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Luigi Pirandello

16/9/2022

1964

71

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LUIGI PIRANDELLO
(vita p.207+)
OPERE: La scrittura di Pirandello è ampissima (p.212+):
Novelle:
Novelle per un anno -> è una forma di scritt

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LUIGI PIRANDELLO (vita p.207+) OPERE: La scrittura di Pirandello è ampissima (p.212+): Novelle: Novelle per un anno -> è una forma di scrittura che porta avanti nel corso degli anni, pubblicando anche su quotidiani, e in definitiva non va immaginata come una raccolta di un'opera (come il Decameron), ma queste sono indipendenti l'una dall'altra, sono ben costruite, e rappresentano la prima forma di scrittura pirandelliana; da alcune di queste poi sono state tratte delle pièce teatrali -> Si trova in queste di tutto: dall'influenza del Verismo dei primi scritti al cosiddetto Pirandello grottesco, o nella fase finale, dei cosiddetti miti, di un Pirandello che va addirittura nel surreale; è una palestra di scrittura molto ampia. Romanzi (Ne scrive in tutto 7): Il Fu Mattia Pascal (1904); Quaderni di Serafino Gubbio Operatore (1925); Uno, nessuno e centomila (1926) -> questi sono i 3 romanzi più rappresentativi legati da un tema di fondo. Teatro: Diventa famoso all'estero con la sua scrittura teatrale, che rivoluziona la produzione teatrale di quegli anni. Gli esordi: oltre il dramma borghese -> Gli esordi nel teatro di Pirandello partono dal dramma borghese, dalla rappresentazione di una vicenda simile alla realtà borghese, comune a tutti, che però comincia a mostrare elementi di riflessione. La novità però sta nella sua capacità di svuotare questo elemento borghese, di...

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metterlo in crisi e rifletterci pubblicamente. Un esempio è l'opera Così è (se vi pare), del 1917. Il teatro del grottesco (1917-1925) -> La vicenda borghese diventa declinata in modo apparentemente realistico, ma in realtà con dei modi paradossali, grotteschi, dove c'è una vicenda tragica, che viene guardata con distacco, con una consapevolezza distaccata e tragica nello stesso momento; Il "teatro nel teatro" -> Pirandello sconvolge la scrittura teatrale più tradizionale, come ad esempio nella commedia Sei personaggi in cerca d'autore, o anche l'Enrico IV; Dalla caduta nel "pirandellismo" al teatro dei "miti" -> scrittura tardiva, ormai prossima alla morte dell'autore, come ad esempio dell'opera Giganti della montagna, dove si colgono riferimenti surreali. Saggi: L'umorismo (1908) -> È un saggio diviso in 2 parti: una teorica e un'altra con riferimenti testuali più dettagliati. Questo saggio quindi dà la chiave per interpretare Pirandello; lui stesso si definiva scrittore umoristico, nel senso che lui intendeva (-> poetica dell'umorismo (p.221-222)). I gradi del riso (p.225) -> Parlando di umorismo non si parla di qualcosa che fa ridere, anche se banalmente viene usata quest'espressione così. Nessuno se non l'umorista conosce davvero il sentimento del contrario. L'ironia, come la comicità, è il dire il contrario di ciò che si vuole intendere, è avvertimento del contrario e non sentimento del contrario, perciò non è umorismo; neppure la satira, che cerca lo sdegno come il sarcasmo. Né ironia né sarcasmo o satira né comicità sono umorismo, che comprende invece il sentimento, la riflessione, la partecipazione. "IL TRENO HA FISCHIATO" (p.230) Novella tratta da Novelle per un anno, pubblicata nel 1914 sul "Corriere della Sera", quindi il saggio sull'Umorismo del 1908 e il romanzo del Fu Mattia Pascal erano già stati pubblicati. -> si può quindi rintracciare molta della poetica umoristica pirandelliana già scritta, che aveva già ideato. Si entra in medias res, non si sa niente del protagonista della novella, non si sa se non genericamente a chi attribuire le voci registrate con le battute dirette -> il protagonista della novella, il cui nome appare soltanto al vv.19 "Belluca", lo si identifica all'inizio del racconto semplicemente come un impiegato, perché è quanto viene detto nei primi versi. Non si sa nulla di lui all'inizio ma soltanto che è chiuso in una casa di cura e che lo vanno a trovare i suoi compagni d'ufficio, dove presumibilmente lavora. [La letteratura del 900' comincia a mettere nel contesto della sua osservazione non più personaggi speciali ma spesso gente comune, semplice, che all'epoca di Manzoni corrispondeva a due piccoli contadini, operai, come Renzo e Lucia, nel contesto di una società ancora rifeudalizzata, mentre nel contesto novecentesco sono gli impiegati, le figure piccolo borghesi, comuni, senza nulla di eccezionale. Questo non solo in Italia ma anche nella letteratura straniera, come Kafka; i protagonisti corrispondono a questa piccola borghesia di persone comuni che non si distinguono per particolari doti ma nelle quali le masse si identificano]. -> C'è una voce narrante, il narratore è esterno. In Manzoni il narratore è onnisciente e guida il lettore; in Verga il narratore corale, non guida nessuno, calato nella realtà descritta. Qui è interno e ci fa scoprire un pò alla volta con un punto di vita inedito la realtà. Vv.21 -> "naturalissimo": Solo alla fine di questo incipit in medias res, con battute dirette, la voce narrante esprime una sua valutazione e lo fa usando questo aggettivo, per identificare il caso del protagonista, pazzo, che farnetica -> viene usato anche il superlativo, e ciò significa che si ha strumenti di giudizio in mano che gli permettono di poterlo dire, che non sia fuori di testa ma che dia seguito ad una determinata situazione. Vv.23 -> Questo aggettivo la voce narrante lo ripete due volte. Questa voce narrante è una voce narrante in terza persona che ne sa di più dei lettori. Comincia ora il flashback -> l'inizio è in medias res, con Belluca nella casa di cura e i colleghi che lo vanno a trovare, e ora torna indietro: la sera prima Belluca si ribella al suo capo, e quando questo si riprende vuole mettergli le mani addosso; un comportamento così può essere considerato normalmente un raptus. Vv.30 -> "Circoscritto": significa tenuto chiuso (ripetuto 2 volte), entro i limiti angustissimi (superlativo) della sua arida mansione da computista (piccolo ragioniere, che fa sempre i conti in un ufficio commerciale). Vv. 35 -> Immagine dell'asino, già vista in Rosso Malpelo, applicata lì ad una fatica fisica, mentre qui è applicata al ripetere sempre la stessa mansione -> questo è il lavoro moderno, della società della seconda rivoluzione industriale, meccanico, ripetitivo, circoscritto. L'impiegato, che diventa protagonista di tanti scritti novecenteschi, è un uomo che non ha più libertà di espressione, che è incasellato in mansioni ripetitive che gli tolgono l'anima. Quel tipo di mansione rappresenta la realtà lavorativa di quegli anni, ma comincia a diventare anche la metafora di una condizione umana, di sofferenza, alla ricerca di un senso nelle cose e non lo trova, che ha una visione della vita come qualcosa di meccanico, di cui non si scopre la finalità; questo è il Belluca. L'altra caratteristica di Belluca è la sua passività -> la sorte si accanisce su di lui, e quindi tutti lo fanno, dato che non reagisce, ma subisce sempre tutto; sopporta tutto, e non solo le angherie dei compagni d'ufficio. -> Quindi lui che non si ribella mai a niente, se all'improvviso si ribella in quel modo come visto, allora viene etichettato come matto, essendo una cosa inconcepibile fatta da uno come lui (alienazione mentale). Vv. 48-> Paragone paradossale, l'iperbole, del crollo della montagna, che mostra quanto quest'uomo fosse circoscritto, perché mezz'ora di ritardo fatta da lui era inconcepibile; arriva sorridente, felice non si capisce di cosa, lui che ha sempre subito, a testa bassa, e quella mattina arrivò in quel modo. -> La seconda sequenza, segnata da una pausa (il ritmo è scandito benissimo), racconta della giornata precedente a quella dell'inizio; ancora non si sanno molti particolari del protagonista e che vita faceva, ma si sa che non fosse bella, e che a lavora subiva tutto, non ritardava mai, era circoscritto nel suo lavoro. Poi quest'uscita, che dalla mattina arriva un pò strambo, durante la giornata non lavora, e poi inizia a parlare del treno che avrebbe fischiato, si ribella pure, e perciò chiamano infine l'ospizio. Vv.84-92 -> Queste immagini, parole, riferite, in corsivo, sono un'espressione letteraria poetica perché niente di più della poesia dà voce all'immaginazione; le cose di cui sta parlando Belluca sono l'esatto contrario di ciò che lo ha tenuto occupato per tutta la vita, i conti, i registri, e ora parla di monti, di posti fantastici mai visti. Non sta semplicemente parlando di un luogo conosciuto, ma va oltre il luogo conosciuto, tutto ciò fa pensare ad un mondo fantastico. Vv.93-> La voce narrante si sta configurando come un personaggio: questo narratore esterno in realtà è interno alla storia, e conosce Belluca, anche meglio degli altri. Giudica così perché lo conosce meglio di tutti. -> Quello che la voce narrante sa appartiene al passato di Belluca e fa in modo che quella vicenda sia rappresentata come la coda naturale, la risposta naturale ad una serie di premesse. All'inizio Belluca appare come un pazzo, chiuso in manicomio con i colleghi che lo vanno a trovare. Successivamente viene raccontato della giornata precedente, e appare ancora come un pazzo, che arriva con l'aria strana a lavoro e poi si ribella, e ora si arriva ad un punto dove scopre qualcosa di più. Vv. 115 -> Si inizia ora sapere tutto di questo personaggio, ma molto dopo: Pirandello vuole che il lettore conosca Belluca prima al di fuori, e che poi progressivamente adotti il punto di vista di chi lo conosce, perché così impari a guardarlo con un punto di vista nuovo, più profondo, e impari a riflettere su di lui, e non a riderci. Avvertimento del contrario (non sentimento del contrario): è il comico, si avverte una cosa al contrario di quella che ci dovrebbe essere. Belluca, che dovrebbe essere come sempre l'impiegato rispettoso che fa le sue cose e non reagisce mai, all'improvviso comincia a parlare del treno che ha fischiato, sembra matto. -> Andando avanti, guidati da questo narratore interno e onnisciente, rispetto a Belluca, si adotterà il sentimento del contrario, ovvero si potrà capire che ciò che è il contrario di ciò che ci si aspetta ha una ragione per essere tale, per una riflessione. Questo ritratto di belluca è evidentemente esagerato, iperbolico, sembra una situazione impossibile, ma proprio per questo salta all'occhio -> è volutamente esagerato, è volutamente grottesca la vicenda di Belluca, perché a Pirandello non interessa fare un ritratto naturalistico della realtà, ma dei concetti che trasmette, non il quadro di una storia sociale. Le vicende di Pirandello sono ambientate nella realtà, ma rappresentano sempre una linea di confine tra la realtà e l'assurdo, il paradosso. L'intenzione di Pirandello non è come quella di Verga, di fare un ritratto in maniera realistica, anche se i suoi inizi, siciliano anche lui, sono nell'ambito verista -> Pirandello vuole parlare di una realtà, di qualcosa che trascende la visione universale, ed è la sua visione della vita, pessimistica quanto mai, amara. -> Da siciliano quale era, definiva la vita "un'enorme pupazzata", con l'idea dei pupi siciliani, le marionette con i fili per spettacoli di bambini che rappresentano vicende eroiche di cavalieri. Così Pirandello richiama l'idea del teatro, della finzione, quindi il fatto che facciamo parte di un sistema di cui non capiamo il senso. -> Queste vicende sono verosimili, ma a Pirandello non interessa fare un quadro naturalistico della vita, le sue vicende sono volutamente esagerate proprio perché a lui interessano i concetti che trasmettono e non un quadro di un contesto storico-sociale. La volontà di Pirandello non è quella del ritratto naturalistico, perciò non deve stupire quest'esagerazione del personaggio di Belluca che fa anche un pò ridere; molti personaggi di Pirandello sono al limite tra realtà e paradosso. La letteratura novecentesca si allontana sempre di più dalla finalità della scrittura in prosa ottocentesca: Manzoni cerca il verosimile, la guida morale, pur rimanendo agganciati alla storia, perciò il vero storico diventa occasione di insegnamento morale; Verga e gli scrittori naturalisti scrivono perché devono ritrarre nella maniera più impersonale possibile una realtà storico-sociale, come fossero calati dentro, senza giudizio (anche se poi questo emerge implicitamente lo stesso) -> Gli scrittori novecenteschi di romanzi, Manzoni, verga, e ora Pirandello, progressivamente corrodono la forma romanzo, dall'interno, la destrutturano, perché la finalità di questo non è più quella di ritrarre una realtà ma di mostrare l'assurdo di una realtà, di porre delle domande esistenziali, e quindi la forma romanzo piano piano deve adattarsi a questo fine, e cambierà nel corso del novecento, si destruttura, cambia il modo in cui viene organizzata. Si inizia con il ritratto di un pazzo e si arriva alla fine ad un ritratto di una persona normale, perciò la parola chiave è naturalissimo, perché il punto di vista della voce narrante porta progressivamente a capire come non sia davvero pazzo, ma che quella forma di follia sia una cosa naturale -> Si capirà poi come sia in realtà una forma di fuga, perciò è naturale, perché vivendo in una realtà micidiale come quella di Belluca è naturalissimo voler fuggire, però essendo responsabile non fugge, ma lo fa lo stesso con l'immaginazione (Leopardi). -> Quella apparente follia, quel comportamento strano, è in realtà normale, ed è una fuga dalla trappola, perché Belluca è circoscritto, intrappolato, dal lavoro, dalla famiglia, è costretto, perciò ha bisogno di fuggire. In questa novella di Pirandello si può vedere un tema fondamentale della sua narrativa, ovvero quello della trappola e della fuga dalla trappola, interpretabile anche come follia per gli altri, per chi guarda da fuori. La trappola è parola pirandelliana (p.227) -> Pirandello concepisce l'esistenza come un contrasto tra vita e forma. La vita da Pirandello è immaginata come un flusso continuo, un'esistenza che coinvolge il tutto, in un modo incessantemente mutevole, in una varietà di forme mai uguale, come un movimento continuo. Intende quindi la vita con quest'idea di flusso continuo che coinvolge tutto, di un cambiamento continuo, dove niente si fissa, è uno scorrere continuo, come l'acqua del fiume, che non è mai uguale a sé stessa. La nostra organizzazione sociale, il nostro stare insieme, ci ha portato necessariamente a fissarci in forme riconosciute, nel modo di vivere, nelle convenzioni sociali, il fatto che bisogna vivere per lavorare, i ruoli sociali più o meno importanti; sono tutte forme, nella parola pirandelliana, apparenze fittizie, cioè schemi che bloccano la vita, che di per sé è flusso continuo e indistinto, ma poi l'uomo la blocca nelle varie forme. -> Nel lessico comune per noi la vita è ciò che nel suo lessico Pirandello chiamerebbe forma, perché la parola vita per Pirandello ha un significato più vasto, indica l'esistere, che di per se è identificabile come l'essenza del cosmo, dell'universo, che non ha mai fine come non ha inizio, è indistinta. Le nostre abitudini culturali e sociali sono forme fisse, e in quanto tali sono apparenze. Darsi una forma per Pirandello significa intrappolare il flusso vitale -> volendo fermare una corrente che scorre, imprigionando qualcosa quella è una parte, il resto fugge via. Ogni forma quindi in qualche modo toglie una parte della vita, è una maschera, una cristallizzazione della vita, significa far morire la vita. Guardando la vita nell'uomo, in realtà l'uomo volendo dar voce alla sua vita, è fatto di tante espressioni diverse, anche contraddittorie, perché la vita se è cambiamento non si può cristallizzare in nessuna forma. Crescendo però in una società si sceglie una forma, diventiamo qualcuno, il quale però è una trappola, perché esclude tutto il resto che potremmo essere, che nell'inconscio potremmo essere (di lì a poco Freud). Pirandello interpreta la vita come flusso, cambiamento continuo; noi non siamo uno (dal suo romanzo Uno, nessuno centomila) -> Volendo dar voce alla vita dentro di noi, anche noi siamo flusso, non siamo mai uguali a noi stessi, poi però per vivere con gli altri dobbiamo scegliere un ruolo. La società ci impone quindi questa coerenza che non appartiene all'essenza nostra più profonda, e ogni forma è un trappola, una maschera. Prendendo consapevolezza di questo, si cerca ogni tanto di dare voce alla propria parte più profonda di sé, che è senza limite, libera, è flusso. Nella società civile questa voce libera può apparire eventualmente in forme isolate, o se mai manifestate interpretate come follia, ma in definitiva rispondono a questo bisogno che ognuno sente forte dentro di se di fuggire dalle trappole. Per Pirandello la trappola è essenzialmente la famiglia e il lavoro, come visto anche nella novella ma anche in altre opere come in Mattia Pascal, forse anche per le sue esperienze biografiche. [Un'altra novella famosa "La carriola" ha come protagonista un alto borghese, che ogni tanto si chiude dentro lo studio per dar voce alla parte di se più infantile, e prendendo il suo cagnetto gli fa fare la carriola]. -> Sono piccoli dettagli prossimi all'assurdo, ma a Pirandello interessa far capire la dialettica vita-forma, e ricordare che la vita è un ingabbiamento comunque. Pirandello fa riflettere che questo sistema di vita, a cui pure lui appartiene, va letto consapevolmente come una convenzione, e ciò in una mente consapevole di ciò ha un effetto positivo come ad esempio di rispettare la diversità, ad essere meno feroci ed enfatizzare con chi è diverso, con situazioni che riterremmo anormali. Abituarci ad avere il sentimento, e non solo l'avvertimento, del contrario, aiuta a guardare in profondità, con ordine le cose; Pirandello vive come un uomo d'ordine (aderirà al fascismo). Anche lui vive negli stilemi della società però vuole far crescere questa idea profonda che aiuta a guardare le cose con senso critico, e non a subirle passivamente. IL FU MATTIA PASCAL (p.272+trama) Pubblicato nel 1904 per la prima volta, è un romanzo che rappresenta bene la poetica dell'umorismo, dell'eroe, del protagonista, che è umoristico, come anche la vicenda lo è; attribuendo bene il significato alla parola "umorismo" sappiamo che significa sentimento del contrario, quindi la capacità di guardare da punti diversi di vista qualcosa (Pirandello usa la parola "scomporre" descrivendo l'arte umoristica come arte moderna) -> scomporre la realtà, non seguire l'ordinamento logico, rovesciare luoghi comuni, guardare da punti di vista diversi. Questo romanzo, nel modo in cui è costruito e nelle occasioni di riflessioni che offre, è una prima rappresentazione di questa poetica -> intanto perché ci sono spazi in cui lo scrittore ragiona su se stesso e sull'arte della scrittura, sulle sue presunte finalità e funzioni. Questo momento metaletterario, metanarrativo, che è sopra la letteratura e quindi riflette su questa, si trova ad esempio nelle premesse al romanzo, e ce ne sono 2: la prima, nella quale il personaggio si presenta e dice che si trova nella biblioteca dalla quale scrive, e la seconda, a mo' di scusa. "MALEDETTO FU COPERNICO!" (p.278) -> Seconda premessa (filosofica) a mo' di scusa La biblioteca del Boccamazza, che è stata presa in eredità dal signor al comune, è in una chiesetta sconsacrata, ed è il luogo in cui vive il fu Mattia Pascal -> nel momento in cui scrive è il fu Mattia Pascal, non è ne Mattia Pascal, ne Adriano Meis. Anche il luogo è fuori dal tempo, non è ne una chiesa ne una vera e propria biblioteca, ma una chiesa sconsacrata adibita a biblioteca, è un non luogo. Questa scrittura di colloca in uno spazio fuori dal tempo e dalle convenzioni. Prima parla di babilonia ora di confusione: si è in mezzo ai libri senza nessun ordine. La nota è ironica naturalmente, umoristica, perché nella confusione generale i libri sono mescolati ed anche appiccicati, e quali si appiccicano se non due libri opposti: la vita di un santo, santità, e un libro di amare le donne, eros, è l'accostamento di due realtà opposte che possono convivere. Nella visione dell'esistenza e del mondo di Pirandello non esistono più strade sicure, tracciate, ma tutto può essere messo in discussione, scomposto, dissezionato, le parti vanno ognuna per conto loro, perché il punto di vista sia nuovo, inedito; i contrari, due cose che logicamente non andrebbero mai insieme, qui si ritrovano appicciate -> è un emblema anche questo del contesto in cui si sta entrando. Vv.37 -> si sottolinea la dimensione umile del contesto: non luogo, confusione, libri usati per uccidere ragni, si appiccicano tra loro pure se opposti -> è un mondo senza ordine, senza scala di valori, non rappresenta un sistema con una finalità, ma è tutto apparentemente senza senso. Poi si trovano in questa a dimensione umile dell'orticello. Vv.40 -> "maledetto sia Copernico!": tutto questa ambientazione che sottolinea la mancanza di un sistema e valori finalizzati servono perché è la rappresentazione del mondo moderno secondo Pirandello, di ciò che è avvenuto dopo la consapevolezza scientifica. Il discorso di questo non-luogo con le caratteristiche di mancanza di ordine è il contesto giusto per arrivare a dire che l'uomo moderno, dopo la rivoluzione scientifica, consapevole di non essere al centro di nulla, non può più essere un uomo che crede al valore dell'arte e alla finalità dell'arte, perché niente ha senso, siamo dei "vermucci" -> l'episodio delle Antille si riferisce ad un'eruzione di un vulcano che ha distrutto Saint-Pierre in Martinica. Lo dice Pirandello facendo riferimento ad un episodio del 1902. In un contesto in cui si perde la finalità della creazione dell'uomo creato da dio, al centro dell'universo, e che ci sia un fine dell'esistente, perso questo, che senso ha, dice Pirandello, di parlare minuziosamente in libri con una finalità? Non ha senso, nulla ha più senso. Se l'uomo avesse sempre piena consapevolezza di questo suo essere nulla o poco, vermuccio nell'universo, e che niente di ciò che fa e continua a fare avrebbe più senso, invece continua in virtù della distrazione, non di una finalità alta, di un valore, della volontà di crede che valga la pena, ma della distrazione. Questo glielo fa capire il signore don Eligio. Prima di leggere il romanzo il lettore è avvisato che la scrittura non si proporne alcuna finalità, perché per primo chi la scrive non crede ci possa essere alcuna finalità nell'esistenza umana. Ciò che leggeremo nasce dal distacco di una distrazione provvidenziale. Mattia risponde e dice che scrive perché il suo caso è strano, non perché è significativo, non pretende di insegnare niente, e lo fa non perché ha una finalità, ma perché è una delle cose che si fanno in virtù del fatto che continuiamo a fare cose anche importanti proprio perché non siamo compenetrati fino in fondo sul non senso della nostra esistenza. Nell'apertura di questo romanzo il lettore si trova di fronte l'inutilità dello scrivere -> Pirandello mentre scrive ammette che ciò che sta facendo è inutile, non ha una finalità vera. In parte è davvero convinto di ciò. L'arte umoristica e la visione ideologica che Pirandello ha lo portano a vivere in questa continua contraddizione di cose. La realtà Pirandello la scompone, la scompiglia, ce la fa vedere da un'ottica completamente nuova, sotto certi versi assurda, paradossale. Non è vero che questo romanzo non farà riflettere, ma la dichiarazione d'apertura non è la premessa ad una riflessione ma l'esatto contrario, ovvero che scrive per raccontare la stranezza e per distrarsi. "Fuori della vita" -> in un altro passo della vita Mattia Pascal si definisce forestiere della vita, che significa che vive ma è come se non vivesse, come se si guardasse da fuori. In questa capacità di staccarsi da se e guardarsi da fuori c'è tutta quella pratica di staccarsi dalla realtà e dell'autocritica tipica della scrittura pirandelliana, guardare le cose da una prospettiva inedita, guardarsi dall'esterno. Chi più di un uomo che ha per nome un nome che non ha più è forestiero della vita? Mattia Pascal non è ne vivo ne morto, perché Mattia Pascal non esiste più, perché anche se è tornato la vita era continuata senza di lui, e lui non lavora e sta spesso in questa biblioteca che è un non luogo, ma di fatto vive, va a visitare la sua propria tomba. Questa dimensione del guardarsi dal di fuori, paradossale, è tipica della poetica dell'umorismo, una poetica che invita allo sguardo inedito, al rovesciamento del luogo comune, dell'ovvio. Momento metaletterario all'inizio del romanzo grazie alla quale si riflette sulla non funzione della letteratura, Pirandello comunica già questa sua approccio del tutto nuovo rispetto ai valori del passato. Es della novità -> Studiando Leopardi abbiamo visto come anche in lui le conclusioni si trovano anche qui, dell'uomo che non è al centro di nulla, l'esistenza non ha nessun fine particolare. La risposta di Leopardi a questa consapevolezza è il tentativo di accettare questa realtà, compenetrarla, e nello steso tempo di porre domande. Leopardi della ginestra vuole affermare l'inutilità dell'uomo, al sua mancata centralità all'interno dell'universo, il non senso del sistema che ci crea per il piacere che non possiamo raggiungere, e lo dice orgogliosamente, perché questo riaffermarlo e voler portare davanti agli occhi del lettore quello che lui chiama vero, c'è una funzione dell'arte, c'è ancor un senso in quello che fa. L'altro atteggiamento di Leopardi è quello instancabile di porre domande: nel canto notturno il pastore, l'uomo, continua a chiedere alla luna, anche se è lontana, silenziosa, tacita, ma lui è convinto che lei lo sappia quale sia il fine. da una parte quindi riafferma il suo ruolo di scrittore che vuole comunicare al mondo questa consapevolezza, mentre dall'altra parte c'è l'atteggiamento di una non mai completa resa all'insignificanza. Pirandello invece di fronte a questa stessa visione dell'esistenza non si ricava un ruolo, non dice che lo scrittore deve scrivere libri per rendere i suoi lettori consapevoli, non dà significati particolari alle sue storie, non cerca modelli di vita. Mattia Pascal lo racconta perché è strano, non perché sia significativo. Non è un romanzo di formazione, non racconta una crescita, un'evoluzione, che portano Mattia a fare esperienze che gli insegnano a fare qualcosa. Mattia alla fine è libero si se stesso, crede di liberarsi dalla trappola ma alla fine ci rientra dentro. Quindi di fronte alla consapevolezza della negatività, lo scrittore moderno, rappresentato da Pirandello, rinuncia ad ogni ruolo, ad ogni maschera di finto uomo (il fanciullino ed il superuomo rappresentavano ancora un ruolo in maniera più o meno ambigua ed efficace, erano maschere per ricavare una funzione), qui la risposta di Pirandello è che l'artista è un rumorista —> il massimo che può fare l'arista moderno è scomporre la realtà, sforzarsi di rappresentarne l'assurdità, il relativismo. Infatti, sempre nel romanzo del Mattia Pascal, ci sono delle pagine dopo quest'idea relativistica della realtà, l'immagine del non senso di tutto, viene raccontata attraverso delle parole dette da Anselmo Paleari. "LO STRAPPO NEL CIELO DI CARTA" (p.283) Capitolo 12 -> Adriano meis si trova a Roma presso la casa di Anselmo Paleari, che è un personaggio particolare, un filosofo in ciabatte, che ogni tanto passa davanti alla camera di Adriano e fa dei discorsi strani. Uno dei suoi discorsi è questo, e attraverso queste parole di Anselmo Paleari si viene a contatto con la visone del mondo, della vita, che ha Pirandello, che è appunto questo non senso. -> prima della rivoluzione scientifica l'uomo sentiva al centro dell'universo poi è cambiato tutto Ora vediamo questo stesso più o meno concetto, detto attraverso i personaggi di teatro. Sceglie la tragedia d'Oreste -> Oreste è l'eroe che più di tutti rappresenta il confronto con la divinità e con la giustizia. Nell'Elettra, questa assiste all'uccisione del padre Agamennone da parte della madre Clitemnestra e dall'amante di lei Egisto. Il fratello Oreste si vendicherà uccidendo i 2 assassini, quindi anche la madre; a sua volta dovrà nell'Orestea subire per questo il tormento di alcune divinità. La tragedia finirà con l'intervento della divinità, la dea Atena, che istituisce il tribunale dell'Areopago, perciò Oreste verrà assolto, anche avendo commesso un delitto, e da lì si ricomincia (la giustizia non si ottiene con la vendetta ma con la legge). -> Oreste rappresenta però tra i personaggi eroici della tragedia antica uno dei più famosi, di quelli dove il proprio dilemma si risolve perché c'è una verità sopra di lui. Questo strappo nel cielo di carta è proprio la rivelazione dell'inconsistenza -> per Oreste il cielo esiste come cielo, ma se disgraziatamente dovrebbe rendersi conto che è una marionetta e che il cielo è una finzione, è di carta, allora nulla di ciò che fa e patisce avrebbe senso, essendo consapevole del non senso profondo della sua esistenza. Se si rendesse conto che il cielo è di carta, che la sua sofferenza è finta, tutto perderebbe senso, e diventerebbe Amleto perché prendendo consapevolezza di se stesso comincerebbe ad avere dubbi sulla sua esistenza, sulla finalità del suo agire (Amleto è la rappresentazione nel teatro del personaggio che ha dubbi su sé stesso, comincia a prendere consapevolezza delle cose, con il faticoso percorso che comporta). -> Differenza tra classicità e moderni (Leopardi: antichità e fanciullezza del mondo, con le illusioni). All'inizio Leopardi pensa si ad un male poi no, bisogna prendere consapevolezza del vero e accettare ciò per come è. Qui viene detta la stessa cosa ma con un tono umoristico, apparentemente abbassato, dove viene detta una cosa importante ma da un filosofo in ciabatte: rovesciamento delle figure alte. Vv.26 -> "Beate le marionette" -> Leopardi beato il gregge che sta li e non soffre neppure di noia, tedio Sembrano numerose le affinità ma Leopardi di fronte alla consapevolezza ricava un ruolo per l'arte, l'artista mentre Pirandello no, prende sempre le distanze da se stesso, mentre afferma l'assurdità prende lui stesso le distanze dal suo steso ruolo, come fatto all'inizio del romanzo, premettendo l'insignificanza dello stile, dice che in grazia di questa distrazione racconterà la sua storia brevemente per la stranezza del caso. È chiaro che comunque suscita riflessioni la scrittura pirandelliana, ma in direzione critica. Pirandello vuole sempre e comunque smuovere il sentimento del contrario, guardare una cosa e cogliere ciò che in apparenza non c'è ma invece guardando nella sostanza ce'è, gli aspetti contraddittori. Sentimento del contrario -> capisco che quello è ciò che non dovrebbe esserci ma lo capisco fino infondo, ho scomposto la realtà, guardando da punti di vista inediti. Pirandello lo fa anche per se stesso. Vuole che leggiamo un romanzo ma che il lettore sappia dell'insignificanza della scrittura, paradossale. Tutto ciò avrà la sua apoteosi nella scrittura teatrale nei 6 personaggi in cerca d'autore, dove le parti sono rovesciate a punto ale che il personaggio parla direttamente con l'autore, dicendogli di non averlo capito in profondità. IL TEATRO -> Questa considerazione entra tramite il teatro, che si presta per rappresentare l'esistenza. Teatro come metafora della vita, che è "un'enorme pupazzata", dirà Pirandello, una recita. "Il gioco delle parti", ognuno ha un ruolo e recita la sua parte. Le maschere che abbiamo non corrispondono a noi stessi in profondità, perché noi siamo tanti, ognuno ci vede in modo diverso, possiamo essere visti come non ci aspetteremmo. Questo relativismo cade anche sul soggetto, sull'individuo, che non è uno, ma è il risvolto di molteplici complicazioni. Il romanzo successivo al Mattia, "uno, nessuno, centomila", che significa che non esiste un'unità ma centomila, che in definitiva significa non essere nessuno. La metafora del teatro si presta bene per alludere a questa visione della persona, della maschera, dei ruoli. "LA FILOSOFIA DEL LANTERNINO" (p.286) Capitolo 13 -> Altro passo che serve a capire la visione, l'ideologia dell'esistenza pirandelliana. Sempre Anselmo Paleari fa un altro strano discorso con Adriano Meis -> Lo deve consolare perché ad un certo punto Adriano si opera all'occhio per correggere ed eliminare lo strabismo, che caratterizza Mattia Pascal, e perciò deve stare per un periodo con la benda l'occhio. Pirandello sta dicendo attraverso Anselmo Paleari che l'uomo pensa che la realtà sia fuori di lui, distante da lui, che lui sia una cosa e la realtà un'altra: dice che in rapporto all'albero, che vive e non sente, la terra, il sole, l'aria, la pioggia, non sembrano cose distinte da lui. Per noi uomini esiste una realtà nella quale noi siamo immersi, ma la realtà esiste di per sé. Immagine del lanternino -> siamo immersi nel buio e ognuno di noi ha un lanternino che ci fa vedere lo spazio intorno a noi, ce lo illumina, e questa è la nostra concezione di realtà. Non esiste quindi la realtà davvero, ma esiste quella luce che viene da noi, quel sentimento della vita, ma la realtà non esiste, esiste il buio, tutto ciò che è intorno a noi di cui facciamo parte. Quando il lanternino si spegne si rimane dove si sta, si rimane immersi del buio, non ci sono delle realtà oggettive tra le quali spostarsi; siamo immersi nell'essere, che lui rappresenta come buio, però noi crediamo che ci sia buio o luce in relazione al lanternino che è dentro di noi, e sta acceso o spento, ma comunque siamo sempre nel buio dell'essere -> Se non avessimo il lanternino acceso ci staremmo senza consapevolezza di starci, e senza pensare che ciò che è intorno a noi sia diverso dal buio; siamo sempre nel buio, il lanternino è qualcosa dentro di noi, non fuori, la realtà non è al di fuori di noi ma è una nostra proiezione, della luce che è dentro di noi. Il buio è l'Essere, l'esistenza. La luce nasce dentro di noi, e illuminando, la realtà è una proiezione nostra. Dice che ognuno di noi ha questo lanternino, poi ci sono anche i lanternoni, che sono visioni comuni che non partono da noi ma che sono il risultato comune di certe epoche storiche, e che illuminano un'altra parte di questo buio nel quale siamo immersi: le idee comuni sono i valori di certe epoche, gli ideali; l'immagine del lanternone ci dice che questi non esistono di per sé, in quanto tale, non esiste niente se non il buio. tutto quello che noi pensiamo che esista, i valori comuni e i nostri, è tutto frutto di una nostra proiezione. In alcune epoche della storia questi lanternoni sono spente, in epoche in cui questi valori comuni vengono meno. Ci sono momenti della storia in cui non esistono neppure le illusioni dei valori comuni -> il relativismo è caos in questo caso perché ognuno va nella direzione individuale impressa dal proprio lanternino. Sono epoche in cui l'individualismo è portato all'eccesso, e così facendo questo produce delle crisi, perché i valori ed i sentimenti comuni guidano ad esempio il comportamento di una società, danno riferimenti di civiltà; quando non esistono neanche questi si è nell'individualismo più cieco. -> Nella visione pirandelliana si è sempre e comunque tutti immersi in un buio totale. Si chiede se sia il passato ad insegnarci qualcosa, oppure se siano i morti che non ci sono più. -> Cita una poesia di Niccolò Tommaseo, dove la piccola lampada è il simbolo del senso che si attribuisce alla vita, la fede, ed è qualcosa che si lascia in eredità agli altri, sopravvive; è una visione ideale dell'esistenza. Di fronte a questa visione Anselmo Paleari ha tutti dubbi che possiamo immaginarsi. Come possiamo credere nella nostra sopravvivenza e dei nostri valori? Siamo nulla. Qualcuno ancora si affida alla fede per dare un senso alla propria esistenza. Pirandello considera qui sullo stesso piano razionalità e irrazionalità, fede e scienza -> prendendole come fede della vita sono entrambe sbagliate, perché non esiste nulla che possa cambiare lo stato delle cose, il buio, il non senso delle cose. Non esiste la vita umana, distinta dalla vita degli alberi, delle piante, del mondo in cui si sta, dell'epoca in cui si vive, ma esiste il sentimento della vita, che è un'illusione -> annientando questo sentimento della vita esisteremmo ma senza consapevolezza. Es. albero -> non essendo consapevole di essere vivo, l'albero esiste ma lui non lo sa, per lui è come se non esistesse. Perciò Pirandello dice che per l'uomo la vita è sentimento della vita, in realtà non esiste nulla di distinto, esiste questo buio dell'essere in cui siamo completamente immersi. Anche la morte non è distinta, è dove eravamo prima, si spegne il sentimento della vita, quindi esiste solo il buio, tutto il resto è illusione; esiste solo un flusso dell'essere, tutto il resto è illusione, non esiste nulla. La lanterninosofia rappresenta un'altra visione dell'esistenza di Pirandello, un'altra parte della sua ideologia. Questo romanzo è nuovo da tanti punti di vista: racconta una storia, della vicenda di Mattia Pascal, però è molto di più di questo, perché è anche uno dei primi romanzi umoristici, una forma di scrittura che scompone il reale, cioè da una forma inedita delle cose, anche volutamente paradossale. Si capisce che è un romanzo umoristico anche dalla vicenda, dai personaggi e dalla loro costruzione (è strabico, guarda da una prospettiva divergente, metafora dello sguardo umoristico), ma la natura di romanzo umoristico, moderno, viene anche ad esempi dallo spazio iniziale metaletterario che rappresenta tutto ciò che poi verrà scritto come qualcosa privo di senso. È un romanzo che è il contrario del romanzo di formazione. È nuovo anche per le idee sulla vita e sull'esistenza che vengono trasmesse ad esempio attraverso i discorsi che fa il narratore, in cui si esprime una visione dell'esistenza relativistica e nichilistica, dove tutto è relativo, non esiste una verità, alcun valore assoluto, e dove niente ha senso. Tutto ciò che si fa lo si fa per una distrazione provvidenziale che è ciò che ci fa andare avanti a vivere, tutto il resto è un'illusione. La visione di Pirandello è rappresentata in questo romanzo, che dunque già di per se si rappresenta come romanzo umoristico. "ADRIANO MEIS" (Capitolo 8) -> Si entra ora nella vicenda del romanzo: Pascal diventa Adriano Meis, si vedono le sensazioni che prova. Questa vicenda ha del paradosso perché Mattia Pascal ha l'occasione di rifarsi la vita con tutta la consapevolezza che si ha quando si vive. Adriano Meis dovrebbe essere il risultato della vita di Mattia Pascal, che quindi si sente leggero, perfetto, si sente di poter rifare tutto essendo consapevole di quanto fatto, dei suoi sbagli, a cosa dare peso. La vita che faceva Mattia Pascal non era bello, si ritrovava in situazioni che non aveva scelto, con rapporti difficili, perciò la consapevolezza della vita gli da l'opportunità di migliorarsi. Se avessimo la consapevolezza delle strutture della vita e con questa avessimo l'occasione di rifarla, sicuramente la vita sarà migliore. Questo è ciò che pensa Mattia quando si sta trasformando in Adriano Meis, inventandosi tutto. Con la sua consapevolezza si era inventato le miglior cose, e poi inizia a viaggiare. Parla di sé stesso come fosse un altro -> tema del doppio: Adriano è il doppio di Mattia, che si sdoppia continuamente. Ha dovuto cambiare il modo di conciarsi per non assomigliare a ciò che è lui, Mattia. in questa condizione paradossale di doppiezza, Mattia, Adriano, è inebriato, felice. È felice e vive di lui e per lui, il doppio di lui stesso, inebriato dalla possibilità di fare meglio che può. Poco dopo però comincia ad essere meno inebriato. Ad un certo punto del romanzo, inebriato e felice da tutto ciò che può fare, comincia ad intristirsi, si sente solo, perché non siamo fatti di vivere di noi e per no soltanto, abbiamo bisogno, l'uomo è un animale sociale (Aristotele) dell'altro, quindi questo sentimento di solitudine comincia diventare pensante. "UN PO' DI NEBBIA" (Capitolo 9) Comincia a dire che ha visto molti posti, e ora gli manca l'affetto degli altri e una sede stabile, una casa, con quello significa. Non è più così inebriato a punto tale da cominciare anche ad avere nostalgia di una casa. Sta dicendo che la nostra vita, il nostro sentirci vivere, è fatta anche di questa proiezione continua di noi stessi sulle cose che ci circondano, di cui abbiamo bisogno. Casa significa ritrovare il nostro oggetto, che non è quello che ci piace solo perché esteticamente funziona, ma è quello che ci piace perché parla di noi, appartiene alla nostra esistenza. Della casa non abbiamo bisogno del tetto che offre, che Adriano aveva, ma della casa; quindi quell'idea di precarietà, di solitudine, che Adriano sente, sono il risultato di ciò che all'inizio lo inebriava. Il sentimento della precarietà e della solitudine sono connessi alla libertà -> rifarsi la vita, solitudine e precarietà. Si è nella parte in cui Mattia Pascal, ormai Adriano Meis, comincia ad avere dei ripensamenti sulla sua condizione; all'inizio si sente inebriato della libertà che può avere a disposizione, della sua possibilità di muoversi da ogni parte viaggiando, ma poi con un tempo che passa ci ripensa e anzi gli viene in mente di ritornare a casa, ed immagina il suo ripresentarsi alla suocera e a casa, ma poi ci ripensa. -> È libero, ma mentre ripete quest'idea dell'essere libero gli ritorna in mente l'idea della solitudine. L'espressione "forestiere della vita" sintetizza con le parole dell'autore la condizione di Adriano Meis (Mattia Pascal), ovvero che non è morto, è vivo, ma non è nella vita di tutti -> questo romanzo è l'espressione della poetica dell'umorismo, e se ciò significa sentimento del contrario, la capacità di scomporre il reale, chi meglio di lui che è vivo ma non è vivo rappresenta questa poetica; II Fu Mattia Pascal è quindi il romanzo umoristico per eccellenza, di questa figura che è viva ma non lo è come dovrebbe esserlo. -> Adriano Meis comincia a scavare dietro questa libertà assoluta che ha tra le mani e comincia a coglierne i limiti, come ad esempio che non ha una casa. C'è un'analisi che avviene con un botta e risposta tra sé stesso, di un dialogo interiore affrontato con questa obiezione e confutazione [...] Scambia a pranzo alcune parole con il Cavalier Tito Lenzi, un soggetto particolare, che si vanta del suo rapporto con le donne, fatto un pò di fandonie; era una persona colta, sapeva fare bei discorsi. In questi colloqui con il signor Cavalier sta dicendo che si basta da solo, gli basta la sua coscienza. -> il Cavalier Tito lenzi mette in crisi questa visione del bastare a sé stessi, caposaldo della filosofia dell'Autarchia (=importante parola della filosofia di Epicuro che significa bastare a se stessi, l'essere autosufficienti, bastare a se stessi). Però il Cavalier, cioè Pirandello immaginando questo confronto, ovviamente mette in crisi (sentimento del contrario), scompone anche questo luogo comune, questo valore, della filosofia antica, dicendo che non ci si può immaginare senza gli altri, la propria identità se non recepita dagli altri. Tramite questa figura sta scardinando un sapere classico che ha fatto da modello a tanta filosofia anche più vicina ai tempi odierni, dell'autarchia ad esempio -> tutto viene scomposto dalla poetica dell'umorismo, messo in crisi, si colgono le contraddizioni di ogni cosa; infatti Adriano Meis lo segue: anche un'amicizia però non è possibile per Adriano Meis perché nel momento in cui è in sintonia con qualcuno bisogna poi entrarci in confidenza, parlando di se, e Adriano non può farlo avendo una vita finta, costruita da lui a tavolino. [...] Il Cavalier racconta le sue avventure amorose ad Adriano Meis che naturalmente non gli crede, e allora dentro di se si chiede perché mai dovrebbe mentire riguardo queste avventure, a cui tanto nessuno crede. Mattia Pascal, che sta scrivendo, raccontando ciò che già è avvenuto, gli chiede il perché -> mentire per lui potrebbe essere una sciocchezza, mentre Mattia Pascal era stato obbligato a farlo, era una sua necessità. Adriano Meis ha dovuto cambiare foggia, ha dovuto cambiare se stesso per bastarsi a se stesso, eppure non si riconosce neanche nel modo in cui si è sistemato, inventando tutto da sé. -> La vita come la si intende normalmente è relazione, non può essere solitudine, quindi in questo percorso in cui Adriano Meis ad un certo punto sembra avere l'opportunità di rifare tutto, se però non fa la vita senza relazione non può rifare niente; per fare questo ha però bisogno delle convenzioni sociali che però non può inventarsi, perché ci sono convenzioni al di fuori di noi, come l'anagrafe, però comunque per stare con gli altri c'è bisogno di questo -> il sentimento del contrario ha messo in luce le contraddizioni di quella libertà assoluta che lo aveva inebriato all'inizio. Prima dice "forestiere della vita" mentre ora "spettatore estraneo" -> a questo punto si inserisce un altro tema dei tanti del romanzo, oltre quello sicuramente dell'identità, del rapporto vita-convenzione sociale, della vita come flusso dell'esistenza (concezione filosofica vitalistica, del buio, e relativistica di Pirandello, dalla quale si cala sull'idea della vita concepita come relazione umana, come convenzione). Un altro tema che si introduce è quello della Modernità -> questa vicenda è ambientata nella contemporaneità che gli scrittori dell'epoca hanno davanti dove le abitudini della vita sono stravolte rispetto a quelle che erano nel passato. -> Nell'ultima fase della rivoluzione industriale nascono nuove tecnologie che portano straordinari cambiamenti ed anche a questo sviluppo della società, ma anche ad uno sconvolgimento di una vita fondata su altri parametri, altri ritmi, cosi come lo è stata la società dei consumi, di massa (Pasolini= descrisse la contraddizione tra la società dei consumi e la società arcaica, contadina, questo cambiamento antropologico). È chiaro che le novità tecnologiche modificano profondamente le abitudini di vita. Il confronto con le macchine metteva quindi in primo piano l'idea della velocità, della frenesia, come la presenza della luce elettrica che regola i ritmi della quotidianità che vengono stravolti, come facevano erano giorno e notte -> quel tipo di ritmo frenetico è il primo confronto con la modernità, e perciò questo è un tema dell'uomo moderno a cui sta guardando Pirandello, e che è presente in questo testo, con la descrizione di tutto questo stordimento di macchine. Al tema delle macchine se ne collega un altro importante della letteratura ovvero quello del Progresso, con distinte visioni in Verga, Leopardi, Pirandello, Svevo... perché significa confrontarsi con l'attualità. Pirandello sostiene che progresso e felicità non vanno insieme -> nell'introduzione del romanzo disse "maledetto sia Copernico", che era anche quello un modo per limitare gli effetti positivo del cosiddetto progresso scientifico; le scoperte scientifiche ci hanno rivoluzionato, e perciò sta a dire che si stava meglio prima pensando di essere al centro di tutti, illusi -> tema delle illusioni e vero trattato anche in Leopardi. Essendo la vita già senza senso, non ha senso toglierne pure la fatica e l'impegno, che almeno ci finalizzano, facendo si che tutto sia compiuto dalle macchine -> c'è sempre lo scavo critico per arrivare al fondo di domande che sono quasi senza risposta. Pascal fa un discorso con se stesso toccando molti temi importanti della nostra esistenza, con domande cruciali che dall'arte vengono poste da sempre, come per Leopardi e il Dialogo della natura con l'islandese. -> Quando qui Pirandello dice che ci sembra che la natura risponda ma in realtà è indifferente, è la stessa cosa che Leopardi disse in un altro modo; l'atteggiamento di Leopardi è però quello di continuare a porre la domanda, di pensare che comunque esista, di voler credere fortemente che esista una risposta che noi non cogliamo, il mistero dell'indefinito, del linguaggio poetico, dell'immaginazione. Pirandello invece ci mette a nudo nella nostra contraddizione, con il paragone del canarino, dicendo che siamo come il canarino, che ci sembra che tutto parli con noi e che tutto abbia un senso ma invece niente e nulla che facciamo ha senso, perché la sostanza è una sola, ovvero che noi abbiamo il nostro lumicino, il nostro punto di vista relativo, non c'è niente di assoluto e siamo in realtà immersi sempre in un flusso, che significa non avere identità, ovvero nell'accezione comunque della parola significa non vivere, perché la parola vita in Pirandello ha 2 accezioni: come flusso vitale, descrivendo la sua visione filosofica, e nel senso inteso comunemente, quindi lo stare insieme agli altri, stare al mondo -> La vita non è un flusso, poi dal punto di vista filosofico la si vuole intendere così va comunque bene, ma bisogna capire che c'è una vita vera, che anche se non è vera, se è falsa dal punto di vista filosofico, è l'unica che si ha a disposizione, -> Mattia Pascal è uno che è uscito fuori da questo sistema, è un forestiere della vita, che all'inizio crede che questa sia la soluzione alle contraddizioni della nostra esistenza, ma poi invece deve ammettere che la soluzione non è quella, non è bastare a se stesso né rifarsi da nuovo -> infatti la vicenda del romanzo finisce con Adriano Meis che ad un certo punto si "suicida", rinuncia a questa identità farlocca che non gli serve a nulla, e torna nel suo paese ma non può riassumere la sua vecchia identità, perciò lui sarà il Fu Mattia Pascal, e rimane condannato ad un'esistenza che non è tale, non è vita, ma rimane nel "limbo". Il senso del romanzo può essere riassunto dicendo che Mattia Pascal non sopporta la trappola, come nessun altro personaggio pirandelliano (come all'inizio Belluca), però mentre c'è un'apparente soluzione, ovvero di una momentanea follia che dà l'illusione di uscire ogni tanto fuori dalla trappola, poi la soluzione definitiva per uscire fuori dalla trappola ad un certo lo persegue, l'uscire fuori da una vita che lo mette in trappola, che non gli piace, nella quale non si riconosce, e cambiarla e rifarsela da solo non gli sarà possibile. Se sembrava una soluzione uscire dalla trappola per non stare in trappola, il romanzo umoristico mette difronte a questa contraddizione scoperta, ovvero che non è possibile uscire dalla trappola per evitare la trappola, ma allo stesso tempo per evitarla non può rimanerci -> Mattia Pascal non può quindi tornare tale, il Mattia di prima, perché sarebbe ritornare nella trappola che non gli piace, dalla quale è scappato, ma per fare ciò, uscirne e inventarsi una vita sua, dovrebbe rimettersi in un'altra trappola, diversa, perché la trappola per Pirandello è comunque la società, la relazione umana, che vive in questa contraddizione continua, ovvero si ha bisogno di questa ma fa sentire in trappola. -> Nel relativismo generale in cui viviamo siamo condannati a non sentirci capiti. UNO, NESSUNO, CENTOMILA Se il Mattia Pascal non è un romanzo di formazione, non c'è un'evoluzione del personaggio, ma rimane tuto bloccato, non c'è alcuna soluzione (va a visitare la sua tomba), ma rimane con la contraddizione scoperta, pienamente umoristico in questo, il tema continua ad essere trattato da Pirandello anche in altri romanzi come ad esempio in Uno, nessuno e centomila, dove la vita del protagonista, Vitangelo Moscarda, non è disgraziata come quella di Mattia Pascal, ma lui ha una famiglia normale, però ad un certo punto in un caso particolare, mentre si specchia, la moglie gli fa una battuta sul suo naso, perciò comincia ad entrare nei ragionamenti con se stesso, li porta in profondità, per cui si rende conto che la sua identità, quello che lui si sente, non è quello che vedono gli altri; come lo giudicano gli altri non è il modo in cui lui si riconosce. Ognuno di noi è inevitabilmente in trappola in quanto è relativo il giudizio che gli altri hanno su di noi, e che noi abbiamo sugli altri, ognuno ha una visione, e si è condannati a non incontrarsi mai con quello degli altri. -> la nostra stessa personalità è molteplice, abbiamo più di una sola identità, più maschere che indossiamo a seconda delle situazioni; siamo tanti sia perché lo siamo davvero e sia perché gli altri ci vedono cosi. Uno, NESSUNO, Centomila -> Se nel romanzo del 1904-1908, gli anni del Fu Mattia Pascal, il problema rimane scoperto nelle sue contraddizioni e non c'è nessuna soluzione, nel 1925, quando mette a punto questo altro romanzo, un'apparente soluzione è proprio questa qui rappresentata. La contraddizione è tra quello che si pensa di poter realizzare e quello che invece le convenzioni sociali chiedono di fare -> la convenzione sociale in tutte le manifestazioni, nelle regole che dà, nelle quali abitudini ci riconosciamo come corrette, è comunque una trappola, che mi costringe a limitarmi e a fare scelte, e ciò analizzato dal punto di vista filosofico, e dato che viviamo in un flusso continuamente cangiante, in metamorfosi, qualsiasi convenzione, forma, è una trappola che prima o poi mi costringe. -> Es. Belluca: fino ad un certo punto gli andava bene ma poi si inizia a fare domande su cosa sta facendo, ed ha bisogno di dare espressione a sé stesso, pur non fuggendo dalla trappola. Ognuno di noi ha una visione soggettiva delle cose -> con l'idea del relativismo non sorprende più che di fronte ad una stessa cosa si hanno visioni diverse, essendo tutto relativo. Pirandello dice che tutta la vita noi la incontriamo con il nostro lanternino, ognuno però fa luce a suo modo. Quest'idea del relativismo quindi, del fatto che non esista una verità, una oggettività, fuori di noi, ma che esistiamo noi che proiettiamo una visione, va data sempre come presupposto dei discorsi di Pirandello, quindi si vede in questo romanzo, nel paradosso umoristico che vuole essere rappresentato, dove adotta anche espressioni volutamente esagerate, grottesche, eccessive, perché comunque la poetica umoristica deve colpire nell'immaginazione -> alla fine del Mattia Pascal c'è l'avvertenza allo scrupolo della fantasia quando lui viene accusato di aver inventato una vicenda paradossale, e quindi dice di non aver inventato nulla, ma che tutto sia tale, un fatto di cronaca. C'è un'esagerazione negli intrecci di questi romanzi perché sono a tema, devono colpire la nostra riflessione. In questo romanzo il protagonista sconvolge progressivamente la sua vita perché un pò alla volta si rende conto che gli altri hanno di lui una visione che non sospettava -> prende coscienza del relativismo -> Se nel Fu Mattia Pascal questi problemi dell'identità, che non è una, del rapporto della vita intesa come flusso e vita intesa come convenzione sociale (quindi della libertà degli individui), il tema del rapporto con la modernità, e tanti altri temi, sono messi allo scoperto con le loro contraddizioni ma non c'è una soluzione (il romanzo del Mattia Pascal è la negazione del romanzo di formazione, che nasce con un problema, che l'individuo coglie, e ne paga le conseguenze, imparando poi alla fine qualcosa), perché il romanzo umoristico non deve insegnare niente, ma deve scomporre e sconvolgere la realtà, i luoghi comuni, questo è l'obbiettivo. L'arte umoristica, dice Pirandello, non compone in modo armonico il reale, ma lo scompone perché non va riconosciuto come è visto convenzionalmente, ma ne vanno colti i lati oscuri per iniziare a porsi domande. -> È un romanzo quindi che non deve insegnare qualcosa ma che deve far interrogarsi e lasciare interrogativi aperti. "LA VITA NON CONCLUDE" In Uno, Nessuno, Centomila però la soluzione c'è ed è la cosiddetta soluzione mistica -> alla fine della vicenda di questo secondo romanzo rimane da solo, vende tutto, la moglie lo abbandona, viene accusato di tentato omicidio, e va a vivere in uno ospizio. Si presenta a processo con il vestito che usavano gli ospiti di questo ospizio, e il giudice che lo accusava non lo condanna, non essendo né un delinquente né un pazzo. Vive di nulla, avendo venduto tutto (p.215). -> Quello che va a visitare la tomba è "il Fu Mattia Pascal", quindi ancora un nome ed un identità ce l'ha, anche se non è più quello del presente, perciò pur non sapendo chi sia ha un appiglio con la realtà, mentre il protagonista di questo secondo romanzo, Vitangelo Moscarda, finisce senza volere alcun nome né identità. Non dare il nome non significa che le cose non esistano, ma che non esistono per noi, non le identifichiamo, ma esistono nel flusso, nel buio. Vitangelo Moscarda continua comunque a vivere: è quell'uomo senza nome che va in giro per l'ospizio. -> Nell'ordine dell'intreccio del romanzo si passa dall'uno a centomila per arrivare a nessuno. Il nome non è altro che un epigrafe funeraria -> Anche il romanzo del Mattia Pascal finisce con l'iscrizione sulla tomba del suo nome, ma c'è qualcuno che la va a visitare costantemente, e ci sarà un motivo per farlo. -> Anche Mattia Pascal è vivo, ma lo è come "forestiere della vita", perché vuole vivere, ma poi si accorge poi che per farlo deve entrare nella convenzione, perciò deve tornare a Miragno, nella biblioteca di Boccamazza, che è un non-luogo, né una chiesa né una biblioteca. Qui invece la vita di Vitangelo Moscarda, che non vuole più un nome ma è comunque vivo, è come flusso. -> Nel romanzo del Mattia Pascal si vede il pensiero che continuamente lo interroga, che mette a nudo le contraddizioni, dalla quale alla fine si esce rimanendo però in un limbo; Vitangelo invece si annulla, non ha un nome, essere nessuno, essere nelle cose, vivere come un albero che non è cosciente della sua vita, come l'alba, perciò diventa parte della natura, vuole essere come nella natura. Questa conclusione è molto diversa da quella del Fu Mattia Pascal, è quasi mistica -> si può seguire ciò che dice Moscarda, ma in concreto significa che vive di nulla, stando nell'ospizio, rifiuta il pensiero, medita. -> Non è un'opzione pratica, come non lo era neanche quella di Mattia Pascal (che in definitiva all'anagrafe non esiste più, neanche come Adriano Meis), perché ribadisce che al problema dell'identità che non può trovare espressione piena, e che vive ingabbiata nelle maschere che gli altri ci attribuiscono, prendendo consapevolezza che la convenzione della vita è questa, non c'è una soluzione. La soluzione può essere mistica, come quella di Vitangelo Moscarda, che si trasforma in un "santone", ma non c'è soluzione concreta. Il risultato di questi romanzi, in modo diverso, è appunto quello di essere romanzi umoristici e di mettere in primo piano il sentimento del contrario, analizzando il sentimento del contrario, che è un'analisi razionale. -> I temi trattati nel Fu Mattia Pascal sono anche altri, come quello della modernità, che Pirandello tratta anche in altri romanzi come nel Quaderno di Serafino Gubbio, un romanzo costruito in 7 quaderni, come un diario, dove tratta il tema dell'automazione: la vicenda narra dell'arrivo di Serafino a Roma e del suo lavoro all'interno di una troupe cinematografica che sta lavorando ad un film, e dove sarà presente anche l'attore Aldo Nuti, che ha lasciato la fidanzata per seguire una famosa attrice russa, donna fatale di cui è innamorato. Serafino Gubbio fa l'operatore se non che in una vicenda d'amore distorto una scena, che doveva essere quella di Aldo Nuti, che deve uccidere una tigre che sta per assalirlo, e lui e l'attrice, di cui è nella realtà innamorato, ingelosito per l'amore per quest'attrice, in questa scena non punta la pistola sulla tigre ma sulla donna che ama, da cui pensa di non essere ricambiato, e si lascia poi sbranare dalla tigre. Quando accade ciò inaspettatamente davanti alla troupe, Serafino che stava riprendendo, e di fronte a questo improvviso colpo di scena non smette di girare ma continua e riprende perciò per la prima volta questa scena scandalistica, che poi avrà anche successo cinematografico, però lui ne rimane sconvolto e dopo quell'evento lui perde la parola, diventa muto, e quello che può fare è soltanto scrivere. -> dice Pirandello che assume il silenzio di cosa, diventando quasi un oggetto. Questa afasia del protagonista di questo romanzo è quasi la traduzione di come la macchina ci trasforma in oggetti. Questo romanzo è tutto incentrato sul tema della modernità, della relazione con la macchina e di come questa toglie umanità, identità (temi qui approfonditi, presenti anche in Mattia Pascal). (+ p.290: cap.15, tema importante del doppio, rappresentato dall'ombra, che è un'identità evanescente). IL TEATRO Pirandello è anche uno straordinario scrittore di teatro, anzi all'estero è principalmente conosciuto come drammaturgo. Si avvicina al teatro mentre sta scrivendo anche prosa, infatti nella scrittura del suo romanzo c'è già l'attitudine teatrale, perché nei suoi romanzi i protagonisti parlando, e così come le novelle, infatti alcune opere teatrali sono poi tradotte da alcune novelle. Il teatro di Pirandello si divide propriamente in 4 fasi: Esordio, Teatro del grottesco e quello del Teatro del teatro, alla fine del quale, ultima fase, rimasta incompiuta, quella definita Teatro dei miti, il teatro surrealista. -> I temi del teatro non sono diversi da quelli della narrativa e delle novelle, ma sono sempre quelli già trattati: il relativismo, la sua visione della vita, il vitalismo, il tema del doppio, la poetica umoristica. Oltre il dramma borghese (p.216) -> era quello che Pirandello aveva davanti agli occhi nell'epoca in cui comincia a scrivere teatro, e significa che il teatro racconta le vicende borghesi in cui tutti si possono riconoscere. Prende queste vicende di dramma borghese e le spinge fino all'assurdo, e così facendo ne denuncia la vacuità. Alcuni famosi drammi di questa fase erano già scritte come novelle poi tradotte. "Cosi è (se vi pare)" -> La vicenda di questa novella parla di una strana famiglia composta da 3 persone, che si trasferiscono in un piccolo paese di provincia, dove tutti chiacchierano. Il signor Ponza vive in un appartamento con la seconda moglie mentre la madre della prima, la signora Frola, vive nel piano sottostante, costretta a comunicare con la moglie del signor Ponza, che è convinta sia sua figlia, per mezzi di bigliettini calati da un paniere dalla finestra. Ad un certo punto il signor Ponza dice che la figlia della signora Frola è morta, quindi non si sa chi sia davvero la moglie del signor Ponza; la vicenda finisce con tutti pensando sia qualcuno di diverso, accusandosi l'un l'altro di essere pazzi Alla fine di questa rappresentazione la moglie del signor Ponza appare sulla scena velata e a questo punto le viene chiesto chi sia, e il dramma si chiude con la signora Ponza che dice "io sono colei chi mi si crede". -> Questo è un esempio chiave, in quanto tutto ciò significa. prendere una vicenda borghese, di una famiglia borghese, svuotarla della convenzionalità della scena borghese, per far parlare questa vicenda di un tema caro a Pirandello ovvero quello del relativismo, quindi ognuno di noi è ciò che l'altro crede. Teatro del grottesco -> più avanti nella definizione di teatro ci sono questi componimenti dove in apparenza ci sono situazioni verosimili, ma nella sostanza la verosimiglianza di queste soluzioni è scardinata. "Il giuoco delle parti" -> C'è il tradizionale motivo del triangolo amoroso, del tradimento: lui, lei e l'altro sono sulla scena. Il marito tradito osserva distaccato la moglie e il suo amante, ma senza volersi vendicare, come a voler e dover recitare la parte del marito tradito, quindi è in qualche modo consapevole di un ruolo che non vive passionalmente ma con distacco, quindi come fosse finto, anche se è vero, recitando consapevolmente. Lui concede alla moglie e all'amante di fare ciò che vogliono, senza mostrare alcuna gelosia, ma anzi, favorendone l'azione -> tutto ciò è grottesco per lo spettatore l'epoca, perché si trova difronte alla classica scena borghese del marito tradito, della moglie spudorata e dell'amante, e si aspetterebbe che il marito si arrabbiasse, ma invece non è così, e tutti vivono in modo celebrale il ruolo, senza passione, come se fossero consapevoli di recitare davvero, e non fingono di recitare. Questo tipo di spettacolo spiazza lo spettatore, che invece di solito è abituato ad immedesimarsi nella scena che ha davanti a sé perché quella scena fingeva di essere vera, mentre qui gli attori non fingono nulla ma rappresentano la loro recita, sono consapevoli di star recitando ognuno una parte. La moglie stanca della razionalità indifferente del marito chiede all'amante di ucciderlo, ma questo si rifiuta; quando si presenta l'occasione di difenderlo, accetta di farlo, in qualità di marito, è tutto un gioco di parti. È un teatro grottesco perché non è né pienamente tragico né comico, quindi spiazza perché fa interrogare, fa fare domande sulla vita come finzione, ma non si partecipa emotivamente, passionalmente. Teatro nel teatro -> è il passo ulteriore ed è ancora più raziocinante. "Sei personaggi in cerca d'autore" -> ne rappresenta l'esempio massimo: in questo dramma mentre una compagnia teatrale sta provando una commedia di Pirandello, entrano in scena 6 personaggi misteriosi dicendo che sono stati abbandonati dall'autore che ha smesso di scrivere di loro, ed ora loro vogliono vivere come personaggi, quindi entrano in un teatro perché cercano qualcuno che facciano rappresentare il loro dramma. Alla fine la compagnia cede e decidono di rappresentare il dramma dei 6 personaggi, che vedono quindi recitare la loro parte, la vicenda da loro raccontata, da quegli attori che stavano provando, ma non si riconoscono in essi, nella recita -> relativismo, non ci si riconosce mai nell'immagine degli altri; maschera, sono personaggi quelli che stanno in scena e non persone, distaccati dal loro stesso autore. Il vero dramma dei personaggi diventa quindi quello di non vedersi rappresentati "realisticamente" (non c'è niente di realistico nella vicenda) dagli attori che la recitano, che sono continuamente interrotti dai personaggi, insoddisfatti dalla rappresentazione -> Questo teatro dice quindi che è impossibile rappresentare autenticamente qualcosa, quindi si arriva all'assurdità del teatro che sconfessa sé stesso.