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Machiavelli

20/9/2022

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1. LA VITA
L'ATTIVITÀ POLITICA
Niccolò Machiavelli nacque a Firenze nel 1469 da una famiglia borghese. Ebbe un'educazione
umanistica. Nel 14

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1. LA VITA L'ATTIVITÀ POLITICA Niccolò Machiavelli nacque a Firenze nel 1469 da una famiglia borghese. Ebbe un'educazione umanistica. Nel 1498 diventò segretario della seconda cancelleria del Comune ottenendo anche incarichi diplomatici che gli conferirono grande importanza nella politica interna, estera e militare. Quest'esperienza diretta con la realtà politica e militare del tempo lo portarono alle riflessioni, teorie ed analisi che trasferì nelle sue opere. Nel 1500 fu in Francia presso il re Luigi XII, per il quale provò grande ammirazione e che disegnò come modello per lo Stato italiano. Nel 1502 compì una missione presso Cesare Borgia. Restò molto colpito dalla sua audacia e spregiudicatezza. Nel "Principe" usò la sua figura come esempio delle virtù che deve possedere un principe capace di opporsi alla crisi italiana. Ad ottobre assistette alla rovina della costituzione politica di Cesare Borgia. LA RIFLESSIONE POLITICA E LE MISSIONI DIPLOMATICHE Nel frattempo si dedicò all'attività letteraria e scrisse in versi il "Decennale primo", cronaca delle vicende italiane dal 1494 al 1504. In questi anni maturano le teorie militari secondo cui si devono evitare le infide milizie mercenarie e di creare un esercito permanente, recandosi in campagna per arruolare soldati. Divenne segretario della "magistratura dei Nove", che dirigeva tale milizia. Durante il viaggio attraverso Svizzera e Germania restò stupefatto dalla compattezza dei...

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Didascalia alternativa:

quei popoli e scrisse le sue osservazioni nel "Ritratto delle cose della Magna". Nel 1510 andò in Francia presso Luigi XII dove scrisse "Ritratto delle cose di Francia". Nel 1511 cadde la Repubblica, i Medici tornarono a Firenze ed egli venne licenziato. L'ESCLUSIONE DALLA VITA POLITICA L'esclusione dalla vita politica fu per lui un colpo durissimo. Nel 1513 fu sospettato di aver fatto parte di una congiura antimedicea e venne torturato. Liberato, si ritirò in esilio (voluto da lui) a San Casciano dove scrisse il "Principe", la triste commedia “Mandragola” e iniziò i “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio". Cercò di riavvicinarsi ai Medici dedicando il "Principe" a Lorenzo de' Medici, che aveva il governo di Firenze, ma lui lo guardò con diffidenza. Si avvicinò allora a giovani intellettuali aristocratici che credevano nella Roma repubblicana e a due di essi dedicò i "Discorsi". Nel 1519 il governo di Firenze passò a Giulio de' Medici che lo incaricò di stendere una storia di Firenze sotto compenso. Nel 1521 gli dedicò i dialoghi dell'Arte della guerra". Nel 1523 Giulio divenne papa e Machiavelli gli offrì le "Istorie fiorentine". Nel 1527 i Medici vennero nuovamente cacciati e tornò la Repubblica. A questo punto Machiavelli cercò di riottenere l'incarico di segretario ma fallì. Ammalatosi, morì il 21 giugno 1527. 4. IL PRINCIPE E I DISCORSI IL PRINCIPE LA GENESI DELLA COMPOSIZIONE DELL'OPERA Nel 1513 Machiavelli annunciava all'amico Vettori di aver composto il "Principe", ma non sappiamo quando sia stata composta e se sia stata scritta unitariamente o in fasi diverse. Oggi si tende a collocare la sua composizione tra luglio e dicembre 1513 e che posteriormente sia stata scritta la dedica a Lorenzo de' Medici. Si pensa che la stesura de i "Discorsi" sia stata interrotta per far posto alla composizione del trattato che suscitava una maggiore urgenza. Quest'opera non fu pubblicata e circolò all'interno di una ristretta cerchia. LA STRUTTURA E I CONTENUTI IL GENERE E I PRECEDENTI DELL'OPERA Pur essendo un'opera rivoluzionaria nell'impostazione del pensiero, il "Principe" si può collegare ad una precedente produzione. Nel Medio Evo essi erano chiamati specula principis, nel '400 poi il genere riacquistò importanza. Mentre però tutti questi trattati forniscono un'immagine ideale, attribuendogli innumerevoli virtù. Machiavelli ha intenzione di guardare alla verità delle cose, parlando di quei mezzi che possono effettivamente consentire ad un principe la conquista e il mantenimento dello Stato, consentendogli anche di non essere buono se ce n'è bisogno. L'opera ha poi radici nella tradizione dei promemoria che cittadini erano soliti inviare ai principi. Il "Principe" è un'opera molto breve, scritta in forma concisa e incalzante e densa di pensieri. É composta da 26 capitoli di diversa lunghezza e con titoli in latino. I capitoli che vanno dal 1 al 11 esaminano i vari tipi di principato e trattano dei mezzi che servono per conquistarlo e mantenerlo. I principati sono distinti tra ereditari e nuovi, che possono essere a loro volta misti (aggiunti a qualche altro Stato) o nuovi del tutto: questi ultimi possono essere conquistati con la virtù o con la fortuna e le armi. Machiavelli distingue crudeltà bene e male usata: la prima è usata solo per necessità per il bene dei sudditi, seconda invece per il bene personale. I capitoli che vanno dal 12 al 14 si dedicano alle milizie composte da infedeli mercenari che dovrebbero essere sostituiti da cittadini fedeli allo Stato capitoli 14-23 trattano del modo di comportarsi del principe nei confronti dei sudditi. Qui si rovesciano gli schemi tradizionali. Il capitolo 24 esamina i motivi per cui principi hanno perso i loro Stati evidenziando la loro ignavità dovuta alla non previsione di quello che sarebbe potuto succedere. Nel capitolo 25 si parla del rapporto tra virtù e fortuna, cioè la capacità di non basarsi solo su di essa paragonata ad un fiume che straripa e allaga le campagne vicine. Infine il capitolo 26 è un'esortazione ad un principe che sappia porsi a capo del popolo italiano e liberarlo dai barbari. I DISCORSI SOPRA LA PRIMA DECA DI TITO LIVIO I CONTENUTI E IL PROBLEMA DEL GENERE Dalle carte liviane, appunti sulle riflessioni politiche scaturite dalla lettura dei primi dieci libri della "Storia" di Livio dove si parla della nascita della Roma repubblicana, derivano i "Discorsi", dedicati agli amici Zanobi Buondelmonti e Cosimo rucellai. L'opera fu divisa in tre libri: nel 1 si parla delle iniziative di politica interna di Roma; nel 2 di politica estera e dell'espansione dell'Impero; nel 3 delle grandiose azioni dei singoli cittadini. Quest'analisi lo porta a riflettere su problemi politici generali e soprattutto di Firenze. Essi non furono stampate dall'autore: vennero pubblicati postumi nel 1531. IL RAPPORTO TRA DISCORSI E PRINCIPE E L'IDEOLOGIA POLITICA DELL'AUTORE. Nel Principe Machiavelli risolve i problemi con la monarchia assoluta mentre nei discorsi utilizza un modello repubblicano poiché il suo orientamento è repubblicano, ma il Principe rappresenta l'urgenza di porre rimedio, è quindi necessario fondare uno Stato abbastanza forte da contrastare l'espansione delle potenze europee. Se la creazione di uno Stato spetta ad un singolo molto virtuoso, per garantire la stabilità e stimolare le virtù civili e morali dei cittadini serve la repubblica. Mentre il Principe ha carattere militare mirato a fornire strumenti immediatamente applicabili, i Discorsi hanno carattere di riflessione teorica generale. IL PENSIERO POLITICO NEL PRINCIPE E NEI DISCORSI TEORIA E PRASSI Le sue considerazioni scaturiscono dal rapporto diretto con la realtà storica e cerca di incidere il proprio pensiero su di essa. Esso consiste nel credere che la teoria nasce dalla prassi e si risolve con essa. Alla base di tutto sta la sofferenza derivata dalla conoscenza della crisi politica (frammentazione in stati regionali e cittadini deboli), militare (milizie mercenarie) morale (valori civili, come amore per la patria e senso civico, affievoliti). Per questo gli Stati italiani sono prossimi a perdere la loro indipendenza e l'unica via d'uscita è un principe capace di organizzare le energie delle genti italiane e costruire una politica che contrasti l'espansione degli Stati vicini. Partendo dalla situazione particolare di Firenze, Machiavelli elabora una teoria universale, quasi scientifica. LA POLITICA COME SCIENZA AUTONOMA Machiavelli è indicato come il fondatore della moderna scienza politica, infatti delimita il campo di questa scienza distinguendolo dalle altre discipline, rivendicando cioè la sua autonomia. Essa infatti possiede delle proprie leggi che vanno applicate esclusivamente per rafforzare e mantenere lo Stato e garantire il bene dei cittadini. Machiavelli ha il coraggio di mettere in luce ciò che avviene realmente nella politica poiché non vuole costruire una bella teoria ma una realtà concreta. IL METODO La nuova scienza ha come principio il fatto che la costruzione teorica parte sempre dall'indagine di una concreta realtà e solo mettendo insieme tutte le varie esperienze si possono formulare leggi generali. Egli ricorre le massime universali, derivate dall'esperienza, pronunciandole come se fossero dogmi. L'osservazione diretta è la base del metodo scientifico moderno. L'esperienza secondo Machiavelli può essere diretta o ricavata dai libri degli antichi. LA CONCEZIONE NATURALISTICA DELL'UOMO E IL PRINCIPIO DI IMITAZIONE La sua è una concezione naturalistica, crede infatti che l'uomo sia un fenomeno della natura al pari di altri e che i suoi comportamenti non variano nel tempo. Crede che studiando il comportamento umano si può arrivare a formulare delle leggi valide universalmente. I suoi trattati sono la prova che l'uomo non cambia e che l'agire degli antichi può essere una lezione per noi di oggi (principio rinascimentale dell'imitazione). Nel proemio del 1 libro egli constata che l'imitazione degli antichi è utile per la politica, arti figurative, medicina e diritto. Da qui scaturisce la fiducia di Machiavelli in una teoria che sappia individuare le leggi utili allo Stato. IL GIUDIZIO PESSIMISTICO SULLA NATURA UMANA Machiavelli ha una visione pessimistica dell'uomo come essere morale. L'uomo è malvagio. Machiavelli non indaga sulla natura di questa malvagità ma si limita a parlare degli effetti derivati da essa. Afferma che ciò che spinge gli uomini a questo è l'interesse materiale, e poiché un politico si deve muovere su questo terreno, può permettersi di non essere buono. Propone per egli l'immagine del centauro poichè mezzo uomo mezzo bestia. L'AUTONOMIA DELLA POLITICA DELLA MORALE Machiavelli crede che i comportamenti che possono essere malvagi secondo la morale sono efficaci in politica, o viceversa, infatti, quando da un giudizio etico i suoi termini di riferimento sono quelli convenzionali, mentre utilizza criteri diversi per la politica. L'obiettivo non è giustificare i cattivi comportamenti, ma avere il coraggio di ammettere che alcuni di essi sono indispensabili per la politica. Fa una netta distinzione fra principi e tiranni: mentre i principi operano esclusivamente a vantaggio dello stato, i tiranni pensano esclusivamente al proprio vantaggio. LO STATO E IL BENE COMUNE Lo Stato è l'unico modo per porre rimedio alla malvagità umana attraverso una repubblica, cioè una comunità in cui il fine delle azioni è il bene comune. Per mantenere lo stato sono necessarie virtù come amore per la patria, per la libertà e onestà e per radicarle sono necessarie religione, leggi e milizie. Machiavelli è interessato alla religione solo come strumento di governo in quanto fede in principi comuni che porta i credenti a rispettarsi gli uni con gli altri (funzione che era rivestita dalla religione anche per i romani), essa induce inoltre alla forza virile e al coraggio. Il poeta disprezza il cristianesimo in quanto porta gli uomini ad essere calmi e rassegnati, a svalutare il mondo terreno ed aspirare solo a quello celeste. Le leggi sono il fondamento di uno Stato in quanto regolano il comportamento dei cittadini. Sono fondamentali anche le milizie che devono essere composte dai cittadini poiché più fedeli e poiché le armi rinsaldano i legami del cittadino con la sua patria. La forma di governo che racchiude queste basi è la repubblica, il principato è invece transitorio, poiché si fonda solo sulle doti di uno, mentre la repubblica ha istituzioni stabili. VIRTÚ E FORTUNA Machiavelli ha due concezioni della virtù: quella eccezionale del politico-eroe e quella del buon cittadino, importante tanto quanto la prima. Egli ha una visione eroica dell'agire umano e ha fiducia nella sua forza anche se sa bene che l'uomo ha dei limiti e deve fare i conti con forze che non dipendono dal suo volere. Questi limiti vengono chiamati fortuna; essa è frutto di una concezione laica e terrena, svincolata da realtà trascendentali. Dall'umanesimo Machiavelli eredita la credenza di poter fronteggiarla e crede che essa costituisca solo metà delle cose umane e che lascia regolare l'altra metà agli uomini. Vi sono vari modi per contrapporsi ad essa: può costituire l'occasione del suo agire. Le doti del politico restano infatti potenziali se egli non ha l'occasione di usarle, idem l'occasione rimane potenzialità se un politico non sa approfittarne. L'occasione può essere anche negativa e avere la funzione di stimolo. ● la virtù umana si contrappone ad essa attraverso la capacità di previsione. Nei momenti quieti l'abile politico deve prevedere i futuri problemi e predisporre dei ripari. La virtù è quindi composta da impeccabile conoscenza delle leggi della politica, capacità di applicare le determinate leggi nei giusti modi ed infine mettere in pratica ciò che è disegnato. ● la capacità di adattarsi alle varie esigenze che si presentano. Essere a volte cauto a volte impetuoso, a volte astuto altre forte. Qui si presenta una nota pessimistica in quanto questa duttilità è rara negli uomini poiché se sono soliti avere esiti positivi comportandosi in un certo modo, difficilmente lo cambieranno. REALISMO "SCIENTIFICO" E UTOPIA PROFETICA Le idee politiche di Machiavelli si organizzano in un sistema logico e coerente che presenta i caratteri di un vero sistema scientifico la cui origine è data dall'urgenza degli stessi. Tali interessi inducono lo scrittore ad aderire alla verità delle cose per com'è, in modo da poter agire su di essa. Questa concezione avrebbe dovuto portare Machiavelli a notare la vera entità della crisi italiana ed indurlo ad essere pessimista. Ma la sua passione per la politica ha preso il sopravvento; ha un impeto eroico che non gli permette di rassegnarsi. La disperata situazione italiana diviene l'occasione ideale per un principe capace di costruire un nuovo Stato. Il popolo italiano corrotto, scettico e rassegnato diventa una sorta eletto che aspetta il suo messia (come Mosè per gli Ebrei). Infatti la conclusione del Principe ha un carattere profetico, un accento passionale e non manca di immagini bibliche e citazioni poetiche. Machiavelli disegna uno stato moderno, unito e forte basato su istituzioni stabili, buone leggi, un forte esercito e il consenso dei cittadini. Ma le condizioni per questo non esistevano in Italia. Esse erano però applicabili fuori da essa, in luoghi e tempi più avanzati. LA LINGUA E LO STILE É un genere diverso da quello della trattatistica rinascimentale che tendeva al sublime, utilizzando diverse forme retoriche, un lessico aulico e un periodare complesso. Egli per la necessità di incidere sul reale non pensa alle figure retoriche, usa bensì una prosa semplice, simile ad un discorso che fluisce direttamente da un pensiero denso e complesso, ma, quando l'argomento lo richiede lo stile si fa conciso e lapidario. É un periodare incalzante ed incisivo che talvolta diventa rotto ed irregolare. Il lessico è lontano da quello aulico della trattatistica e si rifà a quello petrarchesco e boccacciano. Il lessico è vario dove si mescolano latinismi, termini plebei ei quotidiani. Le metafore sono ricorrenti, esse sono astrazioni che aderiscono al concreto (lo Stato deve mettere le radici come un albero, la fortuna come un fiume che straripa...). Tutto questo costituisce la modernità di Machiavelli, egli è infatti considerato il fondatore del moderno linguaggio della prosa scientifica.