La distanza dai contemporanei
Montale si distingue nettamente dai poeti suoi contemporanei, in particolare da Gabriele D'Annunzio. A differenza di quest'ultimo, Montale non attribuisce al poeta il ruolo di vate o guida spirituale della società.
Pur riprendendo da D'Annunzio il tema della fusione con il paesaggio, Montale ne dà un'interpretazione completamente diversa. Per lui, il paesaggio (soprattutto quello ligure, descritto come arido e bruciato) riflette l'esistenza umana, ma non offre alcuna chiave per comprendere il senso della vita.
Example: Il paesaggio ligure nelle poesie di Montale è spesso rappresentato come arido e roccioso, simbolo della difficoltà e dell'asprezza dell'esistenza umana.
"Non chiederci la parola": manifesto della poetica montaliana
La poesia "Non chiederci la parola" è considerata il manifesto della poetica di Montale. Collocata all'inizio della raccolta "Ossi di seppia", questa lirica delinea per via negativa il nuovo ruolo del poeta nella società contemporanea.
Montale si rivolge a un "tu" generico, parlando a nome di un "noi" che rappresenta la generazione dei poeti del '900. Afferma che non si deve chiedere ai poeti di usare parole capaci di definire la forma dell'anima, poiché l'anima non ha una forma definibile.
Highlight: Montale rifiuta l'idea del poeta come detentore di verità assolute o guida morale della società, distanziandosi così dalla concezione dannunziana del poeta-vate.
I nuovi poeti, secondo Montale, non possono più trovare un senso alla vita attraverso le parole illuminanti della poesia, paragonate allo zafferano che illumina un prato oscuro (simbolo dell'esistenza indefinita). Questa visione si contrappone nettamente all'idea del superuomo di D'Annunzio, che mirava a restituire all'intellettuale il ruolo di guida della nazione.
Quote: "Non domandarci la formula che mondi possa aprirti / sì qualche storta sillaba e secca come un ramo" - Versi che esprimono l'impossibilità della poesia di offrire risposte definitive alle domande esistenziali.