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montale eugenio

23/11/2022

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MONTALE
Genova, 1896. Diploma di ragioniere. Molto dotato vocalmente, musica infatti
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MONTALE Genova, 1896. Diploma di ragioniere. Molto dotato vocalmente, musica infatti importantissima, e si vede anche nelle poesie. Partecipa alla prima guerra mondiale. Esordio poetico nel 22, su Primo tempo, rivista fondata da Giacomo Debenedetti. Articolo su Svevo, che segnala per la prima volta in Italia l'importanza di questo scrittore. 1925: esce Ossi di seppia, firma il manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce. Questo gesto è sia l'espressione di un dissenso nei confronti della dittatura, sia un attegiamento più generale, che anche in seguito terrà lontano il poeta da ogni forma di partecipazione e militanza politica. 1927 si trasferisce a Firenze, per lavorare come redattore nella casa editrice Bemporad. Nel 1929 va alla direzione del Gabinetto letterario Vieusseux (verrà poi dispensato dall'incarico nel 1938, perché non iscritto al partito fascista). Nel 1933 incontra Irma Brandeis, critica letteraria e accademica statunitense, a cui dedica diverse poesie (è la Clizia). 1939: Le occasioni. Intanto avvia un'intensa attività di traduttore. Dal 1939 vive con Drusilla Tanzi, che diventerà sua moglie solo nel 1962 e viene poi cantata col nomignolo Mosca. Ospita a casa sua Saba e Carlo Levi, perseguitati per motivi razziali. 1948 si trasferisce a Milano, inizia la sua definitiva attività di redattore del Corriere della Sera, e farà anche il critico musicale. 1948 pubblica il Quaderno di traduzioni,...

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Didascalia alternativa:

in cui traduce molti poeti inglesi. 1956: La bufera e altro. 1971: Satura. 1973: Diario del 71 e del 72; 1977: Quaderno di quattro anni 1975 premio nobel per la letteratura. A differenza di Ungaretti nella poesia di Montale non troviamo un contatto diretto con l'assoluto: la parola si scontra prima con la realtà: tra l'uomo e l'assoluto c'è una relatà ineliminabile, che Ungaretti invece cancella. È il mondo fenomenico, della natura e delle cose, nel quale sembra talvolta possibile individuare uno spiraglio della verità, senza che se ne possano mai ricavare risposte tranquillizzanti e definitive. La poesia di Montale è una poesia delle cose: si colloca lungo una linea che va da Pascoli a Gozzano. Leggendo la poesia di apertura, I limoni, si può vedere quanto sia polemico Montale nei confronti della tradizione poetica aulica e ufficiale, quella dei "poeti laureati", che usa termini convenzionali o troppo altisonanti. Ai "bossi, ligustri e acanti" (una flora ricercatissima e improbabile) Montale oppone la freschezza e il colore del limone, una pianta semplicissima. Anche la scelta di Montale quindi cade sulle piccole cose, sugli elementi di una realtà povera e comune. Ma ovviamente non guarda a questa natura con gli occhi del fanciullino, e non troviamo un'atmosfera crepuscolare, o l'ironia (Gozzano). GLI OGGETTI DIVENTANO PER LUI DEGLI EMBLEMI (NO SIMBOLI: RIFIUTO DEL LINGUAGGIO ANALOGICO) in cui è trascritto il destino dell'uomo, soprattutto nell'infelicità di una condizione esistenziale, che non può fornire certezze o illusioni. La poesia non può che rispecchiare questa condizione di aridità, cercando continuamente, nutrendo una vana speranza di trovare un varco che si apra sul mistero della vita, dandole significato. A differenza dell'analogia ungarettiana, così rara e indefinita, si è parlato di correlativo oggettivo, in quanto anche i concetti e i sentimenti più astratti trovano la loro espressioni in oggetti definiti e concreti (spesso il male di vivere ho incontrato). La poesia delle cose in Montale è tutt'altro che semplice, ma può risultare difficile, ardua, oscura. Il termine correlativo oggettivo è di Eliot. Questo simbolismo montaliano potrebbe essere visto come una forma nuova e moderna di allegoria (Commedia, e infatti Montale, come pure Eliot, amava Dante). Ovviamente l'allegoria montaliana, che non trova una integrale spiegazione nella mente divina, non ottiene risposte. Anzi, alla provvidenza dantesca e manzoniana, Montale sostituisce una divina indifferenza (Spesso il male di vivere), che, resta passiva e insensibile di fronte alle gioie e ai dolori degli uomini (Leopardi). La poesia montalian si apre a un tono discorsivo e colloquiale, che presuppone la presenza del lettore, qualche volta addirittura si rivolge con il tu. Ma la poesia, proprio perché riflette una realtà cifrata e inconoscibile, non può insegnare nulla. Infatti Montale rifiuta l'immagine del poeta vate ("ti guardiamo noi, DELLA RAZZA DI CHI RIMANE A TERRA" (Falsetto), e anche ogni concezione di poesia come fonte di educazione e di elevazione spirituale (non chiederci la parola). Di fronte all'impossibilità di sciogliere il mistero della vita, Montale propone una forma di conoscenza in negativo, priva di certezze e di ipotesi propositive. Si fa portavoce di un pensiero negativo. Non per questo viene meno la funzione della poesia: essa ha il compito di indagarela condizione dell'uomo del 900, assumendo il valore di testimonianza. Pur senza speranza, il poeta continua a indagare. A livello stilistico, pur non rifiutando il verso libero, concede ampio spazio ai metri tradizionali, con la massiccia reintroduzione dell'endecasillabo sciolto (non legato dalla rima e da uno schema strofico). Ritroviamo una lingua che segue il plurilinguismo dantesco (la lingua di Ungaretti invece è più petraschesca e leopardiana - monolinguismo ungarettiano e plurilinguismo montaliano): dagli oggetti più umili, a anche momenti di elevazione, con termini rari e letterari. Temi: il male di vivere (la noia, lo spleen) l'esistenza vista negativamente e pessimisticamente, è una muraglia con in cima cocci aguzzi di bottiglia poesia della negazione: il poeta sa solo ciò che non siamo e ciò che non sappiamo. la memoria, legata spesso alla figura femminile (salvifica) una poesia che non può fare a meno di cercare di capire, di cercare un varco: una poesia pervasa da una tensione conoscitiva aridità del paesaggio, soprattutto di Ossi di seppia (paesaggio ligure), che esprime anche l'aridità della vita gli oggetti: correlativo oggettivo l'amore OSSI DI SEPPIA Già dal titolo, simboleggiano l'aridità dell'universo montaliano. Compare un linguaggio arido e brullo (paesaggio ligure), che si riflette sulla parola. Le Occasioni È un libro generazionale, uscito a ottobre del 39 (momento storico importante) Componimenti occasionali. Tema del ricordo, fortissimo. La ricerca del varco. una raccolta in cui si percepisce una inquietudine storica. La bufera e altro: entra la storia nelle poesie, la guerra. Importante la figura femminile: la donna, che partecipa in una doppia natura, umana e divina, si può accostare a Beatrice. La donna in montale lo accompagna in questo viaggio tra il conoscibile e l'inconoscibile. Ossi di seppia: I limoni Tensione metafisica, ricerca continua del varco. È una sorta di manifesto. È la poesia che apre gli Ossi. Qui si oppone ai poeti laureati, in riferimento quasi esplicito a D'Annunzio, da cui si vuole distanziare. È una ripresa della Pioggia. Predilige un linguaggio semplice, e i limoni ne sono l'emblema. Riprende D'Annunzio per superarlo. I poeti laureati sono quelli consacrati con l'alloro poetico, sacro ad Apollo, lo abbiamo visto con Dante che lui non lo ebbe mai, ma viene rappresentato sempre con la corona d'alloro. Petrarca sì Bossi, ligustri, acanti: nomi ricercati e soprattutto scelti più per la musicalità che per il realismo, lui invece vuole parlare dei limoni, una pianta umilissima. POESIA DELLE COSE: PASCOLI, GOZZANO. Strade: correlativo oggettivo della poesia Inghiottite dall'azzurro: sinestesia I limoni sono la poesia. Paesaggio ligure, aspro. Parole aspre: seccate, sparute Se D'Ann. Preferiva il rumore della natura per la metamorfosi, lui preferisce il silenzio. Il chiasso degli uccelli sparisce, come inghiottiti dall'azzurro, e così si ascolta più chiaramente il sussurro dei rami amici, i rami dei limoni, (lì c'era un concerto quasi, una sinfonia) l'aria della ligura d'estate, che quasi non si muove (aridità). L'odore dei limoni prevale, ma anche la vista (Pascoli). Si rivolge direttamente al lettore, in forma quasi confidenziale. Tono discorsivo e sommesso. Una poesia che tende alla colloquialità. Alla versificazione aulica e sublime Montale sostituisce una realtà comune, costituita da un paesaggio povero e scabro, che vive di presenze consuete e concrete. Montale, sulla scia di Pascoli rifiuta l'uso generico e inderminato della parola, ma sceglie quelle che servono a indicare con precisione cose e oggetti. Al culmine abbiamo l'immagine dei limoni, emblema di una realtà nuda e aspra, ma viva e colorata. Nel silenzio della natura le cose sembrano abbandonarsi, come se fossero sul punto di rivelare il segreto della loro elementare presenza, lasciano intravedere il punto o il filo da cui sdipanare il misterioso e incomprensibile disegno dell'esistenza. Solo di fronte a una riduzione così essenziale della verità, sembra potersi aprire un varco alla conoscenza. Ma l'illusione manca, e il paesaggio cambia, dalla campagna immersa nella calura estiva all città, dove la natura scompare e anche il cielo si mostra solo a pezzi. Ma di nuovo il giallo dei limoni riporta la felicità di una rinata illusione. Non chiederci la parola Abbiamo detto che Ungaretti esalta la parola, qui troviamo invece una parola che non può squadrare l'animo informe, una parola impotente. Anche qui si rivolge a un ipotetico interlocutore. È un documento essenziale di poetica, in cui si afferma l'impossibilità sul piano della conoscenza di comunicare un messaggio positivo che si basi su una concreta proprosta di contenuti e valori. La parola non è in grado di definire la natura dell'uomo e di rivelare i rapporti con la realtà: l'animo informe non può essere squadrato. Lettere di fuoco: esprime la sicurezza (che lui non ha) Polveroso prato: correlativo oggettivo di una condizione esistenziale desolata. Contrapposizione con il conformista, integrato e appagato, che non si preoccupa della sua ombra (la parte oscura di sé): parallelo con Forse un mattino (le persone che non si voltano); tema della diversità (Albatros, Baudelaire); “della razza di chi rimane a terra" (Falsetto) Scalcinato muro: correlativo oggettivo dell'esistenza Storta sillaba secca come un ramo, questa è la poesia che può offrire. Ramo in antitesi con il croco, il fiore giallo che possa risplendere. Indirettamente polemica con i poeti laureati già presente nei Limoni. Rifiuto di poter trovare facili illusioni o consolazioni definitive. La poesia, pur senza possedere una funzione propositiva, vale come testimonianza di una sofferta condizione esistenziale. Meriggiare pallido e assorto Ripresa di Meriggio (come per i Limoni) di D'Annunzio. È un momento di massima vitalità ma non c'è la metamorfosi. Si sente invece un senso di desolazione della vita umana; niente panismo. Scopre la desolazione dell'esistenza. Verbi all'infinito in posizione anaforica (lezione dei futuristi). È un momento di sospensione, paesaggio arido e scabro. Sterpi: parola dantesca (uomini fummo e or siam fatti sterpi) Rime aspre che indicano l'aridità, il senso di spossatezza. Tremuli: parola pascoliana Impossibilità di attingere a una verità e a una pienezza, perché si collocano al di là di un ostacolo insuperabile: i cocci aguzzi di bottiglia posti sulla muraglia impediscono che questa venga scavalcata. È come la siepe di Leopardi, è un ostacolo, ma qui non c'è un superamento, non c'è l'infinito. Spesso il male di vivere ho incontrato Percorso che va dallo spleen, alla noia (Leopardi, scapigliatura, Carducci), al male di vivere Pascoli: "le cose sono ebbre di pianto" (Nebbia); Virgilio: le "lacrimae rerum" Immagini che sono il correlativo oggettivo del male di vivere, di un dolore esistenziale, in climax ascendente, da inanimato ad animale. (tipico esempio di correlativo oggettivo) Cavallo stramazzato: dolore descritto attraverso il dolore animale (amplificato): La capra di Saba; il treno ha fischiato ("come una bestia bendata, girava la stanga del molino") Non ha conosciuto altro bene all'infuori del miracolo che fa conoscere la "divina Indifferenza", divina perché difficile da raggiungere, e perché l'indifferenza è tipica del divino. Unica alternativa alla sofferenza è una posizione stoica di distacco e indifferenza (una sorta di atarassìa) Forse un mattino andando in un'aria di vetro È una epifania del nulla, del vuoto e dell'assurdità dell'essere. È una poesia pirandelliana (strappo nel cielo di carta). Gli oggetti del reale sono parvenze ingannevoli. Il poeta si volta e vede il nulla. Terrore di ubriaco: barcolla di fronte al nulla, perde l'equilibrio. Dopo aver avuto questa epifania tornano a presentarsi gli oggetti della realtà, alberi case e colli, per l'inganno consueto, ma è troppo tardi perché il poeta ha capito che sono inganni. Ma il poeta non può diffondere il miracolo, non è una guida, e se ne va insieme agli uomini che non si voltano (gli stessi di Non chiederci la parola), tenendosi il suo segreto. La poesia di Montale è attraversata continuamente da una profonda tensione metafisica. C'è sempre una ricerca. Gli uomini che non si voltano non si pongono interrogativi metafisici. Questa consapevolezza è il privilegio dell'intellettuale ma anche la sua condanna, perché lo obbliga alla solitudine (il poeta è un diverso) e al silenzio. Le occasioni Non recidere forbice quel volto Si parla della donna, e il ricordo della donna è destinato a dissolversi. Tema della memoria, importante nelle occasioni. Volto della persona amata, presente nella memoria. Si sfolla: si perde, cancella i ricordi delle persone care. Il viso della donna in ascolto, come se fosse protesa all'ascolto del poeta. La nebbia che nasconde il ricordo. C'è un implorazione nella prima strofa, nella seconda viene chiarito che il ricordo è dissolto per sempre, in modo indiretto, attr. un correlativo oggettivo: attr. la potatura di un albero a novembre. Il colpo svetta: il colpo dell'accetta che sale in alto per abbattersi poi sull'acacia. Il guscio della cicala: simboleggia il ricordo che sta per svanire. Belletta: fanghiglia. Correlativo oggettivo: la fine della speranza. La memoria non può contenere tutti i volti del passato. La forbice è il correlativo oggettivo del tempo inesorabile. Inizia con un imperativo negativo, come spesso accade in Montale. Il tempo rappresentato dalla forbice e il taglio netto sull'acacia allontana per sempre il volto della donna che resisteva nella memoria del poeta. Piccolo testamento La bufera e altro. Ci esprime il suo punto di vista. Si trovava a Firenze durante la resistenza, e aveva anche aderito al partito d'azione (un partito di centro – era un liberale). Non prende posizione tra cattolici e comunisti, si trova anzi a disagio. Le chiese nere e le chiese rosse: da una parte democrazia cristiana dall'altra il partito comunista. Questa luce, questo lume che si percepisce appena, debolissimo, è debole come la luminosità iridescente della bava di una lumaca (destinato presto a svanire) o come la polvere a cui si riduce il vetro calpestato. Questo mio pensiero non è il lume di una chiesa o di un funzionario di partito in una officina (idee comuniste soprattutto all'interno della classe sociale degli operai). Chierico rosso: come se fosse una chiesa anche il partito comunista. Montale ribadisce qui la sua distanza profonda dalle ideologie postbelliche, nelle loro forme di destra o di sinistra, e dal ruolo giocato in esse dagli intellettuali. Posso lasciare a te solo (potrebbe essere Clizia, Irma, a cui viene indirizzata la bufera) quest'iride. Iride è contrapposto al rosso e nero, iride è arcobaleno. Poi iride potrebbe significare l'evanesceza, perché l'arcobaleno è evanescente e labile (scia della lumaca, e polvere di vetro). Montale ha fatto una scelta politica, antifascista. È stato sempre coerente. Sta parlando di una fede non religiosa, neanche politica, è una fede nell'umanità, nella ragione. Fede e speranza. Speranza: continuava a sperare sempre, la possibilità di trovare un senso. Conserva questa iridescenza, come cipria nello specchietto per il trucco. Bisogna conservarla quando accadrà qualcosa. paura che si possa essere vicini a una catastrofe, un caos. Come Svevo, profetizza una catastrofe. Immagina una terza guerra mondiale. Scenderà il buio sulla terra, morirà la civiltà occ ntale, tu allora conserva questo che ti sto dicendo. È l'ora: l'ora dell'apocalisse. Questo piccolo lascito, sospeso sul filo della memoria, non è un'eredità (non chiederci la parola), non è un portafortuna che può far sfuggire alla catastrofe. Ma solo la morte permette la continuità, è solo nel distruggersi che si attua una persistenza, si può continuare a esistere solo nella distruzione. È un po' un difficile paradosso, ma intende che solo la morte consente alla vita di proseguire. È una testimonianza-testamento. Lucifero porta la certezza della morte (è l'ora). Contro questo turbine (l'«<urto dei monsoni») anche il «portafortuna» non ha alcun valore; non resta che la «memoria» (ma è una memoria fil di ragno, fragile come una ragnatela) (non recidere forbice), a giustificare il paradosso inesplicabile dell'esistenza (quello in cui «una storia non dura che nella cenere / e persistenza è solo l'estinzione», ai vv. 23-24): è un po' un paradosso: solo la morte permette la continuità della vita. È questa la sola traccia («<lume»> o <<segno»>) che dura, quella che si può lasciare in un «piccolo testamento>> affidato ai pochi e affini che sono in grado di riconoscerla. Di qui le distinzioni introdotte nei versi finali («l'orgoglio» che non è «fuga», «l'umiltà» che non è <<vile»>), nei quali il poeta ribadisce il valore delle sue scelte personali (il cui <<tenue bagliore» non è tuttavia labile come «quello di un fiammifero»>). Giusto era il segno: qualcuno ci ha criticato, perché non eravamo antifascisti militanti. Questa fede era giusta. Era giusto chiudersi in se stessi. Il problema non era solo il fascismo. Chi ha capito il segnale non può sbagliare nel ritrovarlo presso la donna cui è stato lasciato in testamento. Montale è convinto cioè che il segno della propria dirittura morale sarà ritrovato presso Clizia e nella sua poesia, di cui qui ella diventa simbolo. Il poeta difende sul finale le sue scelte, il rifiuto dell'impegno, il suo orgoglioso isolamento, che afferma ispirati a una tenace fede, una fede che consente di affrontare stoicamente una nuova apocalisse, anche se non fermarla. Scelta di isolamento, di rinunciare alla politica. Ho sceso dandoti il braccio Satura: Xenia Dedicata a Drusilla Tanzi, la moglie, morta nel 63. Un milione di scale, iperbole. Tono elegiaco, del lamento. Breve/lungo: antitesi Metafora del viaggio della vita. La realtà non è quella che si vede: antipositivismo: Forse un mattino andando. Tutto ciò che si vede potrebbe essere una illusione. La moglie sapeva vivere nel reale meglio di lui, anche se era miope.