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Niccolò Machiavelli

4/12/2022

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Niccolò Machiavelli
Niccolò Machiavelli nasce a Firenze nel 1469 da una famiglia borghese, che ha un buon interesse
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♥ Vita Niccolò Machiavelli Niccolò Machiavelli nasce a Firenze nel 1469 da una famiglia borghese, che ha un buon interesse economico, derivato dalle rendite delle loro proprietà terriere. Sia il padre che la madre sono persone di cultura, per questo Niccolò riceve una buona educazione umanistica basata sullo studio dei classici latini. Nel 1498 entra a far parte della vita politica di Firenze e ottiene incarichi ufficiali di grande responsabilità nella politica interna, estera e militare. Egli compie anche missioni diplomatiche in Germania e Francia. Rimane al servizio della Repubblica fiorentina per 14 anni. In questi anni acquisisce un'esperienza della realtà politica e militare del tempo da cui trae spunto per scrivere le sue opere. Un importante missione è quella compiuta tra il 1502 e il 1503, in Romagna presso Cesare Borgia, che per Machiavelli rappresenta un esempio delle virtù che deve avere un principe per costruire una forte struttura statale, capace di opporsi alla crisi di quel tempo. Nel frattempo, Machiavelli si dedica anche all'attività letteraria, scrivendo opere di contenuto politico in cui raccoglie riflessioni derivate dai suoi incarichi ufficiali. Nel 1512 cade la Repubblica di Firenze e alla guida della città torna alla famiglia de Medici. Machiavelli viene licenziato e questo lo addolora molto. Nel 1513 è sospettato di complotto per togliere il potere...

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Didascalia alternativa:

ai medici e per questo viene imprigionato e torturato per 15 giorni. Dopo essere stato liberato si ritira all'Albergaccio nella campagna vicino Firenze dove scrive le sue opere più importanti, anche se continua a soffrire per l'esclusione della politica. Quando il governo passa Giulio de' medici ottiene nuovamente incarichi ufficiali, ma nel 1527 quando i medici vengono cacciati da Firenze, Machiavelli viene guardato con sospetto e ostilità per essersi riavvicinato a questa famigliari, dunque non può più ricoprire incarichi pubblici. Si ammala improvvisamente e muore all'albergaccio il 21 giugno 1527. ♥ L'epistolario Il pensiero politico è la personalità di Machiavelli emergono dall'epistolario. Queste lettere sono tutte scritte, non per essere pubblicate, ma per instaurare una conversazione con i destinatari che offrono preziose informazioni biografiche. Tra tutte le lettere, una famosissima è quella del 1513 indirizzata all'amico Francesco Vettori, nella quale Machiavelli esprime la sua ammirazione per i classici e accenna alla composizione del principe. Il principe La genesi e la composizione dell'opera Nella lettera del 10 dicembre 1513, Machiavelli annuncia all'amico Francesco Vettori di aver composto un "opuscolo de principatibus", che è un breve trattato di argomento politico in cui si esamina che cos'è un principato, come sì acquista, come si mantiene e perché si perde. Questo ci consente di stabilire una data, in cui l'opera è già conclusa. La composizione si può collocare tra il luglio e il dicembre 1513, scritta tutta di getto, mentre si ritiene che la dedica a Lorenzo de' medici, sia stata scritta dopo. L'opuscolo non fu dato alle stampe e circoló manoscritto. Fu pubblicato postumo solo nel 1532 a Firenze e a Roma suscitando fin da subito scalpore. I generi e i precedenti dell'opera Il principe si può collegare ad una precedente tradizione di trattatistica politica. Nel medioevo furono diffusi trattati che venivano chiamati "specchi del principe" perché rappresentavano lo specchio in cui tutti i regnanti si dovevano specchiare. Nel 1400, questo genere ebbe grande fortuna e cominciò a circolare un abbondante produzione. Se da un lato il principe si riallaccia a questa tradizione, dall'altro e del tutto differente. Mentre i trattati precedenti fornivano un'immagine ideale ed esemplare di un regnante, consigliandogli tutte le onorevoli virtù, Machiavelli vuole guardare alla verità effettiva della cosa, infatti, consiglia al principe dei mezzi che gli consentono la conquista e il mantenimento dello stato. Il principe deve sapere per essere crudele, bugiardo e ingannatore quando lo stato ne ha bisogno. La struttura e i contenuti Il principe è un'opera breve composta da 26 capitoli di lunghezza variabile che hanno dei titoli in latino. La materia può essere divisa in diverse sezioni: I capitoli I-XI: esaminano i vari tipi di principato e cercano di individuare i mezzi con cui poterlo conquistare conferendogli forza e stabilità. Machiavelli fa distinzione tra i principati ereditari e i nuovi. Quelli nuovi possono essere conquistati con la virtù e con armi proprie oppure con la fortuna e con armi altrui. Nel capitolo VII, il poeta tratta di coloro che ottengono il principato con delitti o atti violenti e qui Machiavelli distingue tra crudeltà bene e male usata. La crudeltà bene usata è quella impiegata solo per necessità. La crudeltà male usata cresce con il tempo ed è compiuta per il vantaggio del tiranno. Machiavelli parla poi dei principati civili a cui il potere arriva dai cittadini e i principati ecclesiastici come lo Stato della Chiesa. ● I capitoli XII-XIV: sono dedicati al problema delle milizie. Machiavelli non vede di buon occhio gli eserciti mercenari perché combattono solo per denaro, sono inaffidabili e costituiscono un punto di debolezza degli stati italiani. Per Machiavelli la forza dello Stato è un esercito composto dai cittadini che combattono per loro stessi. I capitoli XV-XXIII: trattano il modo di comportarsi di un principe con i sudditi e con gli amici. Machiavelli consiglia di essere buoni o non buoni a seconda delle circostanze. Il capitolo XXIV: esamina le cause per cui i principi italiani hanno perso i loro stati. Secondo il poeta la causa è l'ignavia, poiché nei tempi di pace non hanno saputo prevedere la tempesta. Nel capitolo XXV: si esamina il rapporto tra virtù e fortuna. Nel capitolo XXVI (ultimo): vi è una esortazione ad essere principi nuovi, che sappiano porsi a capo del popolo italiano e liberare l'Italia dai barbari. I Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio I contenuti e il problema del genere Il nucleo originario dell'opera è probabilmente costituito dalle carte "liviane" ovvero gli appunti che contengono le riflessioni politiche di Machiavelli ispirate dalla letteratura dei primi 10 libri della storia di Tito Livio, in cui si tratta degli inizi di Roma repubblicana. I discorsi sono dedicati ai due amici Zanobi Buondelmonti e Cosimo Rucellai. L'opera fu pubblicata postuma ed è divisa in tre libri: 1. Iniziative di politica interna di Roma; 2. Iniziative di politica estera e dell'espansione dell'impero; 3. Azioni di singoli cittadini che contribuiscono alla grandezza di Roma; L'analisi della storia romana offre continuamente lo spunto per riflessioni sui problemi politici generali e sulla situazione di Firenze e dell'Italia del presente. I discorsi non rientrano in un genere preciso. Il libro si presenta come una serie di riflessioni su singoli temi suggeriti dal racconto di Livio e sviluppati senza una rigorosa architettura (opera profondamente diversa dal Principe). Il rapporto tra Discorsi e Principe e l'ideologia politica dell'autore Nel Principe Machiavelli affronta la forma di governo monarchica e assoluta celebrando la virtù del Principe, mentre nei discorsi lascia trasparire forti simpatie repubblicane ed indica la Repubblica come la forma più alta e preferibile di organizzazione dello Stato. L'orientamento di fondo di Machiavelli è certamente repubblicano, ma il principe è scritto sotto l'urgenza immediata di una situazione gravissima a cui era indispensabile porre rimedio, ovvero la crisi italiana che minacciava l'indipendenza degli stati della penisola: lo scrittore riteneva necessaria la creazione di uno stato abbastanza forte da opporsi alle grandi potenze europee. Machiavelli era convinto che per creare uno Stato nuovo fosse indispensabile la virtù politica straordinaria di un singolo, ma per garantire la massima stabilità e durata delle istituzioni, la forma di governo più indicata, era la Repubblica. Un'altra differenza tra le due opere sta nel fatto che il principe ha il carattere dell'opera militante (che partecipa attivamente alla vita culturale artistica e politica del proprio tempo) mentre i discorsi hanno il carattere di riflessione teorica generale. Il pensiero politico nel principe e nei discorsi Teoria e prassi Machiavelli non è un puro teorico: le sue concezioni scaturiscono dal rapporto diretto con la realtà storica, il suo pensiero si presenta così come una fusione di teoria e prassi, per lui la teoria nasce dalla prassi. Alla base della riflessione di Machiavelli vi è la coscienza lucida e sofferta della crisi che l'Italia contemporanea sta attraversando: crisi politica, militare e morale. Gli stati italiani sono prossimi a perdere la loro Indipendenza politica ed a divenire satelliti delle potenze europee che si stanno disputando il territorio della penisola. Per Machiavelli l'unica via d'uscita è un principe dalla straordinaria virtù capace di organizzare le energie e le risorse ancora presenti presso i popoli dell'Italia e di costruire uno stato solido e forte. La nascita della moderna scienza politica Machiavelli è considerato il fondatore della moderna scienza politica, perché per la prima volta distingue questa scienza dalle altre discipline che si occupano dell'agire dell'uomo come per esempio, la morale. La teoria della politica nel medioevo, era invece subordinata alla morale, cioè il giudizio dell'operato era soggetto al criterio del bene o del male come nella morale. Chi si comportava secondo le regole etiche era buono, mentre che le violava era cattivo. Machiavelli invece afferma che vi è un'autonomia nel campo della politica, essa infatti possiede leggi specifiche. Nell'analisi dell'operato di un principe, occorre valutare solo se esso è riuscito a raggiungere i fini che si era prefissato, come il bene dei cittadini e il mantenimento dello Stato, non importa con quale mezzo. Questa è una teoria di grande novità poiché i trattati del medioevo mettevano in luce quelli che erano stati ideali, mentre Machiavelli vede l'oggettività dei fatti, infatti egli scrive un'opera utile a chi la sappia intendere cioè il principe. Il metodo Machiavelli vuole realizzare un'opera utile a chi vuole agire sulla realtà, infatti ogni sua affermazione si basa su un'indagine empirica della realtà concreta. Solo facendo tanta esperienza si può arrivare a costruire principi generali. Nel principe, ricorrono molto spesso massime di valore universale, pronunciate con tanta sicurezza come se fossero certe e indiscutibili. Dietro ognuna di queste frasi così perentorie vi è un insieme di tanti dati ricavati dall'esperienza. Questo metodo dell'osservazione della realtà è il fondamento su cui si baserà il metodo scientifico moderno. L'esperienza per Machiavelli è di due tipi: 1. esperienza delle cose moderne: quella diretta ricavata dalla partecipazione personale alle vicende presenti; 2. lezione delle antique: ricavata dalla lettura degli autori antichi. Queste sono due forme diverse solo all'apparenza perché anche nei libri vi è molta esperienza fatta dagli antichi. La concezione naturalistica dell'uomo e il principio di imitazione Machiavelli è convinto che l'uomo è un fenomeno di natura pari agli altri e quindi i suoi comportamenti non variano nel tempo. Per questo confida nel fatto che studiando il comportamento degli antichi, si può arrivare a creare vere e proprie leggi di validità universale e una teoria razionale dell'agire politico, che sappia suggerire le linee di condotta ai governanti, applicabili ad ogni situazione. Per questo, il suo trattato, è ricco di esempi tratti dalla storia antica, perché essi sono la prova che il comportamento umano non varia e quindi l'agire degli antichi offre il modello dell'agire di oggi. Per Machiavelli, è molto importante il principio di imitazione, tipico del Rinascimento. Il giudizio pessimistico sulla natura umana Machiavelli ha una visione pessimistica dell'uomo. Egli infatti pensa, che l'uomo è un essere malvagio, ingrato, volubile e desideroso di denaro. Nel principe afferma, che gli uomini dimenticano più facilmente la morte del padre, che la perdita di un patrimonio, perché hanno un interesse materiale ed egoistico e non pensano ai valori e ai sentimenti. Poiché, gli uomini non sono buoni, l'uomo politico non può comportarsi da buono in ogni occasione, perché non risolverebbe nulla. Il principe, non può sempre seguire l'ideale della virtù, ma deve anche saper essere feroce come una bestia, quando le esigenze dello Stato lo richiedono. Machiavelli, paragona il politico al centauro, la creatura mitologica mezzo uomo e mezzo animale. Queste affermazioni sono state molto criticate nel corso dei secoli. Lo stesso aggettivo machiavellico, oggi assume il significato di malvagio. L'autonomia della politica dalla morale In Machiavelli, c'è un profondo travaglio morale. Egli sa bene che alcuni comportamenti del principe sono atti riprovevoli, ma nonostante ciò fa una distinzione tra morale e politica. I comportamenti che sono considerati malvagi nella morale, possono essere "buoni" nella politica, poiché assicurano il bene dello Stato. Viceversa gli atti buoni nella morale, potrebbero portare la decadenza dello Stato. La politica, per Machiavelli, segue un altro criterio di giudizio, non il bene o il male, ma l'utile e il danno politico. Questi comportamenti crudeli e immorali, può utilizzarli solo il politico, solo per il bene dello Stato e solo in caso di necessità. Machiavelli, poi fa la distinzione tra il principe e il tiranno. Il principe, opera a vantaggio dello Stato e se usa la violenza, lo fa solo per il bene pubblico. Il tiranno invece, è crudele senza necessità, solo a suo vantaggio. Lo stato e il bene comune Il fine dello Stato è rappresentare il bene comune cioè la salvaguardia della convivenza civile. Per garantire la sopravvivenza dello Stato sono necessarie delle virtù civili quali, l'amore per la patria, la libertà e l'onestà che costituiscono la parte fondamentale per la convivenza civile. Per radicare queste virtù in uomini non buoni, c'è bisogno di precise istituzioni: la religione, le leggi e le milizie. 1. La religione per Machiavelli è uno strumento di governo. La religione, in quanto fede, obbliga i cittadini a rispettarsi gli uni con gli altri e a mantenere la parola data. Machiavelli però, nei discorsi, critica la religione cristiana, poiché induce gli uomini a svalutare le cose del mondo e a guardare sempre al cielo. 2. Le buone leggi sono il fondamento del vivere civile, perché disciplinano il comportamento dei cittadini, che vengono indirizzati a fini superiori. 3. Le milizie sono il fondamento della forza dello Stato. Essi devono essere composte da cittadini, sia perché siano truppe più fedeli e valorose, e sia perché usare le armi per combattere i nemici, rinsalda i legami tra il cittadino e la sua patria. Per Machiavelli, la forma di governo che si avvicina di più a questa idea di Stato, è la forma repubblicana, perché è quella che può garantire meglio la continuità. Essa non si fonda sulle doti di uno solo, ma di più persone. Al contrario, il principato è una forma di governo provvisoria, indispensabile in alcune circostanze per costruire uno stato saldo. Virtù e fortuna All'interno del principe si delineano due concezioni della virtù: la virtù eccezionale del politico, che si nota nei momenti di eccezionale gravità, e la virtù del buon cittadino, che opera quotidianamente all'interno delle istituzioni dello Stato. Machiavelli ha una visione eroica dell'agire umano. In lui si riconosce la fiducia nella forza dell'uomo che era stato patrimonio della civiltà comunale ed era stata poi ereditata dalla civiltà umanistica. Secondo questa tradizione di pensiero, l'uomo nel suo agire ha dei limiti e deve fare i conti con una serie di fattori a lui esterni che non dipendono dalla sua volontà. Questi limiti assumono il volto della fortuna. Si tratta di un grande tema della civiltà umanistico rinascimentale, che trascura la presenza nel mondo della provvidenza e porta in primo piano, il combinarsi di forze puramente casuali, svincolate da ogni finalità trascendente. Dalla tradizione umanistica, Machiavelli eredita la convinzione che l'uomo può contrastare vittoriosamente la fortuna. Egli ritiene che essa decida solo la metà delle cose umane, e lasci regolare l'altra metà agli uomini. Nel pensiero di Machiavelli, si scontrano due forze gigantesche, la fortuna, incostante e volubile, e la virtù umana, che è in grado di contrastarla, impedirle di far danno, e piegarla ai propri fini. La virtù di cui parla Machiavelli è un complesso di varie qualità, una sintesi di dati intellettuali e pratiche, che conferma che la teoria e la prassi non vadano mai disgiunte. Le principali doti che deve avere il perfetto uomo politico sono: 1. la perfetta conoscenza delle leggi generali dell'agire politico, ricavate sia dall'esperienza diretta sia dalla storia passata; 2. L'abilità nell'applicare queste leggi ai casi concreti e particolari, prevedendo i comportamenti degli avversari e gli sviluppi delle situazioni; 3. La determinazione e l'energia e il coraggio nel mettere in pratica ciò che si è stabilito. Per Machiavelli la virtù umana può contrapporsi alla fortuna attraverso tre capacità: la prima è quella che consiste nel trasformare un caso in un'occasione per agire, per mettere alla prova le proprie virtù. Ad esempio scrive Machiavelli nel principe, che occorreva che gli ebrei fossero schiavi in Egitto, gli ateniesi dispersi nell'attica oppure i Persiani sottomessi ai Medi perché potessero intervenire le virtù di grandi condottieri come Mosè, Teseo e Ciro. In secondo luogo la virtù si impone alla fortuna attraverso la capacità di previsione e di calcolo accorto. Infatti è proprio nei periodi di tranquillità che un abile politico deve prevedere futuri capovolgimenti. Ad esempio costruire gli argini per contenere i fiumi in piena. La terza capacità è quella di saper adattare il proprio comportamento alle varie situazioni oggettive che si presentano, ad esempio in certe occasioni con cautela e prudenza, in altre con impeto, in altri ancora con l'astuzia e la forza. Eppure questa flessibilità quasi mai si trova negli uomini. L'aderenza alla realtà oggettiva e lo slancio passionale Le idee di Machiavelli si organizzano in un sistema logico e coerente che assume i caratteri di un vero e proprio sistema scientifico. All'origine di questo sistema vi è l'urgenza di interessi pratici e immediati, in questo caso la crisi politica italiana. Questi interessi costituiscono da un lato uno stimolo perché inducono lo scrittore ad aderire i suoi pensieri alla verità effettuale della cosa, dall'altro però introducono nel pensiero una componente passionale che va al di là della scienza. Infatti la sua passione politica ha il sopravvento sul freddo ragionare, e questo lo porta a non rassegnarsi all'inerzia ma continuare a prospettare un futuro diverso. Nell'ultimo capitolo del Principe, la situazione disperata dell'Italia diventa l'occasione per un principe di mettere in atto la sua virtù e costituire uno Stato nuovo. Il popolo italiano, che nei discorsi viene descritto come un popolo corrotto, diventa una sorta di popolo eletto che aspetta il suo Messia. Così si conclude il Principe, con un atteggiamento profetico e messianico (atteggiamento fondato su prospettive di Rinnovamento politico e sociale, aggettivo che fa riferimento all'avvento del Messia, del Salvatore). Machiavelli elabora dunque i fondamenti teorici di uno Stato moderno, scollandosi dal contesto Socio-politico da cui nasceva. Ma se da una parte le idee di Machiavelli si scostavano dal pensiero contemporaneo, abbracciavano sicuramente le idee future, costituendo i fondamenti teorici dei grandi stati moderni. La lingua e lo stile Lo stile adottato da Machiavelli è diverso da quello del genere della trattatistica rinascimentale, che rientra nel gusto classicistico che tende a sublime. Il rifiuto di tale modello deriva dalla sua convinzione che per incidere sul reale e fornire uno strumento da applicare immediatamente, non è consigliabile uno stile sublime, ma occorre una prosa agile, chiara e immediata. Quando il pensiero è denso, il periodo si fa ampio e articolato, mentre quando l'argomentazione si concentra in aforismi (dal greco "aphorizo", definisco, massima in cui il pensiero espresso in forma molto concentrata), lo stile si fa secco e conciso. Il lessico si rifà a quello petrarchesco in boccacciano e del libero e vario, dove si mescolano latinismi tecnici, latinismi letterari derivati dai classici, ma anche parole comuni e quotidiane o addirittura termini plebei. Molto impiegate sono inoltre le metafore, le immagini e i paragoni. Per questo motivo Machiavelli non è considerato solo il fondatore della scienza politica, ma anche del moderno linguaggio della prosa scientifica. La mandragola Si tratta della commedia più importante di Machiavelli, definita un autentico capolavoro. Ebbe un notevole successo e fu scritta probabilmente nel 1518: risale al periodo in cui Machiavelli era forzatamente escluso dall'attività politica e riflette lo stato d'animo aspro e amaro di quegli anni. L'intreccio si svolge a Firenze e ricalca gli schemi propri del teatro comico del tempo: una vicenda d'amore contrastato che si conclude felicemente grazie all'intervento di un parassita (mantenuto dai ricchi). Segue il modello della commedia latina mentre la vicenda di uno sciocco beffato risale alla novellistica toscana. La commedia di Machiavelli non è serena, ma cupa e amara. La commedia rappresenta un mondo senza luce in cui domina solo la legge dell'interesse economico, dell'astuzia e dell'inganno. Trama Callimaco è innamorato di Lucrezia, moglie di Nicia (uomo di mezza età sciocco e limitato). Il giovane con l'aiuto del parassita Ligurio e di Frate Timoteo ricorre ad uno stratagemma: Nicia è angosciato perché non ha figli, così gli viene fatto credere che la moglie resterà incinta se berrà una pozione di mandragola, ma il primo che avrà rapporti con lei morirà. Così Callimaco può godere delle grazie di Lucrezia con il permesso del marito. Callimaco e Lucrezia diventano amanti abituali e Nicia ignaro di tutto lo accoglie in casa come amico fraterno. L'arte della guerra L'arte della guerra riprende i temi cari a Machiavelli, già trattati nel Principe: temi militari. L'opera, divisa in 7 libri e pubblicata nel 1521, è la prima opera dell'autore ad essere pubblicata, in quanto il Principe e i Discorsi circolavano ancora manoscritti. La forma che assume è quella tipica della trattatistica, quindi quella del dialogo, ed i personaggi che ne fanno parte sono gli esponenti del gruppo di intellettuali ai quali era strettamente legato (essi riunivano negli orti Oricellari): Cosimo Rucellai, Zanobi Buondelmonti, Battista della Palla e Luigi Alamanni. Protagonista è invece Fabrizio Colonna, vecchio comandante militare, che assume il ruolo di portavoce delle idee di Machiavelli. L'argomento centrale è la polemica contro le armi mercenarie che indeboliscono lo stato e sono viste come una delle principali cause della crisi italiana. Per questo Machiavelli sente la necessità di uno Stato che si arruoli di milizie popolari ("armi proprie"). Altrettanto importanti sono i temi militari in senso tecnico, riguardanti la paga dei soldati, la disciplina e le fortificazioni. Qui l'autore ricorre al modello degli antichi Romani dei quali ne ammira l'istituzione militare e le virtù: egli è convinto che se questo modello venisse applicato, potrebbe risollevare l'Italia da questo periodo di crisi. Le istorie fiorentine Machiavelli riceve dall'Università di Firenze l'incarico di scrivere una storia di Firenze. La consegna manoscritta al cardinale Giulio de' Medici, divenuto ormai papa Clemente VII. Divisa in 8 libri, verrà poi stampata postuma. Gli argomenti dell'opera sono suddivisi in: • I libro: sintesi della storia d'Italia dalla caduta dell'impero romano fino al 1434; • II-IV libri: storia di Firenze fino al 1434, quando si instaurò la signoria dei Medici; • V-VIII: storia di Firenze e dell'Italia (1434) fino alla morte di Lorenzo il Magnifico (1492). Machiavelli si distacca dalla tradizione storiografica umanistica, che si occupava solo di politica estera, per dedicarsi alla storia interna di Firenze così individuare le cause della decadenza della città e fornire un modello da seguire ai i contemporanei. Egli non fa un resoconto degli avvenimenti storici, ma vuole comprendere il motivo dei problemi e dei conflitti del presente. Vi è quindi un legame tra la sua opera storiografica e la sua trattatistica politica: vi è di fatti la polemica contro i prìncipi italiani. Per tracciare la sua narrazione, riprende compilazioni storiche precedenti per confermare o smentire quanto in esse era stato tramandato; non sottopone le fonti ad un esame critico; dà loro interpretazioni parziali per deformare i fatti, così da farli coincidere con le sue tesi. Seguendo l'esempio dei classici, anche Machiavelli ritiene la storiografia come un componimento di valore letterario che deve obbedire alle leggi retoriche di un genere. Infatti le Istorie vengono trattate con grande vigore narrativo e drammatico, e presentano ritratti di personalità storiche concepite come veri e propri personaggi letterari. L'opera ha il pregio di inserire i fatti in un disegno generale organico e coerente, e questo costituisce un grande passo verso un'idea di storiografia moderna. La vita di Castruccio Castracani L'opera ha un carattere fortemente letterario e prende il nome da un condottiero di Lucca del 300. Composta nel 1520 e dedicata a Zanobi Buondelmonti e Luigi Alamanni, riprende il modello delle biografie classiche e umanistiche. È di fatti caratterizzata da descrizioni del carattere e del fisico, da aneddoti e sentenze esemplari, discorsi. Il personaggio assume grande importanza a livello narrativo ma, anche in quest'opera risalta il forte carattere politico, in quanto Machiavelli proietta nel condottiero, la figura del principe virtuoso, così da proporlo come esempio di comportamento per il politico attuale. Le opere letterarie La produzione in poesia Oltre alla sua conoscenza dell'ambiente politico e militare, Machiavelli possedeva una buona cultura letteraria, da cui nacque una grande produzione, sia in versi che in prosa. La sua produzione poetica si ispira alla tradizione fiorentina e in particolare alle rime burlesche, i canti carnascialeschi, opere di contenuto morale e avvenimenti della realtà politica e sociale. I canti carnascialeschi, fanno trasparire il profondo legame di Macchiavelli, con il clima comico carnevalesco, ma contengono anche spunti politici. Il decennale, è un poemetto in terzine che ripercorre la storia fiorentina italiana tra il 1494 e il 1504, un decennio ricco di sconvolgimenti e trasformazioni. Il modello fondamentale per quest'opera è la commedia dantesca, da cui trae spunto sia nello schema metrico, sia negli spunti polemici. Nel 1514 Machiavelli intraprende un decennale secondo, che racconta la storia del decennio successivo d 1504 al 1514, ma lo lascia interrotto al 1509. Lo scrittore affronta anche il genere del capitolo come strumento di riflessione morale. I suoi quattro capitoli, in terzine, trattano l'ingratitudine, l'ambizione, l'occasione e la fortuna. La fortuna è il tema centrale del pensiero machiavelliano, tema che verrà poi ripreso nel principe. Un altro poemetto in terzine è l'asino, rimasto incompiuto al capitolo 7. Machiavelli riprende il mito omerico di Circe, la maga che trasformava gli uomini in animali, e si rifà a l'asino d'oro di Apuleio, in cui si narra la trasformazione del protagonista in asino per un incantesimo, viene poi raccontato anche il percorso di iniziazione che egli deve compiere per recuperare le sembianze umane. Per alcuni aspetti, il poema risente delle impostazioni allegoriche della commedia. Il poeta in prima persona narra un processo di iniziazione che lo porta tra gli animali di Circe, che rappresentano diversi tipi di umani. Il poeta dovrebbe trasformarsi in asino, ma il poema si interrompe prima che ciò accada. L'opera si collega alla tradizione carnevalesca, poiché gli schemi di osservazione del mondo vengono ribaltati attraverso la regressione nella dimensione bassa dell'animale. La novella Belfagór arcidiavolo Machiavelli scrisse numerose novelle inserite all'interno delle sue lettere familiari. L'unico testo propriamente narrativo che c'è giunto però è quello del manoscritto che reca il titolo di favola, noto come Belfagor Arcidiavolo. Attraverso lo spunto narrativo del diavolo che prende moglie, vengono toccati alcuni motivi tradizionali come quello misogino della perfidia e della malizia delle donne e quello dell'astuzia dei contadini. Belfagor arcidiavolo è invitato sulla terra per verificare se sia vero che le mogli siano un supplizio più atroce di quelli dell'inferno. Egli dunque si sposa e viene mandato in rovina dalla moglie, che spende tutte le sue ricchezze. Perseguitato dai creditori, viene salvato da un contadino, che però viene ingannato da Belfagor. Alla fine il contadino riesce ad avere la meglio sul diavolo, minacciando di farlo tornare nelle mani della moglie. La Clizia Machiavelli compose una seconda commedia, la Clizia. Il testo si ispira ad un'opera di Plauto. Questa commedia è più vicina ai modelli classici, lontana dalla comicità corrosiva e cupa della mandragola. Il protagonista è un vecchio, vittima di una passione per una serva. egli viene preso in giro dalla moglie e dai familiari ed è costretto a ritornare entro i limiti dei consueti valori Borghesi. Vi è nell'opera una proiezione autobiografica dell'autore che ironizza sul suo amore per la giovane cantante Barbara Salutati. Il motivo comico classico del conflitto fra vecchi e giovani si risolve in una malinconica riflessione sulla vecchiaia e sull'impossibilità di realizzare i desideri. Il discorso intorno alla nostra lingua Un'altra opera è il discorso intorno alla nostra lingua. Quest'opera si inserisce nel dibattito sul problema della lingua, molto vivo nel 1500. Nell'opera si sostiene che il modello linguistico deve essere la lingua viva dell'uso Fiorentino.