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2/11/2022
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La pioggia nel pineto Parte della raccolta di poesie Alcyone, si ipotizza che l'Ermione di cui d'Annunzio parla altri non sia che Eleonora Duse, attrice e sua amante. La pineta si trova nella Versilia, in Toscana, e una prima bozza di poesia è presente nei suoi Taccuini, del 1899. Tuttavia, La pioggia del pineto è stata ufficialmente scritta nel 1902. Le strofe sono quattro, tutte da 32 versi, che vanno da ternario a novenario. Tutti i versi finiscono con il nome dell'amata. La prima strofa si apre col verbo "Taci", che oltre a essere un ordine, in quanto imperativo, è anche un invito all'ascolto ("Ascolta" verso 8, "Odi?" verso 33). Le parole che arrivano a d'Annunzio sono "nuove che parlano gocciole e foglie lontane" di conseguenza si odono solo i rumori del bosco, che prevalgono sulle voci umane. Piove dalle nuvole, su degli arbusti chiamati Tamerici, il cui nome latino è "Myricae", nome della raccolta latina più importante di Pascoli. Piove anche sui pini e sui mirti, “divini" - anafora - perché sacri ad Afrodite -, sulle ginestre (Leopardi) e sui ginepri brillanti per via dei loro fiori profumati ("aulenti"). Oltre che sulla vegetazione piove anche sui volti dei due amanti, silvani, e sulle loro mani nude, sui vestiti leggeri e sui pensieri che la giovane mente produce, sulla...
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favola (amore) che "ieri" illuse Ermione e che "oggi" illude d'Annunzio. La richiesta di ascolto è rivolta al rumore prodotto dalla pioggia che cade sulle piante (nel 1800 definite verdura in quanto verdi) con un rumore che varia a seconda delle foglie, più rade o men rade. L'altra richiesta di ascolto è dovuta alla risposta che le cicale, con il loro canto, danno alla pioggia ("pianto", ricorda il pianto del cielo, per le stelle cadenti, nel X Agosto di Pascoli) che né essa, portata dal vento del Sud, austro, né cielo grigio può impaurire. Tutte le piante hanno un suono, il pino, il mirto e il ginepro, come se fossero strumenti diversi (possibile climax) suonati da "innumerevoli dita". Loro sono immersi nello spirito, vivendo come gli alberi. E il volto di Ermione, ebro dello spettacolo a cui assiste, è bagnato dalla pioggia come lo sono le foglie (similitudine) e i suoi capelli profumano come le ginestre, "o creatura terrestre che hai nome Ermione". L'ascolto è richiesto ben due volte, questa volta per l'insieme di suoni delle cicale, sempre più lieve sotto la pioggia crescente, anche se a esso si unisce un canto roco che sale dall'ombra remota. Più fioco, rallenta e si arresta, lasciando suonare una sola nota, che muore e rinasce di continuo. Il mare non si sente ma si sente la pioggia scendere su tutta la vegetazione, purificando, con un rumore che varia in base a quanto sia folta la selva. Ancora una volta si richiede l'ascolto, perché la "figlia dell'aria", ovvero la cicala, è muta a differenza della rana che gracchia nell'ombra chissà dove. Piove anche sulle ciglia di Ermione. C'è una ripetizione, piove sulle sue ciglia nere, facendolo sembrare un pianto di piacere. Diventando quasi verde, sembra che esca da un tronco d'albero, come le ninfe dei boschi della mitologia, le amadriadi. Tutta la vita che è in loro è profumata, il cuore è come una pesca intatta e le palpebre sembrano pozze d'acqua nell'erba; i denti sono come mandorle ancora acerbe che escono dagli alveoli. Andando di cespuglio in cespuglio, uniti o meno (i cespugli bloccano loro le caviglie e le ginocchia), andando chissà dove. Qui si ripetono i versi dal 20 al 32. Tuttavia, a essere illusa "oggi" è Ermione.