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LEOPARDI

19/12/2022

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VITA
Leopardi nasce nel 1798 a Recanati nelle Marche, città appartenente allo stato pontificio. La
famiglia di Leopardi era una delle più im

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VITA Leopardi nasce nel 1798 a Recanati nelle Marche, città appartenente allo stato pontificio. La famiglia di Leopardi era una delle più importanti famiglie della nobiltà terriera marchigiana. Il padre di Leopardi era un conte e quindi Leopardi nasce in una famiglia nobile. → Quando Leopardi nasce, poiché suo padre non aveva fatto buon uso del patrimonio familiare, era la madre a doversi occupare dell'amministrazione del patrimonio. Sua madre, che assume fin da subito l'immagine di una figura dura e fredda, cerca di mantenere il patrimonio in modo da permettere alla famiglia di Leopardi di continuare a mantenere la sua posizione all'interno del rango nobiliare. → Leopardi avrà una sorella e un fratello a cui sarà molto legato. Monaldo Leopardi, suo padre, era un uomo colto ed era un conservatore reazionario cattolico piuttosto ostile alle idee rivoluzionarie (in questi anni siamo nel pieno dell'età napoleonica e della rivoluzione francese). → Monaldo possedeva un'enorme biblioteca, che è ancora oggi visitabile ed è composta da tre stanze ricolme di libri e opere particolari. In particolare si parla di una decina di migliaia di libri. Questa biblioteca sarà un luogo fondamentale per Leopardi perché in essa egli si forma da autodidatta. Il padre di Leopardi, inoltre, aveva il permesso di conservare nella sua biblioteca libri che erano inseriti...

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Didascalia alternativa:

nell'indice dei libri proibiti. FORMAZIONE → Viene istruito inizialmente da precettori privati ecclesiastici. La sua formazione da autodidatta inizia a 10 anni, quando inizia a studiare da solo tramite i libri della biblioteca paterna. → Leopardi è un giovane dotato di una mente e intelligenza non comune. Infatti impara il latino, il greco e l'ebraico. Inoltre compone opere di tipo compilativo, traduce opere latine e greche e comincia a scrivere le prime poesie. Leopardi, quando scrive le sue prime composizioni, ha solo 10 anni e questo fatto è significativo, tenendo conto che Leopardi ha ricevuto una formazione da autodidatta. Quindi le prime opere di Leopardi, anche se non furono influenti dal punto di vista letterario, sono una testimonianza della sua mente non comune. → Dal punto di vista politico, Giacomo segue gli orientamenti del padre. Tra il 1815 e il 1816 avviene la sua conversione letteraria = passa da una cultura erudita ad una maggiore sensibilità del bello, ovvero passa all'opera letteraria intesa come momento estetico. I modelli a cui si ispira sono i grandi poeti classici greci e latini come Omero, Dante e Virgilio. Legge anche le opere degli scrittori moderni come Alfieri, Foscolo, Goethe e quindi entra in contatto con la cultura romantica italiana ed europea. → Stringe un rapporto di amicizia con Pietro Giordani, uno dei più importanti intellettuali del tempo ed uno degli esponenti della corrente classicista, che rivendica una supremazia della cultura classica rispetto alla cultura temporanea. Pietro Giordani è una sorta di padre e di mentore per Leopardi, il quale trova in lui un amico ed una guida intellettuale che lo apre alla modernità. → Il contatto con il mondo esterno rende ancora più insostenibile il clima di chiusura dell'ambiente recanatese. Per questo motivo, nell'estate del 1819, il giovane Giacomo tenta la fuga, ma il suo tentativo viene scoperto dal padre. → Questo tentativo fallito di fuga lo getta in un periodo di profondo sconforto. Si tratta di un periodo di crisi che segna un'ulteriore svolta nella vita di Leopardi: il passaggio dal bello al vero. In questi anni Leopardi abbandona la poesia dell'immaginazione per dedicarsi alla ricerca del vero, ovvero della filosofia. LE ESPERIENZE FUORI DA RECANATI → La prima volta che Leopardi esce da Recanati è nel 1822 per recarsi a Roma, dove è ospite di suo zio. Questa possibilità di uscire da Recanati, desiderata molto da Leopardi, si rivela una delusione perché le sue aspettative sull'ambiente culturale di Roma erano troppo alte. Il viaggio a Roma risulta dunque un'ennesima delusione per il poeta. → Ritorna a Recanati nel 1823 dove si dedica alla scrittura delle Operette Morali, le quali affrontano diversi temi anche di carattere filosofico. In questi anni Leopardi abbandona la poesia e si dedica alla prosa. → Poi tra il 1825 ed il 1826 soggiorna a Milano e poi a Bologna, dove entra in contatto con scrittori ed intellettuali dell'epoca. Nel 1827 si trasferisce a Firenze, dove entra in rapporto con intellettuali che si riuniscono intorno ad un'importante rivista intitolata Antologia e Leopardi trova ospitalità all'interno di questo ambiente. → Nel 1828 riprende l'attività poetica, che aveva abbandonato nel 1824, scrivendo i Canti Pisano Recanatesi, chiamati così perché vengono scritti quando Leopardi si trasferisce a Pisa per l'inverno. ULTIMO SOGGIORNO A RECANATI, FIRENZE E NAPOLI Nella primavera del 1828 Leopardi ritorna a Recanati e continua a scrivere i Canti Pisano Recanatesi. Torna a Recanati a causa della sua condizione economica e perché si aggravano le sue condizioni di salute. → Leopardi rimane a Recanati fino alla primavera del 1830, quando accetta un assegno mensile con cui può lasciare il suo paese per sempre. Infatti quella è l'ultima volta che egli soggiornerà a Recanati. Dopodiché Leopardi si reca a Firenze, dove vive delle esperienze fondamentali, tra cui l'innamoramento per una giovane donna Fiorentina di nome Fanny. Da questa esperienza amorosa nascerà un gruppo di liriche denominato il Ciclo di Aspasia, nel quale affronta la tematica amorosa. Nel frattempo stringe amicizia con Antonio Ranieri a cui rimarrà legato per tutta la sua vita. → → Nel 1833 si trasferisce a Napoli, ma le sue condizioni di salute diventano sempre più precarie e morirà nel giugno del 1837. OPERE PRINCIPALI → La produzione letteraria di Leopardi è molto vasta e le opere principali sono: Canti: è l'opera che raccoglie la più importante produzione lirica di Leopardi e si tratta di una raccolta di poesie. La versione definitiva di quest'opera venne pubblicata da Antonio Ranieri nel 1845. Raccoglie in totale 41 testi scritti nell'arco cronologico tra il 1818 e 1836. Operette morali: si tratta di 24 prose filosofiche che Leopardi compose nel 1824 quando tornò a Recanati da Roma. ● Lettere: egli scrive molte lettere e il suo epistolario è molto significativo. L'epistolario non viene scritto dal poeta per essere pubblicato, ma è un insieme di lettere che Leopardi ha scritto a diversi destinatari durante la sua vita. Zibaldone: non è un'opera scritta in vista della sua pubblicazione. È una sorta di diario che Leopardi inizia a scrivere a 19 anni. Leopardi comincia a depositare i propri pensieri su un quaderno, che forma il primo nucleo di quello che lui 10 anni dopo avrebbe chiamato Zibaldone di pensieri. Questo quadernone conta circa 4526 pagine su cui egli annota tutte le sue riflessioni su vari argomenti. La parola zibaldone può essere connessa alla parola zabaione, per sottolineare la varietà di temi che Leopardi tratta in questo diario. Da pagina 100 Leopardi inizia a datare i suoi pensieri e la prima data che compare è l'8 gennaio 1820, anche se le prime 100 pagine sono state scritte a partire dal 1817. Tra il 1821 e 1823 c'è un ● periodo in cui le annotazioni si fanno più fitte e frequenti. L'ultimo pensiero risale al 1832, dopodiché negli ultimi 5 suoi anni di vita non scrive più nessuna annotazione. Si tratta di un manoscritto a carattere privato che viene riscoperto e pubblicato verso la fine dell'800. Gli argomenti sono svariati e le annotazioni sono o molto brevi o molto lunghe. Quest'opera ci consente di entrare a stretto contatto con i pensieri di Leopardi. Leopardi scrive delle opere minori come diversi aforismi e trattati tra cui è importante il Discorso di un italiano sulla teoria romantica, nel quale Leopardi esprime la sua posizione sul romanticismo, affermando di essere un poeta antiromantico. LETTERA A MONALDO LEOPARDI → Questa lettera viene scritta a Recanati a fine luglio del 1819, dopo il tentativo di fuga di Leopardi. In questa lettera Leopardi si dimostra un ragazzo dotato di una profondissima e accesissima vitalità, che però non sempre riesce ad esprimere. Emerge in questa lettera l'antagonismo leopardiano, ovvero la necessità del poeta di compiere grandi azioni, ma l'impossibilità di fare ciò in quanto si sente recluso in un ambiente che non gli permette di esprimersi. Infatti Leopardi si sente costretto all'interno di un ambiente angusto in cui non può esprimersi a pieno. - PENSIERO FILOSOFICO DI LEOPARDI È stata riconosciuta a Leopardi un'importanza non solo in quanto poeta e scrittore, ma anche in quanto filosofo. Il pensiero di Leopardi, secondo gli studiosi, è un pensiero coerente che contiene numerosi elementi di originalità. → Lungo tutto il corso dell'800 e nella prima metà 900 c'è stata una sorta di sottovalutazione del pensiero di Leopardi dovuta al fatto che si trattava di un periodo in cui prevalevano correnti filosofiche molto distanti dalla filosofia leopardiana. Infatti, nel corso dell'800, prevalsero correnti filosofiche antitetiche rispetto alla filosofia leopardiana. → Le fonti che possediamo per ricostruire il pensiero filosofico Leopardiano sono: le sue opere letterarie tra cui i Canti, le Operette morali, e i Pensieri; le lettere; alcuni scritti e saggi; Zibaldone: è un vero e proprio "magazzino" di appunti e riflessioni del poeta. Lo Zibaldone diventa una sorta di diario mentale per Leopardi ed infatti può essere considerato come la registrazione del pensiero di Leopardi e dei suoi successivi sviluppi. La finalità di questo diario non è quella di confessare i suoi stati d'animo o le sue emozioni, ma il fine è la ricerca di una verità. Dunque, pur non essendo un'opera sistematica, lo Zibaldone è fondamentale per ricostruire il sistema filosofico leopardiano. Leopardi si dimostra un filosofo in quanto cerca sempre di dare ai problemi una soluzione teorica. Egli non segue un metodo di indagine sistematico e preciso, ma la filosofia per lui è strettamente connessa al bisogno esistenziale e sociale di dare senso alla nostra esistenza. Leopardi non pensa in quanto filosofo, ma in quanto essere umano. È un filosofo che parla spesso del vero, ma il vero che interessa al poeta è il vero sociale. → I temi che Leopardi affronta sono temi di carattere filosofico ed esistenziale. A partire dal 1817 e 1818, Leopardi comincia ad organizzare la propria riflessione filosofica in termini che saranno tipici della corrente dell'illuminismo. In particolare, al centro della riflessione di Leopardi, ci sarà una determinata problematica, ossia quella dell'infelicità umana. LA NATURA E LA CIVILTÀ → Si tratta di un'annotazione ricavata dallo Zibaldone. Siamo nel 25 agosto del 1821, anno di profonda crisi per Leopardi. Leopardi, nella sua riflessione, procede in modo rigoroso. Questo testo tratta uno dei temi centrali della riflessione filosofica Leopardiana, ovvero il tema della natura. Leopardi sostiene che la natura è perfetta e riflette sul rapporto tra natura e civiltà e dà un giudizio preciso riguardante al progresso e alla storia umana: Leopardi ha un giudizio negativo della storia umana, perché sostiene che la storia dell'uomo sia un progressivo allontanamento dell'uomo dalla natura. Questo progressivo allontanamento dalla natura ha generato la necessità da parte dell'uomo di avere nuovi bisogni, che hanno portato l'uomo ad essere infelice. Dunque non è la natura ad essere imperfetta, ma è l'uomo che non si fa bastare più la natura. → Comincia a delinearsi il concetto di natura: Leopardi definisce la natura una perfetta maestra. La natura è l'unica ragione di perfezione e imperfezione, ovvero è la ragione delle cose. Per il poeta, chi vive in una condizione di perfezione, ovvero di felicità, è perché trova nella natura il soddisfacimento dei suoi bisogni e piaceri. L'uomo però, essendosi allontanato dalla natura, è diventato imperfetto ed infelice. → Leopardi concepisce la natura come un sistema ed affronta in questo passaggio il tema dell'infelicità dell'uomo, uno dei nuclei fondamentali della sua riflessione filosofica, spiegando il motivo per cui l'uomo sia felice ed infelice. Leopardi alla fine arriva ad una conclusione, affermando che il vero stato di perfezione dell'uomo è quello primitivo, ovvero quello naturale. → In questo brano il poeta delinea il SISTEMA DELLA NATURA E DELLE ILLUSIONI. In questa prima fase del pensiero leopardiano la condizione di infelicità dell'uomo non dipende dalla natura, poiché la natura fornisce all'uomo tutto ciò che basta per essere felice. → Leopardi sottolinea un problema, ovvero che l'uomo si è allontanato dalla natura a causa del progresso e della ragione. La civiltà umana ha distrutto le illusioni che rendevano la vita dell'uomo perfetta e felice. L'uomo, attraverso il perfezionamento, cioè la civiltà, si è posto in relazione con il mondo e ha compreso la realtà della sua condizione, necessitando di una serie di bisogni che lo hanno portato all'infelicità. Quindi la civiltà ha distrutto le illusioni che rendevano l'uomo felice. → In questa fase del pensiero di Leopardi si parla quindi di PESSIMISMO STORICO, poiché l'infelicità è un dato storico, ovvero non è una condizione ontologica e costitutiva dell'uomo, ma è una condizione storica. Leopardi dà un giudizio fortemente negativo sulla storia e sulla civiltà, sostenendo che l'infelicità sia un dato storico. Quindi l'infelicità non è ontologica, ossia non ha a che fare con l'essenza e la natura di una cosa, ma è un dato storico generato dalla civiltà, dal progresso e dalla ragione. → Il sistema della natura e delle illusioni si regge su 3 coppie oppositive forti e nette: antitesi tra natura e civiltà: la natura è positiva, mentre la civiltà è distruzione; antitesi tra immaginazione e ragione: la capacità immaginativa e ciò che genera le illusioni, cioè la felicità, mentre la ragione ha distrutto le illusioni; antitesi tra antichi e moderni: Leopardi ha una visione molto positiva della civiltà antica. Secondo Leopardi gli uomini antichi erano ancora capaci di grandi illusioni e perciò vivevano in una condizione di felicità. Invece i moderni, attraverso il progresso e l'uso della ragione, hanno distrutto le illusioni e hanno costretto l'uomo a una condizione di infelicità. Si parla di pessimismo storico, ma non è del tutto corretto utilizzare il termine pessimismo, perché Leopardi non è mai totalmente pessimista, anzi ritiene che ci sia ancora la possibilità di recuperare le grandi illusioni degli antichi. Infatti ritiene che l'uomo moderno possa ancora recuperare le illusioni perdute attraverso la virtù, l'azione, l'eroismo, ma anche attraverso la poesia. L'uomo può ancora recuperare le illusioni che la ragione e la civiltà hanno distrutto. È presente un SECONDO PASSAGGIO nell'opera di Leopardi: il sistema della natura e delle illusioni di Leopardi comincia ad entrare in crisi. Sono anni di cambiamenti nella vita e nel pensiero di Leopardi. Infatti in questi anni viene meno l'adesione di Leopardi al cattolicesimo a favore di un pensiero che si rifà al sensismo illuministico. Leopardi in questi anni comincia ad adottare una prospettiva che abbandona ogni forma di spiritualismo per abbracciare una prospettiva rigorosamente sensistica che diventerà addirittura materialistica. Alla base del sensismo si trova l'idea che l'unico metodo per arrivare alla conoscenza sono i sensi. → Leopardi quindi acquisisce un punto di vista materialistico e respinge ogni ipotesi di presenza di elementi spirituali. Leopardi inizia a parlare di piacere e afferma che la felicità coincide con il piacere. Il poeta inizia a riflettere sulla natura del piacere ed elabora la cosiddetta teoria del piacere. LA TEORIA DEL PIACERE CARATTERISTICHE DEL PIACERE → Il piacere non ha limiti per durata, ovvero non ha limiti di tempo in quanto non si esaurisce finché non finisce la vita. Inoltre il piacere non ha limiti per estensione, ovvero per intensità. → Leopardi fa riferimento al desiderio del piacere e afferma che il desiderio del piacere è qualcosa di connaturato nell'uomo, ovvero insito nella natura umana. Questo aspetto non riguarda solo l'uomo, perché ogni essere vivente mira al raggiungimento del piacere, che corrisponde alla felicità. Il desiderio del piacere è un dato ontologico, cioè ha a che fare con la natura dell'uomo e pertanto non ha limiti. CAUSA DELL'INFELICITÀ DELL'UOMO → L'uomo è infelice perché il piacere dell'uomo è infinito, ma i piaceri terrestri sono finiti. L'uomo è animato dal desiderio infinito ed illimitato del piacere, ma questo desiderio è sempre superiore al piacere che può essere effettivamente conseguito. Il desiderio del piacere dunque è destinato a non essere soddisfatto. Questo perché il desiderio è illimitato, mentre il mondo e l'uomo sono limitati e finiti per natura. Di conseguenza il desiderio del piacere rimane inappagato. I piaceri che l'uomo riesce a conseguire durante la sua vita sono sempre piaceri limitati e finiti e da questo deriva lo stato di infelicità dell'uomo. → Nella prima parte, per dimostrare la sua affermazione, Leopardi fa un esempio riguardante il desiderio di avere un cavallo. Leopardi, tramite questa metafora, vuole far intendere che quando desideriamo un oggetto e poi lo otteniamo non rimaniamo del tutto appagati, perché quando desideriamo qualcosa, non desideriamo in realtà quel qualcosa, ma solo il piacere. Essendo però il piacere illimitato e astratto, esso non potrà mai essere soddisfatto. FUNZIONE CHE LEOPARDI ASSEGNA ALLA FACOLTÀ IMMAGINATIVA → La facoltà immaginativa è la capacità di immaginare qualcosa nella propria mente anche se nella realtà non esiste ed è la facoltà di rendere presenti cose che non sono presenti in quel momento. Non per forza si tratta di immaginare cose irreali, ma semplicemente si tratta di produrre, attraverso le proprie facoltà mentali, immagini che sono solo nella nostra mente e non nella realtà che si ha davanti. → La facoltà immaginativa permette all'uomo di figurarsi dei piaceri che non esistono. Per Leopardi soltanto l'immaginazione può soddisfare il desiderio del piacere, perché essa può creare oggetti infiniti per numero, per durata e per estensione. L'immaginazione può creare nella nostra mente l'immagine di un piacere infinito, consentendo all'uomo di soddisfare quel desiderio infinito e illimitato del piacere. Attraverso l'immaginazione, l'uomo può creare delle illusioni che lo rendono felice. → Per Leopardi ciò che più di ogni cosa può suscitare l'immaginazione è la poesia. La poesia ha la funzione di ricreare nell'uomo le illusioni degli antichi. La poesia può ricreare quelle illusioni che il progresso e la ragione hanno distrutto rendendo l'uomo infelice. La poesia non deve essere sentimentale come quella dei romantici, ma immaginativa come quella degli antichi. PERCHÉ GLI ANTICHI SONO SUPERIORI AI MODERNI? → Secondo Leopardi, gli antichi erano più felici dei moderni, in quanto negli antichi è molto più forte l'immaginazione e quanto più l'immaginazione regna nell'uomo, tanto più egli sarà felice. Secondo Leopardi gli uomini antichi erano capaci di grandi illusioni e perciò vivevano in una condizione di felicità. Inoltre gli antichi avevano un rapporto diretto con la natura e la loro poesia era immaginativa. PESSIMISMO COSMICO → In questo brano assistiamo ad un punto di svolta: la teoria del piacere mette in crisi il sistema della natura e delle illusioni, perché cambia l'idea di natura che Leopardi si è costruito nella prima fase. La teoria del piacere mette in luce come la causa dell'infelicità dell'uomo non sia più il progresso, ma la natura stessa. La concezione della natura di Leopardi allora cambia totalmente, poiché la natura diventa la causa stessa dell'infelicità dell'uomo, perché è stata la natura a generare l'uomo con il suo desiderio di piacere infinito ed illimitato. La causa dell'infelicità dell'uomo non è più la storia, ma la natura stessa. Si apre una nuova fase, ovvero quella del pessimismo cosmico = l'infelicità dell'uomo è unicamente imputabile alla natura. Entra in crisi il sistema della natura e delle illusione e quindi entra in crisi anche il ruolo che il poeta assegna alla poesia ed è per questo che tra il 1824 ed il 1828 Leopardi abbandona la poesia per dedicarsi unicamente alla prosa. → CANTI DI LEOPARDI → I Canti di Leopardi sono l'opera che raccoglie la produzione lirica più importante e significativa del poeta e si tratta di un insieme di testi lirici. Leopardi, nel corso della sua vita, ha pubblicato varie edizioni di quest'opera, ma solo nei suoi ultimi anni di vita ha raccolto tutti i testi in un'unica opera a cui ha dato il titolo di Canti. → Quest'opera dunque ebbe diverse edizioni e l'ultima, ovvero quella definitiva, uscì postuma nel 1845 (postuma poiché Leopardi era già morto nel 1837) e venne curata da Antonio Ranieri. L'edizione definitiva si compone di 41 testi di varia lunghezza, composti in arco cronologico abbastanza ampio, ovvero dal 1816 al 1837. Leopardi, per ordinare i vari testi, non segue un ordine cronologico, ma nei Canti si intrecciano criteri di diverso tipo tra cui l'ordine cronologico, l'appartenenza di genere, la tematica e così via. È importante tenere presente la STRUTTURA DELL'OPERA: 1) Canzoni civili da 1 a 9: i primi nove testi sono canzoni che affrontano tematiche politiche e patriottico-civili. Questi nove testi sono stati composti tra 1818 e 1822. Ci sono due canzoni, ovvero il Bruto minore e l'Ultimo canto di Saffo, che sono accomunate dal fatto che entrambe trattano il tema del suicidio e in esse sono presenti figure storiche dell'antichità. Le Canzoni civili affrontano il tema dell'infelicità umana e le sue cause; 2) Testi di passaggio 10 e 11: questi due testi, intitolati Primo amore e Il passero solitario, sono due testi di passaggio e sono dedicati al tema dell'amore e dell'infelicità; 3) Idilli dal 12 al 16: Il più famoso tra questi cinque testi è l'Infinito. Gli Idilli vengono composti tra 1819 e 1821 e quindi sono testi composti nello stesso periodo delle canzoni civili, ma presentano uno stile, una forma metrica e delle tematiche molto diverse. Inoltre il linguaggio è molto più semplice e l'impostazione è più soggettiva; 4) Periodo di silenzio poetico: dal 1824 al 1828 Leopardi non compone più testi poetici tranne che per due eccezioni; 5) Quattro testi di passaggio dal 17 al 20: questa serie di testi isolati si conclude con il testo intitolato Risorgimento che anticipa la ripresa della poesia dopo la fase del silenzio poetico, durato 4 anni; 6) Canti pisano recanatesi dal 21 al 25: questi canti vengono scritti tra 1828 e 1830 quando Leopardi si trova a Pisa e poi a Recanati. In questa fase si assiste ad una ripresa della poesia e ad una svolta della metrica: queste sono delle canzoni libere e Leopardi dà dignità letteraria a questa forma metrica; 7) Ciclo di Aspasia dal 26 al 29: questi 4 canti costituiscono il Ciclo di Aspasia. Il tema è quello amoroso e infatti c'è una riflessione sull'amore e tale riflessione viene generata da un fatto biografico, ovvero Leopardi si ispira all'amore che prova per una nobildonna fiorentina chiamata Fanny, che lui chiama con lo pseudonimo di Aspasia; Canzoni sepolcrali da 30 a 31: i canti 30 e 31 sono due canzoni che trattano il tema della morte e dei sepolcri; 8) 9) Palinodia: il testo 32 è una palinodia, ovvero una ritrattazione, un'epistola in versi in cui Leopardi finge di ritrattare le proprie opinioni ed idee; 10) Ultimi due testi dal 33 al 34: questi due testi sono molto importanti ed appartengono agli ultimi mesi di vita di Leopardi. Sono II tramonto della luna e La Ginestra. Questi due testi contengono molte novità ed aprono una nuova fase nel pensiero leopardiano. IDILLI → Gli Idilli sono un gruppo di testi che Leopardi scrive parallelamente alla stesura delle Canzoni civili. Leopardi li definisce dei componimenti che esprimono "situazioni, affezioni, avventure storiche del mio animo". Questa espressione è importante perché Leopardi sottolinea il carattere soggettivo ed esistenziale degli Idilli rispetto al significato civile e oggettivo delle Canzoni civili. Attraverso questa definizione, Leopardi vuole sottolineare l'impostazione soggettiva e personale degli Idilli. → L'idillio è un genere poetico che ebbe una grande fortuna nel corso del 700 e che Leopardi riprende e trasforma radicalmente. La caratteristica principale degli idilli era quella di essere poesie brevi che descrivevano elementi paesaggistici. Siamo nell'ambito della poesia preromantica e il paesaggio diviene l'occasione per fare riflessioni esistenziali. Leopardi trasforma radicalmente questo genere di poesia, facendo degli Idilli non solo delle poesie di carattere descrittivo, ma accentuando il loro carattere filosofico. Negli Idilli Leopardi racconta delle esperienze soggettive ed esistenziali. → Però l'espressione della propria condizione personale in Leopardi non è mai unicamente finalizzata all'espressione individuale delle proprie emozioni, ma l'esperienza personale acquisisce un valore filosofico e conoscitivo. → Dal punto di vista stilistico, gli Idilli sono scritti in endecasillabi sciolti, cioè non ci sono rime. Le poesie sono di varia lunghezza, ma sempre relativamente brevi. Il linguaggio diventa più semplice ed il lessico non è più difficile ed erudito come quello delle Canzoni civili, ma è più piano ed immediato. Lo stile si avvicina a quello di un colloquio intimo con sé stesso in cui il poeta si rivolge a sé. → Con l'espressione Grandi Idilli si intendono i Canti pisano recanatesi. Questi canti segnano un mutamento radicale nella poetica di Leopardi quindi accostarli agli Idilli non è corretto. Infatti c'è una forte discontinuità tra Idilli e Canti pisano recanatesi. Vengono chiamati Grandi Idilli perché nei canti pisano recanatesi Leopardi riprende alcune immagini che ricordano quelle degli Idilli. Però i canti pisano recanatesi hanno poco in comune con gli Idilli dal punto di vista della poetica. INFINITO → L'infinito è il primo degli Idilli e viene composto a Recanati nel 1819. Il tema della poesia è l'infinito e questo è un tema molto presente anche nello Zibaldone. Le riflessioni sul tema dell'infinito e dell'indeterminato presenti nello Zibaldone sono tutte riflessioni cronologicamente posteriori all'Infinito. L'Infinito quindi nasce da un'intuizione poetica che Leopardi successivamente riprende e sviluppa attraverso le riflessioni nello Zibaldone. Questo ci fa capire come il rapporto tra attività poetica e riflessione filosofica è un rapporto biunivoco. Non sempre il poeta riflette su questioni filosofiche e poi produce le poesie, ma alcune volte l'attività poetica precede il momento della riflessione filosofica. Quindi c'è sempre una dinamica complessa tra i due momenti: il momento dell'espressione artistica e quello della riflessione filosofica sono sempre intrecciati in Leopardi. CONTENUTO POESIA → La poesia è composta da 15 versi e lo stile è chiaro, piano, semplice e meno erudito. Inoltre è presente un'impostazione soggettiva ed esistenziale. Leopardi in questa poesia descrive un processo immaginativo e in particolare Leopardi immagina l'infinito. Un lettore al tempo di Leopardi si sarebbe immaginato di leggere una poesia incentrata sulla descrizione di elementi paesaggistici come era solito negli Idilli, ma Leopardi modifica questa caratteristica degli Idilli. → Nella PRIMA PARTE, ovvero nei primi tre versi, Leopardi descrive una siepe che non permette all'osservatore di guardare quello che c'è oltre. È interessante notare l'utilizzo di alcune parole all'interno del primo verso: ● L'avverbio sempre dà l'idea di una consuetudine, ovvero di un'esperienza ripetuta più volte dal poeta; ● L'aggettivo caro dà un idea di familiarità e consuetudine con il luogo che Leopardi sta descrivendo; Il verbo fu, al primo verso, è l'unico verbo al passato presente nella lirica, mentre tutti gli altri verbi sono al presente. ● → Il ritmo dei primi tre versi è uniforme. È presente anche una prevalenza di parole bisillabiche che conferiscono alla poesia un ritmo cadenzato. → La prima parte termina con il punto fermo del terzo verso, che è l'unico punto presente a fine verso in tutta la poesia. Nella SECONDA PARTE, ovvero dal quarto verso, cambia tutto. Infatti il quarto verso si apre con la congiunzione avversativa ma, utilizzata per sottolineare il cambiamento rispetto a quanto descritto fino a quel punto della poesia. → Il cambiamento riguarda soprattutto il ritmo, che cambia totalmente. Il ritmo della seconda parte è particolare e ci sono una serie di pause (virgole ed enjambements presenti in quasi tutti i versi). Tutti questi procedimenti creano un ritmo frantumato, dovuto alle numerose paure interne, ma allo stesso tempo, c'è un ritmo scorrevole grazie alla presenza degli enjambements. → Il testo, dal punto di vista sintattico, presenta una STRUTTURA piuttosto evidente: • I primi tre versi descrivono la situazione iniziale; ● Dal verso 3 al 8 si apre la seconda parte che si conclude con un punto fermo. In questa parte Leopardi comincia a immaginare ciò che è presente oltre la siepe. In particolare si immagina degli spazi interminati e quindi fa riferimento ad un infinito spaziale. In questa parte prevale il tema dello spazio e della vista. La prima reazione a questa fase immaginativa è un senso di paura; Dal verso 8 al 13 Leopardi immagina un altro tipo di infinito, un infinito temporale che viene generato da sensazioni di tipo uditivo; Gli ultimi tre versi descrivono l'esito di questo processo immaginativo: il poeta vive una sorta di annegamento e naufragio. Leopardi utilizza la parola dolce che fa riferimento ad uno stato di felicità e di piacere, ma viene descritto un annegamento, un naufragio e questi non sono termini positivi. Inoltre negli ultimi versi c'è l'unica metafora presente in tutta la lirica. Con questa metafora Leopardi vuole indicare l'immensità della sua immaginazione nella quale lui si sente annegare. Inoltre si può notare un parallelismo formale tra i primi tre versi e gli ultimi tre versi (quest'ermo colle all'inizio e questo mare alla fine) e quindi c'è una sorta di ripresa tra i primi versi e gli ultimi. ANALISI POESIA → La poesia ha una struttura simmetrica ed è presente una circolarità. Infatti ci sono vari parallelismi tra il primo e l'ultimo verso. Inoltre possiamo notare che una struttura progressiva: si parte da un colle, ovvero qualcosa che sta in alto, e si arriva al mare, che è l'elemento opposto al colle. → Leopardi, in questa poesia, cerca di descrivere un'esperienza, ma non sta semplicemente rievocando un'esperienza che lui ha vissuto. Il poeta sta vivendo l'esperienza nel momento stesso in cui sta scrivendo la poesia. Questo testo ha un valore di tipo performativo, ovvero Leopardi sta raccontando qualcosa che sta succedendo nel tempo stesso in cui lui sta scrivendo (non a caso il tempo verbale che Leopardi utilizza è il presente). → Leopardi in questa lirica, particolare dal 4 verso, utilizza una serie di parole abbastanza inusuali e inconsuete nel linguaggio lirico come per esempio interminati spazi, sovrumani silenzi, infinito, eterno, immensità, profondissima e tutte queste parole creano una sorta di effetto infinitivo. → Un'altra caratteristica formale di questa lirica è l'utilizzo accorto dei deittici, che sono una classe di parole che acquistano un significato solo in riferimento ad un preciso contesto. Leopardi utilizza tre deittici spaziali (questa, quello, queste) che fanno riferimento al contesto in cui avviene l'atto comunicativo. Leopardi utilizza gli aggettivi questa e questo per indicare che sta facendo riferimento a qualcosa di reale, ovvero ad elementi vicini a lui in quel momento. Invece utilizza quella e quello quando fa riferimento a qualcosa di lontano, ovvero a qualcosa che non si trova nello spazio di realtà, ma nello spazio dell'immaginazione. → In questa poesia si mescolano dati reali (colle, siepe, rumore del vento) con dati immaginari (interminati spazi, sovrumani silenzi, infinito, eterno, quiete, mare). → Leopardi utilizza questo o quello a seconda della dimensione in cui si trova, se quella reale oppure quella immaginaria. Leopardi sta descrivendo un processo immaginativo, ovvero un continuo andare avanti ed indietro del pensiero tra uno spazio di realtà e uno spazio immaginativo. Il processo immaginativo per Leopardi consiste proprio nel movimento del pensiero tra la realtà e l'immaginario. Per questo una delle operazioni fondamentali che il pensiero compie è quella della comparazione tra dato reale e dato immaginario. Il confronto tra realtà ed immaginazione riesce a generare nel poeta l'idea di infinito. → Questa è l'unica lirica in cui Leopardi sembra affermare la possibilità da parte dell'uomo di trovare appagamento nella vita. → In questa poesia il poeta si trova in cima al colle e una siepe gli impedisce di guardare l'orizzonte, ma proprio questa situazione lo porta ad immaginare quello che può esserci oltre la siepe: interminati spazi, sovrumani silenzi e profondissima quiete. Questo provoca in lui un senso di paura che lo fa tornare alla realtà. Nella realtà sente il vento che passa tra le foglie ed il poeta paragona l'infinito silenzio al rumore impercettibile del vento. Questa comparazione fa sì che lui si immagini l'infinito temporale: l'eternità, il passato, il presente. L'esito di questo processo immaginativo è una sorta di annegamento del pensiero in questa immensità che genera nel poeta una sensazione di felicità e piacere. POETICA DI LEOPARDI → Per poetica si intende l'idea e la funzione che Leopardi affida alla poesia. La poetica del vago e dell'indefinito è strettamente collegata con la prima fase della poetica leopardiana, ovvero quella delle Canzoni civili e degli Idilli, ma anche con il sistema della natura e delle illusioni. → Per capire quella che è la poetica di Leopardi ci rifacciamo ad alcuni testi dello Zibaldone e anche ad un saggio intitolato Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, attraverso il quale Leopardi partecipa al dibattito tra classici e romantici che stava avvenendo in italia in quegli anni. Tra il 1823 ed il 1824 avverrà un mutamento di poetica che coincide con la stesura delle operette morali e l'abbandono temporaneo della poesia. IL VAGO, L'INDEFINITO E LE RIMEMBRANZE DELLA FANCIULLEZZA → Il poeta racconta che cosa avviene da fanciulli rispetto al piacere suscitato da diverse esperienze. Leopardi descrive come nei fanciulli si genera il piacere ed afferma che a generare il piacere è sempre un'esperienza di tipo sensibile. Il piacere di cui parla Leopardi è sempre vago ed indefinito, perché ciò che viene creato dall'immaginazione è sempre indeterminato e senza limiti. Leopardi afferma che il diletto che si prova da fanciulli è maggiore rispetto a quando si è grandi. INDEFINITO E INFINITO → Leopardi cerca di capire la correlazione che sussiste tra indefinito e infinito. Leopardi dice che le immagini indefinite ci danno piacere e diletto perché si avvicinano molto, nella percezione, a qualcosa che è infinito. Dunque le immagini indefinite provocano in noi l'idea di infinito. TEORIA DELLA VISIONE → Leopardi fa riferimento a percezioni sensoriali che, quando non sono chiare, dettano in noi immagini indefinite. Le percezioni non nitide generano in noi idee indefinite, che generano in noi piacere, perché stimolano l'immaginazione. Leopardi fa una serie di esempi sensibili, ovvero procede facendo sempre riferimento all'esperienza. Leopardi sta cercando di descrivere i modi in cui viene stimolata l'immaginazione ed in particolare individua nelle immagini vaghe ed indefinite quello che più stimola l'immaginazione, generando quindi i piaceri più forti. → Leopardi dice che, siccome la realtà non può fornire all'uomo i mezzi per soddisfare il desiderio del piacere, che è infinito e indeterminato, l'unico modo per soddisfare questo desiderio di piacere è l'immaginazione. È solo sul piano delle immaginazioni e delle illusioni che l'uomo può provare piacere, perché questo non può avvenire nella realtà, dato che essa per sua natura è finita e limitata. INDEFINITO E POESIA Leopardi dice che tutte le arti, compresa la poesia, hanno una funzione ben precisa, ossia quella di riprodurre le immagini che nella realtà e nella natura producono in noi una sensazione di piacere. Il compito delle arti è quindi quello di riprodurre quelle sensazioni che suscitano in noi piacere. POESIA DELL'IMMAGINAZIONE E POESIA SENTIMENTALE → Leopardi contrappone due tipi di poesia: poesia dell'immaginazione: è il tipo di poesia capace di utilizzare i sensi e le sensazioni per stimolare nei lettori l'immaginazione, per produrre delle sensazioni forti. Questo tipo di poesia, ovvero quella dell'immaginazione, viene contrapposta alla poesia sentimentale. La poesia antica era una poesia dell'immaginazione ed il compito della poesia era dunque quello di stimolare l'immaginazione; ● poesia sentimentale: Leopardi critica la poesia moderna, ovvero quella romantica, perché è una poesia sentimentale. I romantici per Leopardi hanno rotto il legame tra poesia e natura. Ciò che a Leopardi non va bene è che al centro della poesia romantica c'è il sentimento dell'uomo, ovvero ciò che l'uomo prova e sente, ma ciò che l'uomo prova è sempre un sentire malinconico, cioè che esprime la consapevolezza dello stato di infelicità in cui l'uomo si trova. Facendo ciò, la poesia romantica viene meno al suo compito, ovvero creare illusioni mediante l'immaginazione. La poesia romantica è sentimentale perché esprime la consapevolezza che l'uomo ha acquisito con la ragione. Leopardi vuole riprendere la poesia classica, ma non per i suoi aspetti formali e stilistici, ma perché la considera una poesia dell'impaginazione. → In conclusione, per Leopardi il compito della poesia è quello di stimolare l'immaginazione. OPERETTE MORALI Le Operette morali sono un'opera fondamentale che segna un passaggio importante nell'evoluzione del pensiero, della filosofia e della poetica leopardiana. Leopardi scrive le Operette morali nel 1824, anno in cui ritorna dal viaggio a Roma. Egli si trova a Recanati e tra gennaio e novembre del 1824 si dedica alla scrittura di quest'opera. Dunque abbandona la scrittura poetica per dedicarsi alla prosa. - L'opera si compone di 24 testi autonomi di argomento filosofico con un tono ironico e satirico. Leopardi concepisce questi testi già qualche anno prima. Infatti ci sono annotazioni in cui Leopardi parla di queste operette in particolare tra il 1819 ed il 1820. Leopardi ribadisce nello Zibaldone l'intenzione di scrivere dialoghi satirici alla maniera di Luciano. Leopardi individua il modello di questo genere letterario in un autore greco, Luciano, autore di dialoghi satirici. Leopardi quindi riprende questo genere letterario e ne dà una sua interpretazione in chiave moderna. → Questi testi sono delle prose e la maggior parte dei testi sono costituiti da dialoghi tra due persone o due entità. Altri testi, invece, hanno carattere più narrativo o discorsivo. TEMATICHE → I temi affrontati nelle Operette morali vengono specificati da Leopardi stesso nello Zibaldone. Leopardi vuole portare argomenti propri della tragedia all'interno della commedia, ovvero vuole trattare questioni serie riguardanti la politica, la società, la morale, la felicità, lo spirito e l'andamento generale del secolo, ma con tono satirico. Leopardi vuole trattare argomenti seri e filosofici, ma con il tono tipico della commedia, cioè ironico e satirico. Per fare ciò sceglie la forma dei dialoghi che hanno come protagonisti diversi personaggi. → Tra i protagonisti dei dialoghi sono presenti personaggi storici (come Cristoforo Colombo e Copernico), personaggi mitologici (come Prometeo), personificazioni della morte, della natura, della terra e della luna. Ci sono poi personaggi letterari (come Parini e Torquato Tasso), personaggi anonimi (per esempio il venditore ed il passante). → Le operette sono prose di argomento filosofico in cui Leopardi fa il punto del suo sistema filosofico, ovvero riprende tematiche già affrontate nei testi precedenti e nello Zibaldone. → Non è un caso che la scrittura delle Operette morali coincide con l'abbandono della poesia. Infatti, nel 1824, Leopardi abbandona la poesia lirica per scrivere le Operette morali ed inizia in questo momento la fase del silenzio poetico che durerà quattro anni, ovvero fino al 1828. DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE → Si tratta di un dialogo tra due entità, ovvero un islandese e la personificazione della natura. Questo dialogo è introdotto e si conclude con due brevi inserti di tipo narrativo, mentre per il resto si tratta di un susseguirsi di battute tra la natura e l'islandese. L'incontro avviene in un luogo incontaminato in cui nessun uomo era mai stato prima. La natura viene personificata in una donna. All'inizio c'è un breve scambio di battute in cui l'islandese dice che è scappato dalla natura per tutta la sua vita e ora si ritrova di nuovo di fronte alla natura stessa. DISCORSO DELL'ISLANDESE → La natura pone all'islandese una domanda, ovvero gli chiede il motivo per cui egli scappava dalla natura. Rispondendo, l'islandese racconta la sua vita (da verso 24 a 125). L'islandese afferma che, grazie alla sua esperienza, che per Leopardi è il punto di partenza per tutto, riesce a comprendere la vanità della vita. Grazie a un processo conoscitivo, dice di aver compreso sin da subito l'insensatezza dell'esistenza e la stoltezza degli uomini. Gli uomini non fanno altro che essere la causa della propria infelicità e l'infelicità risiede proprio nei rapporti umani. → L'islandese continua dicendo che, una volta capito che l'uomo non può raggiungere la felicità, ha cercato di allontanarsi dagli uomini per vivere senza soffrire. L'islandese quindi tenta di allontanarsi dalla società per vivere senza sofferenze, ma capisce che questo è impossibile. Infatti l'islandese dice che, anche essendo lontano e vivendo in solitudine, non ha mai smesso di soffrire. La sua sofferenza infatti è causata dalla natura e dunque, anche lontano dalla vita associata, non è possibile vivere senza soffrire. → Dice di essersi allontanato dall'Islanda per cercare sulla terra un posto dove non si soffre, ma non ha trovato un luogo dove non si soffra. Nel suo discorso l'islandese fa riferimento alla teoria del piacere e afferma che la natura ha portato l'uomo ad avere un insaziabile avidità del piacere. L'esperienza dell'islandese lo ha portato a concludere che la natura è nemica di tutti gli esseri viventi e che la natura è carnefice di ciò che la natura stessa ha generato. RISPOSTA DELLA NATURA → Nella prima parte l'islandese, sulla base della sua esperienza, muove una serie di accuse alla natura. Il punto di svolta comincia con la risposta della natura (dal verso 125 a 155). La natura risponde all'islandese affermando che le cose non avvengono perché lei ha deciso di procurare loro sofferenza, ma avvengono indipendentemente dalla sua volontà. La natura dunque proclama la sua totale indifferenza nei confronti di tutti gli esseri viventi. BATTUTA ISLANDESE → L'islandese risponde facendo un esempio allegorico, ovvero fa l'esempio di un uomo che viene invitato ed ospitato in una casa, ma poi viene trattato male. Questa battuta si conclude con una serie di domande che l'islandese pone alla natura. Egli si chiede perché la natura, dato che lo ha creato, non lo rende felice o perlomeno non lo fa soffrire. L'islandese pone al centro della riflessione il tema dell'esistenza e della sofferenza, chiedendosi il senso del suo patimento e della sua sofferenza. RISPOSTA NATURA → La natura dà una risposta a queste domande dando una definizione di cosa sia la natura stessa. In questa risposta della natura è tracciato in sintesi il ciclo inesorabile della materia. La natura non è altro che un ciclo continuo di creazione e distruzione, governato da leggi immutabili a cui nessuno può sottrarsi. L'esistenza non è altro che materia che si crea e distrugge in un ciclo continuo che è finalizzato all'autoconservazione del mondo. La vita dell'uomo non ha alcun senso, non tende a nessun fine se non quello dell'autoconservazione. Questa affermazione della natura fa ben capire come è cambiata la concezione della natura in Leopardi a partire dalle Operette morali. Quest'opera segna un punto di svolta, perché emerge una nuova consapevolezza in Leopardi: il poeta non considera più la natura un'entità benefica che fornisce all'uomo le illusioni per essere felice, ma afferma che la natura non è altro che l'insieme delle leggi e dei meccanismi che regolano l'esistenza in un ciclo continuo di creazione e distruzione. ULTIMA BATTUTA DELL'ISLANDESE → L'islandese accoglie questa idea della natura, ma rilancia di nuovo una domanda, ovvero si chiede che senso ha tutto questo. La sua domanda, però, rimane senza risposta. →Alla fine viene raccontata la morte dell'islandese, ma vengono date due versioni della sua morte: viene mangiato da due leoni affamati; arriva un vento di sabbia che seppellisce l'islandese, il cui corpo viene mummificato. → La morte dell'islandese ha un significato simbolico. Infatti non viene fatto altro che confermare ciò che era stato detto prima, ovvero che la natura è un circuito di creazione e distruzione. Questo finale ironico non fa altro che ribadire la tesi fondamentale della natura. SIGNIFICATO → Questa operetta morale costituisce un punto di svolta nel pensiero leopardiano: si passa dal cosiddetto pessimismo storico al pessimismo cosmico. Leopardi nega alla radice ogni possibilità dell'uomo di essere felice. Quindi si passa dalla concezione di una natura benefica che provvede, attraverso le illusioni, alla felicità dell'uomo, ad una natura nemica e persecutrice. → L'islandese non viene scelto a caso, ma è un personaggio anonimo e comune che rappresenta l'umanità. Egli rappresenta il punto di vista dell'umanità ed il suo punto di vista è fondato sulla sua esperienza. Non a caso egli continua a far riferimento alle sue esperienze e quindi le sue riflessioni si basano su ciò che ha sperimentato direttamente. Questa operetta si basa sulla tecnica dell'accumulo, ovvero l'islandese descrive tutte le sue esperienze e la sua descrizione assume un tono di tragica terribilità: climi avversi, tempeste, cataclismi, bestie feroci, malattie e mali. Quindi c'è l'idea di una natura nemica, che mette al mondo le sue creature per poi perseguitarle. → Sia l'islandese che la natura assumono il punto di vista di Leopardi stesso ed entrambi sono portatori del punto di vista di Leopardi. La vita dell'islandese rappresenta allegoricamente il percorso di riflessione che Leopardi ha fatto. Ci sono però idee differenti che emergono dalle battute dell'islandese e dalle battute della natura. L'islandese dice che la natura è maligna e malvagia poiché causa all'uomo una serie di sofferenze e di patimenti. Le battute della natura, invece, fanno emergere un'altra idea di natura, ossia quella di una natura meccanicistica, che è semplicemente indifferente. → La conclusione risulta aperta, poiché, nonostante l'affermazione di radicale pessimismo, l'islandese è comunque animato dal tentativo di trovare delle risposte, che non ci sono, ma che non smette di cercare. Il suo continuo domandare è ciò che lo caratterizza. La ricerca di senso da parte dell'uomo, che l'islandese rappresenta, non trova una risposta definitiva, ma è tanto più acuta quanto è possibile insoddisfarla. LA CONTRADDIZIONE SPAVENTEVOLE → Si tratta di una pagina dello Zibaldone. All'inizio Leopardi dice che il fine di ogni uomo non è altro che la felicità, ovvero il piacere e quindi viene ripresa la tesi centrale della teoria del piacere. → Poi viene detto che il numero dei piaceri che un uomo può provare nella vita è di gran lunga inferiore rispetto al numero delle sofferenze che si provano nella vita. Quindi il fine della natura in generale non è la felicità o il piacere dell'uomo. → La contraddizione spaventevole consiste nel fatto che gli uomini e gli esseri viventi hanno come fine ultimo la felicità, ma il fine ultimo della natura è l'infelicità. IL GIARDINO DELLA SOFFERENZA Siamo nella fase del pessimismo cosmico e siamo nel 1826, ovvero due anni dopo la scrittura delle Operette morali. Leopardi, per spiegare che l'infelicità è la condizione esistenziale dell'uomo e di tutti gli esseri viventi, fa una descrizione di un giardino della sofferenza, ovvero un giardino primaverile e quindi "piacevole" che però è ricco di sofferenza. CANTI PISANO RECANATESI → I canti pisano recanatesi rappresentano la seconda fase della produzione di Leopardi. Dopo la stesura delle Canzoni civili e degli Idilli, avviene un passaggio fondamentale tra 1823 e 1824 che coincide con la stesura delle Operette morali. → Le Operette morali segnano l'inizio della fase del silenzio poetico, in cui Leopardi abbandona la poesia per dedicarsi alle Operette morali, perché le riflessioni di questi anni mettono in crisi la funzione stessa che Leopardi aveva assegnato alla poesia negli Idilli e nelle Canzoni civili. → Dal 1824 al 1828 Leopardi compone solo due componimenti, ovvero due poesie in cui egli afferma la rinuncia alla scrittura e alla poesia. Questa rinuncia non sarà definitiva. Infatti egli riprende a scrivere testi poetici nella primavera del 1828. → Nella primavera del 1828 scrive due testi fondamentali che aprono la serie dei Canti pisano recanatesi: ● Risorgimento: questo testo ha una funzione programmatica, perché qui Leopardi giustifica la ripresa della poesia ed espone la nuova funzione che assegna alla poesia in questa fase. Leopardi non assegna alla poesia la stessa funzione che aveva negli Idilli e nelle Canzoni civili, ma c'è un mutamento di poetica, ovvero si apre una nuova fase della poesia Leopardiana. Il Risorgimento non a caso apre la serie dei Canti pisano recanatesi; → A Silvia: viene composta nell'aprile del 1828 a Pisa. Alla fine del 1828 Leopardi ritorna a Recanati e rimane fino al 1830 e questo sarà l'ultimo suo soggiorno a Recanati. Tra il 1828 ed il 1830 Leopardi compone i Canti pisani recanatesi che sono: A Silvia, Ricordanze, Il canto notturno d'un pastore errante dell'Asia, Il sabato del villaggio, La quiete dopo la tempesta. La disposizione di questi testi è particolare perché i primi due testi sono accomunati dal medesimo tema, ovvero quello del ricordo e della memoria, mentre gli ultimi due testi sono accomunati dal tema del piacere. In mezzo c'è Il canto notturno d'un pastore errante dell'Asia. CANZONE LEOPARDIANA Leopardi inaugura una nuova forma di metrica, ovvero la canzone libera chiamata anche canzone Leopardiana, perché Leopardi è il primo che codifica questo genere. In generale la canzone è un componimento pluristrofico in cui si ripete il numero di versi e lo schema delle rime. I versi sono tutti endecasillabi e settenari alternati in modo vario. La struttura della prima strofa si ripete identica in tutte le altre strofe e la strofa è composta da una fronte e da una sirma. → La canzone libera o canzone leopardiana parte da questa forma metrica, ma la elabora in una forma più libera. Infatti la canzone leopardiana è un componimento pluristrofico in cui vi sono endecasillabi e settenari alternati liberamente. Vi è la presenza di alcune rime, ma lo schema delle rime è libero. Inoltre anche la lunghezza delle strofe è libera. L'unica cosa che rimane della canzone tradizionale è la misura dei versi (endecasillabi e settenari), il fatto che si tratta di componimenti pluristorfici e la presenza delle rime (che però sono libere). → Uno degli elementi che caratterizza la canzone leopardiana è che in tutte le canzoni di Leopardi c'è un elemento ricorrente in tutte le strofe (stessa rima per esempio). Nel caso di A Silvia l'elemento che si ripete è che l'ultimo verso di ogni strofa è sempre un settenario rimato con un verso precedente della stessa strofa. A SILVIA È il primo testo in cui Leopardi utilizza la forma metrica della canzone libera. Questa canzone è composta da sei strofe di diversa lunghezza. I versi sono tutti endecasillabi e settenari e ci sono diverse rime. - →→ Alla base di questa canzone c'è un evento storico biografico, ovvero la morte di Teresa Fattorini e questo lo sappiamo grazie ad un'annotazione presente nello Zibaldone. Teresa Fattorini era la figlia del cocchiere di casa Leopardi. In questo testo il poeta si rivolge direttamente a Silvia, ma questo è solo uno pseudonimo e non nome vero. CONTENUTO E ANALISI Il linguaggio ed il lessico è chiaro e semplice. Il tema principale di questa poesia è il ricordo, tema che compare già nel primo verso in cui è presente il verbo rimembri e l'avverbio ancora. PRIMA STROFA → Nel primo verso il poeta si rivolge a Silvia chiedendole se ancora si ricorda il tempo della sua giovinezza. Si tratta una domanda retorica e la risposta è negativa perché ormai Silvia è morta e dunque non può ricordarsi della sua giovinezza. → La poesia si apre con il tentativo da parte del poeta di instaurare un dialogo con una donna morta. La prima strofa ha una grande importanza perché condensa tutti i motivi ricorrenti nella poesia. → La prima strofa ha una struttura circolare perché comincia con il nome proprio di Silvia e si conclude con un anagramma di quel nome, ovvero salivi. → In questa strofa viene evocata la giovinezza di Silvia ed emerge una visione positiva della giovinezza (gli occhi ridenti e fuggitivi e Silvia lieta). Però ci sono già degli elementi che fanno presagire l'esito di questa vicenda: ● al verso 2 viene sottolineato che la vita è mortale; ● anche l'aggettivo pensosa getta ombra sulla vicenda di Silva. SECONDA STROFA → La seconda strofa è ancora dedicata a Silvia e alla sua giovinezza. Questa strofa descrive la vita di Silvia da giovane. Siamo in primavera e Silvia è colta nella sua attività principale, ovvero quella della tessitura. In particolare ci sono una serie di immagini che colpiscono i 5 sensi (per esempio il canto, il maggio odoroso e così via). → Ancora una volta c'è l'immagine di Silvia contenta. Ciò che la rende contenta è il pensiero per il futuro, che è vago ed indeterminato. Le sensazioni vaghe per Leopardi generano in noi i piaceri più forti. Quindi Silvia è felice perché nutre speranza nel futuro. → Dunque le prime due strofe sono dedicate a Silvia, che viene descritta durante la giovinezza, ovvero l'età caratterizzata dalla speranza per il futuro. TERZA STROFA → La terza strofa si apre con il pronome io e quindi si parla del poeta. Leopardi, dalla casa del padre, percepisce i suoni e le sensazioni che derivano dall'attività di Silvia. → Il poeta, nella terza strofa, viene descritto nell'età della giovinezza. Leopardi e Silvia sono accomunati dall'età della giovinezza, ovvero dal fatto che entrambi nutrono speranza per il futuro e sono felici. QUARTA STROFA → La quarta strofa è dedicata ad entrambi, infatti il poeta utilizza il pronome noi. Silvia e il poeta sono accomunati dalle speranze, dai pensieri soavi e dai desideri per il loro futuro. → Leopardi parla della sua sventura e inizia a rivolgersi alla natura, chiedendole il motivo per cui inganna gli uomini, non realizzando quello che aveva promesso. In questo punto si comprende che il tema della poesia A Silvia non è solo quello del ricordo, ma anche il tema della disillusione. → Non a caso questi versi sono collocati a metà di tutta la lirica, perché sono i versi chiave della canzone. QUINTA STROFA → Nella quinta strofa Leopardi si rivolge a Silvia, infatti utilizza il pronome tu. Silvia muore prematuramente a causa di una malattia e quindi le speranze che nutriva per futuro non si sono realizzate a causa della morte. Questa strofa dunque è dedicata alla caduta delle speranze di Silvia a causa della sua morte. SESTA STROFA → La sesta strofa è dedicata al poeta, a cui è stata negata la giovinezza. In questa strofa è presente una esclamazione, nella quale il poeta si rivolge alla speranza. → Il destino singolare del poeta si carica di un significato universale, ovvero è il destino dell'intera umanità. Il poeta si chiede se è questa la sorte che la natura ha riservato agli uomini. È presente una sovrapposizione perché nell'ultima strofa, e in particolare nell'ultima frase, l'espressione cara compagna, potrebbe riferirsi, dal punto di vista semantico, sia a Silvia che alla speranza. Attraverso queste ambiguità semantiche si crea una sovrapposizione tra la figura di Silvia e la speranza personificata. Infatti, al di là del significato storico e biografico del personaggio di Silvia, ella assume un valore allegorico. Silvia diventa allegoria e personificazione della speranza e la morte di Silvia in tenera età rappresenta il venir meno di quelle speranza ed illusioni che caratterizzano la giovinezza. In questa poesia la figura di Silvia assume un significato allegorico. - → Il significato di questa poesia è la presa di coscienza della fine delle illusioni. La verità inizia a prevalere sulle illusioni e per il poeta non c'è più possibilità di illudersi perché la natura nega all'uomo questa possibilità. → L'idea di natura che emerge in questa canzone corrisponde alla stessa visione di natura presente nel testo Dialogo tra la natura e un islandese, ovvero la natura è concepita come causa dell'infelicità dell'uomo. → A partire dai Canti pisano recanatesi, Leopardi non assegna più alla poesia il compito di recuperare le illusioni tramite l'immaginazione, ma assegna alla poesia una funzione diversa, ovvero quella di raccontare la realtà e la verità. La poesia dunque non è più una poesia immaginativa, ma una poesia-pensiero. Il compito della poesia ora è quello di affermare la verità delle cose. Questa poesia apre i Canti pisano recanatesi ed inaugura una nuova stagione della poesia Leopardiana. Tutta la poesia quindi è giocata e basata su un forte parallelismo tra il poeta e la figura di Silvia che sono accomunati dal loro destino, ovvero dal fatto di non poter vedere realizzate le loro speranze. LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA → Questa lirica fa parte dei Canti pisano recanatesi e compone, insieme al Sabato del villaggio, una sorta di dittico, nel senso che le due liriche sono accomunate dalla riflessione sulla medesima tematica. → È stata composta tra il 17 ed il 20 settembre 1829. È una canzone libera e le strofe in totale sono tre di diversa lunghezza: la prima è composta da 24 versi, la seconda è leggermente più breve, mentre la terza è la più breve. Quindi le tre strofe sono disposte in ordine decrescente. → Il componimento è suddivisibile in tre parti corrispondenti alla tre strofe. La prima strofa è descrittiva, la seconda è riflessiva, mentre nella terza strofa il poeta, in modo ironico, esprime la sua critica e le sue considerazioni finali: nella prima strofa Leopardi descrive la vita del borgo che, dopo un forte temporale, torna alle attività quotidiane; nella seconda strofa comincia la riflessione del poeta sulla condizione umana e sul piacere che risulta illusorio e vano; la terza strofa presenta una constatazione amara e ironica della sorte dell'uomo, ovvero sul destino di infelicità a cui l'uomo è destinato. → Questa poesia ha una struttura molto chiara e definita: inizia con una parte descrittiva a cui segue una parte riflessiva. Queste tre strofe sono state all'origine giudicate negativamente, poiché questo componimento sembrava poco riuscito a causa del forte stacco tra ogni strofa. In realtà questo componimento venne rivalutato dalla critica moderna che ha evidenziato come questi tre passaggi abbiano un loro significato ed una loro precisa funzione. → La prima strofa è una strofa riflessivo idillica, mentre, a partire dalla seconda strofa, c'è una presa di coscienza del vero, ovvero inizia una parte riflessiva. Quindi c'è uno stacco netto tra il momento "idillico" del componimento e le riflessioni filosofiche. Nella prima strofa Leopardi sembra riprendere e riproporre temi tipici degli Idilli, per questo utilizza l'aggettivo "idillico" (non lo usa per simboleggiare una situazione piacevole). → La prima strofa è composta da una serie di frasi brevi e piane, mentre nella terza strofa, nel pieno della riflessione Leopardiana, le frasi si fanno più complesse e articolate. Nella prima strofa è presente una metafora relativa alla tempesta. Il cessare del temporale e il ritorno del sereno è metafora della vita dell'uomo, che è un continuo succedersi di dolori e di momenti di serenità. La tempesta rappresenta i momenti di dolore nella vita dell'uomo. La descrizione iniziale assume un significato metaforico: la vita del villaggio è metafora della vita dell'uomo e, più in generale, della condizione umana. → Il poeta dice che gli uomini possono liberarsi dall'infelicità soltanto attraverso la morte, la quale guarisce da ogni dolore e permette agli uomini di tirare un sospiro di sollievo. Quindi il poeta conclude il componimento con una desolata constatazione, ovvero che la morte è l'unico modo per sfuggire dal dolore. → La descrizione del paesaggio e del villaggio non è oggettiva, ma tutta interiorizzata, ovvero filtrata e trasfigurata dall'immaginazione soggettiva del poeta. L'intento non è quello di tracciare un preciso quadro realistico, ma il paesaggio è tutto costruito sulla suggestione di immagini e suoni, che assumono un valore simbolico. La descrizione iniziale, attraverso i suoni e le varie immagini, trasmette una sensazione piacevole, di felicità e di allegria. → Il ritmo dei primi versi è allegro e veloce, ma il ritmo cambia bruscamente verso metà componimento. Il momento descrittivo e quello riflessivo sono due momenti strettamente correlati, quasi indiscindibili. Il passaggio brusco tra le due parti è voluto, perché Leopardi, attraverso questo brusco passaggio tra la prima parte descrittiva e la seconda parte riflessiva, vuole sottolineare il carattere illusorio della scena che occupa la prima strofa. Infatti, la descrizione iniziale, che produce felicità, è in realtà illusoria, perché si parla di un piacere vano. → Leopardi, tramite questo testo, vuole dimostrare che qualsiasi piacere è vano e illusorio. Per Leopardi non esiste un vero piacere che l'uomo può raggiungere per soddisfare il proprio desiderio. L'unico piacere possibile non è altro che una cessazione temporanea del dolore e quindi non è mai vero piacere. → Nella terza strofa il poeta si rivolge alla natura in modo polemico: accusa la natura di dispensare sofferenze agli uomini e di essere la causa della loro felicità. Leopardi, per esprimere il suo dissenso, utilizza un'ironia amara. La terza strofa è una constatazione sarcastica della sorte dell'uomo. I passaggi ironici sono quelli in cui Leopardi definisce la natura cortese, utilizzando il procedimento dell'antifrasi (il poeta afferma il contrario di ciò che vuole realmente dire ed in questo consiste l'ironia). → Il concetto principale che emerge da questo canto è che il piacere nasce dalla cessazione di un dolore o di un timore. Il piacere quindi non è altro che una momentanea cessazione del dolore. Ciò che cambia è che prima Leopardi riteneva i mali necessari per raggiungere la felicità, mentre ora considera la natura nemica, poiché dispensatrice di fatiche ed affanni. → In questo testo si nota il passaggio da una concezione finalistica ad una concezione meccanicistica e materialistica. Quindi la colpa dell'infelicità dell'uomo non è più attribuita all'uomo stesso, ma alla natura. L'uomo, infatti, non è altro che vittima innocente della crudeltà della natura. →→ Alla poesia viene affidato un nuovo compito, ovvero quello di rendere l'uomo consapevole della verità, della realtà dei fatti. CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL'ASIA Si tratta di una testo composto da 143 scritto tra l'ottobre del 1829 e l'aprile del 1830. Il testo venne ultimato alla vigilia della partenza di Leopardi da Recanati. Questo testo quindi è l'ultimo dei Canti pisano recanatesi che Leopardi ha composto. -> → Nonostante sia l'ultimo canto ad essere stato composto da Leopardi, egli non lo colloca in ultima posizione, ma lo colloca al centro del gruppo dei Canti pisano recanatesi, non seguendo l'ordine cronologico. Questo testo è incastonato tra A Silvia e Le Ricordanze. → Leopardi immagina che a pronunciare questo canto sia un pastore errante, ovvero nomade, dell'Asia. Leopardi affida alla figura del pastore l'enunciazione di questi versi. Il pastore parla alla luna e le rivolge una serie di domande. → Si tratta di un testo molto lungo ed articolato. Questa lirica è differente rispetto alle altre perché si struttura su tutta una serie di interrogativi. Questa lirica è da considerare come una ricerca profonda sul senso stesso dell'esistenza. Leopardi, in questo canto, mediante le domande del pastore, vuole rappresentare un'indagine sul fine di tutto il mondo. Non vi sono però delle risposte certe e definitive. ANALISI TITOLO → In questa lirica l'ambientazione prescinde dall'esperienza personale di Leopardi e dal suo ambiente, ovvero Recanati, che invece caratterizza tutti gli altri Canti pisano recanatesi incentrati sulla vita nel borgo recanatese. Qui l'ambientazione è totalmente diversa, ovvero non è più quella del piccolo borgo recanatese, ma è quella dell'Asia, ovvero un paesaggio lontano, vasto e indefinito. Questa vastità di orizzonte si carica di un significato profondo, quasi ad indicare la profondità dell'indagine. → La parola Canto presente nel titolo un termine che compare solo in questo testo e nel testo intitolato Ultimo canto di Saffo. Questa parola accentua l'impostazione soggettiva, lirica e neomelodica che caratterizza questo testo. → Interessante è anche l'aggettivo notturno che evoca una sorta di dimensione esistenziale, poiché la notte è il momento dei grandi interrogativi sul senso dell'esistenza. → Il protagonista di questo canto è un pastore ed esso è allegoria del poeta e dell'umanità in generale. Questo pastore è definito errante e questo aggettivo è significativo. Il termine errante fa riferimento da un lato alla condizione di nomade del pastore, ma, allo stesso tempo, questo termine acquisisce un significato metaforico. L'aggettivo errante sta a simboleggiare metaforicamente che il pastore compie una continua indagine sul senso dell'esistenza. Inoltre il termine errante rimanda all'idea della difficoltà e della inutilità di questa ricerca continua, che non approda a nessun esito positivo. STRUTTURA CANTO → Questo testo è una canzone libera con una struttura sinfonica composta da 6 strofe di misura variabile. Le prime tre strofe si aggirano intorno alla ventina di versi, la quarta strofa è la più lunga con 44 versi, la quinta è composta da 28 versi, mentre l'ultima è la più breve con 11 versi. → La sinfonia è riprodotta nel testo attraverso il sistema delle rime, che in questo testo è molto significativo. In particolare l'ultimo verso di ogni strofa rima sempre in ale (immortale, mortale, tale, assale, vale, male). Le parole che terminano in ale sono delle parole chiave del componimento e rimandano ai temi fondamentali della lirica (la vita, la morte, il senso dell'esistenza). PRIMA STROFA → Si apre e si chiude con una serie di domande che il pastore rivolge alla luna. Egli chiede alla luna che cosa ci fa in cielo. La luna, fin da subito, viene definita silenziosa e questo aggettivo è importante perché la luna non risponderà mai. → Poi viene fatto un parallelismo tra la vita della luna, che segue la sua orbita sempre uguale, e la vita del pastore. La strofa si chiude con una serie di domande rivolte alla luna da parte del pastore, che si chiede quale sia il senso e il fine della sua esistenza. SECONDA STROFA → Contiene la metafora del vecchierello: il vecchio infermo e ferito affronta ogni sorta di difficoltà fin quando arriva alla meta del suo viaggio, che è la morte. Il vecchierello è allegoria e metafora della vita dell'uomo. La vita dell'uomo viene rappresentata come un susseguirsi di difficoltà, sofferenze e dolori che l'uomo deve affrontare. L'uomo ha come termine ultimo quello della morte. La storia del vecchierello è dunque allegoria della vita dell'uomo. TERZA STROFA C'è una riflessione sulla nascita dell'uomo e Leopardi, attraverso questa riflessione, esprime l'idea della vita segnata dal dolore e dalla sofferenza. Leopardi si chiede come mai, dato che la vita è dolore e sofferenza, noi continuiamo a farla durare. QUARTA STROFA → Questa strofa è la più articolata e complessa. È tutta incentrata su una serie di domande che il pastore rivolge alla luna. La sintassi è molto complessa, le frasi sono molto lunghe ed articolate. La luna capisce e comprende il senso della vita, cosa che invece il pastore non può fare. → Nella seconda parte, ovvero dal verso 79, c'è una descrizione del cielo stellato e infine vengono riproposte quelle domande che riguardano il senso della vita da parte del pastore. QUINTA STROFA → È una strofa di carattere allegorico in cui il pastore si rivolge al suo gregge e prova invidia nei confronti di esso perché gli animali sembrano essere sprovvisti del sentimento di noia e sembrano vivere in uno stato di felice inconsapevolezza. → Il gregge rappresenta simbolicamente quella parte dell'umanità che, a differenza del pastore e anche del poeta, non si pone domande di senso, ma vive in uno stato di incosapevolezza e di apparente felicità. SESTA STROFA → È la strofa più breve e problematica perché in questa strofa Leopardi esprime un atteggiamento dubbioso. È presente l'avverbio forse più volte. C'è un dubbio perché le varie domande del pastore rimangono aperte. L'ultima strofa è quindi attraversata dal dubbio. SIGNIFICATO EPISODIO → È presente una struttura sinfonica che conferisce al testo uno stacco molto forte tra una strofa e l'altra. A questa struttura, in cui ogni strofa è marcata rispetto alle altre, non corrisponde però un disegno costruttivo generale altrettanto evidente dal punto di vista tematico. Infatti in questa lirica non c'è una vera e propria progressione del pensiero da una strofa all'altra, ma questa lirica sembra riprodurre un movimento circolare in cui il pensiero continuamente ritorna su se stesso e ripropone continuamente le stesse domande che rimangono senza risposta. → Quindi l'indagine non ha uno sviluppo lineare e progressivo, ma continua ad avvitarsi su se stessa. Questo è confermato dal fatto che, sovrapposta all'immagine del pastore, ce ne sono altre due, ovvero quella del vecchierello e del gregge. Le condizioni del vecchierello e del gregge sembrano opposte alla condizione del pastore. Si tratta di un testo dall'allegoria plurima o mobile, che porta a riflettere sul senso dell'esistenza. È presente un duplice movimento in questo canto: da un lato la ricerca del pastore sembra approdare ad un esito fortemente negativo, ma, dall'altro lato, questi approdi profondamente negativi non impediscono la continua ricerca da parte del pastore sul senso dell'esistenza. DIALOGO DI PLOTINO E PORFIRIO Questa operetta morale sviluppa dei temi che anticipano l'ultima grande stagione della poesia leopardiana, che è quella del testo La ginestra. Anche se appartiene alle Operette morali, questo testo anticipa alcuni aspetti propri dell'ultima stagione Leopardiana. → Plotino e Porfirio sono due filosofi antichi. Plotino intuisce che Porfirio, suo allievo, ha intenzione di suicidarsi. Quindi inizia un dialogo tra i due in cui Plotino cerca di convincere Porfirio, attraverso una serie di argomentazioni, a non suicidarsi cercando di dimostrare la non fondatezza del suo gesto. → Porfirio espone a Plotino tutta una serie di ragioni e argomentazioni su cui ha basato la sua scelta di togliersi la vita. Contemporaneamente confuta le varie argomentazioni di Plotino, che cerca di dissuaderlo. Nell'ultima parte Plotino fa appello al legame di amicizia e solidarietà tra le persone, quindi fa appello ad un'argomentazione di tipo sociale e fa riferimento agli effetti che questo gesto provocherebbe sulle persone a lui care. Non è un'argomentazione di carattere teorico, ma fa appello alla concretezza dei legami tra persone. →→ Alla fine non sappiamo se Porfirio ha desistito dal suo gesto oppure ha scelto di togliersi la vita. Il testo è aperto e problematico e si chiude con un'ultima argomentazione di Plotino a cui Porfirio non ribatte come aveva fatto per le altre argomentazioni. Quindi questo dialogo si conclude con un appello da parte di Plotino a continuare a vivere in nome dei legami di solidarietà tra uomini. → Questo testo sembra anticipare i temi che saranno poi sviluppati nella Ginestra. Leopardi rifiuta il gesto del suicido non in nome di argomentazioni astratte, ma in nome dell'affetto e della solidarietà che lega gli uomini. FASI DELL'EVOLUZIONE POETICA DI LEOPARDI → Ci sono varie fasi in cui possiamo suddividere l'itinerario poetico leopardiano: Fase degli Idilli e delle Canzoni Civili: è la fase della poesia immaginativa, ovvero del vago e dell'indefinito. Siamo nella prima fase del pensiero filosofico leopardiano, ovvero la fase del pessimismo storico, in cui si afferma il sistema del sistema della natura e delle illusioni. La teoria del piacere in parte si colloca in questo sistema, ma, allo stesso tempo, mette in crisi il sistema della natura e delle illusioni e quindi si parla di pessimismo cosmico; silenzio poetico: dopo questo perido di silenzio poetico, Leopardi scrive le Operette Morali, che rappresentano il passaggio dal pessimismo storico al pessimismo cosmico; Fase dei Canti pisano recanatesi: Leopardi assegna alla poesia la funzione di raccontare il vero e la realtà, perciò si parla di poesia-pensiero. Fase di pessimismo titanico/sociale. ● CANTI DELLA TERZA FASE LEOPARDIANA → I testi degli ultimi anni di vita di Leopardi contengono delle novità rispetto ai testi precedenti. Questi testi fanno prefigurare degli sviluppi ulteriori del pensiero leopardiano che noi però vediamo solamente in una fase embrionale, perché la vita del poeta si interrompe nel 37. → Gli ultimi testi presentano delle novità e quindi, pur essendo presenti delle forti continuità nel pensiero di Leopardi, La ginestra si differenzia dai testi precedenti per molti aspetti. Negli ultimi 3 anni della sua vita, Leopardi, mentre si trova a Napoli, scrive le sue ultime composizioni, come il testo intitolato Paralipomeni della Batracomiomachia, ovvero un testo di commento ad un poema pseudo-omerico che racconta una battaglia tra rane e topi. Si tratta di un testo di carattere satirico e il tono satirico è una delle novità stilistiche che caratterizza questi ultimi testi di Leopardi, tra cui La ginestra. L'ironia e la satira sono elementi che caratterizzano il testo La ginestra, che ha alcuni passaggi condotti con tono fortemente satirico. In ambito poetico questo è un elemento nuovo. → In questi canti Leopardi affronta alcune questioni di attualità. Leopardi sembra voler prendere posizione nel dibattito vivo ed attuale riguardo ad alcune ideologie e tendenze che si stavano diffondendo ai suoi tempi. LA GINESTRA O IL FIORE DEL DESERTO → Si tratta di uno dei testi più significativi e lunghi del poeta. Questo componimento è composto da 317 versi e dal punto di vista metrico, è una canzone libera. → Viene composto mentre il poeta si trova a Napoli nella primavera del 1836 ed è uno degli ultimi testi che compone prima di morire. Quindi può essere considerato un sorta di testamento ideale di Leopardi. → Questo testo porta con sé dei segnali evidenti del luogo in cui è stata composta. Infatti si apre con un'articolata descrizione del paesaggio vesuviano. Il titolo stesso del testo fa riferimento ad un fiore che cresce sulle aride pendici del Vesuvio. Il testo si apre con l'immagine della ginestra che cresce sulle pendici del Vesuvio. La ginestra è anche chiamata fiore del deserto. → Il testo si apre con una citazione in greco posta in epigrafe e si tratta di una citazione pre dal Vangelo di Giovanni. Questa citazione ha in Leopardi un significato diverso rispetto a quello che ha nel contesto religioso. Infatti Leopardi non vuole affermare una prospettiva religiosa, ma c'è un rovesciamento ironico ed antifrastico di queste due immagini, ovvero luce e tenebre. Per Leopardi la luce e le tenebre hanno un significato diverso: la luce non è quella dell'illuminazione divina, ma è la consapevolezza della condizione effettiva dell'uomo ottenuta attraverso la ragione. Nella prospettiva illuministica la luce non rappresenta la grazia di Dio o la fede, ma rappresenta la conoscenza ottenuta attraverso la ragione (in questi anni siamo in un contesto illuminista, in cui si parla di "luce della ragione"). PRIMA STROFA → È una strofa molto articolata, con uno stile aulico e movimentato. → Questa strofa è suddivisibile in due parti: prima parte: si apre con la descrizione del paesaggio vesuviano. Leopardi crea un'opposizione tra le aride pendici del Vesuvio e la ginestra che riesce a crescere anche nei luoghi così isolati e sparge il suo profumo intorno. La ginestra è un fiore gentile. Anche la ginestra, come il Vesuvio, assume un significato allegorico, ovvero fa riferimento da un lato alla poesia, che è l'unica vera consolazione alla condizione di infelicità in cui l'uomo versa e dall'altro lato la ginestra è allegoria della consapevolezza del vero, del coraggio di coloro che, come Leopardi, guardano in faccia alla realtà, e svelano la vera condizione dell'uomo; seconda parte: dal verso 37 c'è un il tono diventa polemico e lo stile è ironico e sarcastico. Questa parte è occupata da una dura invettiva che Leopardi fa contro la natura e contro coloro che si illudono che la natura non sia un'entità maligna, ovvero coloro che sono soliti esaltare la condizione umana, cioè che considerano l'uomo come un essere potente e amato dalla natura. Leopardi invita questi uomini a recarsi dove c'è il Vesuvio per rendersi conto della forza distruttrice della natura. Non a caso nei versi precedenti, Leopardi, ricorda gli effetti distruttivi del Vesuvio, ma il paesaggio serve a far comprendere che la natura è maligna. Infatti l'eruzione del Vesuvio ha distrutto numerose città. → Il Vesuvio è allegoria della forza distruttrice della natura. Il Vesuvio è la prova che la natura non si cura della condizione dell'uomo. La natura al verso 44 è definita dura nutrice. → Gli ultimi tre versi, a differenza degli altri che sono molto articolati, sono molto brevi ed incisivi. C'è una conclusione ironica in cui Leopardi si rivolge a coloro che ritengono che l'uomo sia un essere amato dalla natura. Il poeta afferma che è nelle pianure che circondano il Vesuvio che sono rappresentate le sorti splendide e destinate al progresso dell'uomo. Questa frase è ironica, perché Leopardi vuole intendere l'esatto opposto. → Leopardi si scaglia contro l'ideologia del progresso. La fiducia nella condizione umana e nella storia, intesa come progresso, è uno dei bersagli contro cui il poeta si scaglia e polemizza. → L'idea di natura non è cambiata rispetto alle Operette morali. Infatti la natura continua ad essere vista in maniera pessimistica e come un'entità maligna. → In tutto il componimento Leopardi si scaglia contro le ideologie del presente, ovvero quelle dello spiritualismo, del romanticismo e del progressismo perché le ritiene dei falsi miti. SECONDA STROFA Leopardi continua l'invettiva iniziata nella strofa precedente. Leopardi si rivolge contro il tempo presente, che lui definisce "secolo superbo e sciocco". → Attribuisce al secolo presente una serie di colpe: non accetta la verità relativa all condizione di infelicità dell'uomo causata dalla natura; questo secolo rifiuta le idee dell'illuminismo e la ragione che ha reso palese la verità della condizione dell'uomo; ● accusa il suo secolo di aver abbandonato il razionalismo e l'empirismo, correnti che hanno permesso di rivelare il vero. Accusa il suo secolo di avere interrotto quella tradizione del pensiero razionalista che aveva permesso di risorgere dalla condizione medievale; nel secolo attuale non c'è coraggio di guardare il vero e l'uomo si aggrappa agli inganni della religione. → Leopardi, in questa fase, fa riferimento a delle ideologie ben precise e si scaglia contro le tendenze dell'età moderna. Leopardi esplicita il disprezzo verso queste tendenze e dice che chi va contro il pensiero dominante spesso viene escluso. Il poeta assume un atteggiamento eroico e agonistico nei confronti delle ideologie dominanti del suo tempo. → Il poeta ha un atteggiamento differente rispetto a quello dell'età attuale in cui vive, un'età che, per il poeta, non ha il coraggio di guardare alla verità delle cose, alla crudeltà della natura e alla condizione dolorosa in cui si trova l'uomo. Leopardi contrappone la sua figura agli atteggiamenti vili e spregevoli che caratterizzano il suo secolo. Il poeta rappresenta una figura eroica e solitaria, poichè ha il coraggio di guardare in faccia al destino degli uomini e riconosce l'insignificante e sofferente condizione che la natura ha assegnato all'umanità. TERZA STROFA → È una strofa incentrata sull'allegoria dell'uomo che, essendo malato, può assumere due atteggiamenti contrapposti, ovvero l'atteggiamento di stoltezza o l'atteggiamento di nobiltà. Leopardi considera stolti coloro che, benché destinati a morire e cresciuti in mezzo ai dolori, dichiarano di essere stati creati per provare piacere. Invece considera nobili coloro che hanno il coraggio di guardare in faccia il destino comune degli uomini riconoscendo la sorte dolorosa, insignificante e la fragile condizione assegnata agli uomini. → L'immagine dell'uomo malato e povero rappresenta la condizione umana. L'uomo può assumere un duplice atteggiamento: avere un'anima generosa e alta ed essere quindi nobile; comportarsi da uomo stolto e fingere una condizione non reale. Il punto di svolta si ha nei versi successivi, nella parte finale della terza strofa. Per Leopardi il vero progresso è quello autentico, di tipo civile e morale. Il vero progresso si fonda sul pessimismo e sulla consapevolezza della tragica condizione umana. → La natura è la responsabile dell'infelicità dell'uomo, il quale deve coalizzarsi con gli altri uomini contro la natura nemica. La natura viene definita, attraverso una perifrasi, "madre degli uomini" perché è colei che ha dato vita all'umanità, ma, essendo causa di tutte le sofferenze, è da considerarsi "matrigna". Dunque considera la natura maligna e nemica degli uomini. → Leopardi ritiene necessario che l'uomo prenda coscienza della sua condizione di infelicità e miseria. Egli propone un modello sociale collettivo nel quale gli uomini siano consapevoli della loro condizione di infelicità per creare una società più civile e fondata sul vero. → C'è una svolta nel pensiero leopardiano: nelle precedenti opere egli polemizza contro l'ottimismo progressista dei suoi tempi e si limita a posizioni critiche e negative. Qui invece propone una alternativa alle idee che combatte. Nella Ginestra il poeta esclude la felicità, ma la grande svolta consiste nel fatto che egli afferma la possibilità di un progresso che assicuri una società giusta. In questa fase la riflessione sui legami sociali è centrale. QUARTA STROFA → Nella quarta strofa c'è un forte stacco rispetto alla strofa precedente. Viene ripresa l'immagine del paesaggio vesuviano. Leopardi abbandona il sarcasmo e l'ironia che avevano caratterizzato alcuni momenti delle prime due strofe ed il tono si fa più lirico. → All'inizio c'è il poeta che siede sulle pendici del Vesuvio e osserva la lava indurita che ricopre le pendici del Vesuvio e dice che questa lava sembra ondeggiare. Quindi paragona, attraverso una analogia, la lava al mare. → Questa strofa è formata da tre lunghi periodi sintatticamente complicati: 1) Il primo periodo termina al verso 166 e qui compare l'immagine del poeta che in atteggiamento meditativo osserva un paesaggio notturno. Il poeta, dal Vesuvio, contempla il cielo stellato che si riflette nel mare; 2) Da 167 a 185 c'è il secondo periodo formato da una serie di subordinate iniziali che terminano con una domanda. La visione del cielo stellato suscitata in Leopardi una meditazione sull'infinita piccolezza dell'uomo di fronte all'infinità grandezza dell'universo. La Terra è infinitamente piccola rispetto alle stelle e le stelle, a loro volta, sono infinitamente piccole rispetto alle costellazioni che sono il nulla rispetto all'universo. Leopardi alla fine di questo periodo si domanda che cosa è l'uomo di fronte all'universo; 3) Il terzo periodo termina con una domanda al verso 198. Qui il poeta definisce la Terra un "granello di sabbia". Leopardi dice che l'uomo si crede al centro dell'universo, ma, in realtà, la Terra non è altro che un granello di sabbia nell'universo. Le sensazioni di Leopardi sfiorano il nichilismo, ovvero il pensare che nulla abbia senso in questa esistenza. → Questa descrizione paesaggistica serve a suscitare ancora una volta una meditazione sulla reale condizione dell'uomo, che è infinitamente fragile di fronte all'universo. Viene ripresa ancora una volta la polemica contro le tendenze spiritualiste che assegnano all'uomo una posizione predominante nell'universo. QUINTA STROFA → Riprende il motivo iniziale della potenza distruttiva della natura attraverso un'ampia similitudine che occupa l'intera strofa. Come un frutto maturo cade su un formicaio provocando la distruzione di quel formicaio costituito con un lavoro paziente da parte delle formiche, allo stesso modo il Vesuvio ha eruttato distruggendo città e campi che l'uomo aveva costruito intorno ad esso. Ritorna l'idea di una natura totalmente indifferente alle sorti degli esseri viventi. Questa similitudine ribadisce la definizione della natura come un perpetuo circuito di produzione e distruzione che serve unicamente alla conservazione del mondo. SESTA STROFA → Il poeta sviluppa il motivo della relatività del tempo storico. Questo motivo era già presente nella prima strofa. Tutta la sesta strofa basata sul contrasto tra l'estrema variabilità del tempo umano e la sostanziale immobilità del tempo della natura. → Leopardi sposta l'attenzione sul piano temporale, chiedendosi in cosa consiste la storia dell'uomo di fronte al tempo lunghissimo e immutabile della natura. Il poeta ricorda gli imperi che ora non ci sono più, ma che non sono nulla rispetto al tempo immutabile della natura. Ricorda l'eruzione del Vesuvio e poi la scoperta di Ercolano e Pompei, che avvenne nei suoi tempi. Afferma che la natura è completamente ignara dell'uomo ed è immobile, ovvero è sempre giovane. Leopardi critica tutte quelle filosofie che mettono l'uomo al centro della natura. SETTIMA STROFA → Questa strofa è breve e viene ripresa l'immagine iniziale della ginestra. Ritorna in primo piano la ginestra a cui il poeta si rivolge come nella prima strofa. L'immagine della ginestra compare dunque solo all'inizio e alla fine della composizione, ma, proprio per questo motivo, la ginestra assume un significato essenziale. → Leopardi dice che anche la ginestra è destinata a soccombere di fronte alla potenza distruttrice del Vesuvio e non potrà opporre nessuna resistenza a questo suo destino. → Nell'ultima strofa si parla della ginestra ed essa rappresenta diverse cose: dato che cresce in un ambiente desolato è allegoria della condizione umana di sofferenza; rappresenta un atteggiamento etico dell'uomo che in modo dignitoso ha il coraggio di guardare in faccia alla realtà e di accettare la fragilità della propria condizione, cioè non si illude con false prospettive; la ginestra è un fiore che è in grado di abbellire le pendici desolate del Vesuvio. Quindi la ginestra rappresenta allegoricamente l'unica consolazione possibile dell'uomo, ovvero la poesia a cui Leopardi, nonostante tutto, non rinuncia e a cui affida il proprio pensiero. ● → Siamo di fronte ad una sorta di allegoria multipla perché la ginestra rappresenta tutte queste cose insieme. SIGNIFICATO → Con questo testo siamo nell'ultima fase del pensiero filosofico leopardiano. In questo testo emerge il lato propositivo del poeta, perché la coscienza del vero è il presupposto necessario per creare un nuovo modello di società che si basa sulla solidarietà degli uomini. L'atteggiamento che ora Leopardi assume è un atteggiamento coraggioso che è rappresentato allegoricamente dalla ginestra. → Leopardi propone un progetto di civiltà, ovvero un nuovo modo di vivere degli uomini che deve basarsi sulla conoscenza del male comune, ovvero della fragilità della condizione umana.