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Luigi Pirandello

14/9/2022

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LUIGI PIRANDELLO Pirandello è tra le voci più rappresentative del primo Novecento, di cui interpreta la crisi delle certezze positivistiche. Autore versatile e attento alle nuove forme di comunicazione culturale, egli si dedica principalmente alla narrativa e al dramma, ma si cimenta anche nella saggistica, nella poesia, nella scrittura cinematografica, proponendo un'arte moderna, radicalmente innovativa rispetto alle forme tradizionali e capace di riflettere un mondo frantumato, contraddittorio, al limite dell'assurdo. Pirandello nasce nel 1867 vicino Agrigento - all'epoca Girgenti - e precisamente in una località chiamata Caos. Su questo lo scrittore amò sempre scherzare, definendosi un "figlio del caos". Pirandello cresce in un clima di forte disillusione per le aspettative disattese del Risorgimento, di cui i genitori erano stati sostenitori. Questo, come altri eventi della sua vita, influenzerà le sue opere e la sua visione del mondo. Nel 1887 si iscrive alla Facoltà di Lettere a Roma, ma nel 1889 si trasferisce a Bonn, in Germania, dove si laurea nel 1891 con una tesi sul dialetto di Agrigento. La rovina economica e l'esordio da scrittore - Il 1903 come l'anno della svolta: due tragedie lo portano ad intensificare l'attività di scrittore. Tornato a Roma, entra negli ambienti letterari, collabora con alcune riviste e pubblica le prime novelle e i primi romanzi. Nel 1901 esce...

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Didascalia alternativa:

il romanzo L'Esclusa e l'anno successivo Il turno. Ma è il 1903 l'anno della svolta, a causa di due eventi: la miniera di zolfo dei genitori si allaga e la famiglia cade in rovina; inizia a manifestarsi la malattia mentale della moglie che la costringerà a vivere in una casa di cura fino alla morte. - Dissesto economico, follia e prigione familiare diventano allora temi centrali delle sue opere. Le difficoltà economiche lo portano a intensificare l'attività di scrittore e nascono i suoi romanzi più famosi: Il Fu Mattia Pascal (1904) I vecchi e i giovani (1909) Suo marito (1911) Quaderni di Serafino Gubbio operatore (1915) In questo periodo ha inizio anche l'attività teatrale, con opere sia in siciliano che in italiano, spesso derivate dalle novelle. I romanzi di Pirandello ottengono grande diffusione in Italia, ma sarà il suo teatro a portarlo al successo internazionale. Nel 1921, dopo il fiasco della prima rappresentazione a Roma, viene riproposto a Milano Sei personaggi in cerca d'autore che questa volta ottiene un successo strepitoso: è l'inizio di un'ascesa che lo porterà al Premio Nobel del 1934. Nel frattempo aveva riunito le sue novelle nella raccolta Novelle per un anno e aveva dato alle stampe nel 1926 il suo ultimo romanzo: Uno, nessuno e centomila. Muore nel 1936 a Roma. LA VISIONE DEL MONDO Il Vitalismo - I testi narrativi e drammatici di Pirandello insistono continuamente, talora perfino in modo ossessivo, su alcuni nodi concettuali. Alla base della visione del mondo pirandelliana vi è una concezione vitalistica. La realtà tutta è vita, perpetuo movimento vitale, inteso come eterno divenire, incessante trasformazione da uno stato all'altro, "flusso continuo, incandescente, indistinto". Tutto ciò che si stacca da questo flusso e assume forma distinta e individuale, si irrigidisce e comincia a morire. Così avviene dell'identità personale dell'uomo. In realtà noi non siamo che parte indistinta nell'universale ed eterno fluire della vita, ma tendiamo a cristallizzarci in forme individuali, in una personalità che vogliamo coerente e unitaria. In realtà questa personalità è un'illusione. Nella riflessione pirandelliana c'è una dicotomia continua tra vita e forma. L'esistenza sociale degli individui è una continua lotta tra la vita e la forma. La vita è il flusso inarrestabile del cambiamento, mentre la forma le strutture della società che costringono l'uomo a cristallizzarsi in una maschera che lo intrappola e lo costringe in un ruolo fisso che è morte. La lotta tra queste due forze generano la sofferenza, il disagio e lo smarrimento. Ogni persona considera così una verità che è multiforme. Noi crediamo di essere uno per noi stessi e per gli altri, mentre siamo tanti individui diversi, a seconda della visione di chi ci guarda. Ciascuna di queste forme è quindi una costruzione fittizia, una maschera che noi stessi ci imponiamo e ci impone il contesto sociale. Ciò implica il dramma dell'uomo, la realtà cambia continuamente e l'uomo non trova la propria identità. L'uomo è uno, nessuno, ma anche centomila. La critica dell'identità individuale - Costretto a "indossare" maschere ipocrite e soffocanti, corrispondenti ai diversi ruoli che di volta in volta ricopre o è costretto a ricoprire, l'uomo si illude di poter assumere un'identità definitiva, che in realtà non avrà mai. Anche quando la sua istintiva tendenza alla libertà o un improvviso atto di consapevolezza lo spingono a volersi disfare della propria maschera è solo per indossarne un'altra altrettanto limitativa rispetto alle infinite potenzialità del proprio essere. L'unitarietà psicologica dell'individuo finisce pertanto con lo sgretolarsi, motivo per cui i personaggi pirandelliani non possono che adeguarsi passivamente alle maschere o, in alternativa, vivere drammaticamente il contrasto tra vita e forma. Questa teoria della frantumazione dell'io è un dato storicamente significativo: nella civiltà novecentesca entra in crisi sia l'idea di una realtà oggettiva sia di un soggetto forte. L'io di disgrega, si smarrisce e si perde. La crisi dell'idea di identità e di persona risente dei grandi processi in atto nella realtà contemporanea, dove si muovono forze che tendono proprio alla frantumazione e alla negazione dell'individuo. La presa di coscienza di questa inconsistenza dell'io suscita nei personaggi pirandelliani smarrimento e dolore. Avvertire di non essere nessuno provoca angoscia ed orrore, genera un senso di solitudine in cui non può riconoscersi. Il relativismo conoscitivo - la legge di estrema instabilità che governa la vita impedisce alla ragione umana, nel suo processo di conoscenza del mondo, di approdare a qualunque tipo di certezza. Uno stesso avvenimento viene visto e interpretato in maniera diversa a seconda di chi lo percepisce e lo giudica: ciascuno dunque è solo e tragicamente privo della possibilità di instaurare un contatto autentico con gli altri. Ogni uomo indossa più maschere e le impone agli altri in quello che si chiama Gioco delle Parti. La realtà in perenne divenire è multiforme. In questo modo nasce un tema fondamentale presente in tutti i romanzi di Pirandello, il tema dell'incomunitalità. Ogni individuo ha la sua visione della realtà e la sua verità dunque non è possibile una comunicazione unica tra gli uomini. Ciò per gli uomini è devastante. Questa relatività genera il disorientamento, la crisi dell'uomo del 900. La trappola della vita sociale - Le forme sono sentite come una trappola in cui l'individuo si dibatte, lottando invano per liberarsi. Pirandello ha un senso acutissimo della crudeltà che domina i rapporti sociali, al di sotto della civiltà e delle buone maniere. La società gli appare come un'enorme pupazzata, una costruzione artificiosa e fittizia, che isola irreparabilmente l'uomo dalla vita, lo impoverisce e lo irrigidisce, lo conduce alla morte anche se egli continua a vivere. La famiglia. L'istituto in cui si manifesta per eccellenza la trappola della forma è la famiglia. Pirandello è capace, anche per motivi autobiografici, di cogliere il carattere opprimente della famiglia e delle menzogne. Le tensioni segrete, gli odi, i rancori e le ipocrisie. Condizione economica-sociale. L'altra trappola è quella economica, almeno a livello piccolo borghese, i suoi eroi sono prigionieri di una condizione misera e stentata, di lavori monotoni e frustranti, di un'organizzazione gerarchica oppressiva. Il rifiuto della socialità - L'unica via di relativa salvezza è la fuga nell'irrazionale, nell'immaginazione che trasporta verso un altrove fantastico ; oppure nella follia, che è lo strumento di contestazione per eccellenza, in Pirandello, delle forme fasulle della vita sociale. L'uomo che abbandona le maschere e diventa libero, considerato un folle. Il rifiuto della vita sociale dà luogo nell'opera pirandelliana ad una figura ricorrente, emblematica: il "forestiere della vita", colui che ha capito il gioco, ha preso coscienza del carattere del tutto fittizio del meccanismo sociale e si esclude osservando gli uomini imprigionati dalla trappola con un atteggiamento umoristico, di irrisione e pietà. L'UMORISMO La concezione dell'arte e della poesia di Pirandello la possiamo trovare nel famoso saggio "L'Umorismo" risalente al 1908. Il volume si compone di una parte storica in cui l'autore esamina varie manifestazioni dell'arte umoristica e di una parte teorica in cui viene definito il concetto stesso di umorismo. L'arte è un libero movimento dell'umorismo. Se nel comico non c'è riflessione nell'opera umoristica vi è il cosiddetto "esempio del contrario". L'arte umoristica coglie la realtà nei suoi molteplici aspetti e in ciò si contraddice. Di qui nasce il "sentimento del contrario", lo scrittore propone un esempio: se vedo una vecchia signora coi capelli tinti e tutta imbellettata, avverto che è il contrario di ciò che una vecchia signora dovrebbe essere. Questo avvertimento del contrario è il comico. Ma se interviene la riflessione e suggerisce che quella signora soffre a pararsi così e lo fa solo nell'illusione di poter trattenere l'amore del marito più giovane, non posso più solo ridere. Dall'avvertimento del contrario si passa al sentimento del contrario, l'atteggiamento umoristico. Si ha una palese dimostrazione di una realtà contraddittoria dato che l'arte permette di osservare il mondo da più prospettive. L'arte umoristica se coglie il ridicolo ne individua anche il fondo dolente o viceversa. Tragico e comico sono i risvolti della stessa medaglia, vanno insieme e il comico rappresenta l'ombra che non è disgiunta. Pirandello afferma che l'umorismo si trova nella letteratura di tutti i tempi. Questa sua concezione dimostra la consapevolezza della grande crisi dell'uomo moderno. L'arte definita "fuori di chiave" è disarmonia piena di dissonanze. Specchio della perdita di equilibrio perché rimanda a una realtà che fa emergere contraddizioni e opposizioni. L'arte riflette la coscienza di un mondo frantumato in cui non c'è più un punto di riferimento, ma molteplici che portano alla disgregazione della realtà e contraddizioni senza soluzione. Tutto è un fluire e tutto scorre, nulla si può definire e appare in eterno movimento. Le sue opere, le novelle, i romanzi, i drammi sono tutti testi umoristici in cui tragico e comico, riso e serietà sono indissolubilmente mescolati, da cui non emerge alcuna visione ordinata e armonica della realtà, ma il senso di un mondo frantumato, polivalente, al limite dell'assurdo. Un'arte che scompone il reale (Passaggio della seconda parte del saggio) Pirandello definisce l'umorismo come l'arte che fa saltare tutte le barriere fittizie, disgrega, scompone. Rappresenta l'arte che ha preso consapevolezza della fisionomia aperta e fluida del reale e la riflette nelle sue forme. In effetti la definizione che lo scrittore ne dà è una definizione calzante dell'arte novecentesca (come osserva Luperini): un'arte che riproduce il carattere caotico, contraddittorio e aperto, non riducibile a ordine e coerenza, non imprigionabile in schemi fissi e rigidi, che la realtà ha assunto ai nostri occhi. L'«umorismo rappresenta, per usare le parole di Pirandello stesso, «la vita nuda, la natura senz'ordine almeno apparente, irta di contraddizioni»>, lontanissima dal congegno ideale delle comuni concezioni artistiche, in cui tutti gli elementi, visibilmente, si tengono a vicenda e a vicenda cooperano»>. Non solo, ma l'arte umoristica va a fondo nel disgregare anche la psicologia degli uomini, che non appare più un insieme unitario, coerente e armonico, ma l'effetto dell'urtarsi di tendenze contrastanti, di personalità diverse che si agitano all'interno di una presunta personalità unica, di stati d'animo che si succedono in un fluire perpetuo e indistinto. La scomposizione umoristica fa così venire alla luce il fondo oscuro della psiche, che noi non sospettiamo e in cui non ci riconosciamo. LE NOVELLE La produzione novellistica di Pirandello ha inizio nel 1884 e si conclude nel 1936. A partire dal 1922 lo scrittore ne progetta una sistemazione organica ideando l'imponente raccolta dal titolo Novelle per un anno, mai portata a compimento. Le novelle si distinguono in quelle d'ambiente siciliano, con protagonisti e situazioni tratti dal mondo contadino, e quelle d'ambiente romano, incentrate sulla disamina della triste esistenza del ceto medio impiegatizio. Il repertorio narrativo è sterminato. Vittime innocenti di una realtà oppressiva e incomprensibile, i personaggi delle più note novelle pirandelliane vivono un forzato adattamento alle leggi alienanti della società, e tentano di allontanarsi o con l'immaginazione (come Belluca nella novella il treno ha fischiato), o con l'abbandono alla follia vera o presunta, o lasciandosi andare a gesti patetici e inconcludenti. Per quanto riguarda l'aspetto linguistico, nel generale ricorso a un italiano medio borghese, lessico e sintassi si sforzano di mimare l'andamento spoglio e grigio della quotidianità. Le ultime diciannove novelle, tra cui Di sera, un geranio e una giornata, testimoniano invece un maggior avvicinamento alla scrittura surrealista. Ciàula scopre la Luna La novella fu pubblicata sul "Corriere della Sera" nel 1912, poi nel volume Le due maschere nel 1914. La novella rivela legami con un testo esemplare del Verismo, la novella Rosso Malpelo di Verga. Gli aspetti più evidenti sono la rappresentazione del duro lavoro nelle gallerie della miniera e la figura del reietto collocato all'ultimo gradino della scala sociale. Si può subito osservare, però, che Pirandello non adotta il tipico procedimento verghiano dell'eclisse dell'autore e della "regressione": al contrario conserva i privilegi di un narratore che osserva quel mondo popolare dall'alto della propria superiore cultura e interviene a giudicare la materia narrata. Tra Malpelo e Ciaula vi è una differenza determinante: Rosso è portatore di una coscienza lucidissima e studia con "scentifico" impegno le leggi del meccanismo sociale, elaborando una sua essenziale ma rigorosa teoria sulla lotta per la vita, è insomma un eroe intellettuale; Ciàula è invece un minorato mentale, che vive una vita puramente istintiva, quasi a livello animalesco (come denuncia il suo stesso soprannome, che significa "cornacchia"). Il narratore insiste più volte sul fatto che il personaggio è del tutto privo di consapevolezza: «senza che n'a vesse chiara coscienza, senza saperlo, senza volerlo»>. Ciò che interessa a Pirandello è dunque descrivere un'esperienza irrazionale: per questo sceglie come terreno di indagine un'anima elementare, primordiale, sprovvista di consapevolezza, ai confini dell'animalità. I valori simbolici - l'esperienza di quest'essere irrazionale si carica così di valori simbolicí, di significati mitici: come ha persuasivamente indicato Roberto Alonge, la descrizione del suo emergere all'aperto dai cunicoli della miniera è la rappresentazione simbolica di una nascita. La miniera non è che l'utero della Terra Madre, e la condizione inconsapevole di Ciàula è la condizione prenatale. Ma, più che una nascita, viene qui proposto un mito di rinascita, di risurrezione a nuova vita. I cunicoli bui nel ventre della terra possono ricordare il regno della morte, gli Inferi (antro infernale, viene non a caso definita la miniera), e l'uscita all'aria aperta è una «liberazione», un tornare alla vita dopo la reclusione nell'oscura regione dei morti. L'apparizione divina - Ma il fatto veramente significativo è che Ciàula, all'esterno, non trova, come temeva, il buio e il vuoto, altre metafore della morte, trova la luce della luna. La scoperta della luna, che è il punto culminante della novella e giustamente le dà il titolo, è una vera e propria teofania, un'apparizione della divinità. Agli occhi stupiti e affascinati del primitivo la luna assume le connotazioni del divino. E l'apparizione della dea conforta, consola, libera dalle angosce, ridà la vita. La dimensione della novella non è dunque per nulla realistica, ma mitica e simbolica: ciò che viene rappresentato è una sorta di esperienza mistica, una fusione panica con la vita universale, il suo incessante divenire. Nonostante l'ambiente e i personaggi, con Ciaula non ci troviamo su un terreno veristico, ma in un ambito decadente: la realtà popolare non è scelta a fini di riflessione sociale, ma in quanto portatrice del primitivo, dell'irrazionale, del mito, del simbolo, tutte realtà che affascinano il Decadentismo (a cui Pirandello per alcuni aspetti resta ancora legato). Il treno ha fischiato Un'improvvisa intuizione - La novella narra dell'improvvisa follia di un impiegato modello, Belluca, da sempre puntuale e ligio al suo lavoro, che si ribella al capoufficio e viene portato in manicomio. La ragione del gesto di ribellione sta nella rivelazione momentanea dell'esistenza di un'altra vita. Di questa altra vita egli ha avuto improvvisa intuizione udendo il fischio di un treno, che provoca in lui la tendenza all'evasione nel mondo dell'immaginazione e della fantasia. La struttura dell'inchiesta - La novella ha la struttura dell'inchiesta, della ricerca di una verità che si cela dietro un evento strano, apparentemente assurdo e incomprensibile. L'inchiesta su cui si basa il racconto segue quindi un movimento dall'esterno all'interno del personaggio, che prima viene visto con gli occhi estranei dei colleghi, poi attraverso la prospettiva più familiare del narratore-testimone, infine si presenta da sé, rivelando le cause del fatto assurdo. La trappola del lavoro e della famiglia - La novella ritrae un tipico ambiente piccolo borghese. La condizione sociale piccolo borghese diventa emblema di una condizione metafisica dell'uomo: Belluca rappresenta l'uomo imprigionato nella trappola della forma. La spontaneità della vita è in lui mortificata perché è prigioniero di un meccanismo ripetitivo, monotono, alienante, che presenta due facce: il suo lavoro di computista, che non gli concede mai un attimo di respiro e la sua famiglia opprimente, soffocante. La scomposizione umoristica - Pirandello porta deliberatamente all'assurdo quella che potrebbe essere una rappresentazione naturalistica e patetica della miseria piccolo borghese: una moglie cieca susciterebbe commozione, ma tre cieche, più due figlie vedove con complessivi sette figli, non possono che suscitare il riso. Il motivo edificante e strappalacrime del pover'uomo che si sacrifica per dar da mangiare alla famiglia diviene ridicolo. Scatta il «sentimento del contrario», la scomposizione umoristica della realtà. L'epifania della vita - La causa che ha scatenato la follia di Belluca e ha quindi determinato la rottura del meccanismo alienante della «<forma»> sociale, costituito dal lavoro e dalla famiglia, è stata una sorta di epifania (così l'ha definita Renato Barilli), la rivelazione improvvisa di un senso riposto della realtà fino a quel momento rimasto ignoto. E l'epifania scatta in conseguenza di un fatto banale, in sé insignificante, il fischio di un treno nel silenzio della notte. Ma basta questo per far assumere all'eroe coscienza della vita che scorre fuori della trappola. L'evasione consolatoria - La rottura del meccanismo genera comportamenti folli. Dopo il gesto liberatorio, Belluca ritornerà però entro i limiti del meccanismo, ma potrà sopportare la meccanicità della <<forma»> perché avrà una valvola di sfogo: la fantasia. Un attimo di evasione, di tanto in tanto, gli consentirà di sostenere il peso delle «<forme» sociali che lo imprigionano, poi potrà tornare tranquillamente all'ordine. I ROMANZI Influenzato, relativamente alle prime prove, della narrativa naturalistica, nei romanzi Pirandello mette progressivamente a punto la sua poetica dell'umorismo, esposta nell'omonimo saggio del 1908. L'Esclusa. Incoraggiato da Luigi Capuana, scrive il suo primo romanzo nel 1893 con il titolo Marta Ajala, ma lo pubblica solo nel 1901 sulla rivista " la Tribuna" e con un titolo nuovo: l'Esclusa. Marta Ajala, la protagonista, è una giovane donna accusata ingiustamente di aver tradito il marito e per questo cacciata via di casa da quest'ultimo, nonostante sia in attesa di un bambino. Perso il figlio durante il parto, resta incinta dello stesso uomo a causa del quale era stata considerata adultera, ma il marito, tormentato dal rimorso, decide di riprenderla in casa. Naturalistico nei contenuti e nella struttura, il romanzo di esordio di Pirandello presenta già alcuni degli espedienti caratteristici della sua arte più matura: la descrizione grottesca di ambienti e personaggi, e l'umoristico rovesciamento delle situazioni. Il fu Mattia Pascal. 3° romanzo di Pirandello, è decisamente al di là dell'ambito naturalistico e presenta già in forme mature i temi più tipici dello scrittore e sperimenta soluzioni narrative nuove. Fu pubblicato nel 1909 sulla rivista la nuova antologia. I motivi più rilevanti sono: la trappola delle istituzioni sociali; la critica del dell'identità individuale; l'estraniarsi dal meccanismo sociale da parte di chi ha "capito il giuoco". Nel romanzo si assiste anche ad una prima prova altamente significativa della "poetica dell'umorismo". La realtà, attraverso il gioco paradossale del caso, viene distorta; ma al di là del riso che questo suscita, emerge l'autentica sofferenza del protagonista: scatta dunque il "sentimento del contrario", tragico e comico sono indissolubilmente congiunti. C'è una novità: non troviamo più la narrazione in terza persona da parte di un narratore esterno, ma il romanzo è raccontato dal protagonista stesso, in forma retrospettiva, in quanto Mattia Pascal, al termine la sua vicenda, affida ad un memoriale la sua esperienza. Inoltre il racconto è focalizzato non sull' lo narratore che ha già vissuto i fatti, ma sull'lo narrato, ovvero il personaggio mentre vive i fatti; Quindi, dal punto di vista oggettivo della narrazione naturalistica si sostituisce un punto di vista soggettivo. Pirandello è consapevole di non poter scrivere un romanzo tradizionale, poiché ci troviamo in un'età che ha visto crollare le certezze, per cui alla narrazione unisce la riflessione su di essa, in una "prefazione metanarrativa". Mattia Pascal, angustiato dal peso della vita familiare e dal dissesto economico, grazie a una serie di circostanze, si fa credere morto e assume un'altra identità. Con il nome di Adriano Meis inizia una nuova vita, ma presto deve prendere atto delle insuperabili difficoltà che comporta la sua nuova condizione, burocraticamente inesistente. Decide allora di riprendersi la sua vecchia identità e fa ritorno a Miragno, sua città d'origine, dove scopre che sua moglie nel frattempo si è risposata. Tagliato fuori da entrambe le realtà, non gli resta che vivere nell'ombra. Ora veramente l'eroe non può più avere alcuna identità. Ora, per necessità oggettiva, assume quell'atteggiamento, che inizialmente aveva disprezzato, di forestiere della vita e riprende il suo posto nella biblioteca e si dedica a scrivere la propria esperienza. Nella pagina conclusiva l'eroe discute con l'amico Don Eligio, cercando di definire l'insegnamento che si può ricavare dalla sua esperienza: la morale della vicenda è l'impossibilità di rinunciare alla nostra identità, socialmente determinata. Alcuni critici hanno ritenuto che questo fosse veramente il senso il romanzo ma, in realtà, non è così e ciò si capisce dall'obiezione di Mattia Pascal: il romanzo non si può concludere con una completa assunzione di consapevolezza, perché Mattia Pascal si limita a rendersi conto di non sapere chi è, sapendo solo ciò che non è più. Significativa è l'ultima frase: " lo sono Il fu Mattia Pascal": I quaderni di Serafino Gubbio operatore Il titolo originale di questo romanzo era Si gira pubblicato nel 1915. Successivamente, nel 1925, tu ripreso con il nuovo titolo "Quaderni di Serafino Gubbio operatore" Dopo romanzi di impianto eterodiegetico (II narratore NON prende parte alla narrazione), Pirandello torna alla narrazione soggettiva: infatti, il romanzo è costituito dal diario del protagonista. Serafino è il tipico eroe filosofo estraniato dalla vita, che contempla l'assurdo affannarsi degli uomini per inseguire illusioni che credono realtà oggettive. Insomma, la sua professione diviene metafora di questo distacco contemplativo. Nei confronti di questa realtà gli intellettuali avevano avuto atteggiamenti problematici Pascoli, guardava con paura e orrore alle macchine che minacciavano di distruggerlo D'Annunzio, aveva scelto di offrirsi come celebratore della nuova inquietante realtà, I futuristi, celebravano entusiasticamente la macchina, Pirandello, dinanzi alla realtà industriale e alla macchina è diffidente e ostile, perché per lui contribuisce ulteriormente a rendere meccanico il vivere degli uomini. Alla critica della meccanizzazione si unisce quella della mercificazione cioè, la realtà industriale trasforma tutto in merce, negando la spontaneità (questo è ben visibile nel cinema). Nel romanzo coesistono 2 filoni narrativi: drammone passionale, che è più evidente e coinvolge l'attrice Varia Nestoroff, il barone Nuti e la giovane innocente Luisetta Cavalena, e Serafino Gubbio e il suo percorso interiore, che è il vero soggetto del romanzo. Serafino è un emarginato, dotato di una cultura umanistica e filosofica da autodidatta, al suo arrivo a Roma si trova privo di ogni mezzo di sostentamento, dunque per vivere deve accettare un impiego come operatore presso una casa cinematografica. Da una condizione intellettuale si trova degradato ad un'appendice di una macchina, trasformato in cosa, (che poi si rivelerà la sua salvezza). Ma questa condizione negativa di alienazione si rovescia in positivo, perché l'attività di operatore alla macchina da presa diviene per lui occasione di adottare uno sguardo estraniato, di forestiere della vita. caratteristica del grandi eroi pirandelliani. La vicenda della Nestoroff e del Nuti, sembra ricalcare gli stereotipi di quelle trame da film di consumo, ecco perché Serafino se ne distacca: purtroppo nella sua solitudine c'è un punto debole: un bisogno inappagato di amare e di essere amato, ecco che si innamora di Luisetta, ma purtroppo, non è ricambiato, poiché lei è innamorata del Nuti, ma questo sentimento che prova fa crollare la sua estraneità impassibile. Perciò, contro ogni suo proposito, segue le vicende complicate del drammone passionale, da cui se ne era distaccato inizialmente: così facendo rischia di farsi contaminare dalla stupidità dominante nella vita del suo tempo (= la vita segnata dal trionfo delle macchine delle merci), Ma l'eroe è destinato a prendere coscienza del pericolo che corre. Recatosi a casa dell'attrice, resta folgorato dinanzi a una serie di suoi ritratti, fatti da un giovane pittore che si è suicidato per lei, in questi donna ha una vita prodigiosa, completamente in contrasto con la realtà; ciò fa capire a Serafino la volgare meschinità di questo mondo. Dunque arriva a capire che, nell'era delle macchine e dell'industria dello svago, non è più possibile l'autenticità del sentimenti e delle azioni, tutto si contamina e diviene "vita da cinematografo. Questa presa di coscienza prepara la conclusione del romanzo: la Nestoroff viene uccisa dal Nuti, che a sua volta viene sbranato dalla tigre; però questa scena non ha più l'autenticità che dovrebbe avere, proprio perché è stata ripresa dalla macchina da presa e finirà nel film, fuor di metafora la vita reale è stata data in pasto alla cinepresa. Serafino per il trauma é diventato muto, così ha raggiunto veramente un silenzio di cosa,ma in questa riduzione a cosa non vi è un culmine di degradazione, al contrario risiede unica possibilità per lui di salvarsi da tutta questa falsità, ecco che possiamo affermare: la salvezza può venire solo dalla estraneità e non dalla partecipazione. Uno, Nessuno e Centomila Come già nel Fu Mattia Pascal, al centro di quest'ultimo romanzo di Pirandello, si colloca nuovamente il problema dell'identità. Anche l'impostazione narrativa si collega a quella del romanzo più antico, il racconto infatti è retrospettivo/ (= il protagonista, Vitangelo Moscarda, concluso un ciclo della sua vita, si volge indietro a revocarlo). La narrazione ha l'andamento di un monologo, in cui spesso lettore viene chiamato in causa con appelli diretti o addirittura, è inserito come personaggio nell'azione. La vicenda prende le mosse da un fatto apparentemente insignificante la moglie fa osservare a Moscarda che il naso gli pende un po' da una parte; egli non se n'era mai accorto e perciò, scopre che, l'immagine che si è creato di sé non corrisponde a quella che gli altri hanno di lui. Questo fatto lo colpisce molto e da qui ne nasce una vera e propria ossessione, che sconvolge la sua vita. Si rende conto che esistono Infiniti Moscarda, uno diverso dall'altro, secondo la visione che hanno le persone, Ecco che in lui nasce un vero orrore per la prigione delle forme in cui gli altri to costringono, ma scopre anche di non essere nessuno per se stesso, ciò genera in lui un senso angoscioso di assoluta solitudine. Ora ha come obiettivo quella di distruggere tutte le immagini che gli altri hanno di lui, attraverso una serie di gesti bizzarri e imprevedibili. La forma che egli non riesce a tollerare è soprattutto quella del bieco usuraio (era figlio di un usuraio che ha fatto fortuna sfruttando gli altri). A differenza del Fu Mattia Pascal in cui l'eroe voleva costruirsi una nuova identità, Moscarda vuole solo distruggere le identità quindi un eroe più consapevole poiché sin dall'inizio ha coscienza di non essere nessuno, ma di esistere solo nella visione degli altri. Quello che per Pascal è il punto d'arrivo, per Moscarda è il punto di partenza. Comincia così la serie delle sue pazzie: per primo sfratta un povero squilibrato. Marco Di Dio, dalla catapecchia che persino il padre usuraio, per pietà, gli aveva concesso, in tal modo suscita la rabbia di tutta la città, poi, colpo di scena, rivela alla folla di averlo sfrattato per dargli una casa migliore, in seguito impone agli amministratori di liquidare la banca paterna, maltratta la moglie e la induce a lasciarlo. I due amministratori, la moglie e il suocero, congiurano per farlo interdire. È avvertito da Anna Rosa, un'amica della moglie, alla quale rivela tutte le sue considerazioni sulla inconsistenza della persona, l'affascina ma le fa anche saltare l'equilibrio psichico, ecco perché gli spara, ferendolo gravemente. Ne nasce uno scandalo, perché tutta la città è convinta che tra lui e Anna Rosa ci sia una relazione colpevole, a Moscarda non resta che riconoscere tutte le colpe attribuitegli e dona tutti i suoi averi per fondare un Ospizio di mendicità, dove egli stesso vi viene ricoverato. Dunque possiamo affermare che Moscarda con le sue follie, ha cercato di ribellarsi al sistema ferreo delle convenzioni sociali, ma ne è rimasto sconfitto per distruggere tutte le forme impostategli, deve accettare l'ennesima forma datagli dalla comunità, quella dell'adulterio. In questa sconfitta trova una forma di guarigione, perché, se prima la consapevolezza di non essere nessuno gli dava un senso di orrore e di solitudine, ora accetta di buon grado di allenarsi totalmente da se stesso, rifiuta definitivamente ogni identità personale, addirittura il proprio nome, di conseguenza possiamo affermare che, trova pace in una totale estraniazione dalla società. Lo strappo nel cielo di carta Tra le immagini più potenti e affascinanti create da Pirandello in questo romanzo c'è quella allegorica di "strappo nel cielo di carta": metaforicamente va a rappresentare la perdita da parte dell'uomo moderno dei valori della tradizione su cui aveva fondato il suo castello di sicurezze. Adriano Meis, pseudonimo sotto cui si nasconde Mattia Pascal una volta creduto morto, inizia a viaggiare in Italia e all'estero, per poi stabilirsi in una camera ammobiliata a Roma, presso la pensione di Anselmo Paleari. Quest'ultimo è un pensatore eccentrico, completamente estraniato dalla realtà che lo circonda; un teatro di marionette a Roma, che rappresenta una riduzione dell'Elettra di Sofocle, diventa il punto di partenza da cui partire per elaborare un ragionamento interessante: cosa accadrebbe, si chiede Paleari, se proprio nel momento in cui sta per uccidere la madre, la marionetta Oreste venisse distratta da uno strappo nel cielo di carta che fa da sfondo al teatrino, vedendo crollare le proprie certezze? Innanzitutto va fatta un'osservazione: il riferimento a una tragedia rappresentata in un teatrino di marionette non è casuale. Allegoricamente le marionette vanno a rappresentare nient'altro che l'alienazione dell'uomo, che vive e si muove meccanicamente, fino a che un evento ne sconvolge quelle che sono le presunte certezze. Per Pirandello, la nostra personalità è una costruzione fittizia, allo stesso modo della realtà che ci circonda. Basta un nulla per mettere in crisi tali costruzioni: come lo strappo che si produce nel cielo del teatrino. Il cielo falso è considerato come vero dalla marionetta. Lo "strappo" improvviso ne svela la bugia e la marionetta entra in crisi. Non riesce più a portare avanti la sua "parte", perché la denuncia di quella falsità la costringe a vedere in modo nuovo se stessa e la realtà. Le sue abituali certezze si dissolvono ed essa è destinata alla paralisi: perché il nostro agire è possibile solo finché crediamo alle nostre costruzioni. Lo "strappo" è l'incidente casuale e banale che ci riempie di dubbi, l'avvenimento imprevisto che ci paralizza. Capace di mostrarci la realtà per quel che è e mettere in crisi i consueti punti di riferimento e contesti, che si mantengono in vita finché funzionano i meccanismi teatrali e le convenzioni, ma quando questi vengono a mancare si sfaldano. E noi restiamo smarriti. E cosa succederebbe alla marionetta di Oreste? Si fermerebbe sconcertata, bloccata, incapace di portare a termine il proprio proposito, poiché perderebbe la sicurezza che gli consentiva di agire senza esitazioni. Oreste diventerebbe Amleto: non più l'eroe classico, capace di gesti risoluti e propenso all'azione, ma il moderno anti-eroe, travagliato dal dubbio e bloccato all'impasse di una scelta.