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ITALO SVEVO e LUIGI PIRANDELLO

18/9/2022

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Italo Svevo
Vita
Aron Hector Schmitz nasce a Trieste nel 1861 da una famiglia di commercianti ebrei. Negli anni 70
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Italo Svevo Vita Aron Hector Schmitz nasce a Trieste nel 1861 da una famiglia di commercianti ebrei. Negli anni 70 compie degli studi in Germania e perfeziona il tedesco. Nel 1880, a causa delle difficoltà economiche del padre, inizia a lavorare presso la filiale della viennese Banca Union. Collabora inoltre al quotidiano "L'indipendente" dove pubblica racconti o recensioni sotto lo pseudonimo di E.Samigli. Nel 1887 (giorno del suo 26esimo compleanno) inizia la stesura del suo primo romanzo "Una vita", che pubblicherà a proprie spese nel 1892 sotto lo pseudonimo di Italo Svevo. Italo Svevo è uno pseudonimo che riflette sul fatto di trovarsi al confine tra Italia e Impero asburgico, quindi alla confluenza della cultura italiana e influenze mitteleuropee. Il primo romanzo non avrà successo, e la stessa sorte toccherà anche al secondo "Senilità”, apparso prima a puntate sull'Indipendente e poi in volume nel 1898 (sempre a spese proprie). Nel 1886 muore il fratello Elio, nel 1892 il padre e 3 anni dopo anche la madre. Svevo inizia quindi una nuova vita sposando Livia Veneziani, figlia di un ricco proprietario di un colorificio. Nel 1898 comincia a lavorare per l'impresa del suocero e inizia a viaggiare tra Venezia, Londra, Austria e Francia. Per necessità lavorative comincia a prendere lezioni di inglese da James Joyce, il quale rimarrà entusiasta...

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dei suoi romanzi e lo stimolerà a coltivare la scrittura. Nel 1911 si interessa alla psicoanalisi: il cognato Bruno è in cura a Vienna presso Freud. Allo scoppio della ww1, rimane a Trieste in quanto cittadino austriaco e comincia a lavorare al suo terzo romanzo "La coscienza di Zeno", pubblicato nel 1923 a proprie spese. Questo romanzo ebbe molto successo e fu diffuso in Italia anche grazie a Eugenio Montale. Scoppia così il 'caso Svevo': una rivista francese dedica un numero monografico alle sue opere ; il parigino 'Pen club' organizza una serata in suo onore. Continua a scrivere: autobiografia "Italo Svevo scrittore", alcuni racconti e un testo teatrale. Nel 1928 inizia il suo quarto romanzo "Il vecchione" che non riuscirà a terminare perchè morirà nello stesso anno (1928) a causa di ferite post incidente d'auto. Il pensiero e la poetica Svevo è unicamente e decisamente un prosatore. Il suo oggetto privilegiato è la vita dell'individuo nel mondo e viene influenzato dai romanzieri francesi (Stendhal, Balzac e Flaubert) e dai naturalisti (Zola), che gli fanno nascere l'interesse per la rappresentazione obbiettiva, quasi scientifica, della realtà. Viene influenzato anche dai romanzieri russi (Dostoevskij) che fa nascere l'attenzione agli aspetti psicologici dell'individuo. Svevo non era interessato alla funzione terapeutica della psicoanalisi, ma piuttosto alla possibilità di indagare nello spazio interiore dell'individuo. Questa indagine ha il suo culmine nella "Coscienza di Zeno" e si ritrova nella figura dell'inetto: un individuo che, inadatto alla società, conduce la propria vita senza controllo. La struttura lineare del romanzo 800esco viene sostituita dal raggruppamento tematico degli episodi e da un divagare apparentemente irregolare del racconto. Altre influenze importanti sono state quelle di Schopenhauer e Darwin. Da Schopenhauer cambia l'idea della distinzione tra individui 'lottatori' e 'contemplatori': i lottatori si conformano inconsapevolmente alla 'cieca volontà di vivere' che guida le azioni di ogni individuo illudendolo di star agendo in libertà; i contemplatori maturano il rifiuto a integrarsi in un mondo governato dalla cieca volontà rivendicando la loro libertà. (Più che vivere, contemplano la vita). Da Darwin, ricava il concetto di lotta per la sopravvivenza e di selezione naturale: nella società umana ciò si traduce nella lotta per il successo individuale. Nei romanzi sveviani troviamo sempre il personaggio delineato che si confronta con un antagonista. L'inetto è lo sconfitto che si rivela inadatto alla società (Alfonso Nitri - "Una vita" Emilio Brentani - "Senilità", Zeno Cosini - "Coscienza di Zeno"), l'antagonista risulta invece vincente e perfettamente integrato nella società (Macario, Stefano Balli, Guido Speier). È ricorrente anche il personaggio di una figura femminile superficiale e affascinante (Annetta, Angiolina, Ada) che si contrappone alla figura della donna pacata (Lucia, Amalia, Augusta). I personaggi sveviani risultano sempre credibili e subiscono alcune variazioni; l'inetto, da semplice verdente nei primi romanzi, diventerà nella "Coscienza di Zeno" narratore della propria storia e quasi adatto alla società (è capace di adeguarsi ai mutamenti). La narrazione di Svevo Esiste un'ampia intersezione tra la biografia di Svevo e i suoi romanzi: nelle narrazioni è facile individuare tratti comuni tra i personaggi e la vita dell'autore stesso. - "Una vita" -> storia di un letterato insoddisfatto che lavora come spiegato in una banca cittadina (banca del suocero) - "Senilità" ->andamento di un rapporto amoroso (Livia Veneziani) - "Coscienza di Zeno" -> tappe fondamentali della vita di Zeno riflettono quelle di Svevo Tuttavia lo spunto autobiografico diventa un pretesto per parlare di individui e del loro disagio. Il rapporto che si instaura fra lo scrittore e i suoi personaggi è illustrato da Svevo in una lettera scritta a Montale nel 1926: "Quand'ero lasciato solo cercavo di convincermi d'essere io stesso Zeno". Come ha scritto lo studioso Eduardo Saccone: non è il personaggio ad imitare l'autore, ma è quest'ultimo che, per scrivere il romanzo, si sforza di vivere come il personaggio. La sua pratica quotidiana della scrittura, da una parte è in grado di far emergere il 'proprio essere' e dall'altra l'assiduità è necessaria per arrivare a scrivere sul serio (dare consistenza alla scrittura). Svevo giunse a sostenere che solo l'atto di scrivere della vita rende il soggetto consapevole della propria esistenza. La scrittura e la vita sono concepite come antitetiche: lo scrittore sa pensare solo 'con la penna in mano', ma vorrebbe giungere ad essere in grado di agire e pensare contemporaneamente. L'ultima tappa del suo percorso intellettuale vede il superamento di questa contrapposizione e la letteratura diviene equivalente della vita. Nel romanzo incompiuto "Il vecchione", il narratore noterà di aver scoperto che davvero l'unica cosa importante della vita è stata l'atto di descriverla. Da questa serietà della scrittura deriva anche la serietà nell'uso della lingua, con la scelta di uno stile scarno e chiaro che rifiuta qualsiasi artificio retorico. L'uso di una lingua 'strana', talvolta ai limiti della correttezza grammaticale, è dovuta alla sua cultura italo-tedesca che provocò una contaminazione fra le due lingue: Uso di preposizioni errate per le reggenze dell'infinito - Ricorso a locuzioni atipiche nella lingua italiana - Scambio del passato remoto e prossimo Nella prosa sveviana si ha la presenza di dialoghi talora artificiosi, di scelte lessicali goffe ('faccia' invece di 'viso') e l'utilizzo di costrutti nominali (privi di predicato verbale). La critica ha definito che il linguaggio a volte imperfetto dei personaggi riesce a comunicare perfettamente il loro dispaiò da inetti. "Una vita" "Una vita" viene pubblicato presso l'editore triestino Vram nel 1892, con titolo originario "Un inetto". Questo titolo rimanda al protagonista, Alfonso Nitti, che, una volta lasciata la casa della madre, si trasferisce nella grande città di Trieste, dove trova lavoro presso la Banca Maller. Alfonso ritiene il lavoro frustrante e rimedia frequentando la biblioteca cittadina dove si immerge nella letteratura di classici (come faceva Svevo nella vita reale). Viene invitato nel salotto di casa Maller, dove spicca il suo profilo di intellettuale che gli fa guadagnare inviti sempre più assidui. In questo contesto, il protagonista incontra la figlia del suo principale, Annetta. Alfonso riesce a sedurla ma successivamente lascia Trieste e torna al paese natale dove troverà la madre morta. Quando torna in città, trova Annetta sposata con Macario, un avvocato di successo. Alfonso chiede un appuntamento ad Annetta, la quale manda il fratello Federico. Da questo incontro nasce una sfida a duello, ma Alfonso si suicida prima di affrontare il rivale. Questo è il romanzo più autobiografico di Svevo, infatti l'autore stesso afferma di aver descritto una parte della propria vita alla Banca Union. In una lettera del 1828 indirizzata a Valerio Jahier, Svev scrisse che il romanzo 'era fatto tutto nella uce di Schopenhauer', soprattutto nella contrapposizione tra lottatori (Macario) e contemplatori (Alfonso): Alfonso Nitri essa di dominare le sue scelte, ma in realtà questa ambizione è illusoria perchè fritto di un autoinganno (egli agisce senza avere piena chiarezza di se e quando le scelte risultano fallimentare si auto-convince di aver aguto con totale libertà). La vicenda di Alfonso è emblematica, in quanto rappresenta un tipo di individuo non idoneo ad affrontare la vita. Sono inadeguate anche le sue velleità letterarie in quanto si ritiene più colto di coloro che lo circondano. Questo suo rapporto con il mondo rende Alfonso un inetto, un inadeguato alla vita e alla società. Alla fine del romanzo il suicidio rappresenta l'atto di chiusura definitiva, l'unica via di fuga dall'illusoria ambizione di realizzare ciò di cui non si è all'altezza. Questa conclusione fa si che il romanzo sia collocato in una dimensione ancora 800esca, dal momento che la sconfitta è sancita da un gesto tragico. Personaggi: Alfonso Nitti: inetto e contemplatore Macario: antagonista e lottatore, avvocato di successo e personaggio vincente Annetta Maller: donna seducente, desiderata ma anche superficiale Lucia: donna spenta e rassegnata, personaggio semplice e pacato. (È la figlia dei coniugi Lanucci, gli affittuari presso cui vive Alfonso). Contemplatori = Alfonso e Lucia; Lottatori = Macario e Annetta Viene definito un romanzo d'interni e romanzo cittadino in quanto le azioni si svolgono in 3 luoghi: salotto, banca e appartamento in cui Alfonso vive (interni francesi - spaccato sociale della borghesia). 1. Casa Lanucci (appartamento) —> rappresenta i piccoli borghesi 2. Banca -> rappresenta la borghesia media impiegatizia 3. Casa dei Maller (salotto)-> rappresenta l'alta borghesia In contrasto a questi spazi si definisce la dimensione opposta della campagna. Si profila dunque il conflitto tra 2 cronotopi concorrenti (contesti spazio-temporali opposti): - La città corrisponde al presente soffocante dove il protagonista si sente inadeguato - La campagna rappresenta il passato dell'infanzia, dove il protagonista trova rifugio La cultura ebraica di Svevo ha indotto alcuni interpreti a identificare la campagna come una sorta di nostalgia dello Shtetl, il villaggio ebraico tipico dell'Europa orientale caratterizzato da una dimensione comunitaria e solidale della vita. La città moderna invece appare dominata dalla lotta per la sopravvivenza e la legge del più forte. Il modello di narrazione presenta ancora i tratti tipici del romanzo naturalista francese: la narrazione è esterna e in terza persona con la focalizzazione interna al protagonista Alfonso. A differenza del narratore eclissato, il narratore a focalizzazione interna esprime dei giudizi per smascherare certe vigliaccherie e menzogne del protagonista: svela al lettore quelli che sono i moventi reali delle sue azioni. Svevo è interessato alla dimensione psicologica del personaggio, infatti ogni azione e pensiero viene scomposto ed esaminato nelle sue sfumature fino a diventare dilatato. Per questo motivo la critica ha parlato di un romanzo di analisi. Per quanto riguarda il linguaggio, si riscontrano diverse irregolarità e stranezze. Il linguaggio appare scorretto e sgrammaticato in quanto c'è un errato uso delle preposizioni, aggettivi non comuni, strani giri di frase e un uso strano di alcuni tipi di costrutti verbali (ellissi). Questo linguaggio però non limita la comprensione del romanzo ma lo rende sicuramente insolito. Il gabbiano ("Una vita" - cap VIII) Narra di una gita in barca a vela nelle acque del golfo di Trieste. Per rendere evidenti i caratteri dell'inetto, Svevo costruisce una sorta di apologo pronunciato da Macario che racconta un aneddoto paradigmatico sui gabbiani e può essere considerato riferito alla contrapposizione tra lottatore e contemplatore. I gabbiani sono animali dallo scarso cervello però paragonati a uomini capaci di affermare la preda (realizzare i propri scopi). Ne risulta per contrasto che chi è dotato di intelligenza ma non ha l'istinto di predatore non riuscirà a raggiungere i propri obiettivi e sarà inadatto alla lotta per la vita. Vediamo così come viene applicato il darwinismo, il predatore che è più adatto e con capacità fisiche più adeguate riesce a sovrastare tutti gli altri -> Il gabbiano sopravvive senza tipo di aiuto ma grazie alle sue ali e al suo istinto naturale. Secondo questa visione deterministica, per la quale la condizione di ognuno è scritta fin dalla nascita, l'insufficienza di Alfonso nei confronti della vita è senza appello. La scena ha contorni precisi e definiti e si svolge come un apologo in uno scenario distaccato rappresentato dal mare di fronte alla città. Le due figure di Alfonso e Macario diventano due emblemi, una sorta di antinomia: Macario è l'individuo adatto alla vita, al contrario Alfonso è inadatto anche se dotato di intelligenza. Il brano si apre con il "leggero sorriso" Macario che prende in giro Alfonso per la sua paura. La scena viene accompagnata da un preciso linguaggio del corpo: Macario è sicuro di sé e ha un linguaggio del corpo eloquente, sarcastico, divertente e si prende gioco delle ansie e delle insicurezze dell'amico. Alfonso invece è muto e ha una fisicità che esprime la sua inadeguatezza, la sua impotenza e la sua paralisi: la sua tensione si esprime attraverso le mani nervosamente ancorate al sedile mentre il resto del corpo tace, contratto. Le due diverse nature dei personaggi sono mostrate attraverso la loro differente corporeità: la scioltezza corporea di Macario è un preludio all'entrata in scena del gabbiano che vola disinvolto ma determinato a prendere la sua preda, mentre i silenzi di Alfonso sono espressione di disinvoltura e incisività nella vita. (Alfonso 'non saprà imitare' i gesti disinvolti del gabbiano). Svevo mostra il gabbiano come colui che, nella lotta per la vita, vince. Questo tema fu già trattato un 50ennio prima da Baudelaire, nel sonetto "L'albatro", in cui il volatile bianco rappresenta l'emblema del poeta, capace di straordinari voli ma goffo e brutto sulla terra. Gli stessi voli vengono ricontestualizzati da Svevo che mostra il gabbiano che ha un valore se disinvolto, mentre i voli poetici sono voli inutili e da perdenti che confermano la propria inutilità nel mondo. (Per Svevo il gabbiano ha bisogno delle ali per sopravvivere e non per fare poesia). Il gabbiano mette tutte le sue abilità nell'azione di prendere la preda, senza dover usare la ragione. Il ragionamento, che Alfonso passa ore e ore a nutrire, finisce per divenire il motivo dell'irresolutezza nel mondo. Questo aspetto venne affrontato anche da Leopardi in "Dialogo della Natura e di un'anima" (Operette morali), in cui la ragione si fa impedimento (perchè gli uomini non si decidono a agire), mentre gli uomini meno razionali e più istintivi sono quelli vincenti. "Senilità" Il secondo romanzo di Svevo apparse a puntate nel 1898 sull'Indipendente e poi pubblicato in volume nello stesso anno. Successivamente bevve un'altra edizione, quella definitiva del 1927: Svevo voleva modificala affinché il testo potesse essere pulito dalle inesattezze linguistiche. La critica pensa invece che Svevo volle correggere il testo solo per essere meno attaccabile dai critici, in quanto non modificò i suoi tratti stilistici e linguistici. "Senilità" è l'opera più amata da Montale, che lo definirà il romanzo 'quasi perfetto'. Nella prefazione dell'edizione definitiva, Svevo riassunse le tappe della riscoperta del romanzo e confermò l'importanza del titolo scelto: Senilità è un titolo vago e non descrittivo che non è inteso come un'età anagrafica, ma come una condizione psicologica del protagonista, una vecchiaia psichica e una condizione di inettitudine. (Svevo attribuisce al protagonista un atteggiamento senile verso l'esistenza). Inizialmente il titolo doveva essere "Il carnevale di Emilio", ma quel titolo avrebbe esso in risalto altri tratti della narrazione come l'avventura amorosa con Angiolina (che rappresenta per lui un carnevale) e la tendenza di Emilio a immaginare se stesso e gli altri diversamente da come sono. Emilio Brentani è un impiegato di una società di assicurazioni e un letterato che vive una vita molto senile con la sorella Amelia. La vita di Enrico viene sconvolta da Angiolina, donna bella, bionda, molto aperta e povera che ha una cattiva reputazione a Trieste, vista come una "di facili costumi". Lui la vede come ingenua, innocente e la vuole educare alla vita, infatti il suo primo intento sarà quello di educarla all'emancipazione e alla parità di sessi. Questo intento educativo si trasformerà presto in un innamoramento. L'amico Stefano Balli, scultore che ha molto successo con le donne, cerca di aiutarlo ma Angiolina è instabile e addirittura cerca di sedurre Balli. La gelosia di Emilio si inasprisce e Balli diventa l'antagonista. Successivamente Emilio scopre che Balli era desiderato anche da sua sorella Amalia, e riesce ad allontanarla da lui portandola però a sprofondare nell'alcolismo, e morirà poco dopo di polmonite. Alla fine Emilio riesce finalmente a lasciare Angiolina, la quale si reca a Vienna lasciandolo in una condizione di senilità precoce (vecchiaia psicologica). Personaggi: Emilio Brentani: ha la stessa pretesa di elevatezza culturale di Alfonso Nitti che assume tratti quasi grotteschi. Vive in una condizione di autoinganno, si costruisce delle immagini ideali per nascondere la propria immaturità psicologica e la debolezza della sua personalità. Stefano Balli (probabilmente amico di Svevo, Umberto Veruda): antagonista, è l'esempio di uomo adattato al mondo: non ha successo nel lavoro ma è vincente e dominatore. Amalia: assume tratti del personaggio tragico che finisce per imboccare la via del precipizio. Donna che ha vissuto di sacrificio e ripiegamento su se stessa. Angiolina: donna idealizzata da Emilio che cerca di educare alla vita anche se lei conosce il mondo assai meglio di lui. Ogni sua comparsa in scena è un colpo assestato alla figura ideale, frutto dell'immaginazione di Emilio. (Ogni volta che Emilio la incontra si rende conto che tutte le sue aspettative sono sbagliate) Contemplatori Emilio e Amalia ; Lottatori = Stefano e Angiolina L'idealizzazione della donna nasconde la difficoltà di Emilio ne confrontarsi co la dimensione carnale del rapporto amoroso. Il rapporto fisico susciterà in lui un senso di disgusto perchè la sensualità di Angiolina configge con l'immagine 'angelicata' che si era costruito. Emilio sembra fare di tutto per non vedersi per com'è realmente e per fuggire dalla realtà: non si suicida ma finisce in una condizione di senilità precoce. Differenze con una vita: - Amalia e' un personaggio di maggiore spessore rispetto a Lucia ed è un personaggio tragico con parabola discendente: anche lei si aspetta qualcosa che Stefano non può assolutamente darle. La sua parabola esistenziale si conclude con la morte. Emilio non muore, ma si chiude nella sua condizione di senilità, nel suo vivere una sorta di vita puramente interiore che non ha un riscontro con l'esterno. Il protagonista non si suicida ma si ritira in una condizione di vecchiaia psicologica, di senilità precoce. Lo scenario preciso delle azioni è la città di Trieste (strade, porto, piazze). Gli spostamenti die personaggi si svolgono nell'urbanistica reale della città. Tuttavia Svevo si distacca dal romanzo naturalistico: Si predilige l'analisi psicologica alla descrizione ambientale Si da meno importanza agli spaccati sociali Il narratore è omnisciente e in 3º persona, ma non c'è una oggettività assoluta perchè interviene spesso (focalizzazione interna) a smascherare gli autoinganni del protagonista con il discorso indiretto libero. Tema della Senilità -> Il tema della senilità, soprattutto in rapporto alla gioventù (il suo opposto), è un tema che ricorre spesso nelle opere sveviane. Svevo riconosce che questa condizione sia un tratto decadente, associato allo spirito generale della "fine del secolo". Nella coscienza di Zeno, l'anzianità diviene condizione prima della narrazione poiché è al termine della vita che il protagonista racconta il proprio passato. - Ultimo romanzo sveviano rimasto incompiuto intitolato il vecchione, Zeno ormai diventato vecchio racconta la sua storia. Il desiderio e il sogno ("Senilità" - cap X) Dopo aver lasciato Angiolina per la prima volta, Emilio conduce una vita più regolare ma è comunque preso dal desiderio di rivederla e dall'illusione di riuscire a non esserne più geloso. Nella sua mente si affollano i ricordi e le fantasie con l'amata. Non appena però decide di incontrarla, la realtà si mostra differente: Angiolina si rivela assai più fredda di quanto non gli apparisse nei sogni. -> Il rapporto che ha Emilio con Angiolina è definito un rapporto 'a singhiozzo'. Nel brano compare più volte il tema della gioventù, mentre quello della senilità compare solo una volta (questo fa capire che tipo di senilità intende Svevo: una condizione di inerzia). Ci sono 4 riferimenti alla giovinezza: 1. Immagine del vecchio che pensa alla propria gioventù (r.10-16) 2. Gioventù associata a uno stato di particolare animosità (r. 17-22) 3. Gioventù rievocata come una possibilità persa (r.36-38) 4. Infine sente di averla recuperata (r.55-56) Nelle opere di Svevo il desiderio è un tema rilevante: esso è visto come un motore dell'azione, ma allo stesso tempo può distogliere da essa (non appena Angiolina gli rivolge parola, Emilio è 'distratto dal proprio desiderio'). Il desiderio è in stretto legame col sogno: sogno e fantasia sono alla base del desiderio, in quanto lo alimentano falsando la realtà. (Emilio sogna che lei lo accudisca mentre è malato). Il sogno si collega alla rêverie, ovvero la idea decadente del sogno ad occhi aperti. Il sogno ha quindi un doppio registro: il sogno reale, che si compie durante il sonno, e il sogno ad occhi aperti. Il sogno aumenta il suo spessore grazie agli studi di Freud (Svevo proprio in quel periodo stava traducendo l'opera "Il sogno" di Freud). "La coscienza di Zeno" È il romanzo più importante e celebre di Italo Svevo, grazie anche all'intervento di J.Joyce (Svevo inviò il romanzo a Joyce) e E.Montale (scrisse un articolo intitolato "omaggio a Italo Svevo"). Fu scritto a partire dal 1919, ma pubblicato nel 1923 presso l'editore bolognese Cappelli. Il romanzo è diviso in 8 capitoli, e per la prima volta nei romanzi sveviani l'intreccio non segue la fabula (andamento non lineare, né tantomeno cronologico): I primi 2 sono una prefazione scritta dal dottor S, e un preambolo del protagonista. Nei primi due si chiariscono le circostanze fittizie in cui nacque il romanzo. Gli altri 6 capitoli proseguono secondo 6 nuclei tematici, che scandiscono l'autobiografia terapeutica del protagonista. 1. Prefazione scritta dal dottor S -> il dottor S, per ripicca contro il suo paziente Zeno Cosini che ha interrotto la terapia intrapresa con lui, decide di pubblicare le memorie e il diario che Zeno gli ha inviato, non rispettando il segreto professionale. 2. Preambolo del protagonista -> Zeno dichiara di essere un ricco un commerciante triestino di circa 57 anni. Dichiara di essere affetto da nevrosi e per questo aveva intrapreso una cura psicoterapeutica col dottore S. 3. 'Il fumo' -> uno dei problemi principali di Zeno è che non riesce a superare la dipendenza dalle sigarette, e lo mostra annotando sul suo diario ogni sua ultima sigaretta. Il tema del fumo si allaccia a quello del padre, in quanto i due hanno sempre avuto un rapporto conflittuale non fidandosi l'uno dell'altro. (il padre non si fida di Zeno, infatti lascia l'azienda a un'altra persona non a suo figlio). 4. 'La morte di mio padre' -> Zeno sostiene che la morte di suo padre sia stato l'evento più importante della sua vita, perchè sul letto di morte il padre gli ha tirato un ceffone. (Non si sa se questo ceffone glielo abbia tirato per la sua insoddisfazione del figlio, o solo perchè non era più lucido). 5. 'Storia di un matrimonio' -> dopo la morte del padre, Zeno affronta il lutto sposando una delle 3 sorelle Malfenti (Malfenti è un signore autorevole presso il quale Zeno lavora). Pur amando Ada e pur avendo provato a corteggiare Alberta, finirà per scegliere quella che inizialmente aveva escluso, Augusta, la quale si rivelerà un'ottima moglie. Ada invece sposerà l'antagonista Guido Speier. 6. 'La moglie e l'amante' -> dopo aver sposato Augusta, Zeno corteggia un'altra donna, Carla, diventando amanti. La giovane ragazza deciderà poi di lasciarlo. 7. 'Storia di un'associazione commerciale' -> l'antagonista Guido Speier comincia a collezionare debiti nella sua azienda, perchè incapace sul piano commerciale. Per questo farà finta di suicidarsi 2 volte, ma la seconda ci riuscirà. Zeno inizialmente si scorda del funerale, e anche quando se ne ricorda si unisce al corteo funebre sbagliato. Nel frattempo Ada, rimasta vedova, contrae una malattia che la sfigura e la rende bruttissima (occhi sporgenti, esule..) 8. 'Psicoanalisi - pagine di diario' -> pagine di diario scritto da Zeno dopo aver interrotto la terapia, sostenendo quanto la cura fosse inutile dato che è riuscito a guarire dalla nevrosi senza l'aiuto del dottor S. In questo capitolo troviamo il racconto dello scoppio della WW1 e un'amara riflessione sullo stato dell'uomo: 'qualunque sforzo di darci la salute è vano'. Rispetto ai 2 precedenti romanzi, qui possiamo identificare caratteri differenti: - Il romanzo è scritto in 1° persona ( narratore esterno e onnisciente e in 3° persona) - Lo svolgimento non è cronologico perchè l'intreccio non segue la fabula (i nuclei narrativi rendono l'andamento non lineare) Intreccio di 2 piani narrativi: quello principale del racconto autobiografico, in cui Zeno narra gli eventi della sua vita, e quello della cornice (preambolo + psicoanalisi) in cui si mostra il rapporto conflittuale tra Zeno e il dottor S. Si parla di cornice perchè nel preambolo si introducono i problemi della sua nevrosi e nella psicoanalisi si mostra la sua riuscita dalla malattia. Il titolo è ambiguo perchè si sottrae a una spiegazione precisa. Fu infatti oggetto di critica in quanto il termine 'coscienza' ha diversi significati in italiano. Il termine può riferirsi a ciò che Zeno sa di se stesso; può essere la consapevolezza bugiarda che a Zeno appartiene o può indicare la coscienza in senso morale (ci si chiede se Zeno è buono o cattivo). Sicuramente il termine è in antitesi rispetto all'incoscienza e fa ceno all'opposizione conscio-inconscio e salute-malattia. La critica, a partire dagli anni 70-80 del 900, ha ridiscusso la categoria di 'inetto', mostrando l'evoluzione dei protagonisti sveviani. Alfonso Nitti ("Una vita"), incapace di comprendere la realtà e di governare la sua vita, si ripiega su se stesso e si suicida. Emilio Brentani ("Senilità”) sperimenta la sua inettitudine autoingannandosi di essere superiore, e finirà con a scelta della senilità, non del suicidio. - Zeno Cosini ("Coscienza di Zeno") non è un 'inetto pieno', ma un 'inetto abbozzo', in quanto riuscirà a guarire dalla sua malattia. La sua inettitudine si trasformerà in un modello di coscienza che lo porterà alla salvezza, precludendolo dagli uomini che sanno stare al mondo' (i lottatori). La sua duttilità gli consentirà di resistere al crollo di una realtà in cui non si è mai identificato, adattandosi meglio degli altri ai cambiamenti. Il nome di Zeno Cosini risale al greco 'xenos' che significa 'straniero'. Zeno è straniero alla vita perchè non adatto ad affrontarla, dunque incapace di aderire alla cieca volontà di vivere di Schopenhauer. Il cognome Cosini, diminutivo di 'cosa', conferma l'insignificanza di Zeno rispetto ai lottatori che ha confrontato nella sua vita (padre, suocero, Malfenti, Guido Speier). Pirandello definirà questo tipo di individuo 'forestiero della vita'. Zeno Cosini si rivelerà il più adatto a sopravvivere in virtù della sua imperfezione. La sua natura incompiuta lo metterà nella condizione di adattarsi, meglio degli altri, al mutare delle condizioni. Quando il monto si frantuma, travolto dagli eventi della WW1, Zeno resta in piedi: nell'estraneità sta dunque paradossalmente la sua forza. La modernità della "Coscienza di Zeno" sta in primo luogo nel modulo narrativo. Come nel "Fu Mattia Pascal" di Pirandello, il narratore è intorno (coincide col protagonista) e si assiste a uno sdoppiamento tra l'io narrante (Zeno che racconta) e l'io narrato (Zeno protagonista dei fatti narrati). Il soggetto e il suo punto di vista divengono misura dello spazio- tempo narrativo. La voce narrante procede per nuclei narrativi all'interno dei quali il passato interagisce continuamente col presente (flashbacks). Il tempo quindi non è più lineare e cronologico, ma è un tempo misto, costantemente assorbito dalla coscienza soggettiva di Zeno. Quindi eventi minimi possono essere oggetto di un'osservazione dettagliata, mentre periodi più lunghi della vita di Zeno possono essere condensati (ellissi) perchè ritenuti irrilevanti. Il filtro della memoria modifica i fatti e ne altre il profilo e il significato. Il punto di vista di Zeno-personaggio e Zeno-narratore non è attendibile. Zeno mente a se stesso quando agisce, e questo fa sospettare che possa mentire anche quando racconta. Ciò porta il lettore a sospettare che Zeno sia vittima della sua stessa nevrosi e finisca per rimuovere dalla memoria gli eventi scomodi che porterebbero alla luce il suo comportamento inadatto. Solitamente la voce narrante dovrebbe essere una garanzia di attendibilità, ma in questo terzo romanzo non è così. Zeno non ha alcuna certezza e s'interroga continuamente sul senso delle proprie azioni: afferma che "l'uomo spesso dà una forma alla verità basandosi sulle parole di cui dispone, e quindi se si ricorresse al dialetto, invece che alla lingua toscana, avremmo una verità diversa". Zeno infatti non crede alle verità assolute e dubita costantemente di tutto. Il tono di voce della 'coscienza' di Zeno (autoironico, diffidente, umoristico..) si affida alla tecnica del monologo interiore (flusso di pensieri, ricordi...). Questa tecnica annulla il ruolo di mediazione dell'autore e fa parlare direttamente il mondo interiore e psichico dei personaggi attraverso un gioco di libere associazioni di immagini, ricordi, pensieri. A differenza dello 'stream of consciousness' di Joyce, Svevo mantiene una struttura sintattica regolare e la punteggiatura. Il tono è caratterizzato dall'ironia: il dottor S dichiara di aver pubblicato le memorie di Zeno 'per vendetta' e aggiunge 'spero che gli dispaccia'. Dietro queste parole il lettore avverte la sua quasi comica assurdità in quanto il psicoterapeuta sarebbe tenuto al segreto professionale. L'ironia diventa così uno stile di pensiero che esprime il costante scetticismo del soggetto verso di se e verso il mondo. Svevo induce il lettore a non fidarsi del tutto di ciò che racconta Zeno, in quanto, per voce del dottor S, emerge la natura bugiarda del personaggio. Modernità della "Coscienza di Zeno" Tempo misto, non cronologico Narratore interno (sdoppiamento io narrante e io narrato) - Narratore non attendibile Tono ironico Monologo interiore Tematiche della "Coscienza di Zeno" Il tema della malattia risulta centrale e costitutivo. La malattia induce Zeno a intraprendere la terapia. Zeno sperimenta sulla sua pelle il mutarsi di queste malattie che commenta con ironia, e assume le medicine ancora prima dei sintomi in quanto è convinto che, in ogni caso, un male successivo rimpiazzerà il precedente. La malattia diventa quindi un linguaggio del protagonista e dell'uomo in generale: le medicine e i medici sono inefficaci alla guarigione, l'unico modo per guarire è comprendere la malattia stessa come linguaggio, come modo di essere. Ada, incarnazione della bellezza e salute, viene colpita dal morbo di Basedow che ne provoca l'invecchiamento precoce. Zeno osserva l'avanzamento del morbo, facendone la sua ossessione. La malattia si trasforma quindi in una metafora di uno stato di esistenza, in quanto è specchio di una vita che procede per 'crisi e lisi' (miglioramenti e peggioramenti). L'unica differenza tra la vita el malattia è che la vita è sempre mortale. Le indicazioni terapeutiche del dottor S sono lontane sia dalla teoria sia dalla pratica analitica di Freud. Anche se Svevo conosceva bene il pensiero freudiano, non si può dire che fosse un suo seguace. Nonostante questo nel suo romanzo ci sono episodi che ci rimandano a Freud, come il fatto di sbagliare corteo funebre che rappresenta un lapsus freudiano, in quanto in realtà non voleva andare al funerale. Svevo ebbe contatti anche con Wilhelm Stekel, allievo di Freud, e Edoardo Weiss, medico triestino. Studi recenti hanno dimostrato come Svevo non si sia rifatto alla psicoanalisi freudiana, bensì da altri modelli di psicoterapia del suo tempo. Il legame con la psicoanalisi non va quindi inteso in senso stretto, ma come indicazione di un campo di interesse. Svevo non credette mai all'efficacia terapeutica della psicoanalisi, ma la considerò un mezzo per consentire all'individuo un contatto con la propria storia. La psicoanalisi diviene quindi un metodo, più che una pratica da seguire. La prefazione ("Coscienza di Zeno" - cap l) Il romanzo si apre con le parole del dottor S, che dichiara apertamente di pubblicare le memorie del paziente per vendetta. Con queste poche righe Svevo traccia il contesto del romanzo. La prefazione chiama in causa la voce di un nuovo narratore, quella del dottor S. Questo narratore avrà voce solo qui e si farà da parte nel "Preambolo" per lasciare spazio alla voce di Zeno. Svevo mette in atto un espediente tipico della scrittura umoristica: la moltiplicazione delle premesse. (Una tecnica simile fu usata anche da Pirandello per il "Fu Mattia Pascal"). Questa tecnica permette di ritardare il vero inizio della storia e fornisce un contrasto tra le parole del dottor S, che forniscono una presentazione di Zeno, con la vera immagine di Zeno, che si vedrà a partire dal "Preambolo". Si crea quindi un conflitto tra dottore e paziente, i quali forniscono due versioni diverse della vicenda. Le due voci narranti sono del tutto inattendibili: il dottor S avverte fin dall'inizio di non fidarsi di Zeno, ma anche lui non è affidabile in quanto tradisce l'obbligo di riservatezza e pubblica le memorie di Zeno per vendicarsi (nonostante fosse stata sua linea di fargli scrivere una biografia). Al lettore vengono quindi negate le certezze che forniva il romanzo 800esco. Questa pluralità di dubbi segna il netto distacco di Svevo dalla visione verista/naturalista: siamo ormai pienamente nell'atmosfera di prospettive plurime tipica del 900. Il romanzo registra i movimenti culturali in via di sviluppo negli anni del 900, che stavano mutando la visione del soggetto nel mondo. In apertura infatti si cita la psicoanalisi (facendo riferimento a Freud). Svevo per la intende come un nuovo modo di porsi verso la struttura dell'individuo: infatti scrive 'psico-analisi' e non 'psicoanalisi' per evidenziare il significato originario della parola. Quando il dottor S afferma 'chi di psico-analisi si intende, sa dove piazzare l'antipatia che il paziente mi dedica', fa riferimento al transfer freudiano (approccio emozionale da parte del paziente sull'analista). Il preambolo ("Coscienza di Zeno" -cap II) Alla "Prefazione" succede "Il preambolo" per attardare il vero inizio della storia in modo da intrattenere il lettore (tecnica tipica del romanzo umoristico). Il tempo della "Coscienza di Zeno" è del tutto personale: Zeno assembla e scompone i materiali della sua vita, scartandoli e riprendendoli a proprio piacimento. La memoria si rivela fondamentale non solo per il racconto ma anche perchè permette di non piegarsi alle logiche di rigore che sia il dottor S sia il lettore esigerebbero. La memoria si svela come possibile complice delle omissioni del protagonista. Zeno mostra i metodi psicoanalitici come la libera associazione di idee o il fatto di risalire ai ricordi d'infanzia. Il dottor S gli ha detto che per risalire all'infanzia è necessario partire dai sogni, ma quando Zeno si risveglia non si ricorda più i sogni che ha fatto. L'unica cosa che si ricorda è l'immagine di una locomotiva, ma non ne capisce il significato. Già qui si profila subito il tema della malattia: dice che il bambino appena nato è inconsapevole della vita, ma piano piano sperimenterà anche la malattia perchè è impossibile proteggere la culla'. Zeno è molto scettico: si chiede che senso abbia un'immagine che merge dalla sua memoria o, di fronte a un ricordo d'infanzia, si chiede se quel ricordo appartiene davvero a lui o a un altro. Paradossalmente, per dare senso all'atto di ricordare, bisognerebbe conoscere l'importanza del ricordo prima ancora di averne uno. Inoltre non è affatto convinto che le terapie funzionino: "A forza di rilassarmi mi sono addormentato"; "non mi ricordo nemmeno cosa ho sognato". Il tono ironico è fra le conseguenze dello scetticismo di Zeno. Eppure sarà proprio la locomotiva sbuffante che attraversa la mente di Zeno, a rappresentare il segno tangibile della forza del ricordo. Quella locomotiva infatti lo riporterà alle ore fatali in cui il respiro del padre agonizzante sembrava lo stesso rumore degli sbuffi della locomotiva. Il fumo ("Coscienza di Zeno" - cap III) Inizia qui la vera narrazione degli eventi di vita di Zeno Cosini. Questo capitolo si occupa dei tentativi ripetuti, ma sempre fallimentari, di smettere di fumare. Il capitolo consegna al lettore la prima compiuta rappresentazione dell'inettitudine di Zeno. I ripetuti e invai tentativi per smettere di fumare si condensano intorno a quella 'ultima sigaretta' che diventerà sintomatica di un malessere psicologico e legato al rapporto col padre. L'attaccamento alla nicotina fin dall'adolescenza lascia emergere il conflitto con la figura paterna: il padre è autorevole e sicuro di sé, mentre Zeno è debole, malato e insicuro. La pagina, costellata dei sigari paterni, mette in scena l'impossibilità del figlio di eguagliare il padre nella sua capacità di aggredire la vota e non subirla. Al vizio del fumo (che nel 900 non era visto male come ai giorni d'oggi) si associano vocaboli negativi come 'disgusto' 'sozza abitudine' 'colpa'. Questi termini sono segnale del senso di colpa che la lotta contro il fumo provoca in Zeno, il quale non si sente all'altezza delle aspettative paterne e si crea alibi per allontanare la presa di coscienza. Zeno si attacca al vizio del fumo perchè gli fornisce la giustificazione delle sue manchevolezze. In primo luogo, Zeno ha bisogno che il suo proposito di smettere di fumare non vada a buon fine perchè, finché ci sarà l'ultima sigaretta, potrà illudersi di avere ancora una chance. In secondo luogo, l'impossibilità di rinunciare al fumo si lega anche alla funzione di capro espiatorio: fintanto che fumerà, potrà dire che le sue mancate vittorie siano la conseguenze della sua dipendenza dal tabacco (ex. 'io non potevo studiare chimica perchè non avevo le mani libere perchè stavo fumando'). L'immagine dell'ultima sigaretta è divenuta emblema della volontà debole, rappresentazione della nevrosi dell'uomo moderno. L'atto di Zeno è diventato un esempio della perduta unità del soggetto. Con Zeno gli atti diventano espressioni 'di altro', di qualcosa che non si conosce (inconscio). In apertura Zeno cerca un appiglio per avviare il racconto. "Non so come cominciare" scrive, e sceglie di iniziare da un particolare qualsiasi ovvero il cambiamento di confezione delle sigarette. Questo è il metodo delle libere associazioni, che è fondato sulla convinzione che tutte le parti dell'io siano tra loro collegate e si richiamino, secondo un principio detto determinismo psichico. Ne deriva una lettura nuova dei lapsus/atti mancati che vengono letti come la spia di un inciampo inconscio: una reazione non voluta dell'individuo che si esprime con un linguaggio incontrollabile. La morte di mio padre ("Coscienza di Zeno" - cap IV) Il quarto capitolo si apre con Zeno che fa il punto sui rapporti generali col padre e racconta aneddoti sperando che possano portargli una comprensione maggiore della figura paterna. Il tempo è misto e irregolare: il racconto evoca un arco temporale di 18 anni con un ritmo accelerato, mentre in uno spazio narrativo più ampio saranno raccontati solo 15 giorni. Tale tempo trova un suo ritmo nell'abitudine 'malata' di Zeno di segnare ossessivamente la data dell'ultima sigaretta. La rievocazione dei fatti è spesso alterata dal desiderio dell'io narrante: filtra il passato attraverso la coscienza del presente e può ri-crearlo modificandolo alla luce di ciò che vorrebbe vedervi oggi. Lo scarto fra questi piani è reso sia attraverso il modo condizionale del verbo (potrebbe, sarebbe stato) sia col monologo interiore, in cui l'io narrante mette in atto le libere associazioni. Questi metodi servono a indicare l'impossibilità di far realizzare un'ipotesi. "Ricordo tutto, ma non intendo niente" scrive Zeno mentre cerca di capire il proprio rapporto col padre. In questa affermazione è racchiuso il tema fondamentale del romanzo: non basta il ricordo per dare il senso (polemica contro gli psicoanalisti). La frase esprime il disagio di Zeno verso la propria storia. La memoria, da sola, non è nulla: su di essa deve per forza esercitarsi l'interpretazione. L'evento della morte paterne è descritto come l'avvenimento più importante della mia vita'. Questa frase si lega direttamente a Freud, che definiva l'evento della morte di un padre l'avvenimento più importante nella vita di un individuo. Inoltre la critica ha individuato un altro sfondo, quello della centralità del padre', elemento connesso con la cultura ebraica. Zeno ha digerito meglio la morte della madre perchè era più giovane e ingenuo, ma anche perchè pensava che la madre lo potesse proteggere dal cielo. Quando muore il padre lui è ormai ateo, e non ha ancora realizzato nessun obbiettivo, quindi si ritrova con la propria vita in mano senza sapere da dove rifarsi. Il rapporto col padre assume i tratti di una relazione all'insegna della duplicità: Zeno nutre amore- odio verso il genitore, sentito come l'emblema dell'autorità patriarcale e della morale borghese. La passata riluttanza a prestare un aiuto efficace al padre malato rivela un sentimento ambiguo: nonostante il riavvicinamento finale al genitore, Zeno non ne desidera realmente la guarigione. Questo pensiero lascerà nel protagonista un senso di colpa che si manifesterà al momento della morte del padre. La morte di mio padre ("Coscienza di Zeno" - cap IV) parte finale 'Lo schiaffo' In questo brano ci sono 2 eventi emblematici: la morte del padre e l'episodio dello schiaffo. Lo schiaffo è un episodio equivoco, in quanto è stato un movimento involontario della mano paterna che fa scattare in Zeno il dubbio che suo padre abbia speso le sue ultime forze per rimproverarlo. È un episodio emblematico: può essere visto come espressione di senso di colpa o rimorso di cui Zeno parla nell'intero capitolo. È l'atto che sancisce l'impossibilità definitiva di provare la propria innocenza perchè nel dargli questo schiaffi il padre muore, e Zeno non potrà più dimostrargli il proprio affetto. Inoltre potrebbe essere uno dei tanti atti ambigui e grotteschi: Zeno non potrà mai avere una spiegazione del significato di questa azione. Zeno non saprà mai se questo gesta era dovuto alla perdita dei sensi del padre o se era un atto di rimprovero verso il figlio. All'inizio pensa di rivolgersi al dottore per capire a cosa sia dovuto questo gesto, ma poi decide di non farlo e rimane impressionato dalle parole dell'infermiere che racconta la storia come un atto punitivo ('superbo e minaccioso'). Storia di un'associazione commerciale ("Coscienza di Zeno" - cap VII) Zeno è entrato in società del cognato Guido Speier, ma gli affari vanno male. L'imperizia di Guida porta la sua impresa al fallimento e, dopo un tentativo di suicidio (simulato per ottenere un aiuto economico da Ada), si suiciderà veramente. Morto il cognato, il peso degli affari ricade su Zeno che da prova di un'inattesa abilità e riesce a recuperare una parte delle perdite, a costo però di mancare al funerale di Guido. Tutto il capitolo può essere interpretato come un atto mancato: secondo Freud è un atto il cui risultato perseguito non è raggiunto, ma è sostituito da un altro. Questa sostituzione avviene a causa di errori involontari, ma che nascono da spinte inconsce. L'intenzione cosciente di Zeno è quella di partecipare al funerale, ma l'errore che commette accodandosi al corteo funebre sbagliato ci rivela che i suoi sentimenti verso Guido in realtà non sono poi così veritieri (l'inconscio di Zeno è che Guido gli ha rubato la donna, Ada). Zeno insiste sull'affetto che prova nei confronti di Guido e del dolore per la sua morte, ma l'errore ci fa capire che questo non è vero. La grande abilità di Svevo è quella di mettere nelle condizioni il lettore di poter intuire le vere intenzioni di Zeno. Di queste intenzioni, Zeno appare solo parzialmente consapevole. Quando Nilini gli rimprovera di aver sbagliato funerale, Zeno si irrita e fornisce una spiegazione che è un'implicita autoaccusa: "mi premeva più la Borsa, che il funerale". Quando realizza di aver recuperato una parte delle perdite dell'impresa, ha l'impressione di essere ormai entrato nel mondo dei vincenti e questo dimostra il suo reale sentimento di ostilità nei confronti di Guido. Quando Zeno si rende conto di aver sbagliato funerale, torna in ufficio a seguire la Borsa. Mentre attraversa le colline di Trieste si sente improvvisamente pieno di salute. La fragilità della salute appena conquistata si rivela subito nella sua incerta tenuta. Non appena Augusta, la moglie, gli rimprovera la sua assenza al funerale, egli non si sente più tanto sicuro delle sue ragioni e comincia a dolergli il fianco (sintomo delle fasi più acute della sua nevrosi). Il lettore intuisce che la spiegazione data da Zeno della circostanza non è che uno dei sui tentativi di autoinganno. La sua natura di bugiardo si rivela nuovamente di fronte alla freddezza della signora Malfenti: qui a Zeno tocca un momento di lucidità e fornisce una versione un po' più eroica di quella reale (inventa una scusa: dice che è dovuto rimanere in ufficio per aspettare i titoli di Borsa da Parigi, ma in realtà questo episodio era successo 2 giorni prima). Ciò che commuove fino alle lacrime la Malfenti, non è la devozione di Zeno per l'amico, ma il fatto che egli sia riuscito a ridurre il danno dell'impresa di famiglia. Le meschinità piccolo-borghesi sono indirettamente messi in luce attraverso l'implicita ironia del narratore. In definitiva vediamo come l'umore di Zeno sia variabile: inizialmente lavora 24 ore su 24, poi sbaglia funerale, successivamente torna in ufficio e si sente in piena salute, infine quando la moglie lo rimprovera si risente male con un dolore al fianco. Questo mette ancora più in luce quanto il narratore sia inattendibile e bugiardo. Luigi Pirandello Vita Nasce nel 1867 nella campagna di Agrigento (Agrigento dal 1927): il padre è un borghese che gestisce le miniere di zolfo e la madre proviene da una famiglia antiborbonica. Luigi si dedicherà agli studi umanistici e nel 1887 va a studiare Lettere alla Sapienza di Roma: qui pubblica la sua prima raccolta di poesie "Mal giocondo" 1889 e si interessa al teatro. A Roma conosce un professore di filologia romanza, disciplina che studia le lingue romanze, e si appassiona talmente che decide di continuare gli studi in Germania dove si laurea con una tesi sul dialetto di Agrigento. In Germania, a Bonn, entra in contatto col pensiero di Schopenhauer. Tornato a Roma sposa Maria Antonietta, figlia ricca di un collega del padre, e frequenta alcuni intellettuali veristi come Luigi Capuana. Quest'ultimo lo spingerà sulla via della narrativa, così nel 1901, Pirandello pubblica a puntate sulla rivista 'La tribuna' il suo primo romanzo "L'esclusa". Intanto crolla una miniera di zolfo acquistata con la dote della moglie e le critiche condizioni economiche della famiglia causano a Maria Antonietta la nevrosi e paralisi. Pirandello collabora con diversi periodici e dopo "L'esclusa" (1901) e "ll turno" (1902), pubblica il suo terzo romanzo "Il fu Mattia Pascal" (1904). Ci sarà anche un quarto romanzo "I vecchi e i giovani" (1906-08), ma dal 1909 si dedica alla pubblicazione di novelle sul 'Corriere della Sera' e dal 1910 tenta la via del teatro. Gli anni della ww1 sono anni difficili: la salute della moglie peggiora e il figlio è fatto prigioniero dagli austriaci. Pirandello continua la sua produzione e nel 1915 esce "Quaderni di Serafino Gubbio operatore" e diverse opere teatrali ("Pensaci Giacobino!") che verranno pubblicate nella raccolta "Maschere nude", presso l'editore Treves. Presso l'editore Bemporad, esce la raccolta delle sue "Novelle per un anno". In questi anni la sua carriera teatrale raggiunge l'apice con la rappresentazione al Teatro Valle di Roma i "Sei personaggi in cerca d'autore", che provocheranno un grande scandalo, ma invece furono un gran successo quando furono rappresentate a Milano. I "Sei personaggi in cerca d'autore" fanno parte della 'Trilogia del teatro nel teatro' ("ciascuno a suo modo" e "Questa sera si recita a soggetto"). Nel 1924 Pirandello fonda una compagnia drammatica, il Teatro dell'Arte, con la quale compie tournées anche all'estero. Per ottenere appoggi si iscrive al partito fascista (1924). Sotto l'influsso del Surrealismo, compie drammi che lui stesso definisce miti: "La nuova colonia", "Lazzaro", "I giganti della montagna". Nel 1928, il Teatro dell'Arte si scioglie, ma Pirandello rimarrà per sempre legato all'attrice Marta Abba, la sua musa inspiratrice. Il 1929 è un nuovo anno di svolta: Pirandello affida all'editore Mondadori la diffusione delle sue opere e viene ammesso nella Reale Accademia d'Italia. Tuttavia i suoi rapporti col regime fascista sono assai freddi, come testimonia il 'Discorso funebre' commemorativo per Verga (1932). Nel 1933 torna a Roma e nel 34 riceve il Premio Nobel per la letteratura. 2anni dopo muore di polmonite (1936). Il pensiero e la poetica Pirandello si forma nel nucleo della migliore tradizione verista, in una terra periferica della Sicilia. Quindi, inizialmente, approda a un atteggiamento critico nei confronti della scienza e del progresso e a una visione materialistica dell'esistenza ('scrittura di cose' non 'di parole' => # D'annunzio). Pirandello sostiene che un'opera letteraria deve andare al nocciolo della nostra esistenza e le parole devono essere scelte per il significato e non per il suono. Successivamente agli studi in Germania, entra in contatto con la tradizione tedesca e sopratutto con le avanguardie del 900 come il Surrealismo, a Parigi, e Espressionismo, a Berlino. Con "Il fu Mattia Pascal" e "Sei personaggi in cerca d'autore", Pirandello segna una svolta nella tradizione letteraria europea: con il romanzo mostra per la prima volta una visione relativistica della realtà e la frammentazione dell'io (relativismo la realtà è scomponibile); con l'opera teatrale mostra un interesse per la riflessione metaletteraria (metateatro). Uno dei temi fondamentali delle opere di Pirandello è la crisi d'identità. La fiducia 900esca verso l'esattezza dell'analisi scientifica è messa in crisi dall'indagine scientifica stessa: le scienze esatte pongono in discussione concetti cardine come spazio e tempo. La psicologia mette in luce le contraddizioni, insinuando pesanti incertezze sull'unità della personalità di un individuo (frammentazione dell'io). Pirandello legge gli scritti di psichiatria di Morel e approfondisce le teorie sul doppio di Binet (sosteneva che in ognuno di noi c'è una federazione di anime tenuta a bada da un'io egemone (frammentazione dell'io). In una lettera che Pirandello scrisse a sua moglie disse che sentiva dentro di se la coesistenza di 2 anime: una più scherzosa tenuta a bada da una più seria. Inoltre in questi anni arriva la teoria della relatività di Einstein (le certezze di spazio e tempo si infrangono perchè variano a seconda del sistema di riferimento) e la teoria sul tempo di Bergson, che hanno aiutato ad amplificare la sfiducia verso il positivismo. Un altro tema fondamentale è il contrasto tra realtà e apparenza. Pirandello approda a una prospettiva relativistica che mette in discussione le certezze e indaga gli spazi più oscuri della coscienza. Non si limita però a riconoscere l'assurdità dell'esistenza, ma ricerca anche le radici antiche della crisi dell'uomo. Il relativismo mette in discussione una descrizione univoca e oggettiva della realtà, dato che ciò che ci appare spesso è una maschera che nasconde qualcosa. Nella "Premessa seconda/Prefazione" al "Fu Mattia Pascal", l'autore individua nella rivoluzione attuata da Copernico (uomo non più al centro del cosmo) la causa prima del relativismo moderno. La 'rivoluzione copernicana' diventa quindi una metafora della crisi delle incertezze dell'uomo moderno. Il vecchio modello positivissimo non basta più a spiegare una realtà segnata da contraddizioni destinate ad aumentare con il progresso scientifico. Le invenzioni tecnologiche (prodotti di massa, industrializzazione, urbanizzazione) hanno alienato l'uomo da se stesso rendendo artificiale la sua esistenza. Se dunque i futuristi esaltano la macchina e il mito della velocità, Pirandello si mostra polemico nei confronti della 'meccanizzazione' (tema approfondito in "Quaderni di Serafino Gubbio"). Visione pirandelliana I meccanismi sociali impongono all'uomo un'identità fittizia, una maschera. Il soggetto convive inconsapevolmente con essa, costretto a rinunciare alle sua pulsion di libertà perchè continuamente soffocato dagli obblighi e vincoli sociali. La ricerca pirandelliana si rivela un'indagine sul senso di un'esistenza chiusa in un reticolo di convenzioni (trappole). Il critico Adriano Tilgher coniò la distinzione tra 'vita' e 'forma' nel saggio "Vita e sera": vita indica il fluire incessante e libero dell'esistenza, forma è il risultato delle maschere che si assumono a seconda di un determinato ruolo sociale. Questa distinzione influenzò Pirandello, il quale conformò parte della sua produzione teatrale a essa. Il concetto pirandelliano di 'vita' mostra diversi punti in comune con quello di 'slancio vitale' (l'élan vital) di Bergson: l'élan fa della realtà un'energia in movimento. Sotto la 'forma' si agita un 'flusso vitale', coperto da argini diffidati dall'uomo stesso. Gli argini sono anche 'trappole' o 'maschere' che imprigionano la vera vita per interpretare il ruolo sociale dettato dall'esterno (trappole = famiglia e lavoro). Ne consegue un'ulteriore frammentazione dell'io, e una perdita di identità. Ci sono dei momenti in cui il flusso vitale può emergere: sono i momenti di follia, di creazione artistica o semplicemente attimi casuali (epifanie - momenti rivelatori che consegnano una nuova visione dalla quale non è possibile tornare indietro). I personaggi pirandelliani sono maschere nude, maschere messe a nudo, consapevoli degli inganni sociali. (Pirandello li definisce 'forestieri della vita'). Di fronte però a questa consapevolezza, si limitano ad accogliere la contraddizione, senza cercare conclusioni (protagonista di "Uno, nessuno, centomila" preferisce stare in manicomio e non darsi neanche un nome, assumendo via via tutto quello che lo circonda). Non è infatti un caso che oltre opere di Pirandello 'non concludano'. Questo ribadisce il concetto di relatività di ogni certezza, dato che sono lasciate alla libera interpretazione del lettore. La realtà da descrivere non è più uniforme: per Pirandello, quindi, riflettere sulla modernità significa interrogarsi anche sul ruolo dell'arte. Se la realtà si rivela frammentaria, può ancora il linguaggio artistico dare un'immagine univoca? La risposta si trova nei saggi del "1908 L'umorismo" e "Arte e scienza". Pirandello è convinto che l'arte moderna abbia il compito di svelare le contraddizioni, le molteplici possibilità, la caotici e l'assurdo dell'esistenza. La realtà è infatti deformata, da un lato dalle convenzioni e dall'altro dai molteplici punti di osservazione. L'artista deve dunque scomporre e analizzare la realtà nelle sue deformazioni: l'arte si farà quindi grottesca e umoristica, mostrando la realtà come visione e come riflessione senza dare risposte certe. L'umorismo è fondamentale perchè permette una scomposizione della realtà: accanto al tragico c'è sempre il ridicolo, accanto alla luce c'è sempre l'ombra.. Lo scrittore deve mostrare l'ombra, la saggezza nella follia, rovesciando così alla cecità in visione. Insomma, la vita non va più romanticamente vissuta, ma vista 'dal di fuori' (come molti personaggi pirandelliani che hanno scoperto che 'c'è un oltre in tutto'). È proprio da gusto oltre che provengono tutte le epifanie pirandelliane: l'unica possibilità di rivelazione proviene, non alla luce, ma da quello che Pirandello chiama il 'bujo pesto'. Punti in comune con Espressionismo tedesco: Tendenza alla deformazione grottesca e caricaturiate delle figure Concetto di visione interiore, che implica un'uso snaturato di colori. I colori assumono un valore metaforico (rosso dolore, azzurro = primitivismo), richiamando il "Teatro del Colore" di Kandinskji. Procedimento di scomposizione delle figure: i particolari sono ingranditi e stravolti, i volti e le cose sono guardati da più punti di vista simultaneamente. Pirandello prenderà spunto anche dal Cubismo, nella scomposizione dell'oggetto. "1908 Saggio dell'Umorismo" Il saggio sull'Umorismo è quello che meglio mostra le novità della poetica pirandelliana. Fu composto nel 1908, in occasione di un concorso per ordinario al Regio Istituto superiore di Magistero femminile, dove già insegnava dal 1897 (lo scrive quindi per ottenere una cattedra fissa alle superiori). La prima edizione (dedicata idealmente 'Alla buon'anima di Mattia Pascal bibliotecario') accese una polemica tra Pirandello e Benedetto Croce. A differenza di Pirandello che considerava la riflessione dell'umorismo una forma di sentimento, Croce separava drasticamente la filosofia dal fenomeno artistico, distinguendo ciò che è poesia (intuizione e sentimento) da ciò che non è poesia (riflessione). Nella seconda edizione del 1920, Pirandello inserì delle integrazioni per rispondere alle critiche di Croce. Il saggio è diviso in 2 parti: 1. Parte storica e filologica (fatta da appunti delle sue lezioni e saggi precedenti) -> Pirandello spiega la terminologia dell'arte umoristica e le sue manifestazioni nelle varie epoche. 2. Parte teorica e estetica -> Pirandello si sofferma sul concetto di umorismo e opera una distinzione rispetto a quello di comicità. Per spiegare questa differenza, Pirandello sfrutta l'immagine di una donna vecchia che si vede e si atteggia come una giovane. A prima vista, questa immagine suscita all'osservatore la reazione del riso: Pirandello definisce questo stadio l'avvertimento del contrario' che corrisponde al 'comico'. (L'immagine di fronte ai nostri occhi è l'esatto contrario di ciò che dovrebbe essere, quindi ci fa ridere). Se però, dopo questo stadio subentra la riflessione il comico è superato dall'umorismo, definito 'sentimento del contrario', in quanto il riso si fa amaro (sentimento di compassione) e la perplessità interviene a stimolare la riflessione. (Dietro l'immagine si intuirà la dimensione di una piccola-grande tragedia umana: la donna si comporta così forse per tenersi stretto un marito molto più giovane di lei). Per Pirandello l'umorismo non è mai solo la risata ma anche la riflessione, e quindi un fondo di amarezza e sconforto. L'esperienza dell'umorismo si propone come una forma di veggenza: attraverso il 'sentimento del contrario' si svela l'oltre che nasconde la condizione esistenziale dell'uomo. Pirandello, mettendo a confronto l'arte antica e moderna, si convince del fatto che quella tradizionale (genere epico) era in grado di porsi di fronte alla realtà mutevole, estraendone l'idealità essenziale in termini di verità assoluta. Al contrario, l'umorista, sa che non è più possibile ridurre tutto a un principio d'unità, in quanto la verità non è più una e non è né certa né assolta. L'arte dell'umorista non potrà che svelare la disgregazione dell'individuo e la frammentazione della realtà, per questo motivo i testi umoristici tendono a non concludere. I personaggi letterari emblematici di questo atteggiamento sono i 2 più grandi personaggi della letteratura barocca: Amleto (eroe del dubbio) e Don Chisciotte (eroe della nascita del romanzo moderno). Il saggio pirandelliano presenta punti in comune con le teorie del riso e del comico espresse da Bergson nel saggio "Le rire" 1900. Secondo Bergson, la vita fluisce costantemente (élan vital) e l'intuizione è l'unica facoltà conoscitiva in grado di afferrarla sotto le 'maschere' delle convenzioni sociali. Per Bergson, il comico si genera da un processo di 'meccanizzazione della vita' che irrigidisce l'uomo riducendolo a una 'cosa'. Il riso è quindi lo strumento che, a livello sociale, induce la collettività a tornare all'élan vital. Pirandello, rispetto a Bergson, opera una distinzione tra comico e umoristico ma soprattutto è scettico sulla possibilità di tornare al 'flusso vitale' liberandosi delle trappole sociali. Nella sua ottica il riso amaro dell'umorista può al massimo procedere allo smascheramento e svelare le contraddizioni sociali di cui l'uomo è prigioniero. "Novelle per un anno" L'attività di novellatore impegna Pirandello per tutta la sua vita, la prima raccolta "Amori senza amore" uscì nel 1894 e l'ultima "Una giornata" uscì postuma nel 1937. Dal 1922 l'autore decise di raccogliere tutta la sua produzione novellistica in una serie di 24 volumi intitolati "Novelle per un anno". Portò a termine solo 15 volumi, ognuno contenete 15 novelle: i primi 13 uscirono presso l'editore Bemporad, gli ultimi 2 presso Mondadori. La scelta di raccogliere la produzione sotto un unico tutolo non deve far pensare a un principio di ordine che regoli la successione delle novelle. Infatti Pirandello stesso scriveva 'Una novella al giorno, per tutt'un anno, senza che dai giorni, dai mesi o dalle stagioni abbia tratto la sua qualità'. Le novelle quindi si succedono slegate e indipendente secondo un principio di causalità: l'autore rinuncia a ogni forme di cornice (# Boccaccio - "Decameron"). Il titolo stesso, "Novelle per un anno", sembra voler rinviare alla funzione dissipatrice del tempo, un eterno presente in cui gli eventi sono dominati dal caso e dall'assenza di senso. Facilità e velocità di scrittura caratterizzano la produzione novellistica. Pirandello sembra trovare una singolare fluidità di scrittura e tenta varie sperimentazioni. Il suo stile si evolve: si allarga il campo delle descrizioni (dalle campagne siciliane alle metropoli americane) e i temi si ampliano. Per questa sua sperimentazione, le novelle costituiscono una sorta di incubatrice per il resto della produzione pirandelliana. Infatti Pirandello si serve delle novelle per trarre spunti per tarme e personaggi dei romanzi e delle opere teatrali. Nonostante l'assenza di un principio d'ordine, c'è chi ha tentato di trovare elementi di regolarità nella distribuzione narrativa delle novelle: - Nelle novelle d'ambientazione siciliana -> prevale l'analisi delle convenzioni sociali e la scoperta dell'assurdità del vivere Nelle novelle d'ambientazione cittadina e borghese (Roma) -> prevale il tema dell'alienazioni alle prese con la meccanizzazione. Nelle novelle degli ultimi anni (1931-36) -> prevalgono i temi metafisici del sogno, il doppio, il soprannaturale... che rivelano affinità con le allegorie di Kafka o con le visioni surrealiste e espressioniste. Ciononostante, le singole vicende esistenziali si proiettano in una dimensione astorica, che va al di là di un tempo o uno spazio definiti. Ciò che va in scena è l'assurdità del vivere e i rispettivi meccanismi (alienazione, maschere nude...). Le modalità narrative delle novelle si allontano dai canoni fissati da Capuana e Verga (nonostante l'ambientazione possa rimandare al verismo - "La giara", "La patente"): • Il principio di verosimiglianza è superato dalla poetica dell'umorismo L'oggettività lascia spazio ai processi di scomposizione • La narrazione impersonale è sostituita da un narratore onnisciente, che assume il punto di vista del personaggio • Il determinismo (causa-effetto) è superato dal principio di causalità. Il relativismo consecutivo porta alla moltiplicazione dei punti di vista e all'impossibilità di una spiegazione definitiva. In questa posizione Pirandello si colloca in linea con Einstein, Freud e Binet. Nelle trame delle novelle troviamo alcuni temi ricorrenti: la rappresentazione della routine quotidiana in cui un atto casuale (epifania - ex. fischio del treno) porta alcuni soggetti a uscire dalla rete delle convenzioni sociali costringendoli a guardare 'dal di fuori' la propria vita. Singoli dettagli apparentemente trascurabili acquistano una rilevanza enorme perchè proprio grazie a essi il personaggio percepisce il vuoto dietro le forme. Questi dettagli, all'apparenza inutili, sono ingigantiti nel racconto (Ex. "La mano del malato povero" - compare solo la mano, e mai il resto del corpo). Paradossalmente, solo guardando dal di fuori, il personaggio riesce a percepire il flusso vitale. Una volta consapevole, il personaggio potrà tentare di scrollarsi di dosso il peso delle trappole attraverso atti ridicoli (Ex. "La carriola" - di nascosto fa il gioco della carriola con il suo cane), oppure potrà provare ad assumere il peso consapevolmente pagando a proprio vantaggio l'immagine ch era società gli ha dato (Ex. "La patente" - Chiarchiaro veniva scansato dalle persone perchè, vestendosi sempre di nero, pensavano portasse sfortuna. Lui quindi chiede che venga fatto un documento, una patente di menagramo, che certifichi il suo ruolo di iettatore). In ogni caso, quando il conflitto tra essere e apparire esplode, l'improvvisa rivelazione condanna il protagonista a fare i conti per sempre con le maschere sociali. Questi aspetti contradditosi si acutizzano man mano che ci si avvicina alle ultime novelle, dove diminuiscono i dialoghi e il caos tende a scomparire nel silenzio. Il paradosso e l'assurdo percorrono tutta la raccolta fino all'ultima novella "Una giornata", in cui un uomo si trova a vivere nell'arco di un giorno la sua intera esistenza. "Il treno ha fischiato" ("Novelle per un anno") Uscita nel 1914 sul 'Corriere della Sera'. Racconta la vicenda emblematica di un impiegato, Belluca, condannato a un'esistenza monotona e alienante, fino a che il fischio improvviso di un treno non apre uno scorcio su un oltre imprevisto, facendo intravedere al personaggio la possibilità di un'identità diversa e più autentica. La novella inizia in medias res, immettendo il lettore direttamente nel racconto senza alcuna spiegazione precedente. Il significato del primo verbo, 'farneticare', getta sulla vicenda la luce sinistra della follia. Tramite un flashback, Belluca racconta di alcuni suoi atti di follia nei confronti del capo-ufficio, dal quale veniva sottomesso. Di fronte ai sintomi disorientati del protagonista le diagnosi si accavallano, fitte di termini medici (vv 6-9 "Frenesia, Encefalite, Febbre celebrale...). L'uso di una terminologia scientifica mette in scena la perdita di oggettività e la crisi del Positivismo. Verso la fine della prima sequenza (vv 1-22) compare il nome del protagonista accompagnato da una breve analessi (ripresa tematica), in cui si fa accenno all'improvvisa ribellione dell'impiegato al suo capo-ufficio. La voce narrante si rivelerà essere quella di un personaggio-testimone, il vicino di casa di Belluca, che spiega come sia stata normale la reazione di Belluca date le sue circostanze di esistenza (una vita di merda). Nella seconda sequenza (vv 23-83) la voce narrante fornisce la lettore un breve ritratto del protagonista riassumendone l'esistenza alienata di un piccolo impiegato, 'vecchio somaro', sottoposto alle provocazioni dei colleghi. Il ritratto del protagonista è quello dell'emarginato che tutti prendono di mira (in famiglia lo sfruttano e in ufficio lo deridono). Viene poi rievocata la scena della ribellione, preceduta dal fischio di un treno che avrebbe sconvolto l'esistenza di Belluca (quando torna in ufficio è un uomo totalmente diverso: risponde al capo). La sequenza si chiude con l'internamento in manicomio del protagonista. La terza sequenza (vv 84-105) si svolge nell'ospedale dei matti ed è dominata dalle farneticazioni di Belluca che rievoca esperienze poetiche. Alla fine di questa azione il narratore esprime il suo punto di vista. La quarta sequenza (vv 106-119) ospita la riflessione del narratore sulle vicende di Belluca, mentre la quinta sequenza (vv 120-145) mostra la descrizione del contesto familiare squallido in cui vive Belluca: se l'ufficio, con la sua routine, condanna l'individuo a un lavoro alienante, la famiglia si rivela un nido-prigione non meno soffocante (trappole lavoro e famiglia). Tramite un secondo flashback, la voce narrante ci mostra la situazione familiare di Belluca: convive con la moglie cieca, 2 vecchie signore che hanno la cataratta (=> quasi 3 donne cieche) e le figlie sono madri vedove. Lui è l'unico che deve occuparsi di tutte queste persone e, per mantenerle, fa anche un lavoro notturno (sente il fischio del treno di notte). La sesta sezione (vv 146-198) riporta il colloquio tra il narratore e Belluca che rievoca la sua epifania: quel fischio improvviso ha aperto uno squarcio nella vita meccanica del protagonista e lo ha immesso in un'altra dimensione. Collegato a una catena di cause, il fenomeno del delirio appare naturalissimo: l'assurdo, le patologia, la follia non sono anomalie, ma sono parte costitutiva dell'intera esistenza. Il delirio diventa la porta attraverso cui si rivela una verità nascosta ma più vera di quella che cade normalmente sotto i nostri occhi. Il fischio del treno divento uno spiraglio dal quale intravedere il caos del flusso vitale. Belluca rimarrà per sempre segnato da questa esperienza: anche se tornerà al mondo delle forme (convenzioni sociali dell'ufficio), non ne sentirà più il peso dato che è consapevole del vuoto nascosto al loro interno. Belluca non farà mai proseliti, semmai irriterà il suo prossimo: la sua verità non è destinata a circolare, ma a restare custodita come in uno scrigno, in quel sollievo impenetrabile che gli distende il volto in un'espressione da pazzo farneticante. Tematiche: • Tema della follia - manifestazione normalissima che può succedere a chiunque • Tema delle 2 trappole lavoro e famiglia • Aspetto grottesco - 3 vecchie cieche e isteriche (Espressionismo pirandelliano - esagerazione + caricatura) • Cecità - metafora della stessa cecità che ha Belluca in quanto non conosce più il mondo esterno. Epifania fischio del treno, riscopre un mondo esterno e cambia atteggiamento. In Italia c'è la Belle Epoque (reti ferroviarie sviluppate - il treno è simbolo del progresso), infatti Belluca vede il treno come un mezzo per scappare dalla realtà e essere libero. • Umorismo - quando Belluca fa quello che non ci si aspettava da lui, i colleghi d'ufficio ridono => 'avvertimento del contrario' - livello comico. Il suo vicino di casa parla con amarezza => 'sentimento del contrario' - umorismo. • Contatto tra vita e forma (il momento dell'epifania ha ripreso a far fluire il suo flusso vitale) I romanzi L'attività di romanziere impegna Pirandello dal 1901 al 1926, successivamente si concentra solo sull'attività teatrale. La produzione consta di 7 romanzi che riflettono un'intensa stagione di sperimentazione, legata al definirsi della poetica umoristica. La dedica ‘alla buon'anima di Mattia Pascal' del saggio su L'umorismo testimonia l'interazione esistente tra la riflessione teorica e una scrittura romanzesca basata sulla scomposizione e sul relativismo conoscitivo. L'arco temporale della produzione coincide con quello delle novelle e del teatro, infatti molto spesso i piani si intersecano presentando trame, personaggi, immagini che erano già state utilizzate in un altro genere letterario (novella -> romanzo -> commedia) (ex. Epigrafe dedicata alla buon'anima di Mattia Pascal: romanzo -> saggio). L'attività di Pirandello prende le mosse dalla crisi dei modelli naturalistici e veristici del romanzo 800esco. Il canone verista dell'impersonalità è ormai superato: al romanzo 'ben fatto' (Flaubert, Zola), basato sulla visione oggettiva della realtà, si sostituisce il romanzo 'da fare', in cui il nuovo focus è la ricerca dietro le apparenze. 7 romanzi: I primi 4 sono quelli che hanno avuto meno successo, considerati secondari, ma dove comunque si nota il suo atteggiamento umoristico e assurdo (denunciare le rigide convenzione sociali): 1. "L'esclusa" -> è il primo romanzo nel quale Pirandello rivela l'attenzione per il paradosso esistenziale. La storia si svolge in Sicilia, con uno sfondo realista, e una giovane donna viene emarginata dalla famiglia perchè ritenuta adultera. Cambia città e va a Palermo, ma essendo innocente alla fine lei cede alla tentazione e diventa veramente amante. Quando diventa amante, la famiglia la riaccetta e viene inserita nella casa (paradosso). 2. "Il turno" -> una giovane donna è obbligata dal padre a sposare un vecchio agiato. Lei spera solo che lui muoia e lei si prenda tutta l'eredità, ma questo non accade. Lei sposerà l'avvocato che morirà di infarto poco dopo, mentre il vecchio agiato si sposa con la vicina di casa della ragazza. 3. "Suo marito" -> si svolge a Roma e ricrea la vicenda realmente accaduta alla scrittrice sarda Grazia Deledda. Il marito si illude di essere indispensabile per la moglie perchè è illuso agente finanziario, ma la moglie lo lascia per un altro. 4. "I vecchi e i giovani" -> siamo in Sicilia, e si ha la tipica scomposizione umoristica (da una parte l'aspetto ridicolo della realtà e dall'altro l'aspetto più cupo tramite l'alternanza di 2 generazioni vecchi e giovani'). In Sicilia c'è la crisi del mercato delle zolfare e iniziano le prie proteste: sono citati eventi reali come 'lo scandalo della Banca Romana' e 'la repressione dei Fasci'. Vecchi (risorgimentali) - corruzione; Giovani (opportunisti) - illusione Nei primi 2 romanzi la provincia siciliana è colta nelle sue conformistiche convenzioni. I protagonisti cercano di scappare dal sistema di meccanismi sociali, ma si rendono conto della loro impossibile emancipazione. Il baricentro della narrazione si sposta all'interno dei personaggi e il rapporto causa-effetto del naturalismo viene sostituito la casualità. Anche nel terzo romanzo ritroviamo le stesse tematiche, solo che è ambientato a Roma. Nel quarto romanzo, dietro la forma del romanzo storico si riconosce il procedimento della scomposizione umoristica che rivela uno scetticismo che mette in luce vuoto della storia stessa. Il movimento che regola le vicende è un movimento insensato che 'non conclude'. 13 romanzi più significativi sono: 5. "Il fu Mattia Pascal" 6. "I quaderni di Serafino Gubbio operatore" 7. "Uno nessuno e centomila" L'uscita nel 1904 de "Il fu Mattia Pascal" segna una vera svolta nella produzione di Pirandello. La data è precoce se si confronta con le opere che nel resto dell'EU segneranno una rivoluzione della forma romanzo. Nel 1904 non sono ancora usciti né i romanzi di Proust, né l'Ulisse di Joyce, né l'assurdo di Kafka. In italia erano usciti i primi 2 romanzi di Svevo, ma erano caduti nel disinteresse generale (e per la Coscienza di Zeno bisognerà aspettare il 1923). "Il fu Mattia Pascal" è il primo romanzo a segnare una svolta nella storia di questo genere letterario: a distanza di anni seguiranno "I Quaderni di Serafino Gubbio operatore" e "Uno nessuno centomila". Un tratto che accomuna i romanzi è la tendenza alla dissoluzione dell'unitarietà della trama caratterizzata dall'attitudine alla divagazione e aperta a riflessioni saggistiche. Pirandello costruisce romanzi che assomigliano a macchine che girano a vuoto, apprendi alla forma ibrida del romanzo-saggio (dentro al romanzo Pirandello fa delle riflessioni sul romanzo stesso e sull'arte). Il romanzo arriva fino a riflettere su se stesso, diventando metaletterario. Il fatto che a trama si disperda è la conseguenza di una trasformazione nel modo di intendere il tempo: il tempo non ha più un andamento lineare, ma segue i sentimenti del personaggio. L'andamento stilistico vede dominare il soliloquio (digressioni, domande, esclamazione...) che conferma che la verità non può più essere assoluta tramite i diversi punti di vista. Mentre anche i piani temporali slittano e passato e presente s'intrecciano, anche il filo degli eventi si smarrisce (digressioni e conclusioni rinviate). Il narratore è la voce del protagonista che filtra attraverso la propria coscienza l'intera vicenda alterandone i contorni. Nel caso di "Il fu Mattia Pascal" e "Uno nessuno centomila" si tratta di una narrazione retrospettiva (medias res + flashback), ovvero la voce narrante racconta la sua storia dopo averla vissuta, tramite un lunghissimo flashback. In "Quaderni di Serafino Gubbio operatore" la narrazione è in presa diretta: il protagonista immagina di tenere un diario in cui registra hai eventi mentre accadono. In tutti e 3 i casi, sebbene io narrante e io narrato coincidano, il rapporto che li lega è spesso conflittuale, incrinato da interrogativi e incertezze. L'io narrante non riesce a dominare la sua storia e a fornire una spiegazione definitiva, e il lettore è coinvolto da molti dubbi. Siamo alla fine sia del soggettivismo romantico, sia dell'oggettività realista: la fine della centralità dell'uomo ha fatto crollare l'illusione di una verità oggettiva (rivoluzione copernicana). La dissoluzione dei personaggi: i personaggi pirandelliani si rendono conto dell'impossibilità di raggiungere una verità autentica. Essi, ormai incapaci di tornare alle forme convenzionali, finiscono con il diventare 'forestieri della vita, sospesi in un vuoto strano'. I 3 romanzi si chiudono tutti con lo stesso esito: il protagonista rinuncia a fare ritorno nelle forme della vita precedente e si rintana in una biblioteca polverosa (Mattia Pascal), si riduce a un 'silenzio di cosa' (Serafino Gubbio) o si fa internare in un manicomio (Vitangelo Moscarda). Tutti e tre decidono di raccontare la propria storia: in questo modo Pirandello si affianca ai grandi autori europei del 900 che si riconoscono nell'idea secondo cui raccontare la vita è un modo per scoprire i fondi segreti e, soprattutto, è l'unico modo per essere sicuri di averla vissuta. Tecniche narrative del romanzo Dissoluzione della trama Non c'è più una linea temporale univoca e cronologica (soliloquio) Disgregazione personaggi - La scrittura ha funzione conoscitiva (di analizzare la realtà che sta perdendo ogni senso) "Il fu Mattia Pascal" Composto di notte ai piedi del letto della moglie paralizzata da gravi crisi nervose, il romanzo fu pubblicato puntante su 'La Nuova Antologia' nel 1904, e poi in volume nello stesso anno. Nel 1921 uscì una nuova edizione, presso l'editore Bemporad, con 'un ritratto per prefazione' e in fine 'un'Avvertenza sugli scrupoli della fantasia', in cui Pirandello citava un recente fatto di cronaca coincidente con la vicenda da lui inventata, sia per l'episodio del cadavere scambiato sia per le secondo nozze delle vedova. Fu integrata questa parte per rispondere alle critiche precedentemente fatte da B.Croce che definivano la trama del romanzo poco verosimile. A differenza della fantasia, la vita non è tenuta a farsi scrupoli e, senza saperlo, essa copia dall'arte. Il nome del protagonista rimanda ai romanzi di formazione 800eschi, ma il 'fu' che lo accompagna lascia il dubbio se il romanzo tratti di un vivo o di un morto: e d'altronde Mattia è entrambi. L'ambiguità del titolo rovescia il genere del Bildungsroman: il protagonista è ancora dentro la vita ma ne è già contemporaneamente escluso. Mattia è la versione siciliana di Matteo che richiama all'idea della follia e pazzia. Pascal richiama Teophile Pascal (rappresentante della Teofilia, disciplina che coniuga la filosofia con la religione - la reincarnazione era vista come reale) e Bless Pascal (il quale sosteneva la nullità dell'uomo rispetto al cosmo - teoria antropocentrica). Pirandello usa la tecnica del racconto retrospettivo: la vicenda è narrata dalla fine, da una sorte di limbo fuori dalla vita, costituito da una biblioteca di libri abbandonati in cui il protagonista trascorre le sue giornate (intervallate solo dalle visite alla propria tomba). Lo schema è solo apparentemente circolare: la conclusione del romanzo non comporta la chiarezza dei dubbi delle pagine iniziali, ma anzi Mattia alla fine non potrà neanche aggrapparsi alla più semplice delle certezze, il suo nome. L'unica soluzione possibile consiste nella scelta consapevole di una condizione di estraneità alla vita, metaforizzata dal 'fu'. L'epilogo pensare a un percorso a spirale che rimane aperto: la vicenda non conclude, anzi riapre gli stessi interrogativi dell'inizio. Le vicende si sviluppano in un lasso temporale di 6 anni, e il tempo reale non coincide con quello della narrazione (a eccezione per le due 'Premesse' iniziali e la conclusione). La trama non ha un andamento rettilineo: in alcuni capitoli Pirandello adotta un ritmo condensato che riassume i fatti per velocizzare il racconto, in altri dilata il tempo con digressioni e riflessioni. Il trattamento del tempo è in stretta relazione con quello dello spazio. Miragno è una cittadina di provincia dominata dalle convenzioni sociali e familiari: il tempo qui scorre sempre uguale. Nella parte centrale del romanzo, invece, i viaggi di Mattia sono raccontati con la modalità sommario (molto veloce), in quanto mosso dall'ansia di fuga e dall'aspirazione a una nuova identità. L'approdo a Milano segna il confronto tra il protagonista e la modernità: Mattia incontra un cagnolino che non può comprare e si scontra con la dura condizione della metropoli moderna. La città di Roma è perfettamente speculare al protagonista: Mattia-Adriano vede riflesso nella natura scissa di Roma il senso della sua vita sospesa tra un passato morto e un futuro irrealizzabile. Nei quartieri borghesi di Roma il tempo si dilata attraverso i lunghi soliloqui di Adriano Meis, intento a dialogare con la sua ombra. Nelle due 'Premesse' e nella conclusione il ritorno a Miragno è solo apparente: la biblioteca e il cimitero si colcano in una dimensione in bilico tra la vita e la morte, perfettamente simmetrica alla condizione del protagonista che conduce la sua terza vita in uno spazio ai confini col nulla. Pirandello sceglie la variante umoristica che consente di leggere il romanzo anche come un saggio su romanzo e sulla scrittura letteraria nella modernità. La crisi delle certezze (causata da rivoluzione copernicana) impone uno sguardo dissacrante sulla letteratura tradizionale. I romanzi tradizionali appaiono muti a M. Pascal, in quanto non adatti a esprimere la complessa e ambigua verità esistenziale. È un romanzo metalettarario perchè Pirandello riflette sulla teoria antropomorfica e cita delle frasi di Manzoni e di romanzi 800eschi (quindi ha un atteggiamento dissacrante nei confronti della tradizionalità). Mattia nel finale della 'Premessa seconda' dichiara che parlerà di se il più brevemente possibile: una professione di poetica minima, in cui l'io narrante rinuncia alla registrazione oggettiva di ogni aspetto. La sua è una 'scrittura senza qualità', a cui il protagonista ricorre come estremo tentativo per dimostrare a se stesso di essere ancora vivo. Il paradosso è che può farlo solo dopo aver rinunciato alla vita vera. Sarà lo stesso Pirandello ad affermare che la vita o si vive o si scrive. Trama: Mattia Pascal si trova nella biblioteca Boccamazza di Miragno, paesino ligure (inventato), e dichiara al lettore che ha voglia di scrivere la sua storia paradossale. Mattia è il figlio di un uomo che gestiva delle solfare e che gli ha lasciato molti beni. Questi beni vengono presi in mano da un individuo losco che sta facendo degli intrallazzi. Mattia non si accorge di nulla e viene trascinato sull'orlo della banca rotta. Sposa Romilda, una specie di strega, e convive con lei e con la suocere. Questo matrimonio si rivela infelice quindi decide di partire in viaggio in treno e va a Nizza, dove gli viene in mente di andare a Monte Carlo a tentare la fortuna. Al tavolo d'azzardo vince una fortuna e pensa di ritornare a casa ricco, ma in treno legge la notizia della sua morte: legge che è stato trovato un cadavere che si pensa sia associato a lui. A questo punto gli scatta la molla, comincia a pensare di ricostruirsi una nuova vita e una nuova identità. Sentendo la discussione fra due passeggeri, si crea un nuovo nome: Adriano Meis. Inizialmente viaggia un po' per l'Europa poi torna in Italia e si ferma a Roma, dove va a abitare da un signore spiritista, Anselmo Paleari, e si innamora di sua figlia Adriana. Lui non può sposarla perchè non ha più documenti ne identità. Subisce anche un furto ma non può denunciarlo perchè non ha documenti di riconoscimenti. Viene sfidato a duello ma non può affrontarlo perchè non ha un'identità. Quindi decide di inscenare una falsa morte lascia il cappello e il bastone sulla onda del Tevere facendo pensare che si sia suicidato. Decide quindi di tornare a Miragno dove viene a sapere che la moglie si è sposata col suo amico Pomino (quindi ormai non ha più senso di rivelare il fatto che è ancora vivo). Il romanzo si conclude con lui che porta i fiori sulla sua tomba, e che si ritira nella biblioteca Boccamazza a vivere come il 'fu Mattia Pascal'. Il protagonista in avvio di romanzo dichiara: "Una delle poche cose, anzi forse la sola c'hip sapessi di certo, era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal". Sin dall'inizio questo personaggio rivela un'assenza quasi totale di certezze e una condizioni di disagio e di straniamento. Ma anche questa verità è declinata al passato e il lettore è indotto a chiedersi cosa sia accaduto nel frattempo. Siamo dunque di fronte a un nuovo tipo di eroe romanesco e al tempo stesso a un nuovo tipo di narratore: entrambi senza principi saldi a cui ancorarsi. Mattia racconta un itinerario esistenziale che pare non avere senso, dominato dalla stranezza del caso e dall'assurdità delle circostanze. Mattia aspira alla libertà, ma deve constatare che nella società alienata e alienante non c'è spazio per la libertà dalle forme. Gli individui possono solo essere maschere fissate dall'opinione altrui. L'unica via d'uscita è quella di farsi personaggi, maschere nude, ovvero individui consapevoli dell'autoinganno prodotto dalle forme. Mattia Pascal è il primo vero anti-eroe del 900. Tema del doppio Il tema del doppio si collega al motivo dello specchio e dell'occhio strabico, che decentra lo sguardo di Mattia obbligandolo a due visioni alienanti. Quando diventa Adriano Meis indossa degli occhiali scuri perchè è strabico (lo strabismo è una forma di disgregazione della realtà perchè guarda in 2 direzioni diverse). Il processo di sdoppiamento attraversa il romanzo in varie forme Nel capitolo 7, quello della notizia della sua morte, Mattia immaginerà il suo doppio nel cadavere di un ignoto individuo riconosciuto come il suo. A Roma, una volta assunto il nome di Adriano Meis, si innamora di Adriana (legata a lui da un chiaro rapporto di omonimia) Il doppio suicidio, quelli dello sconosciuto e quello di Adriano a Roma - Il dialogo con la sua ombra è un chiaro esempio di tema del doppio - La sua reincarnazione nei panni del 'fu Mattia Pascal': di fronte alla lapide nel cimitero il protagonista vede impressi il suo nome e porta i fiori sulla sua tomba Il critico Debenedetti ha detto che il trattamento verista' della storia fa coincidere Mattia e i suoi simili con una delle loro molte possibilità. Le scoperte della fisica di Einstein, per cui gli eventi non sono realtà ma probabilità, sono in qualche modo anticipate dalle intuizioni pirandelliane sulla potenzialità del personaggio. "Premessa Prima e Premessa Seconda" ("Il fu Mattia Pascal" -cap I e II) Il romanzo inizia con due premesse: carattere umoristico. Le riflessioni di Mattia precedono la narrazione, con continue allusioni alla sua condizione di morto-vivo. La suspense è intensificata dall'accenno alle sue 2 morti e al manoscritto che egli consegna all'umanità, 'con l'obbligo che nessuno possa aprirlo se non 50 anni dopo la sua terza morte'. Lo sfondo è quello della biblioteca Boccamazza, un luogo abbandonato e polveroso che si rivela cruciale per l'umorismo pirandelliano. La "Premessa prima" affronta la questione del nome, connessa con quella della crisi d'identità (l'unica cosa di cui è certo è il suo nome). Il tema del nome è strettamente correlato alla perdita di un soggetto coerente. Fa subito una riflessione metalettararia: Il fu Mattia Pascal rientra nel suo ruolo inutile di bibliotecario, quindi la biblioteca si rivela come l'habitat naturale per la reincarnazione di un personaggio a disagio nel narrare la sua autobiografia. Quella del protagonista è però una scelta consapevole: estraniatosi dalla vita, può abitare solo in un luogo ai margini dell'esistenza, laddove è possibile acquistare una seconda vista e vedere dal di fuori. La biblioteca, collocata in una chiesa sconsacrata (decadenza), diventa allegoria della crisi 900esca del romanzo: tra polvere e topi si afferma che ormai nella società contemporanea la figura dell'intellettuale è condannata a una definitiva esclusione. La "Premessa seconda" dichiara sin dal titolo la sua natura filosofica. Nonostante la voce narrante la spacci come un ulteriore pretesto per rinviare l'inizio della narrazione, in realtà ha il compito di definire la prospettiva filosofica entro cui va interpretata la vicenda di Mattia. Di conseguenza ha una duplice funzionalità: da un alto, il rinvio umoristico rivela come le deviazioni dalla trama principale siano più importanti della successione degli eventi, dall'altro, il richiamo a Copernico mostra che la perdita di un centro organizzatore non è solo una scelta narrativa ma ha rilevanza ideologica. Pirandello si serve della 'rivoluzione copernicana' come metafora per indicare la crisi delle certezze. Il relativismo moderno è quindi la prospettiva entro cui vanno inquadrate le vicende di Mattia (le vicende vanno collocate nel caos). Alla fine della Premessa seconda Mattia dice: Copernico ha messo in chiaro che l'uomo è nulla rispetto all'universo, ma esso si distrae facilmente e spesso se lo scorda, avvolte addirittura pensa che il sole serve per illuminarci di giorno e la luna di notte. A questo punto decide di scrivere e parte la vera narrazione. Considerazione che riguarda la teoria eliocentrica; Eligio (collaboratore) gli ha consigliato di scrivere la sua storia, lui però non vuole perché pensa che non interessa più a nessuno, perché da quando Copernico ha scoperto che la terra gira, l'uomo non è più al centro del pensiero. Inoltre riflette sul fatto che molti ancora non credono che la terra gira, in quanto nessuno lo può mettere in dubbio perché anche sulla bibbia c'è scritto così. Quindi se l'uomo non è più al centro dell'universo, non interesserà a nessuno ciò che ha da dire. Fa l'esempio del disastro delle Antille, erano morte diverse persone, ma ha causato solo piccoli "vermucci" abbrustoliti (simile a Leopardi Ginestra- mela che cade sul formicaio). "Lo strappo nel cielo di carta" ("Il fu Mattia Pascal" - cap XII) Mattia nei capitoli precedenti ha raccontato del suo matrimonio, di come è scappato, del gioco al casinò e della notizia della sua morte in ritorno in treno. Ha già assunto la nuova identità di Andrea Meis e inizia a viaggiare. Questo capitolo si colloca al momento in cui il signor Paleari (colui che gli affitta la stanza) gli comunica che ci sarà uno spettacolo di marionette meccaniche. (Paleari è l'ater-ego di Pirandello, in quanto teosofista). L'annuncio di uno spettacolo di marionette diventa il pretesto per una riflessione sulla nuova natura del 'tragico' nella civiltà moderna. Questo spettacolo è tratto da una tragedia di Sofocle intitolata "l'Elettra", in cui si racconta del figlio di Agamennone, Oreste, che quando torna a casa trova la madre con un amante e li ammazza. Oreste è l'eroe tragico per eccellenza, colui che non arretra davanti al suo destino e vendica la morte del padre uccidendo la madre e l'amante. Nella sua psicologia non c'è spazio per il dubbio, ma solo certezze e verità assolute. Amleto è invece l'eroe moderno del dubbio, l'uomo che non può più affidarsi a valori univoci e saldi e che costantemente si sdoppia vedendosi dall'esterno. Amleto e Oreste sono protagonisti di 2 vicende perfettamente simmetriche, la differenza è che Amleto non riuscirà a portare a termine il suo progetto di vendetta. Lo squarcio apertosi nel cielo di carta del teatrino delle marionette rivela la sostanza fasulla della volta celeste e trasforma la scena della tragedia natica in un cielo copernicano dove crollano le certezze. Oreste acquisirà in quel preciso momento (squarcio nel cielo) la perplessità di Amleto. Quello strappo nel cielo di carta emblematica l'impossibilità del tragico nella cultura moderna. Montale parlerà dello squarcio nel cielo di carta come la maglia rotta nella rete. "La lanterninosofia" ("Il fu Mattia Pascal" - cap XIII) La convalescenza trascorsa al buio da Mattia, in seguito all'operazione all'occhio strabico, diventa l'occasione per Paleari di esporre la sua lanterninosofia: appassionato di teosofia, la luce delle illusioni rende cieco l'uomo sulla terra, mentre il 'bujo pesto' che avvolge l'esistenza è l'unica fonte luminosa di verità. L'operazione all'occhio e i 40 giorni di cecità diventano l'occasione per una riflessione sul rapporto tra luce e buio: con una radicale inversione dei campi semantici, l'uomo vede la luce dove in realtà sono le tenebre e non percepisce lo sconfinato bujo pesto che lo circonda. Le particolari condizioni di convalescenza offrono a Pirandello un pretesto per introdurre uno dei tipici inserti riflessivo-filosofici che fanno del romanzo un romanzo-saggio. Il monologo di Paleari contiene vari spunti riducibili al pensiero pirandelliano e alle sue teorie su cecità e visione. Nel saggio "L'umorismo", la lanterninosofia esposta da Paleari ricompare con pochissime differenze in una lunga autostazione (il saggio compare dopo il romanzo). L'immagine del lanternino è una metafora che indica la coscienza individuale, fonte di tutte le illusioni umane. Quando guardiamo attraverso il nostro lanternino (coscienza soggettiva), ci dimentichiamo che riesce a illuminare solo una parte infinitesimale del bujo pesto in modo variabile da un individuo all'altro. Lo stesso discorso vale per le ideologie e i valori astratti (lanternoni) che, pur condivisi da una collettività, variano di epoca in epoca. In alcune epoche le illusioni erano collettive: virtù pagana - rossa, la lanterna cristiana - viola. Succede che in alcune epoche un grande soffio di vento spenge queste lanternone (ex. rivoluzione francese). Quando incombe il buio, tutti cominciano a correre come formiche che non trovano il buco nel formicaio (= Leopardi). Paleari dice che il lanternino illumina il buio (la nostra ignoranza del reale), che però potrebbe essere un inganno della nostra mente. A questo punto la morte non esiste perché non è un valore assoluto e non dobbiamo averne paura. Il discorso si conclude con idea che alla fine si possono fare matte risate perché quando ci siamo stretti a un valore sono nate le paure. Al centro del monologo si coglie quindi la critica antipositivistica alle verità oggettive: la distinzione tra bene e male sono in realtà il prodotto di epoche storiche, soggetti a continue variabili. Il relativismo pirandelliano aggiunge qui il suo apice. Sul versante opposto a questa luce metaforica, le lampadine elettriche diventano l'emblema negativo del 900, dei suoi falsi progressi. Il bagliore freddo e senz'ombre dell'elettricità è solo un limite che impedisce ancora di più di percepire il bujo pesto. Questo pensiero si allinea col pensiero di Nietzsche e la sua critica alle ideologie (la cosiddetta "morte di Dio"), intese come limiti alla piena esplicazione di un nuovo modello umano, e alla scienza trasformatasi in fede cieca e illusoria. Uno nessuno centomila È l'ultimo romanzo di Pirandello, dove l'umorismo raggiunge il suo apice. È un vero e proprio romanzo-ossessione, che sembra rifiutarsi di chiudere le fila, come attesta lutiamo capitolo "Non conclude", che lascia l'opera aperta. In una lettera del 1910, indirizzata a Massimo Bontempelli, Pirandello annunciava di voler lavorare a un nuovo romanzo 'il più amaro e umoristico di tutti'. Pirandello scrive questo romanzo in parallelo all'attività teatrale, la quale gli porterà molta popolarità e lo impegnerà in diverse tournée. In un'altra lettera del 1912, Pirandello annuncia che il romanzo sarà di imminente pubblicazione ma questo non avverrà in quanto sarà pubblicato a puntate sulla rivista ‘La Fiera letteraria' nel 1925. Quando esce a puntate, il romanzo presenta anche un sottotitolo (poi rimosso nell'edizione del 26 in volume) che rimanda il modello del romanziere inglese 700esco Laurence Sterne "Considerazioni di V. M., generali sulla vita degli uomini e particolari sulla propria, in 8 libri". Questo sottolio anticipa il fatto che non c'è una vera e propria trama, ma è un romanzo frammentato dove le considerazioni del protagonista prevalgono sugli eventi. Come Sterne, anche Pirandello tenta di trattenere la vita che avrebbe dovuto narrare, sostituendo il tempo naturale con quello artificiale attraverso continue digressioni. La voce narrante è l'io autodiegetico e inattendibile. Il romanzo si compone di 8 libri suddivisi in 63 capitolati, che costituiscono la frammentazione della struttura interna. Trama: Il protagonista, Vitangelo Moscarda, è un ricco proprietario di una Banca (un inetto inconsapevole) che vive di rendita e si disinteressa degli affari. È un inetto perchè ha ereditato dal padre una banca di cui si occupano due amici (Quantorzo e Firbo) di cui lui si fida pienamente. In seguito a una banale osservazione della moglie Dida su un difetto del suo naso, scivola verso una crisi d'identità sempre più devastante. La moglie gli fa notare alcuni difetti fisici di cui lui non si era mai accorto, e questa cosa apre una voragine dentro di lui: comincia un processo di autoriflessione che lo porta sull'orso di un abisso, pensando che lo sguardo altrui su di noi corrisponda a tante nostre identità. Per smentire le centomila immagini che gli altri si sono fatti di lui, inizia a compiere atti folli: liquida la banca; il padre aveva procurato una casa a un senzatetto e Mostarda lo sfratta dalla casa per poi dargli la sua propria. Dopo la scoperta di essere in fama di strozzino, come il padre, decide di scrollarsi di dosso tutte e opinioni della gente, occupandosi dei propri beni e chiudendo la Banca. Considerato pazzo, viene allontanato da tutti (compresa la moglie). Un giorno è invitato a casa di un'amica della moglie, Anna Rosa, che si offre di procuragli un incontro con il vescovo: quest'ultimo avrebbe potuto aiutarlo in cambio dei suoi beni. Moscarda e Anna cominciano a frequentarsi, fino al giorno in cui la donna gli spara con una rivoltella perchè sconvolta dai ragionamenti filosofici sul lato oscuro della vita del protagonista. Al processo Vitangelo non si difende e dona l'intero patrimonio per fondare un ospizio di mendicità, nel quale egli stesso andrà a vivere. Agli occhi del mondo resta un pazzo, ma in realtà Vitangelo, ormai privo di individualità, si sente libero. A differenza di Mattia Pascal, che cerca di ricostruirsi una nuova identità, Moscarda smonta la sua persona via via fino a dissolversi nel caos. Dall'identità negata dei primi romanzi si arriva alla definitiva scomparsa dell'io. Sin dal primo capitolo è inscritta la soluzione del romanzo: fuori dalle leggi sociali, dentro il caos della natura, l'abisso rappresenterà per Vitangelo la salvezza. La conclusione è che la vita non conclude e, affinché l'io si disgreghi e possa vivere liberamente, deve smettere di riflettere. "Uno nessuno centomila": uno è il nostro credo (l'immagine che si ha di noi stessi), se vediamo come ognuno delle persone che ci circonda ha un immagine di noi siamo centomila, ma alla fine il protagonista decide di essere nessuno (perché l'idea che lui ha di sé non coincide con nessuna altrui). "Tutto comincia da un naso" ("Uno Nessuno Centomila" - cap I libro 1) Il soggetto è sin dall'incipit immediatamente inafferrabile: il narratore rinvia una sua presentazione fisica sostituendola con i suoi monologhi divaganti. (Le opinioni sono più rilevanti dei fatti). Il naso è uno degli oggetti prediletti dalla scrittura umoristica: Blasie Pascal - "Pensée (il naso di Cleopatra: se fosse stato più corto, tutta la faccia della terra sarebbe cambiata); Carlo Collodi - "Pinocchio" ; Nikolaj Gogol' "Il naso" (parla di un impiegato che si sveglia la mattina senza naso, il naso è scappato e vuole espatriare). Quanto allo specchio, subito si rivela come una superficie scivolosa dove è più facile scomporsi. È lo sguardo altrui che rende visibile la fissità della maschera. Il soggetto è disponibile a scomporsi in infinite forme diverse, a seconda di chi lo guarda. In questo dialogo tra marito e moglie, costruito apparentemente in sordina, si dissolve la soggettività romantica sostituendo l'eroe romantico con una silhouette ridicola destinata a dissolversi nel caos. La presenza di un interlocutore-testimone è indispensabile al monologo per permettere lo sfogo del protagonista che richiede la 'cooperazione interpretativa' di chi legge (cit. Umberto Eco). II lettore viene invitato a partecipare alla costruzione della realtà scomposta: a vedere, oltre che a leggere, le figure che da essa affiorano. Voi dite (vv 44) fa appello al lettore: il racconto autodiegetico (narrazione in prima persona) è un continuo dialogo con l'interlocutore (lettore). Questo è tipico della filosofia, dove la verità arriva dalla discussione fra 2 parti (narratore e lettore). L'elogio del microcosmo (che fa percepire al protagonista un sassolino come una montagna), mostra l'attenzione per l'infinitamente piccolo. Il sassolino rappresenta un ostacolo della vita che apre in lui parentesi riflessive che gli impediscono di andare avanti (tipico dell'inetto). L'inversione di tutte le gerarchie è fonte di uno squilibrio devastante che innesca una reazione a catena inarrestabile, fino all'apocalisse. Un naso che pende a dx non poteva essere soggetto di narrazione nelle tradizioni precedenti, qui c'è una sorta di ingrandimento del dettaglio che in una narrazione umoristica può diventare l'esordio dell'umorismo. Traccia che ricorda Zeno: il padre è un lottatore, il figlio è un inetto. Entrambi i protagonisti sono antagonisti col padre: Il padre di Moscarda gli ha fatto fare un figlio sperando che non somigliasse a Moscarda, per riscattarsi. "Non conclude" ("Uno Nessuno Centomila" -cap IV libro 8) Vitangelo ha ceduto i suoi beni per creare un ospizio dove si ritira rinunciando alla vita sociale. Liberatosi da ogni forma rigida può finalmente fluire nel movimento incessante della Natura/Caos. La pagina finale mostra l'esito del processo del protagonista, quello della progressiva dismissione delle forme rigide. Ora egli non si guarda più allo specchio (il suo aspetto gli è indifferente) e si limita a registrare le reazioni altrui. Soprattutto gli è ormai indifferente il suo nome: il nome fissa e definisce l'identità di una persona, ma ognuno avrà un'immagine diversa di essa. Di conseguenza il nome è come un'epigrafe funeraria (vv 16) perchè imprigiona la vera anima. La vita, nel suo scorrere ininterrotto, non conclude (vv 19) e perciò non ha bisogno di nomi. Vitangelo sceglie di vivere e quindi non cerca più un'identità: rimane aperto e fuso con la natura. La seconda parte de testo si apre con una breve notazione sul luogo in cui è stato costruito l'ospizio. La posa acquisti qui una struttura lirica, adatta a raffigurare la natura del locus amoenus. Il protagonista rappresenta quindi il suo rifluire del dinamismo incessante della natura con cui si confonde, in una dimensione che è la sola a consentirgli la libertà. Per ottenere questa libertà non deve farsi influenzare dal pensiero: il pensiero produce illusioni, concetti e giudizi (tutte cose che non esistono in natura). Vangelo afferma che non teme più la morte, perchè nella sua nuova dimensione di fusione con la natura ogni minuto muore e rinasce. Il teatro La produzione teatrale pirandelliana è la più continuativa, in quanto comincia a scrivere commedie alla fine dell'800 fino alla sua morte (1936). E' un'attività che lui conduce contemporaneamente insieme alla scrittura di novelle, di romanzi, di saggi ecc. Infatti le sue novelle forniscono molti spunti per le sue opere teatrali. Quest'attività si intensifica a partire dal 1910, soprattutto nel 1915-16. La produzione conta più di 40 commedie, che fanno parte della raccolta "Maschere nude" curata dall'editore Treves. La critica ha distinto 4 fasi nel percorso teatrale di Pirandello, ognuna rappresentata da un epoca: 1. Il teatro siciliano-> (in dialetto ma molte sono state tradotte in italiano) 2. Il teatro del grottesco 3. Il metateatro 4. Il teatro dei Miti Il teatro siciliano Pirandello si sentiva portato per il teatro, lo vediamo già da come nelle novelle sceglie spesso la scena, il dialogo, lo scambio di opinioni fra i vari personaggi che rappresentano il coro di protagonisti. Immaginava che da un intreccio di novella si potesse ben adattare ad un dramma. Dopo qualche tentativo senza successo negli anni giovanili (1896 - "Il nibbio"), Pirandello si accosta al teatro spinto dai legami col drammaturgo Nino Martoglio, scrivendo opere di ambientazione siciliana. Sono testi d'impronta ancora naturalistica, in cui però si affaccia la contrapposizione tra colui che vorrebbe vivere in maniera istintiva ma è frenato dagli obblighi della società. - "La morsa" "Lumie di Sicilia" "Il dovere del medico" "Se non è così" - "Cece" - "Liolà" "Pensaci, Giacuminu!". In questa fase utilizza il dialetto ma in seguito allo svilupparsi della sua attività teatrale vengono tradotte. Il teatro del grottesco L'aspetto critico nei confronti delle convenzioni borghesi sviluppa le forme nuove di un 'teatro del grottesco" che, attraverso l'irrigidimento di ruoli e situazioni, mette in scena il rovesciamento paradossale del dramma borghese (adulteri, triangoli amorosi...) che avveniva di solito nel salotto. Si chiama grottesco perché i ruoli dei personaggi vengono forzati. Questa nuova fase si sviluppa negli anni 1917-1920 ed è un teatro più maturo in quanto avviene nel momento in cui Pirandello ha già teorizzato la poetica dell'umorismo, attraverso la quale l'autore mette in scena una concezione relativistica dell'esistenza. Il salotto borghese si trasforma in una sorta di 'stanza della tortura' in cui si celebra un processo ai personaggi. - "Così è (se vi pare)" - "Ma non è una cosa seria" - "Il giuoco delle parti" Il dramma assume così i tratti della paradossale inchiesta giudiziaria di "Così è (se vi pare)", o scava nel passato dei personaggi condannati a recitare una parte convenzionale nella vita come ne "Il giuoco delle parti". La parola, molto più dell'azione, svolge un ruolo determinante: si tratta però di una parola che non comunica, ma gira a vuoto intorno a una verità inafferrabile. Nelle trame più riuscite domina il personaggio-filosofo che rappresenta l'alter ego di Pirandello: Laudisi in "Così è (se vi pare)", Baldovino in "Il piacere d'onestà", Leone Gala in "Il giuoco delle parti". Il metateatro Tra il 1921-1930 si infittisce la produzione di commedie destinate a sconvolgere il linguaggio tradizionale. Questa fase si apre con la prima rappresentazione dei "Sei personaggi in cerca d'autore" nel 1921, dove viene fischiato ma poi invece applaudito nella rappresentazione a Milano. La sua caratteristica è di svolgere, attraverso il teatro, una riflessione sul teatro (metateatro) e sul disagio del teatro (ovvero la difficoltà di dare corpo alla fantasia dell'autore nelle forme mutevoli della rappresentazione teatrale). Superando definitivamente gli schemi de teatro naturalistico, i 6 Personaggi reclamano di essere definiti in una forma e chiedono di vivere in teatro dopo essere stati rifiutati dal proprio autore. Il loro dramma consiste nel conflitto tra realtà e verità, tra finzione e vita. Con i "Sei personaggi in cerca d'autore" si inaugura il linguaggio innovativo del metatetaro, che si completerà con "Ciascuno a suo modo" e "Questa sera si recita a soggetto". Queste 3 commedie fanno parte della 'trilogia del teatro nel teatro' (1933, Mondadori), ma dato che hanno Avto diverse riscritture potremmo parlare di 5 drammi e non 3. Alla stessa fase va associato "l'Enrico IV", un dramma più convenzionale, ma non meno metateatrale. Il protagonista di questa tragedia vive la sua esistenza come recita, rifugiandosi nella follia. Sono commedie di teatro nel teatro, dentro una commedia si parla di un altra, in ogni caso si riflette sui personaggi, sugli spazi teatrali, sulle scene. Le innovazioni più importati del nuovo linguaggio metatetrale sono: • La scomparsa della quarta parete La scomparsa della quarta parete si manifesta nell'edizione del 1925, moto diversa da quella del 21. Con quarta parete si intende la barriera ideale tra palco e pubblico. I Personaggi, colti mentre in un teatro vuoto si stanno svolgendo le prove di una commedia, sono liberi di muoversi in ogni direzione (scendere dal palco o attraversare la platea). Così accade che il pubblico non è più protetto dalla sua funzione di spettatore, ma coinvolto in una dimensione inquietante che mostra tutto ciò che dovrebbe essere nascosto (dietro le quinte, ribellioni tra attori, lavoro degli scenografici...). • La messa a nudo dell'illusione teatrale e dei suoi strumenti Nelle 2 commedie "Ciascuno a suo modo" e "Questa sera si recita a soggetto", il processo descritto perviene a soluzioni più sconvolgenti: sono messi in scena tutti i possibili conflitti del teatro: tra altri, regista, personaggi e spettatori. Ne deriva una radicale trasformazione dello spazio teatrale: il palcoscenico non è più luogo per l'illusione scenica, ma svela ora tutte le sue finzioni. Il teatro si mette quindi a nudo: i suoi strumenti tipici, i suoi oggetti (sipario, luci...) si offrono alla vista degli spettatori. Sin dai "Sei personaggi in cerca d'autore" il pubblico è chiamato a fare i conti con questa nuova prospettiva: l'inizio del dramma avviene infatti con il sipario aperto, senza scene né quinte, e con un macchinista intento a inchiodare delle assi. • La rottura dalla linearità del tempo Mentre sul palco la frontiera tra arte e vita si dissolve, gli spettatori sono continuamente coinvolti nella rappresentazione. Quest'ultima viene spesso sconvolta dall'irrompere ambiguo della vita sotto forma di casualità. Il tempo dell'azione viene frammentato a causa di frequenti interruzioni. . La struttura aperta I drammi non conoscono una conclusione: lo spettatore ne esce turbato e dubbioso. In questo modo Pirandello sperimenta l'impossibilità del tragico nell'arte moderna. Il teatro tragico classico non è più possibile, in quanto comportava che in scena venissero rappresentate scene terribili, suicidi, omicidi sanguinosi che dovevano far soffrire lo spettatore. Adesso questo spettatore si trova a chiedersi se quello che sta avvenendo sia verità o finzione e quindi non è più depositario di queste passioni che lo portano a subire un processo di catarsi, ovvero di quel processo di purificazione e liberazione dalle passioni in cui, secondo Aristotele, consisteva la funzione educativa del teatro. E' stato visto come nelle 3 commedie si rappresentino 3 conflitti diversi: 1. "Sei personaggi in cerca d'autore" -> conflitto tra attori e personaggi 2. "Ciascuno a suo modo" -> conflitto tra gli attori e l'autore del testo. 3. "Questa sera si recita a soggetto" -> tra attori e regista (regista tedesco rigido) Il teatro dei Miti Il teatro dei miti abbraccia l'ultima fase del periodo della drammaturgia pirandelliana che va dal 1928-1936. Pirandello recupera quello che è l'irrazionalismo decadente (i moduli del primo 900 del decadentismo) quindi un tipo di irrazionalismo misticheggiante e che si basa su valenze simboliche (irrazionalismo magico e simbolico). Questa fase si allinea all'ultima fase della sua novellistica, in alcune sue novelle si notano le stesse identiche impostazioni. Il testamento poetico di Pirandello è racchiuso nell'opera incompleta "I giganti della montagna", completata dal figlio sotto indicazione del padre: fuori dal tempo della storia e dallo spazio della società, si svolgono vicende di quelli che l'autore definisce Miti. - "La nuova colonia" - mito sociale "Lazzaro" - mito religioso - "I giganti della montagna" - mito che affronta il problema dell'arte nella società moderna. La definizione di 'teatro dei Miti' rinvia all'idea di un teatro che rappresenti verità originarie. In questa fase il teatro dieta un luogo rituale, spazio magico i cui si producono produci naturalissimi: • "La nuova colonia" - decidono di creare su un'isola vulcanica, un'isola edenica (nuovo eden), una nuova società utopica basata sull'uguaglianza. Sbarca un personaggio, che mette in crisi la società. Alla fine la prostituta La Spera suscita un terremoto putivo contro chi non si uniforma ai valori naturali, e muoiono tutti tranne lei. • "Lazzaro" - il protagonista è Diego, il quale obbliga i suoi figli a farsi suora e prete. Quando il padre muore un dottore lo fa risuscitare tramite un'iniezione, scoprendo così che non esiste aldilà (Lazzaro perché viene resuscitato da Gesù). Il figlio Lucio che inizialmente non credeva in questa storia, compie il miracolo di far camminare la sorella paralizzata. "I giganti della montagna" - il mago Cotrone è convinto che l'arte debba sopravvivere solo nei sogni, quindi in un mondo immaginario. Si ritira in una villa (Villa della Scalogna), dove arriva una ragazza tedesca Ilse, che vorrebbe rappresentare davanti a un pubblico un dramma scritto da un uomo "la favola del figlio cambiato" (di Pirandello). Il mago le consiglia di non farlo, ma lei non lo ascolta e lo recita davanti ai servi dei giganti della montagna, che, come i giganti, sono rozzi e si sbranano sia lei che tutti gli attori. Il mago Cotrone ha il potere di evocare larve fosforescenti (lucciole). Il tema di questa commedia è il conflitto tra arte-pubblico e arte-potere. È il momento in cui il fascismo si trasforma in totalitarismo e quindi l'arte non è più libera, ma si deve allineare. L'artista dunque o non la vora più, o. Come la ragazza, ci prova ma poi fallirà (sbranato). Forse i giganti rappresentano il potere della dittatura fascista: effettivamente Pirandello aveva presentato "la favola del figlio cambiato" a Roma, davanti a esponenti fascisti, ma non aveva riscosso successo. Il messaggio finale di questo dramma pare essere che l'arte non può essere asservita al potere. Pirandello sperimenta qui un linguaggio complesso e oscuro, riflettendo sulla funzione dell'arte in un'epoca in cui si consuma l'orrore della storia e l'avvento dei totalitarismi. Di fronte al caos, il teatro pirandelliano sembra rifugiarsi in un mondo mitico, antico e assoluto, dove l'arte può forse continuare a esistere. Si è parlato di una nuova poetica: si deve però ricordare che la trasfigurazione mitica è sempre stata presente in Pirandello, soprattutto nel teatro siciliano (la terra della sua isola, circondata da un mare infinito e immersa in nottai primordiali, carica spesso di risonanze simboliche gli elminti fisici. Al tempo stesso, si rivela anche la distanza incolmabile tra l'uomo e questa smisurata natura: le visioni mitiche di Pirandello non rivelano l'armonia universale, ma piuttosto lasciano intravedere il nero abisso del caos. Su "Quadrivio", pochi mesi prima di morire, Pirandello afferma che la sua scrittura è rimasta sempre legata alla proiezione delle ombre, al 'bujo pesto'. Pirandello afferma "Nietzsche diceva che i Greci alzavano bianche statue contro il nero abisso, per nasconderlo. Sono finiti quei tempi. lo le scrollo, invece, per rivelarlo." Negli ultimi anni la scrittura di Pirandello si va sempre più spostando su terreni estremi, là dove 'entra l'invisibile' (cit. Cotrone nei "Giganti della montagna"). "Sei personaggi in cerca d'autore" Nel 1921 Pirandello mette in scena i "Sei personaggi in cerca d'autore", rivoluzionando per sempre il modo di fare teatro. Le vecchie convenzioni del dramma borghese sono sovvertite, a partire dalle tecniche teatrali fino a giungere a un'ambivalenza del rapporto realtà/finzione. Si concretizza in quest'opera ciò che, in un saggio del 1899 "L'azione parlata", Pirandello aveva immaginato come un'utopia: 'dalle pagine scritte del dramma i personaggi, per prodigio d'arte, dovrebbero uscire, staccarsi vivi, semoventi'. A Roma fu un fiasco clamoroso, mentre ebbe successo a Milano. La trama si sviluppa su un duplice piano. 1. Metateatro -> Esiste infatti una vicenda di primo livello, che si basa sull'espediente tradizionale del 'teatro nel teatro': in un teatro un gruppo di attori sta provando una commedia pirandelliana "Il giuoco delle parti" (opera che fa parte del teatro del grottesco). Improvvisamente fanno irruzione 6 misteriosi personaggi con la pretesa di vedere rappresentata la loro storia. 2. Dramma dei personaggi -> II Capocomico li invita a raccontare la loro vicenda, affinché gli attori possano memorizzare le parti. A questo punto s'innesta il secondo livello della trama: i personaggi, per quanto creati dalla fantasia, sono portatori di una dolente vicenda esistenziale. Primo segmento-atto: La trama della loro storia ha le tinte fosche di un melodramma: il Padre ha spinto lucidamente la Madre fuori casa, dopo aver avuto da lei il Figlio. La Madre, che ha fatto altri 3 figli (la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina), per le continue difficoltà economiche ha iniziato a lavorare come sarta nell'atelier di Madama Pace, una mezzana che gestisce una casa di appuntamenti con prostitute. Per mantenere la famiglia la Figliastra è costretta a prostituirsi. Il Padre, che è un cliente di Madama Pace, una sera giunge alla casa di appuntamenti e, non avendola riconosciuta, sceglie di intrattenersi con la Figliastra: avrebbe consumato un rapporto incestuoso se non fosse intervenuta la Madre a separarli con un grido di orrore disperato. Secondo segmento-atto: Dopo aver presentato la loro vicenda, i personaggi persuadono il Capocomico a rappresentarla. Cominciano così le prime prove, ma mancano alcuni oggetti di scena necessari. Inoltre, via via che si fanno i primi tentativi, i personaggi dichiarano il loro disagio: essi non si riconoscono negli attori, perciò decidono di prendere la scena per rivivere in prima persona il loro dramma. Le prove procedono fra continue interruzioni fino al momento clou: l'ingresso della Madre che evita il rapporto incestuoso tra Padre e Figliastra. A questo punto, per un equivoco cala il sipario, mentre il Capocomico dà sfogo al suo disappunto per l'ennesima interruzione. Terzo segmento-atto: La commedia, dopo la rivelazione dell'identità del Padre e della Figliastra, riprende con il racconto della conclusione della vicenda. La famiglia è di nuovo riunita: • Il Figlio sdegnoso è pieno di rancore verso il Padre, colpevole di averlo abbandonato • Il Padre è tormentato dal rimorso per aver allontanato il Figlio e aver svelato la sua debolezza alla Figliastra • La Madre è dolorosa e afflitta dalla situazione (vestita di nero) • La Figliastra diventa la nemica implacabile del Padre, che lo accusa con sarcasmo. Nel frattempo, il palcoscenico si libera dagli oggetti necessari per rappresentare l'atelier di Madame Pace e ospita una piccola vasca da giardino. Nell'ultima scena, destinata al tentativo della Madre di riconquistare l'affetto del Figlio, la tragedia raggiunge il suo culmine con la morte per affollamento della Bambina nella vasca e il suicidio del Giovinetto con un colpo di pistola. Nello scompiglio generale gli attori si chiedono se i 2 piccoli siano morti davvero. Nel 1925 viene rappresentata una nuova versione. Essa prevede importanti cambiamenti come: - L'inserimento della Prefazione (in cui risponde alla critica di B.Croce dell'inverosimile) - L'abolizione della divisione tra pubblico e palcoscenico La riscrittura del finale La revisione del finale fu forse influenzata dall'allestimento realizzato da Georges Pitoeff a Parigi nel 23: lui aveva fatto apparire i Personaggi dall'alto, su un montacarichi che, nella scena finale, li faceva scomparire riportandoli in alto, quasi a svelare la natura fantastica della creazione artistica. Pirandello rimase molto colpito ma andò oltre: cercò di accentuare il carattere fantasmatico delle sue creature. Mentre nel 21 la scena si chiude sul dubbio realtà/finzione, nel 25 Pirandello accentua l'uso simbolico della luce e del buio chiudendo con una nuova apparizione dei Personaggi. Gli Attori, di fronte al gesto del Giovinetto che si spara, affermano "Finzione!", mentre il Padre grida "Realtà!". Allora il Capocomico caccia tutti dal teatro, ordinando di spengere le luci. Per errore, un riflettore verde si accende e proietta sul fondo le ombre ingigantite dei Personaggi (tranne i due bambini). Il Capocomico fugge, mentre sul palcoscenico i Personaggi tornano 'come forme trasognate'. L'ultima azione è della Figliastra, che fuggendo tra le poltrone con un'agghiacciante risata, infrange la 'quarta parete'. Le modifiche introdotte rivelano come Pirandello intenda sempre più sottolineare a dimensione metateatrale e la riflessione sul rapporto conflittuale tra illusione scenica e realtà del rappresentare. In questa commedia si pare un triplice conflitto: • Il conflitto tra Personaggi e Autori - l'Autore rifiuta le sue stesse creazioni • Il conflitto tra Attori e Personaggi - gli Attori non sanno rappresentare le parti dei Personaggi • Il conflitto tra i Personaggi stessi - rimorsi e dolori dei rapporti reciproci Si tratta di conflitti bloccati, che sembrano non avere risoluzione. Ognuno dei protagonisti è chiuso nella propria visione e segna alle parole un significato diverso da quello altrui. Questa tragica incomunicabilità si estende dalla vicenda dei Personaggi al loro rapporto con gli Attori, ovvero tra il legittimo diritto a esistere e il non potersi riconoscere nella finzione teatrale. Con quest'opera Pirandello non attacca solo il teatro borghese tradizionale, ma estende la critica al teatro in ogni sua forma. La rappresentazione scenica costituisce sempre un tradimento dell'opera concepita dall'autore e i Personaggi non potranno mai riconoscersi nei corpi degli Attori. I Personaggi non sono reali ma sono veri perchè vivono tutti nella loro dimensione fantastica (non possono fingere, sono semplicemente ciò che sono nel loro dramma). Gli Attori sono più reali ma meno veri nel dramma che rappresentano. Nel finale del 25 il rapporto tra verità e finzione svela tutti la sua ambiguità: perchè le ombre sono 4? I due bambini sono morti davvero? La stridula risata della Figliastra mette in luce l'impossibilità di pervenire a verità certe, e ribadisce la predilezione pirandelliana per la forma aperta. Il tema principale di questa commedia è dunque l'impossibilità di rappresentare un dramma. Questo tema era già presenta in un saggio del 1908 "Illustratori, attori e traduttori", in cui Pirandello pone queste 3 categorie sullo stesso piano in quanto tutte tradiscono il volere e lo spirito dell'autore. Un altro tema è appunto il relativismo e l'incomunicabilità: ognuno di noi ha dentro di se un mondo di cose che è diverso da quello altrui (cit. il Padre). "L'ingresso dei 6 personaggi" ("Sei personaggi in cerca d'autore" - segmento-atto I) Mentre in teatro alcuni Attori guidato da un Capocomico provano scene de Il giuoco delle parti, si presentano all'improvviso delle strane creature, che rivendicano il diritto a calarsi in corpi concreti (magari proprio quelli degli Attori). Il registra è l'evoluzione del Capocomico (colui che si occupa di gestire le prove). Il capocomico si mostra insensibile e stupido (non capisce nulla). Egli sembra un tradizionalista, perchè dice 'oggi come oggi i commediografi nuovi ci danno delle commedie stupide da fare' -> rappresenta quindi la critica di Pirandello verso il teatro tradizionale, ma di sicuro è non ha il punto di vista di Pirandello, in quanto tradizionalista. Il dramma è articolato su due livelli di narrazione: la compagnia di Attori e il dramma dei 6 personaggi. Il dramma è il fatto che l'autore li ha creati e poi li ha lasciati lì, senza finire il dramma (che si interrompe nel momento in cui la madre scongiura l'incesto tra il padre e la figliastra) e non li ha aiutati a entrare dentro un teatro per rappresentare il dramma. Quando agli attori viene richiesto di rappresentare questo dramma, ci sono continue interruzioni. A differenza delle commedie delle prime due fasi pirandelliani dove c'è una scansione in atti, qui si parla di segmento-atto (perchè non c'è una completezza). La lunga didascalia (in corsivo), dedicata all'apparizione dei 6 Personaggi, deborda visibilmente dai limiti della scrittura teatrale, assumendo una cifra stilistica adatta più a un testo da leggere che da rappresentare. È una caratteristica delle didascalie pirandelliane, quella di essere accurate e fitte di elementi descrittivi: esse hanno la funzione di guidare il passaggio dalla parola scritta a quella recitata, come delle vere e proprie note di regia. Solitamente la didascalia dovrebbe essere sintetica: descrizione della scena, oggetti di scena, chi entra in scena e la gestualità richiesta agli attori. Nella didascalia si nota la necessità di Pirandello di rendere evidente la differenza tra Attori e Personaggi. I Personaggi, pur non essendo materiali, dovranno rivelarsi reali 'vivi più die vvi'. All'inizio c'era una precisazione che spiazzava gli spettatori: quando entrarono in teatro, trovarono le luci accese e il sipario mezzo alzato (quindi pensano che ci sia stato un errore e che la commedia ancora non fosse iniziata: la commedia inizia quando si spengono le luci e si alza il sipario). Pirandello vuole sottolineare la diversità dei Personaggi dagli Attori. Perché l'effetto sia perturbante, la presenza dei Personaggi sul palco deve distinguersi chiaramente da quella degli Attori. Pirandello suggerisce l'uso delle maschere: gli Attori avevo vestiti chiari e leggeri, mentre i Personaggi usavano stoffe vistose per rappresentare la realtà artistica. l'ipotesi delle maschere fu scartata presto per la scarsa praticabilità e perchè, nelle didascalie successive, Pirandello indica le espressioni del viso, contraddicendosi. Al posto delle maschere verrano usati i faretti colorati: l'apparato delle luci era, all'Odescalchi (Teatro d'Arte fondato da Pirandello), lo strumento principale per dare forma a una sorta di 'teatro fatato'. Al Padre è affidato il compito di spiegare la sostanza della presenza dei 6 personaggi: quest'ultimi sono forse meno reali degli uomini, ma più veri in quanto portano un sentimento legato al dramma e sono coerenti con la parte che rappresentano. I Personaggi non hanno nomi, ma solo la funzione dentro la commedia (Padre, Madre, Figliastra...). L'opposizione realtà/verità è fondamentale: la realtà è la dimensione oggettiva, ma effimera e precaria al cospetto della verità dell'arte. I piani si invertono e ciò che appare concreto rivela la sua incertezza se messo a confronto con la natura immutabile della creazione artistica, capace di rendere immortali anche gli anti-eroi (come Don Abbondio e Sancho Panza). Il Padre ammetate di essere, insieme alla Figliastra, sperduto: tutti i 6 Personaggi sono condannati a vagare alla ricerca di un autore che dia compimento alla loro realtà. Sono ormai nati, dunque vivono, ma sono come bloccati tra il nulla e l'eternità. La figliastra ha più intraprendenza, forse la vera protagonista, anche perchè è la prima che rompe la quarta parete. Gli stessi Attori, Capocomico... non credono che questi possono essere dei personaggi. Loro rappresentano l'opinione comune della gente che non si stupisce più di nulla e non ha più la curiosità di indagare sotto la realtà. "L'ingresso dei 6 personaggi" ("Sei personaggi in cerca d'autore" - segmento-atto III) Nella scena finale esplode il conflitto tra finzione e realtà. Lo scontro tra i due piani è destinato a non conoscere soluzione e a lasciare lo spettatore nell'incertezza. La riscrittura finale nell'edizione del 25 esalta ulteriormente il carattere aperto, che che si chiude con le ombre gigantesche dei Personaggi proiettate su uno schermo e con la stridula risata della Figliastra. Siamo al punto in cui i Personaggi, dopo aver raccontato il loro dramma agli Attori che lo stanno rappresentando non appropriatamente, decidono di rappresentarlo da soli. Il Figlio si rifiuta di fare una scena: avrebbe dovuto raccontare di aver visto la Bambina annegata nella vasca e il Giovinetto che si spara. Il capocomico, appena si riaccendono le luci, è come se si risveglia da un incubo, perchè vuole liberarsi dei Personaggi che gli hanno fatto perdere un'intera giornata di lavoro. Nella prima parte della scena domina la dialettica tra realtà e finzione: mentre sotto gli occhi degli Attori, Capocomico e spettatori va in scena l'epilogo tragico di una storia-abbozzo (creature esistenti solo nella fantasia), i Personaggi ribadiscono che quanto appare agli altri è l'unica dimensione di esistenza possibile. La sola realtà a cui appartengono è quella dell'arte: i Personaggi sono il ruolo che incarnano nella storia ed è questo che li distingue dalle persone', che invece cambiano ruolo a seconda delle circostanze. (Padre - senso di colpa, Figliastra - senso di ?, Madre - dolore, Figlio - sdegno). Per questo la realtà dei Personaggi è più vera di quella degli uomini. Dunque, alla domanda 'ma la Bambina e il Giovanetto sono morti?' Non c'è altra risposta che nel rovesciamento del significato realtà/finzione. La parte conclusiva, con la didascalia, è stata introdotta nell'edizione del 25, modificando il finale del 21 che finiva con la battuta del Capocomico. Il moderno impianto di luci, del teatro Odescalchi, consentiva di smaterializzare i Personaggi fino a ridurli a sostanze evanescenti. Al finale appaiono infatti 4 silhouette (tutti tranne il Giovinetto e la Bambina) su un abbozzo di schermo cinematografico. Dopo essere stati inghiottiti dal buio, i Personaggi riappaiono ingranditi da una luce verde, per poi riapparire nel notturno azzurro come 'forme trasognate'. Ogni colore si carica di particolari significati: • Verde -> rivela la presenza dei personaggi (atmosfera allucinata) • Azzurro -> colloca la loro nuova apparizione nella dimensione onirica del sogno (rassicurante) Il gesto finale della Figliastra, che varca la 'quarta parete' e fugge dal palcoscenico con una risata stridula, rimette al centro la serie irrisolta di conflitti della commedia (risata stridula = beffa finale, perchè non c'è una risposta alla realtà). La sua fuga e la sua risata ribadiscono: 1. Il conflitto tra vita (mutabile) e teatro (statico) 2. L'impossibilità di giungere a verità certe Questa risata ricorda le risate dei personaggi filosofi della Commedia del Grottesco che rappresentano l'alter-ego di Pirandello e che ridono del fatto che la gente vuole risposte. 3. La vocazione pirandelliana di 'forma aperta' Sarà forse stata proprio questa vocazione a indurre Pirandello, nel 1926, a prendere in considerazione l'idea di trarre dal dramma un film "Prologo ai Sei Personaggi", che però non verrà mai fatto. La figliastra è al centro della rappresentazione e rappresenta la vittima (quasi abusata dal padre) ma anche il conflitto tra realtà e finzione. La figliastra critica molto la prima attrice che dovrebbe interpretarla ma che non è in grado => impossibilità di rappresentare un dramma perchè gli Attori e il Capocomico ne tradiscono lo spirito originario.