rapporto di causa-effetto, nel romanzo del '900 la narrazione segue i tempi del personaggio. Al centro della narrazione non vi è più il rapporto tra il personaggio e l'ambiente, ma l'interiorità del personaggio, un uomo spesso inadeguato, senza certezze, alla ricerca della sua identità. Gli autori si sentono autorizzati a creare personaggi anti eroi (privi di grandi ideali in cui credere e ai quali dedicare la propria esistenza, incapaci di adattarsi, e quindi non sono più dei modelli per la società) e quindi di mettere in atto il "super ego" (Svevo con Zeno Cosini nell'opera "La coscienza di Zeno"). Le opere del '900 prevedono la concentrazione su di un solo personaggio, presentato spesso in chiave antieroica, come per esempio il malato, il nevrotico o l'inetto, un uomo quindi affetto da una malattia interiore, causata dalla consapevolezza di non riuscire ad agire in base alle regole della società borghese. L'autore condivide la condizione di inettitudine dei personaggi (opere con riferimenti autobiografici). Compare infatti la figura dell'inetto, ovvero un individuo che elabora mille progetti, ma non riesce a mettere in atto nessuno dei suoi propositi. Il tema centrale è l'alienazione, ovvero inettitudine che si trasforma in malattia (con Svevo) che diventa a sua volta follia (con Pirandello). La focalizzazione è prevalentemente interna. I fatti sono introdotti attraverso le percezioni e i pensieri del protagonista: il lettore è informato soltanto di ciò che ricade nell'ottica del personaggio o che accade nella sua mente. Gli autori cercano di esprimere il "flusso dei pensieri " dei personaggi, cioè le loro riflessioni, i loro ricordi scritti in maniera diretta, immediata. Questo può rendere la lettura difficoltosa perché gli scrittori tentano di rendere la caoticità, la confusione, i salti temporali che la mente fa in pochi attimi. Il tutto è condizionato dal filosofo Bergson e la sua concezione del tempo interiore (in questo modo anche un minimo evento può riportare alla mente del protagonista un intero periodo della sua infanzia che sembrava dimenticato dalla memoria, la quale, invece, agisce in base a meccanismi razionali). ROMANZO DEL 900 IN ITALIA In Italia, le esperienze più innovative sono quelle di Italo Svevo e di Luigi Pirandello. Al centro della narrativa di Svevo c'è il tema della malattia come condizione esistenziale e la figura dell'inetto. La sua trilogia di romanzi (Una vita, Senilità e La coscienza di Zeno) si concentra sul disagio psicologico contemporaneo. Zeno è una maschera delle incertezze dell'autore, del suo senso di inadeguatezza e della sua inettitudine. Pirandello, invece, era convinto che dalla consapevolezza dell'individuo di essere "tanti" e "nessuno" nascono l'alienazione, l'incomunicabilità e la solitudine dell'uomo, che rifiuta la vita sociale perché gli imponeva maschere e ruoli fittizi. SVEVO Italo Svevo non ha scritto tantissimo ma ciò che ha scritto sembra essere stato scritto oggi in quanto tratta di tematiche esistenziali in cui ci ritroviamo anche a distanza di un secolo. Concepisce il romanzo come uno strumento per conoscersi e analizzarsi → porta nella letteratura italiana la psicoanalisi. La sua letteratura guarda verso l'estero → Joyce e Proust. Il suo vero nome Ettore Schmitz, Italo Svevo è uno pseudonimo che mette in luce la sua duplice identità culturale italo-tedesca. Viene da una famiglia di Trieste ebraica, compie gli studi commerciali e va in Germania ma capisce che non è la sua strada, è da sempre appassionato alla scrittura e alla letteratura. TRIESTE → atmosfera europea e moderna, correnti di pensiero nuove (Freud/ Marx), Qui conosce anche il primo grande psicoanalista Wice (a cui regala il manoscritto di Zeno) A causa del fallimento dell'industria del padre è costretto a lavorare in banca per 18 anni, è un lavoro arido e opprimente tanto che a 30 anni si definiva già un uomo finito. 1892 → UNA VITA (un inetto) Non ha successo e rimane nell'ombra come anche SENILITÀ, questo genera un senso di frustrazione e insoddisfazione. Si sposa ed entra nell'altra borghesia, lavora per il suocero che ha una ditta di vernici e per questo è costretto a compiere lunghi viaggi in Inghilterra (dove conoscerà Joyce). Abbandona la letteratura per 25 anni → per lui scrivere è una necessità (uno strumento di autocoscienza per conoscersi meglio) ed elabora romanzo abbozzati. Alla fine della prima guerra mondiale scrive LA COSCIENZA DI ZENO → inizialmente non ottiene successo, ma lo avrà grazie a Montale e Joyce. Non si gode il successo poiché nel 1928 muore per un incidente stradale. PSICOANALISI → Indaga il nostro inconscio e ci aiuta ad avere costanza di noi, la rifiuta come terapia in quanto la malattia caratterizza l'uomo. Alla figura del Borghese conformista che si adegua alle convenzioni esterne Svevo contrappone l'inetto, un fallito sul piano pratico perché è incapace di fare scelte. Letteratura e vita nelle opere di Svevo sono inseparabili: in quasi tutte le opere ci sono fatti e sentimenti vissuti in prima persona (lavoro impiegato in banca → una vita). Non crede nella letteratura profeta di valori assoluti, concepisce la letteratura come uno strumento di analisi con una funzione terapeutica, offre la possibilità di riflettere su se stessi e comprendere il significato della vita. TEMA PRINCIPALE DELLE SUE OPERE → INETTITUDINE L'incapacità di vivere realmente una vita, l'inetto più che vivere la vita la contempla ed è bloccato dalla ragione. Al centro della ricerca di Svevo c'è lo smascheramento delle funzioni della coscienza, questo compito nei primi due romanzi tocca un narratore esterno, la coscienza di Zeno è invece una confessione in prima persona (Zeno narratore e protagonista, narratore inattendibile). UNA VITA Doveva inizialmente intitolarsi un inetto arrampicata sociale ricostruisce in maniera naturalistica, come Zola, alcuni ambienti della borghesia triestina. Parte degli aspetti sociologici ma si concentra sul carattere del protagonista: Alfonso Nitti è represso dalla società borghese e dai suoi conflitti psicologici tendenti alla inganno, si sente sia inferiore che superiore. Il protagonista è un vinto → il suo suicidio non ha nulla di eroico è solo l'ultima tappa della sua inettitudine. Rappresenta la crisi sociale e individuale della società borghese (la frustrazione di Alfonso riflette la condizione dell'impiegato nella società del '900). determinismo positivista → impossibile Superior È un romanzo psicologico in quanto si analizzano le caratteristiche psicologiche del personaggio TRAMA Il protagonista è Alfonso Nitti, intellettuale fallito, venuto dalla campagna in città, a Trieste. Alfonso Nitti vive presso una famiglia di affittacamere ed ha un modesto impiego in banca. Si sente costretto a svolgere un lavoro ripetitivo e arido, ma, lui, che conosce il latino e ama le poesie, aspira ad una vita ben diversa. Ha ambizioni intellettuali e di scrittore. Alfonso si sente circondato da un'umanità meschina e sogna di riscattarsi attraverso la letteratura. Seduce, quasi senza rendersene conto, la giovane figlia del direttore della banca, anche lei appassionata lettrice e aspirante scrittrice, che gli propone di scrivere un romanzo a quattro mani. Nonostante la differente estrazione sociale, Annetta è disposta a sposarlo e ad affrontare il problema di tutti gli ostacoli sociali che si oppongono. Ma Alfonso scopre di non essere più interessato e insensibilmente rinuncia a questa occasione di scalata sociale. Con la scusa della malattia della madre Alfonso ritorna al paese natale dove assiste alla morte della madre. Si ammala egli stesso, e finisce per vendere ogni bene familiare. Alfonso preferisce rinunciare alla lotta suicidandosi. SENILITÀ Tema → Contraddizioni dell' intellettuale piccolo Borghese, frustrazioni, sconfitte, autoinganni e autogiustificazioni di Emilio Brentani. Il protagonista è psicologicamente immaturo, incapace di affrontare la vita, rinuncia alle occasioni che la vita gli offre ma non si oppone alle consuetudini borghese (vi si adegua). Visione meno tragica e più rassegnata dell'inettitudine → anticipa Zeno Cosini Riprende Schopenhauer: LOTTATORI → L'amico e l'amante di Emilio CONTEMPLATORI →→Emilio e la sorella Amalia → TRAMA La trama (ispirata a vicende autobiografiche, come afferma Svevo stesso) ruota intorno alla storia d'amore tra Emilio Brentani e Angiolina. Emilio, impiegato con velleità letterarie, vive un'esistenza monotona e grigia con la sorella Amalia, quando incontra la giovane Angelina, di cui si innamora. La donna fin dal primo istante si dimostra meno coinvolta del protagonista ed è anzi attratta da diversi uomini, tra cui Stefano Balli, amico di Emilio, di cui è innamorata Amalia. Il legame tra Emilio e la giovane si dimostra invece più complesso, poiché Angiolina può controllare i sentimenti di Emilio. Questo, geloso della sorella per la presenza di Balli in casa sua, allontana l'uomo da casa. Amalia si ammala di polmonite, a causa dell'abuso di etere, e muore. Emilio interrompe la relazione con Angiolina, non cessando tuttavia di amarla. In seguito, scopre che la donna è scappata a Vienna. Il protagonista ritorna vivere la sua esistenza grigia e mediocre in solitudine, ricordando le donne amate. LA COSCIENZA DI ZENO Svevo viene a conoscenza della psicoanalisi di Freud è dell'idea di tempo come durata di Bergson. Da Freud riprende il tema dei sogni e dei lapsus (dal latino caduta, gesti che gli individui compiono in modo automatico). Zeno Cosini si mette nelle mani del dottor S, uno psicoanalista, ricorre alla psicoanalisi per curare una nevrosi che lo affligge da anni. Su consiglio dell'analista scrive un'autobiografia nella quale ricostruisce alcune fasi importanti della propria vita per interpretare le reazioni di alcuni dei suoi comportamenti. Le memorie costituiscono il manoscritto consegnato al dottore. Zeno è un antieroe, ha un'eccessiva tendenza all'autoanalisi, all'autoanalisi, la malattia assume un valore positivo è infatti necessaria per conoscersi meglio. COSCIENZA → consapevolezza dei propri comportamenti/cattiva conoscenza ZENO → xenos (straniero), diversità dagli altri,estraneità dalla vita Il dottor S ci mette nelle mani di un narratore interno inattendibile, l'opera è volutamente ambigua in modo che il lettore abbia una doppia chiave di lettura Duplice punto di vista: IO NARRANTE → Zeno 57 anni IO NARRATO →→ Zeno giovane Il tempo è misto, non c'è né passato né presente ma una sintesi (Bergson→ non c'è un ordine cronologico lineare). La malattia di Zeno è il disagio di vivere → questa condizione e fa scattare il meccanismo della nevrosi (sintomi psicosomatici/menzogne/lapsus/errori/sviste). Alla fine del romanzo Zeno è un inetto solo apparentemente. Zeno scopre che sano chi non riflette su se stesso e sull'esistenza, il malato vive cercando di comprendere più in profondità la propria natura. Il lieto fine è paradossale: diventa vincente negli affari e si arricchisce Afferma di essere guarito ma sostiene che la vita stessa è una malattia che va accettata come condizione inesorabile dell'esistenza, l'unico modo per mettere fine alla malattia e l'autodistruzione (il mondo è inquinato alle radici). Dopo la coscienza scrive alcuni capitoli di un quarto romanzo, prosecuzione della coscienza, dopo la guerra Zeno decide di tornare a raccontare di se da un punto di vista ironico IL DOTTOR S. Nella Prefazione il protagonista Zeno Cosini si sente malato per cui decide di intraprendere una cura psicoanalitica presso il dottor S. Il dottore gli consiglia di scrivere un diario e, a un certo punto, in seguito ad alcuni successi lavorativi, Zeno si sente guarito e decide di abbandonare la terapia. Il dottor S., per vendicarsi, pubblica il suo diario (il romanzo stesso) senza chiedere il consenso a Zeno. Il Dottor S. è sia un personaggio interno al romanzo (Zeno parlerà di lui svariate volte nel corso del racconto) sia il suo editore, in quanto è sua la decisione di pubblicare l'autobiografia, ed è anche, nella finzione letteraria, il destinatario originale della storia, della quale il lettore è invece il destinatario reale. Il Dottor S. vuole screditare Zeno facendolo apparire inaffidabile e talora bugiardo, e mettere così il lettore in guardia nei suoi confronti. Avverte perciò che nella sua autobiografia ci sono verità mescolate a bugie: chi legge ha il compito di distinguerle. La Prefazione presenta già i temi principali del romanzo: la malattia, la vecchiaia, la rievocazione del passato, la scrittura come mezzo di conoscenza di sé. IL VIZIO DEL FUMO Il capitolo terzo della Coscienza di Zeno riguarda il vizio del fumo del protagonista, una dipendenza sviluppata fin da ragazzino e sempre combattuta senza successo. Zeno ricorda la sua prima sigaretta fumata da adolescente, inizialmente rubando i soldi al padre poi, dopo essere stato scoperto, fumando i suoi sigari avanzati. A vent'anni Zeno si accorge di odiare il fumo e si ammala, ma nonostante la malattia decide di fumare un'ultima sigaretta; ed è qui che si evidenzia per la prima volta la vera malattia psicoanalitica del protagonista. Inizialmente il fumo è per Zeno una reazione al rapporto con il padre - i cui rapporti saranno sviscerati nel capitolo La morte di mio padre - poi si allarga a forma di difesa verso la realtà circostante e il mondo intero. In tal senso, ogni tentativo di smettere di fumare non è che uno stimolo ulteriore al desiderio. Da qui nascono i continui e vani tentativi di smettere di fumare. Le giornate di Zeno finiscono "coll'essere piene di sigarette e di propositi di non fumare più". La vicenda del fumo viene affrontata sempre con una prospettiva ironica e demistificante, raggiungendo i migliori esiti nel momento in cui viene presentata la sigla "u.s. (ultima sigaretta)". Ma la malattia del fumo si rivela essere in realtà un'altra "malattia della volontà", cioè l'incapacità di Zeno di perseguire un fine, e riflette il senso di vuoto nella sua vita, scaturito dall'impossibilità di affrontare l'esistenza e il mondo. Ed è proprio questa l'inettitudine, descritta da Svevo, caratteristica dei suoi romanzi a partire da Una vita. La voce narrante (e giudicante) della Coscienza vede nella sigaretta un sintomo della propria inettitudine, di cui però non vuole disfarsi né superare, perché essa costituisce una sorta di autogiustificazione e alibi alla propria incapacità esistenziale. LO SCHIAFFO DEL PADRE Zeno è costretto ad assistere alla tragica agonia il padre, a causa della demenza del genitore Non riesce ad avere un ultimo confronto con lui. il protagonista è costretto in questa occasione ad assumersi delle responsabilità e a decidere per le cure e la vita del padre. Zeno cerca dl COSTRINGERE il padre a stare a letto ma lo fa in maniera troppo energica il padre si libera dalla stretta e lascia cadere il braccio inerte sulla guancia del figlio. Zeno non conoscerà mai l'autentico significato di quel gesto però inizialmente lo interpreta come uno schiaffo, una punizione per la sua mancanza di amore o per la sua inettitudine. la sua vita successiva sarà segnata da quel gesto che resterà Nella sua mente. Zeno non è mai stato in grado di gestire il rapporto conflittuale con il padre e ora non riesce ad elaborare il lutto non può trovare pace Se non attraverso una fede religiosa fittizia. IL MATRIMONIO Zeno decide di prendere moglie poiché Il matrimonio gli appare come un modo per guarire dalla sua malattia della volontà. Zeno conosce un commerciante, Giovanni Malfenti, inizia a frequentare assiduamente casa sua. Qui conosce le quattro figlie dell'uomo, Ada, Augusta, Alberta e Anna. Zeno si innamora della più grande e più bella, Ada, vedendola come possibile cura alla sua malattia Ma la realtà dei fatti è ben diversa: la donna, infatti, non ricambia l'amore per Zeno. Una volta trovata Ada, il protagonista si dichiara nuovamente, ma la donna lo respinge. Ferito e rifiutato si rivolge ad Alberta, ultima figlia di Giovanni Malfenti, in età di matrimonio, da cui riceve un nuovo rifiuto Zeno decide allora di rivolgersi alla sorella brutta, Augusta La donna accetta, affermando che Zeno ha bisogno di una donna che voglia vivere per lui e lei può essere quella donna, cioè una sorta di madre accondiscendente e protettiva. Quello di Zeno e Augusta diventa allora un tipico matrimonio "borghese", in apparenza sereno e felice: alle nevrosi di Zeno e alla sua futura infedeltà, corrisponde lo spirito di sacrificio (che cela a sua volta il desiderio di non rimanere nubile) della consorte. LA VITA È INQUINATA ALLE RADICI La civiltà delle macchine produce inquinamento e alienazione. Nelle parole iniziali traspare una borghese paura delle masse, la paura di una mancanza di ricchezze, di aria e di spazio per tutti. La malattia è per Zeno un dato ineliminabile, inevitabilmente legato alla civiltà umana, al fatto che l'uomo si è sottratto alla legge della selezione naturale attraverso le macchine (gli ordigni). Solo un ritorno alle origini, provocato da una grande esplosione che distrugge la terra, potrebbe eliminare parassiti e malattie. PIRANDELLO Pirandello nasce nel 1867 nell'odierna Agrigento, il padre aveva partecipato alla spedizione dei Mille di Garibaldi nel 1860 ed entrambi i genitori avevano grandi aspettative nel progetto di unità d'Italia (rimarranno poi delusi per la nuova situazione e questo genera pessimismo). Il padre possiede delle miniere di zolfo, e voleva che il figlio vi lavorasse ma sceglie gli studi tecnici. Dopo il diploma accetta di lavorare nelle miniere ma intanto si iscrive alla facoltà di legge e lettere per poi trasferirsi in Germania. Tornato in Italia, incontra Luigi Capuana che lo inserisce nell'ambiente culturale della città. Qui si dedica alla narrazione e scrive "L'esclusa" e collabora con giornali. Sposa la figlia del socio del padre (Maria Antonietta Portulano). La dote della moglie viene investita interamente nelle miniere di zolfo di famiglia ma nel 1903 una frana in una delle miniere provoca la perdita dei capitali investiti (compresa la dote) per questo la moglie ha un crollo nervoso →→ fine del suo precario equilibrio psichico, Pirandello deve assistere la moglie Nel 1904 viene pubblicato a puntate Il fu Mattia Pascal, un vero successo e 2 importanti saggi: arte e scienza l'umorismo Durante la Prima Guerra Mondiale attraversa un periodo di gravi lutti e tragedie, inizia a dedicarsi alle opere teatrali le quali ricevono grandi elogi ma anche molte critiche generando in molti perplessità. 1919 → la moglie viene ricoverata in una casa di cura per la malattia mentale; 1921 → scrive il suo grande capolavoro " Sei personaggi in cerca d'autore", un'opera rivoluzionaria che viene fischiata nella prima a Roma al teatro Valle, e trionfa nella replica a Milano. Inizia ad essere apprezzato in tutto il mondo e per questo fa frequenti viaggi diventando anche regista. Raccoglie tutte le opere teatrali in maschere nude tutte le novelle in novelle per un anno 1924 → si iscrive al partito fascista e ottiene dei finanziamenti per il teatro d'arte di Roma. Nell'ultimo periodo della sua vita si dedica alla trilogia del mito un teatro tragico/poetico fondato sui miti moderni. 1934 → Nobel per la letteratura 1936 → muore a Cinecittà per una polmonite contratta mentre girava il film del Fu Mattia Pascal Attraversa una prima produzione verista nella quale non analizza la lotta per la vita ma l'aspetto psicologico dei personaggi per mostrare le molteplici manifestazioni umane. È influenzato dalle filosofie antipositiviste: Schopenhauer Bergsson →→ la realtà è un continuo divenire Simmel → assenza di una verità universale Nietzsche → non esistono fatti veri e oggettivi in se Queste influenzano il suo relativismo (concezione soggettiva della conoscenza). Il contrasto tra ciò che siamo e ciò che sembriamo genera la crisi d'identità e la dissociazione dell'io → l'uomo è un personaggio ridotto a maschera e recita il ruolo che gli viene imposto dalla società. Quando l'uomo comprende la sua condizione a due scelte fuggire adeguarsi e vivere la scissione, chi sceglie la rassegnazione accetta la maschera e sta gioco delle parti, assume un comportamento umoristico → accetta le convenzioni sociali con il solo scopo di ridicolizzarle. → INTUIZIONE DELL'OLTRE → Consapevolezza critica della realtà per cogliere l'assurdità di ciò che l'abitudine si fa considerare normale. La realtà non ha più consistenza oggettiva ma diviene un gioco illusorio poi ognuno di noi ha una sua visione soggettiva e una verità individuale. Non esiste una verità assoluta, ognuno ha la propria e la nostra non coincide con quella degli altri e questo genera l'incomunicabilità. NOVELLE Le novelle sono 251 racconti, raccolte in novelle per un anno, il progetto era quello di dedicarne una ad ogni giorno dell'anno (incompiuto). novelle siciliane → prima del 1908 influenza verismo e realismo parlano del mondo popolare siciliano ma si concentra sulla realtà interiore del personaggio hanno un valore mitico-simbolico novelle cittadine → periodo della maturità impronta filosofica personaggi della piccola borghesia frustrati dalla loro condizione di vita → compiono gesti inaspettati per esprimere la loro insofferenza novelle surreali →→ Ultimi anni di vita tema dell'assurdità dell'esistenza analisi delle motivazioni inconsce dei personaggi tono della parabola: racconto con lo scopo di impartire un insegnamento. IL FU MATTIA PASCAL Diventerà il modello narrativo e tematico per la letteratura italiana del 900. I temi sono: la contrapposizione tra apparenza e realtà la disgregazione dell'io il problema dell'identità personale La ricerca di se stessi e della propria identità non trova soluzioni, Mattia Pascal scopre di non poter far parte della comunità umana senza un'identità anagrafica, viaggio verso la perdita dell'identità. Nel passaggio da un'identità all'altra perde qualsiasi certezza sul significato della vita e su se stesso. È un paradosso vivente → rappresenta il no sense dell'esistenza. Il personaggio sembra passare attraverso varie trasformazioni ma di fatto è una trasformazione fallita, lo rende più consapevole ma comunque senza qualità, non può far altro che guardarsi vivere. Narrazione circolare, l'ultimo capitolo di ricollega al prima. IO NARRANTE → Mattia che ha già vissuto i fatti, scrive le sue paradossali memorie (posizione relativistica di un narratore-protagonista inattendibile) IO NARRATO → Mattia qualche anno più giovane Stile parlato e soliloquio per mettere in luce la disarmonia della personalità del protagonista. Il Fu Mattia Pascal è un'esemplificazione della poetica dell'umorismo. APOLOGHI di Anselmo Paleari → brevi racconti con fine morale. uno di questi prende spunto dalla Tragedia di Oreste da parte di un teatrino di marionette (LO STRAPPO NEL CIELO) → diventano simbolo dell'alienazione dell'uomo moderno, mondo senza fiducia nella ragione e nei valori della tradizione. ROMANZI UMORISTICI QUADERNO DI SERAFINO GUBBIO OPERATORE → Impostazione diaristica, condanna i miti della società di massa come la macchina che diventa uno strumento di alienazione. Una macchina da presa provoca il mutismo dell'operatore Serafino, l'osservatore di una realtà fittizia. UNO NESSUNO CENTOMILA → 8 libri, narrazione soliloquio del protagonista, fatti già avvenuti come nel fu Mattia Pascal. temi principali: relativismo, incomunicabilità disgregazione dell'io, perdita dell'identità Moscarda scopre casualmente di avere un naso diverso da quello che pensava, inizia il dramma degli infiniti punti di vista. Si spoglia di tutte le maschere e decide di vivere senza identità la conclusione è paradossalmente positiva in quanto si trova il libro e gioioso nell'ospizio. OPERE DRAMMATURGICHE Nel 1916 esordisce nel teatro con commedie in dialetto siciliano, sono opere di stile verista che mettono in luce l'umorismo pirandelliano. Scrive diversi adattamenti teatrali di varie novelle che si prestano molto al teatro in quanto basate prevalentemente sul dialogo. Tutte le opere sono raccolte in maschere nude → svelamento delle forme paradossali, delle maschere grottesche indossate dai suoi personaggi. Crea un nuovo tipo di teatro: nuovi meccanismi scenici (abolizione quarta parete) scomposizione umoristica TEATRO GROTTESCO → rompe gli schemi lineari del dramma borghese, applicazione della poetica dell'umorismo, scomposizione delle vicende e schematizzazione di personaggi, sezione della personalità. METATEATRO → teatro che mette in scena se stesso, parla di sé e dei propri problemi. ENRICO VI 6 PERSONAGGI IN CERCA D'AUTORE → non c'è sipario finzione/realtà Temi: continuo intreccio tra finzione e realtà, incomunicabilità (gli attori non riescono ad interpretare il dramma dei personaggi), complessità della vita (non può essere rappresentata dalle formule prestabilite del teatro) TRAMA DELLE OPERE L'ESCLUSA (ROMANZO VERISTA) L'emarginazione sociale e familiare della protagonista non nasce da un determinismo naturale (la lupa/Rosso Malpelo) ma da un'opinione soggettiva. Il romanzo narra di una donna Marta Ajala che, accusata ingiustamente di tradimento, viene cacciata di casa dal marito e vi verrà riammessa solo dopo essersi resa effettivamente colpevole. Pirandello divide l'opera in due parti: Nella prima, l'autore presenta la protagonista che viene cacciata di casa dal marito perché ritenuta colpevole di tradimento; causa di tale accusa è la corrispondenza, anche se unicamente letteraria, concessa dalla dama al suo ammiratore Gregorio, Marta non si lascia abbattere ed rincomincia così gli studi, vincendo un concorso che le permetterà di insegnare all'Istituto Magistrale. Nella seconda parte, dopo il suo trasferimento obbligato a Palermo, la ragazza cerca in ogni modo di ricostruire la sua vita. Qui uno strano caso le fa rincontrare il suo ammiratore Gregorio ed ella, credendo nel destino, si lascia coinvolgere dall'uomo divenendo, realmente, la sua amante. Nel frattempo il marito, rendendosi conto dell'innocenza della moglie, la raggiunge a Palermo nella speranza di riportarla a se; la ritroverà di fronte al letto della madre morente e la pregherà nonostante la confessione di Marta del tradimento, di fare ritorno a casa con lui. • Il romanzo ha ancora legami col Naturalismo, sia nella materia (quadro di un costume provinciale, arcaico e chiuso), sia nell'impatto narrativo (narratore in terza persona). AVVERTIMENTO E SENTIMENTO DEL CONTRARIO (SAGGIO) Il Saggio L'Umorismo del 1908 è fondamentale per comprendere l'arte di Pirandello, qui l'autore espone la sua poetica. L'umorismo nasce da una più ponderata riflessione che genera una sorta di compassione da cui si origina un sorriso di comprensione. Nell'umorismo c'è il senso di un comune sentimento della fragilità umana da cui nasce un compatimento per le debolezze altrui che sono anche le proprie. L'umorismo è meno spietato del comico che giudica in maniera immediata. IL TRENO HA FISCHIATO (NOVELLA) Il protagonista di questa novella è il dottor Bellucca, e attraverso un episodio che si trova a vivere ci troviamo a esplorare un concetto che spesso sta alla base dell'opera pirandelliana. Si tratta dell'idea che a volte basta un evento insignificante, qualcosa di cui forse all'inizio neanche ci rendiamo conto, per rivoluzionare tutta la vita di una persona. La folgorazione in questo caso arriverà al protagonista con il fischio del treno, simbolo di viaggio e evasione. Belluca è un uomo modesto. Lavora come contabile. La sua vita scorre monotona tra la routine domestica e la carriera lavorativa. I suoi colleghi e il capoufficio non hanno molta stima o particolare considerazione di lui, e anche la sua famiglia sembra non valorizzarlo affatto. Se la situazione lavorativa è sempre deludente e umiliante, quella familiare è a dir poco complessa: sua moglie, sua suocera e la sorella della suocera, sono tutte non vedenti e vivono nella sua casa, insieme alle 2 figlie vedove con i loro 7 bambini. Belluca è ora ricoverato in un ospedale psichiatrico. Ha avuto un brutto crollo e un giorno che sembrava essere un giorno qualunque, sul posto di lavoro si è letteralmente scagliato contro il proprio capoufficio inveendo contro di lui. Tra le grida sconclusionate di Belluca si ode uno strano verso: il fischio del treno. È lo stesso che l'uomo continua a ripetere di averlo sentito nella notte e che lo ha trascinato via lontano. Il fischio di quel treno nel cuore della notte spalanca per Belluca prospettive nuove e mai esplorate e lo mette di fronte alla totale mancanza di evasione e leggerezza nella sua vita. Il protagonista comprende l'importanza, di tanto in tanto, di concedersi dei momenti di libertà e evasione da tutto, fosse anche nel mondo del sogno e della fantasia. ANALISI Per quanto riguarda la struttura del testo troviamo una parte iniziale in media res, cioè il lettore si trova già nella parte centrale della storia, senza una vera e propria introduzione. La vicenda viene osservata da 3 punti di vista ben distinti: quello dei colleghi d'ufficio, quello del narratore vicino di casa quello del protagonista stesso. I temi affrontati da Pirandello in questa novella sono molteplici: la falsità delle apparenze; la concezione relativistica della realtà; l'importanza della libertà; la ribellione alla realtà. Dal punto di vista del lessico lessico ne troviamo due tipi, quello tecnico è legato alla professione di Belluca; quello semplice invece all'evasione mentale. Nel testo troviamo numerose metafore e similitudini. Nell'opera riscontriamo il forte contrasto tra quella che tutti sembrano definire follia (l'improvvisa ribellione di Belluca) e la realtà dei fatti: la vera follia è adeguarsi alla vita di tutti i giorni rinunciando al sogno e alla libertà. LA LANTERNINOSOFIA La lanterninosofia è una concezione pirandelliana secondo la quale ogni uomo avrebbe un lanternino che avrebbe come compito di mostrare la realtà. Questo lanternino illumina ogni cosa che vediamo ma attraverso un filtro colorato dandoci una versione personale e soggettiva della realtà che non appare quindi per quello che è. Tutto ciò che non viene illuminato risulta buio, insondabile, ignoto. alla morte di un uomo il suo lanternino si spegne e così la sua coscienza di vivere ma l'uomo continua ad esistere sotto altre forme attraverso il riflesso di ciò che ha compiuto in vita. I lanternini sono alimentati da grossi lanternoni che rappresentano le ideologie. Questa teoria si trova nel romanzo il fu Mattia Pascal. IL NASO DI VITANGELO MOSCARDA (UNO NESSUNO CENTOMILA) La vicenda ha avvio con la domanda che la moglie di Vitangelo Moscarda rivolge all'improvviso al protagonista: "Che fai?", da cui si dipana un incipit del libro spiazzante: l'azione banale e ordinaria del protagonista di guardarsi allo specchio e la distratta osservazione della moglie sul particolare del naso, mai notato prima, che pende a destra, tutti questi elementi insignificanti, che rientrano nell'ordinario della vita di tutti i giorni, portano ad una scoperta inattesa che scatena, come un vero e proprio cataclisma, lo svolgimento della vicenda. Già dall'inizio del racconto il procedimento è tipicamente umoristico: un elemento insignificante assume dimensioni eccezionali e la ridicola ed eccessiva reazione del protagonista non può che suscitare il riso nel lettore, il quale attraverso la comicità viene però indotto ad un secondo livello di lettura basato sulla riflessione e sull'analisi relativi alla rappresentazione dell'io e al concetto di identità ENRICO IV (OPERA TEATRALE) La vicenda narra di un giovane nobile che prende parte ad una cavalcata in costume nella quale impersona l'imperatore di Germania, Enrico IV. Alla messa in scena prende parte anche il suo rivale in amore, il barone Belcredi. Quest'ultimo disarciona Enrico IV che nella caduta batte la testa e si convince di essere realmente il personaggio storico che stava impersonando. La follia dell'uomo viene assecondata; dopo 12 anni Enrico d'un tratto guarisce e torna alla ragione. Comprende che Belcredi lo ha fatto cadere intenzionalmente per rubargli l'amore di Matilde, che poi si è sposata con Belcredi ed è fuggita con lui. Decide così di fingere di essere ancora pazzo, di immedesimarsi nella sua maschera per non voler vedere la realtà dolorosa e poter osservare, dal di fuori, la vita che gli è ormai negata. Dopo 20 anni dalla caduta, Matilde, in compagnia di Belcredi, della loro figlia e di uno psichiatra, vanno a trovare Enrico IV. Lo psichiatra è molto interessato al caso della pazzia di Enrico IV, che continua a fingersi pazzo, e dice che per farlo guarire si potrebbe provare a ricostruire la stessa scena di 20 anni prima e di ripetere la caduta da cavallo. La scena viene così allestita, ma al posto di Matilde recita la figlia. Enrico IV si ritrova così di fronte la ragazza, che è esattamente uguale alla madre Matilde da giovane, la donna che Enrico aveva amato e che ama ancora. Ha così uno slancio che lo porta ad abbracciare la ragazza, ma Belcredi, il suo rivale, non vuole che sua figlia sia abbracciata da Enrico IV e si oppone. Enrico IV sguaina così la spada e trafigge Belcredi ferendolo a morte: per sfuggire definitivamente alla realtà "normale" (in cui tra l'altro sarebbe stato imprigionato e processato), decide di fingersi pazzo per sempre. SEI PERSONAGGI IN CERCA D'AUTORE Su un palcoscenico una compagnia di attori prova la commedia 'll giuoco delle parti'. Irrompono sei individui, un Padre, una Madre, il Figlio, la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina, personaggi rifiutati dallo scrittore che li ha concepiti. Essi chiedono al Capocomico di dare loro vita artistica e di mettere in scena il loro dramma. Dopo molte resistenze la compagnia acconsente alla richiesta e i personaggi raccontano agli attori la loro storia perché possano rappresentarla. Il Padre si è separato dalla Madre, dopo aver avuto da lei un Figlio. La Madre, sollecitata dal Padre, si ricostruisce una famiglia con il segretario che lavorava in casa loro e ha da lui tre figli: la Figliastra, la Bambina e il Giovinetto. Morto il segretario la famiglia cade in miseria, tanto che la Figliastra è costretta a prostituirsi nell'atelier di Madama Pace, dove la Madre lavora come sarta. Qui si reca abitualmente il Padre. Padre e Figliastra non si riconoscono e l'incontro viene evitato appena in tempo dall'intervento della Madre. Tormentato dalla vergogna e dai rimorsi, il Padre accoglie in casa la Madre e i tre figli. Ciò provoca il risentimento del Figlio e la convivenza diventa insostenibile. Tra gli attori e i Personaggi si apre ben presto un contrasto insanabile. Gli attori, nonostante gli sforzi, non riescono a rappresentare il dramma reale dei Personaggi, i loro sentimenti fondamentali, il vero essere di ciascuno: il dolore della Madre, il rimorso del Padre, la vendetta della Figliastra, lo sdegno del Figlio. Sulla scena tutto appare falso. Questa incomunicabilità, che rende la vita autentica irrappresentabile, culmina nella scena finale in cui la storia finisce in tragedia, senza avere la possibilità di comprendere se essa sia reale o no: la Bambina annega nella vasca del giardino e il Giovinetto si spara. IL FU MATTIA PASCAL Mattia Pascal vive a Miragno, un immaginario paese della Liguria. Il padre, intraprendente mercante, ha lasciato alla famiglia una discreta eredità, che presto va in fumo per i disonesti maneggi dell'amministratore, Batta Malagna. Mattia per vendicarsi compromette la nipote Romilda. Costretto a sposarla si trova a convivere con la suocera Marianna Pescatori che lo disprezza. La vita familiare è un inferno, umiliante il modesto impiego nella Biblioteca Boccamazza. Mattia decide allora di fuggire per tentare una vita diversa. A Montecarlo vince alla roulette un'enorme somma di denaro e per caso legge su un giornale la sua presunta morte. Ha finalmente la possibilità di cambiare vita. Con il nome di Adriano Meis comincia a viaggiare, poi si stabilisce a Roma come pensionante in casa del signor Paleari. S'innamora della figlia di lui Adriana e vorrebbe proteggerla dalle mire del losco cognato Terenzio. A questo punto si accorge che la nuova identità fittizia non gli consente di sposarsi, né di denunciare Terenzio, perché Adriano Meis per l'anagrafe non esiste. Architetta allora un finto suicidio per poter riprendere la vera identità. Tornato a Miragno dopo due anni nessuno lo riconosce e la moglie è ormai risposata e con una bambina. Non gli resta che chiudersi in biblioteca a scrivere la sua storia e portare ogni tanto dei fiori sulla sua tomba. LA SCISSIONE TRA IL CORPO E L'OMBRA (IL FU MATTIA PASCAL) Il brano inizia con una riflessione del protagonista, che si sente "escluso dalla vita" in quanto non ha più una sua vera identità. Egli esce di casa e si mette a girovagare per le strade di Roma, notando la sua ombra sulla strada. Mattia inizia a muoversi pur di far in modo che chiunque, sulla strada, calpesti e "maltratti" la sua ombra, nella quale si ritrova come fosse egli stesso per terra, morto. Si sente come un'ombra. Alla fine del testo però, egli cambia il proprio atteggiamento, si pente di aver lasciato che gli altri calpestassero e "ferissero" la sua ombra, perché si sente come se essa fosse parte viva di lui, e, con questa nuova consapevolezza, sale su un treno e parte. Il tema centrale di questo brano è certamente il sentimento di "esclusione dalla vita" che prova il protagonista del romanzo. Oltre all'estraneità nei confronti della vita, il testo tratta del tema della solitudine che Mattia prova a causa della sua condizione. Egli non vorrebbe stare solo, non vorrebbe continuare a vagare senza meta e senza punti di riferimento, ma la sua condizione di "escluso", di "reietto", senza identità glielo impongono. Tale situazione provoca in Mattia un forte senso di confusione, agitazione, disperazione e, infine, pazzia. Quest'ultima, un altro dei temi più cari a Pirandello, viene descritta come una "smania mala", che lo porta a muoversi freneticamente, a "stropicciarsi forte la fronte", a tentare di farsi calpestare l'ombra dai viandanti. Il protagonista, che ormai non è più nè Mattia nè Adriano, si sente soltanto l'ombra di se stesso. Certamente si tratta di un'ombra con "un cuore", "denari”, “una testa per pensare”, ma pur sempre un'ombra, senza identità, estranea alla vita, che vaga per le strade senza una meta. La parte finale del testo riflette proprio su questo sentimento dell'uomo, il quale, pur essendo un individuo in carne ed ossa, al quale non mancherebbe nulla, si sente comunque perso, vuoto, come non fosse davvero un uomo ma soltanto, appunto, un'ombra. ERMETISMO L'Ermetismo è un movimento poetico degli anni Venti e Trenta. Il nome riporta alla mente la parola "chiuso" appunto ermetico che allude proprio alla difficoltà nel comprendere le opere dei poeti ermetici. La definizione Ermetismo divenne di uso corrente dal 1936, per opera della pubblicazione del saggio, del critico letterario, Francesco Flora intitolato La poesia ermetica. Nel saggio il significato del termine assume un'accezione dispregiativa, per sottolineare il carattere oscuro della nuova poesia del '900, "ermetica", chiusa, inaccessibile e di difficile comprensione. Con l'Ermetismo la poetica del primo Novecento risentirà di sostanziali cambiamenti ed innovazioni, sia nel linguaggio che nei contenuti. Fra gli esponenti più importanti dell'Ermetismo ricordiamo Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo. La solitudine che pervade i poeti ermetici non è altro che il frutto dalle esperienze negative delle guerre e del regime fascista. Per l'Ermetismo la letteratura era fortemente legata alla vita del poeta, lo suggerisce l'autobiografismo con cui gli autori esaltano nei componimenti i propri sentimenti, le angosce, le sensazioni e le emozioni. A differenza di precedenti poeti come D'Annunzio che usavano la poesia per celebrare le proprie esperienze di vita, al contrario gli ermetici usano la poesia per proiettare la propria interiorità esprimendosi con molto riguardo. CARATTERISTICHE Tra le caratteristiche dell'Ermetismo va sicuramente detto che la poesia abbandona gli schemi tradizionali, la rima, il numero di versi e la punteggiatura, per gli ermetici, la poesia doveva essere breve, spesso un frammento di pochi versi o parole, priva di spiegazioni e riflessioni, in quanto il sentimento deve imporsi grazie alla sua forza evocativa e non attraverso l'eleganza delle parole. TEMI • la solitudine; • il disagio dell'uomo verso i cambiamenti della società; • la visione pessimistica dell'esistenza; • contrasto tra il mondo reale e ciò che l'artista sente dentro di sé. LINGUAGGIO E SCELTE STILISTICHE Gli ermetici sono convinti che la poesia debba nascere da un'illuminazione improvvisa dettata dalla semplicità ed essenzialità delle parole, a cui volevano restituire il valore e la musicalità originali. Rifiutano infatti il linguaggio elevato usato da poeti come Carducci e D'annunzio e prediligono una poesia essenziale che sappia ancora stabilire il rapporto tra l'uomo e le cose. L'Ermetismo con le poesie valorizza il componimento breve, in cui la punteggiatura è ridotta, le pause sono frequenti e si riempiono di significato, spesso tra le parole sono presenti spazi vuoti, l'aggettivo non ha valore descrittivo ma tende a sfumare l'oggetto attraverso la sinestesia. Come figura retorica più utilizzata c'è l'analogia, usata in sostituzione alla similitudine, che accosta immagini e situazioni diverse senza alcun apparente legame. di nota, nelle po ermetiche, è anche l'uso del simbolo, anch'esso difficile da tradurre, per comprendere ciò che l'autore voleva rappresentare attraverso di esso. UNGARETTI Giuseppe Ungaretti nacque nel 1888 ad Alessandria d'Egitto da genitori di origine Lucchese. Frequentò scuole di lingua francese, si trasferì a Parigi per studiare alla Sorbona. Qui frequenta gli ambienti intellettuali dell'avanguardia (dove conobbe Picasso, Marinetti e Boccioni). All'inizio della prima guerra mondiale tornò in Italia e aderì al movimento interventista (con Mussolini). Quando l'Italia entrò in guerra (1915) si arruolò come soldato semplice di fanteria, combatté sulla trincea del Carso (Il porto sepolto) e in Francia. Dopo la guerra tornò a Parigi per poi rientrare in Italia nel 1921, anno della sua adesione al fascismo. Iniziò anche una riflessione spirituale che lo avviò alla religione cattolica. Nel 1931 esce "l'Allegria", comprendente delle precedenze per le liriche: allegria di naufragi e porto sepolto. Nel 1933 esce Sentimento del tempo. Insegnò letteratura italiana all'Università di San Paolo (Brasile), dove il poeta trascorse 7 anni, rattristato dalla morte del figlio. Il dolore per la morte del figlio e per la seconda guerra mondiale si intrecciano ne "il dolore" pubblicato nel dopoguerra. Nel 1942 il Brasile, alleato degli anglo-americani, si schiera contro l'asse e Ungaretti torna in Italia. Nonostante una sua distanza dal fascismo ottiene la cattedra di letteratura moderna e contemporanea all'Università di Roma. Nel 1942 viene stampata l'edizione completa della sua poetica: " vita d'un uomo", comprendente tutte le raccolte precedenti. Morì a Milano nel 1970. LE TRE FASI DI UNGARETTI I FASE → "L'Allegria" Comprende le poesie scritte durante la Prima Guerra Mondiale mentre era al fronte ci sono i suoi componimenti più conosciuti smonta la lingua: no punteggiatura, in alto luogo e data della composizione Diario di poesie di guerra (fronte Carsico)→ Esigenza di una poesia breve e veloce Il titolo fa riferimento all'allegria di riscoprirsi vivi ogni mattina Si divide in due sezioni: le ultime → le ultime poesie prima delle guerra, le prime. prime poesie dopo la guerra. II FASE → "Sentimento del tempo" corrisponde al periodo della sua crisi religiosa, recupera la forma tradizionale e la Fede le poesie sono in versi endecasillabi dopo aver scomposto il linguaggio lo ricompone con Maggiore consapevolezza III FASE → "Il Dolore" Corrisponde al periodo dello scoppio della seconda guerra mondiale e della morte del figlio, i due dolori si intrecciano creando un dolore universale IL LINGUAGGIO NELLA I FASE Il suo è un linguaggio anti-letterario, utilizza termini facili e no alti e letterari La sintassi è frammentata, composta da frasette a volte senza senso Non c'è rima/ musicalità/ armonia perché la guerra non è musicalità i versi possono essere composti anche da una sola parola Riprende dai simbolisti e per questo ha importanza il suo viaggio a Parigi, tappa fondamentale per la sua formazione culturale VEGLIA È stata composta, appunto, durante la veglia dell'autore a una salma di un soldato vittima della Prima Guerra Mondiale. Giuseppe Ungaretti si trova in trincea a vegliare un compagno morto da poche ore Di fronte a questa scena, il poeta avverte che quel cadavere potrebbe essere lui: solo una fatalità ha permesso questo scambio. E vuole la vita, con tutto se stesso, vuole le cose belle per cui vale la pena di vivere. Vuole in questo naufragio di morte, ritrovare la vita e renderla eterna grazie all'amore La realtà viene ritratta così com'è. I FIUMI In questa poesia Ungaretti rievoca i propri ricordi personali, i fiumi che hanno fatto parte della sua vita e che l'hanno attraversata: l'Isonzo, il Serchio, il Nilo e la Senna rappresentano quelle che sono le più importanti tappe della vita del poeta. La poesia di Ungaretti è come un grandissimo ricordo, un ripercorrere la sua vita dall'inizio fino al momento in cui il poeta sta scrivendo. Nascita, infanzia, adolescenza e, infine, la guerra: quattro sono i fiumi che il poeta associa a queste quattro fasi della sua vita. L'ultimo, l'Isonzo, è quello che associa alla guerra e che tutti gli altri sembra portare con/in sé. I fiumi è una poesia circolare, divisibile in quattro parti: ● Nella prima parte il poeta è seduto durante la notte, in questo momento scaturisce la riflessione sulla sua vita. Nella seconda parte della poesia il poeta si classifica come solo e unico superstite, sentendosi come fosse una reliquia. Ungaretti si immerge così nel fiume (c'è qui anche una rievocazione al momento del battesimo, invocato come una sorta di rinascita). Di tutti i fiumi è proprio l'Isonzo quello in cui il poeta si riconosce fino in fondo e quello che gli fa capire come sia una piccola parte del tutto e dell'immenso universo. L'esperienza della guerra consente all'uomo di comprendere la propria incredibile piccolezza e gli permette di raggiungere una maggiore consapevolezza di sé. Nella terza parte della poesia il poeta ripercorre le fasi del suo passato prima della guerra, utilizzando quei fiumi che le rappresentano così come l'Isonzo rappresenta la sua vita in guerra. Così il Serchio (in provincia di Lucca) rappresenta le sue origini; il Nilo, invece, parla dell'infanzia e della prima giovinezza dell'autore; la Senna rappresenta Parigi, la città dove Ungaretti ha studiato e ha compreso che sarebbe diventato poeta; l'Isonzo riporta al presente e all'autore che, pur se in guerra, riesce immergendosi a vivere un attimo di felicità. ● Nell'ultima parte della poesia, la quarta, Ungaretti torna al presente pieno di nostalgia e tristezza il poeta indica il luogo e la data di composizione del testo, per ancorarlo alla situazione contingente da cui prende vita; la poesia ha un forte contenuto autobiografico; la sintassi è frammentata in unità minime (i "versicoli"). SAN MARTINO DEL CARSO In San Martino del Carso il poeta descrive il paese distrutto dalla guerra, per parlare della desolazione che avverte nel suo cuore, a causa della dolorosa perdita di tanti amici cari. Ancora una volta trova nelle immagini esterne una corrispondenza con quanto egli prova nei confronti dell'uomo, annullato dalla guerra. di San Martino del Carso resta qualche brandello di muro, dei morti cari allo scrittore non resta nulla; San Martino è un paese straziato, più straziato è il cuore del poeta. MATTINA La poesia "Mattina" è stata scritta dal poeta Giuseppe Ungaretti e viene ricordata sotto il nome "M'illumino d'immenso" proprio perché è l'unica frase del testo della poesia. In questa poesia Giuseppe Ungaretti si mette nei panni di un soldato che esce dalla trincea e si fonde con l'universo quindi c'è un sentimento di libertà. Il sole all'alba illumina ed è una metafora con il sentirsi ancora vivo nonostante la guerra, sono parole difficili da spiegare per dare importanza alle parole spezza il verso, 4 sillabe il primo e 3 sillabe il secondo. SOLDATI La poesia è stata composta nel luglio del 1918, mentre il poeta stava combattendo in trincea, durante la Prima Guerra Mondiale presso il bosco di Courton in Francia. Il luogo e la data sono indicati sopra la lirica stessa, proprio per dare alla poesia l'aspetto di un diario personale, mentre era al fronte. In Soldati Ungaretti esprime il dramma e la precarietà del momento storico e della condizione umana. Il titolo della poesia diventa parte integrante del testo, essenziale per la sua comprensione. La condizione dei soldati schierati nelle trincee viene paragonata alle foglie degli alberi che cadono in autunno. L'apertura con il "si" impersonale rende il contenuto della poesia universale. Al termine "soldati" possiamo sostituire quello di "uomini": tutti gli esseri umani vivono in una condizione precaria. FRATELLI Il componimento si apre con la domanda "Di che reggimento siete, fratelli?": questa interrogativa sta a significare che in una guerra pur essendo tutti fratelli (perché uomini), la cosa più importante da sapere dei fratelli che si incontrano è se sono amici o nemici del reggimento con cui si sta combattendo. Attraverso questa parola viene espressa la solidarietà per la condivisione di un'esperienza così dolorosa. La domanda, quindi, mostra il sentimento di fraternità che nasce dalla stretta convivenza e dal dolore che provoca l'esperienza della guerra. La parola fratello trema nella notte perché in una guerra, luogo in cui è stata scritta questa poesia e che trae da esso il senso della precarietà della vita, nessuno è fratello di qualcun altro. Ognuno combatte per sé, vive e muore per sé. Questa parola è tremante perché esprime la ricerca di un calore umano dove si è consapevoli di non riuscire a trovare. SOLITUDINE Nella poesia si evince un senso di paura e di desolazione. Le urla del poeta, che vorrebbero arrivare ad un cielo così poco percettibile, rappresentano una forte ribellione nei confronti del dolore causato dalla guerra e dalle sue devastazioni, ma accade che Ungaretti non riceve alcuna risposta come se non fosse stato sentito e che avesse gridato per nulla (le sue urla arrivano alla campana dai rintocchi soffocati e, quindi, tutto quello che ha detto attraverso la poesia viene ignorato). Il poeta accusa il colpo e prova un vuoto interiore per aver provato ad alzare la voce: si sente a disagio con il mondo e con se stesso. E così le urla vanno disperdendosi nel cielo, sprofondando impaurite nel silenzio. E l'uomo dopo questa vicenda si abbandona in uno stato di solitudine. NON GRIDATE PIÙ In questa lirica è espresso il motivo del dolore colto attraverso un dato occasionale (il bombardamento del cimitero di Verano a Roma) e mediante un dialogo con gli altri uomini. Il significato del primo verso "Cessate di uccidere i morti" (ossimoro) è quello di smetterla con gli assurdi rancori e a lasciare riposare in pace le vittime innocenti di una guerra folle, di una tragedia spaventosa e, quindi, di cessare i bombardamenti ai cimiteri. Il poeta invita i sopravvissuti a quella immane guerra al silenzio (che è sacro), unica forma possibile di solidarietà e rispetto per i morti che dall'aldilà ci parlano con una voce impercettibile (ammoniscono i vivi ad essere più buoni, mandano un messaggio di speranza). Questa condizione è necessaria qualora i vivi vogliano sopravvivere, in quanto l'odio avvelena le anime e rovina gli uomini. In caso contrario, i morti verrebbero uccisi un'altra volta dalla guerra, della cui disumanità il bombardamento del cimitero si erge a tremenda metafora. Solamente l'erba cresce lietamente, in quanto non vi è più nessuno a calpestarla, e allo stesso modo sarebbero lieti i morti se cessassero i rancori e gli odi. QUASIMODO Nasce a Ragusa nel 1901. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale il poeta, sconvolto, maturo l'idea che la poesia dovesse interessarsi alle problematiche sociali e civili Gli fu conferito il Nobel per la letteratura e morì a Napoli nel 1968 È il più importante poeta dell'ermetismo. (Rovesciamento del Decadentismo dannunziano) I FASE → Formazione letteraria dove si rifà alla tradizione e ai modelli più lustri del tempo come Pascoli e D'Annunzio. I temi sono:L'amore per la terra siciliana, la malinconia, il ricordo dell'infanzia. II FASE → Fase ermetica, studio della parola che porta ad una poesia pura e intensa, Intanto studia lirici greci e si esercita sulle lingue classiche. III FASE →Anni della seconda guerra mondiale nel quale si Dedica a una produzione civile, poesia ritenuta da alcuni " finta" in quanto parla di cose che avrebbe potuto dire chiunque ED È SUBITO SERA “Ed è subito sera" è una delle liriche più significative ed espressive di Quasimodo, tanto che ha dato il titolo ad un'intera raccolta. Questa poesia esprime, con estrema efficacia la condizione umana. E' divisa in tre momenti, uno per verso, che insieme riassumono la concezione che il poeta ha della vita: - Nel primo verso il poeta afferma l'immutabilità della condizione dell'uomo che, nonostante viva ed operi con gli altri, non riesce mai veramente a comunicare con nessuno. Egli infatti è "solo sul cuore della terra", convinto di essere il centro del mondo, ma in realtà ne rimane sostanzialmente estraneo. - Nel secondo verso il termine "trafitto" assume un doppio significato: la luce del sole prima illumina l'uomo, quindi è benefica; poi lo ferisce, quindi è dolorosa. Quindi la vita, simboleggiata dal sole, da possibilità di felicità diventa motivo di sofferenza. - Nel terzo e ultimo verso il poeta conclude affermando che, con la stessa rapidità con cui la giornata lascia spazio alla sera, così sopraggiunge improvvisa la morte. La sera quindi diviene il simbolo della morte. Ogni uomo, quindi, è tragicamente solo nel mondo e il raggio di sole, gioso come la vita ma anche amaro per la sua precarietà, presto scompare nella sera della morte, che arriva improvvisamente. MILANO AGOSTO 1943 Milano 1943 è una poesia di Salvatore Quasimodo, che descrive la sofferenza dei sopravvissuti alla bomba che ha colpito la città di Milano nel corso della Seconda guerra mondiale. Quasimodo in questa poesia dà voce ai bombardamenti che portano la devastazione in città, uccidendo civili innocenti senza fare distinzioni per età e sesso. Il poeta descrive la sofferenza dei sopravvissuti che tra le macerie cercano invano oggetti perduti o persone care disperse. La bomba non fa distinzioni: colpisce perfino la sacralità di un convento, interrompendo così il canto d'un usignolo al tramonto; sembra che sia stato spazzato via l'ultimo barlume di speranza. L'idea del ritorno al quotidiano è lontana, anche i bisogni più elementari non vengono più avvertiti per la disperazione. Non c'è luogo, dal centro alla periferia, che non sia martoriato dalla guerra: non c'è pace nella visione dei corpi dilaniati e così, come in una timida richiesta, il poeta invoca la tranquillità per i morti. ALLE FRONDE DEI SALICI La poesia Alle fronde dei salici è stata scritta da Quasimodo durante il periodo della guerra contro i nazisti. Quasimodo in questa poesia esprime tutto il suo odio verso gli oppressori e il sacrificio che fa per voto di non scrivere poesie. Alle fronde infatti sono appese le cetre che i poeti hanno messo da parte per quel periodo in modo da chiedere al Signore la grazia di far cessare il supplizio nazista. Tra i diversi significati simboli che troviamo in Alle fronde dei salici, c'è quello del "piede straniero", inteso come i soldati tedeschi che freddamente calpestano i sentimenti (il cuore) di tutto il popolo. Quasimodo inserisce dei riferimenti alla religione, usando altri significati simbolici come la "madre (Maria) che va incontro al figlio crocifisso (Gesù), oppure quando usa "l'agnello" come animale per rappresentare i lamenti dei bambini. Per poi tornare alla realtà, nella poesia, inserisce un elemento che quasi "stona" con i riferimenti biblici: "il palo del telegrafo", messo quasi in antitesi con il "figlio crocifisso", proprio per accentuare il legame tra il Vangelo e la vita moderna, grazie anche ad un enjambements che divide crocifisso da figlio per metterlo più vicino possibile al "palo del telegrafo". La poesia è scorrevole e l'italiano usato è quasi quotidiano, nonostante alcuni significati simbolici e alcune metafore che potrebbero bloccare la scorrevolezza della poesia. Anche la struttura da una parte contribuisce a rendere immediato il messaggio, poiché essa è quasi assente: le frasi sono scollegate dal punto e immediate; dall'altra, per rispettare la struttura, l'autore ha collegato insieme più concetti nella stessa frase, rendendola lunga e forse anche un po' di ostacolo alla scioltezza nella lettura. MONTALE Nacque a Genova nel 1896, seguì gli studi tecnici che interruppe per motivi di salute. Trascorse le vacanze estive a Monterosso, alle Cinque terre sulla riviera ligure. Troviamo numerose tracce di questo paesaggio nelle sue opere. Nel 1917 partecipò alla Prima guerra mondiale partendo per il servizio militare obbligatorio in Trentino. Raggiunse la notorietà nel 1925 con la pubblicazione di "Ossi di seppia". Si trasferì a Firenze dove incontrò una giovane americana studiose di Dante, alla quale dedicò "Le Occasioni". A Milano collabora con il Corriere della Sera per il quale scrive reportage di viaggio e racconti brevi. Nel 1956 pubblicò "La bufera e altro", cui seguì un lungo periodo di silenzio poetico. Nel 1975 vinse il Nobel per la letteratura, morì a Milano il 12 settembre 1981. INFLUENZE ARTISTICHE: PASCOLI → termini tecnici vicino a termini semplici CREPUSCOLARI → tono colloquiale e discorsivo, quasi prosastico SVEVO/PIRANDELLO → tema di fondo del disagio esistenziale GIACOMO DA LENTINI → il titolo è il primo verso del componimento UNGARETTI → linguaggio semplice, ripreso dalla realtà Per Montale la poesia non può offrire alcun aiuto all'uomo, può essere solo ricerca e mai raggiungimento della verità, rappresenta il dolore e il male di vivere (non chiederci la parola). Il suo è un pessimismo attivo, vede la possibilità di riscatto dal dolore attraverso la ricerca di un varco il quale permetterà di scorgere la verità, intravedere il trascendente, offrirà un'improvvisa rivelazione sul significato della vita. A differenza di Ungaretti, Montale sceglie la parola disadorna e asciutta, non utilizza un tono solenne perché preferisce un discorso colloquiale. La sintassi è prevalentemente coordinata e dal ritmo lento. I LIMONI Questa poesia fondamentalmente è un manifesto, in quanto Montale dichiara, attraverso questi versi, il suo modo di scrivere, il suo modo di fare poesia in contrapposizione agli altri poeti e agli altri letterati; è evidente la polemica nei confronti di D'Annunzio. Montale afferma nella prima strofa di non essere un poeta laureato, o depositario di un ruolo di maestro. Per spiegare la propria diversità, egli confronta il paesaggio da lui prediletto con quello dei poeti laureati. Mentre costoro preferiscono piante dai nomi ricercati, a lui piace parlare di alberi comuni, come i limoni, nei loro ambienti quotidiani. La seconda strofa e la terza strofa descrivono il paesaggio in cui crescono i limoni e in cui il poeta si sente a proprio agio: un paesaggio silenzioso e deserto, attraversato da viottoli di campagna. Qui all'improvviso, può accadere il miracolo: può apparire una presenza rivelatrice, si può incontrare il segreto dell'Essere. La quarta strofa evidenzia il carattere passeggero di questa illuminazione. Eppure non tutto è perduto: il finale della poesia ripropone la possibilità del miracolo, legato all'improvvisa scoperta dei limoni oltre il portone di qualche cortile cittadino. Il primo erso «Ascoltami, i poeti laureati» è un'invocazione che polemicamente si rifà a D'Annunzio; è chiara infatti l'allusione alla "Pioggia nel pineto" che inizia con «Taci>>. Nel verso 22 abbiamo di nuovo un esordio polemico con D'Annunzio, in quanto Montale dice <<Vedi»>, rifacendosi a «Odi» nella "Pioggia nel pineto". MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO È forse una delle più famose del poeta ed ha come protagonista il paesaggio della Riviera ligure di levante, che si individua molto bene in questo testo e che Montale conosceva benissimo, anche perché trascorreva le vacanze nella casa paterna di Monterosso, una delle Cinque terre. Da notare anche la fortissima capacità di oggettivazione poetica che comunica con il lettore attraverso il consueto mezzo del correlativo oggettivo (→ attribuire un significato emotivo agli oggetti per rievocare una sensazione). Nelle prime tre strofe (parte descrittiva) sono fissate le diverse sensazioni che il poeta prova in un caldo "meriggiare" di luglio, sensazioni che dipendono non solo dal paesaggio riarso e aspro della sua Liguria, ma soprattutto dalla gran calura. Nel magico silenzio di quell'ora meridiana, il poeta avverte fremiti di vita nella immobile sonnolenza del mezzodì. Nella quarta strofa (parte riflessiva) sono espresse le considerazioni del poeta sull'esistenza umana: vivere - per Montale - è come camminare lungo una muraglia invalicabile, irta di cocci aguzzi di bottiglia, che assurgono a simbolo delle difficoltà insormontabili della vita. Meriggiare è una poesia in cui si possono riconoscere quasi tutte le caratteristiche della poetica di Montale. Innanzitutto rivela la sensibilità musicale del poeta: ogni parola è stata scelta perché entri in un rapporto sonoro con le altre (rime, consonanze, giochi di suono...) o perché evochi un'atmosfera con il suo suono onomatopeico. Poi questa poesia ci offre molti esempi di concentrazione di significati in poche parole, tipica dello stile di Montale. Già il primo verso "Meriggiare pallido e assorto" è una metafora che riesce a descrivere con tre parole sia un momento della giornata sia l'atteggiamento con cui il poeta vive quel momento. Infine, da questi versi si può dedurre qual è il concetto di poesia secondo Montale. Per cui fare poesia significa cercare la verità: non il ragionamento, ma le sensazioni e le immagini poetiche possono aiutare gli uomini ad intuire il significato della vita; la sensibilità poetica dà talvolta delle vere e proprie rivelazioni, momenti in cui la verità appare come un lampo. L'uso dei verbi all'infinito, che reggono la struttura del componimento contribuisce a oggettivare le azioni descritte (non si fa riferimento all'autore ma è un concetto universale) e a dare un senso di continuità. SPESSO IL MALE DI VIVERE HO INCONTRATO Temi: l'universalità del dolore, connaturato alla vita stessa - l'indifferenza come antidoto al male di vivere La lirica famosissima, è tra quelle che più esplicitamente esprimono il doloroso senso dell'esistere che caratterizza un po' l'opera di Montale. La prima quartina dichiara inizialmente il tema fondamentale: il male di vivere. Esso viene espresso con tre immagini. Anche la seconda quartina comincia con un'affermazione: quel poco di bene (precario bene) che è concesso agli uomini coincide con la divina Indifferenza. Altre tre immagini vengono a illustrare tale affermazione. Montale ha visione profondamente negativa dell'esistenza. Il male di vivere interessa ogni essere vivente, non solo l'uomo. Nella lirica ne sono testimonianza il ruscello strozzato, la foglia accartocciata, il cavallo stramazzato, tre immagini che rappresentano una vita che si spegne bruscamente soffocata. L'unico rimedio possibile all'uomo è quello dell'indifferenza. In ciò risiede il precario messaggio che il poeta può offrirci in positivo: bisogna contemplare ogni cosa dall'alto, secondo il tipico volo del falco, e da fermi, come una statua. Questo è l'unico bene concesso agli uomini. NON CHIEDERCI LA PAROLA Temi: un paesaggio di aridità e di solitudine - il vuoto dei valori e la mancanza di certezze - l'errore di chi presume di aver capito tutto e di essere padrone della propria vita - il ruolo della poesia: testimoniare la crisi. La prima strofa mette in contrapposizione due modelli di poesia: ● da una parte il modello della poesia retoricamente intonata dei poeti-vati ottocenteschi; dall'altra parte, i poeti della nuova generazione caratterizzati da un animo informe: la poesia non può avere una funzione consolatoria, non può più fornire immagini belle ma fini a se stesse, come il fiore splendido di colori in mezzo a un prato polveroso I versi di Montale offriranno al lettore solo sillabe - neanche parole - storte e secche (il contrario del fiore lietamente colorato). La seconda strofa presenta la satira dell'uomo che procede sicuro per la sua strada, nonostante i turbamenti della storia. L'immagine ha almeno due valenze. Anzitutto una chiara valenza politica (si ricordi che il componimento fu scritto nel 1923): la poesia montaliana divenne all'epoca un punto di riferimento per chi negava il fascismo e i suoi sterili dogmatismi; Ma l'immagine dell'uomo-ombra ha un valore anche esistenziale: neppure chi crede di essere agli altri ed a se stesso amico è preservato, in realtà, da un destino di lacerazione e di fallimento. Il poeta invece lo sa; egli è, per ora, l'unico consapevole del male di vivere, come Montale riassumerà in un altro osso breve della medesima serie. Nella terza strofa sono rimasti famosi i due versi finali: Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Non è più il tempo, dice Montale, dei miti consolatori o dei facili ammaestramenti; dobbiamo prendere coscienza della crisi storica in atto e della debolezza dell'arte stessa. NON RECIDERE FORBICE QUEL VOLTO La poesia è impostata su due metafore ben distinte: - la prima è una invocazione del poeta affinché la forbice del tempo non cancelli dalla memoria il ricordo di un volto caro; - la seconda ritrae la realtà della vita: un colpo freddo recide la vetta dell'acacia che, ferita, abbandona nel fango di novembre (nella prima belletta di novembre) il guscio vuoto della cicala. - È una conclusione dolorosa di quanto aveva auspicato nella prima metafora: come l'acacia scrolla via da sé il guscio di cicala, così la forbice del tempo spegnerà in lui anche l'immagine di quel volto caro. Il tema centrale esprime dunque il suo stato d'animo: il desiderio che il tempo non cancelli anche quella figura a lui cara. Ma vano è il suo desiderio: tutto è destinato a finire nella dimenticanza. È una concezione pessimistica che non possiamo sempre condividere perché, è risaputo, i ricordi più cari della giovinezza riaffiorano spesso vivi nella memoria.