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Italo Svevo

12/2/2023

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ITALO SVEVO
Italo Svevo è lo pseudonimo con cui è noto lo scrittore Ettore Schmitz, uno dei principali
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ITALO SVEVO Italo Svevo è lo pseudonimo con cui è noto lo scrittore Ettore Schmitz, uno dei principali protagonisti e innovatori della letteratura italiana del 900. Nasce a Trieste il 19 dicembre del 1861 da un'agiata famiglia borghese di origini ebraiche, sesto di 8 figli. Il padre intende avviarlo a studi commerciali per prepararlo alle future attività imprenditoriali di famiglia e per questo lo manda in Germania insieme al fratello Elio. Qui Ettore resta per 5 anni, perfezionando le conoscenze del tedesco e scoprendo la passione letteraria: legge in lingua i grandi classici tedeschi e altri massimi scrittori europei. Nel 1878 rientra a Trieste e prosegue la sua formazione commerciale e comincia intanto a scrivere le sue prime pagine. Manifesta interesse per il pensiero socialista e dedica molto tempo a suonare il violino: una passione che lo accompagnerà per tutta la sua vita, come narrato anche nelle pagine autobiografiche del romanzo La Coscienza di Zeno. Nel 1880 il fallimento dell'industria paterna mette in crisi il tenore di vita e la condizione sociale della famiglia. Una serie di lutti importanti segnano gli anni successivi: nel 1886 muore il fratello Elio, nel 1892 muore il padre. Nel 1892 aveva pubblicato il suo primo romanzo, Una Vita, firmandolo con lo pseudonimo Italo Svevo che assumerà come definitivo. Ma il...

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Didascalia alternativa:

romanzo cade nel quasi totale silenzio e disinteresse di critica e pubblico. Nel 1896 sposa Livia Veneziani, sua lontana cugina e molto più giovane di lui, figlia di un ricco industriale nel campo delle vernici navali. Il suo tenore e il suo modo di vivere cambiano in meglio: rientra a far parte dell'alta e agiata borghesia, e dal punto di vista psicologico Ettore si realizza in quell'immagine di se stesso come padre di famiglia cui affidava l'idea della maturità e dell'integrità personale. Nel 1897 la nascita della figlia Letizia gli fa assumere maggiore coscienza delle responsabilità familiari. Nel 1898 pubblica il suo secondo romanzo, Senilità, che non riscuote alcun successo: questo fallimento suscita nell'animo dello scrittore ripercussioni profonde e dolorose. Nel 1899 lascia l'impiego in banca e comincia a lavorare presso la ditta del suocero: sarà nominato direttore della filiale in Inghilterra e da qui cominciano i soggiorni a Londra per occuparsi dell'azienda. La nuova condizione sociale e lavorativa determina in Svevo la volontà di tralasciare i sogni da scrittore e realizzarsi nella dimensione imprenditoriale. Comincia quel periodo di 25 anni che la critica ha definito come gli anni di silenzio letterario, ma non è del tutto vero: l'autore triestino continua a scrivere anche se rinuncia alla pubblicazione. La letteratura era per lui essenzialmente una necessità vitale. Per poter svolgere il suo lavoro con maggiore professionalità, Svevo deve perfezionare la conoscenza dell'inglese e si rivolge ad un insegnante per lezioni private: si tratta dello scrittore irlandese James Joyce, allora ancora sconosciuto. Fra i due nasce amicizia, saldata dal comune interesse per la letteratura. L'incontro con Joyce fa rinascere speranze e interessi in Svevo e la loro frequentazione prosegue fino allo scoppio della 1 guerra mondiale, quando Joyce è costretto ad abbandonare l'Italia. Agli anni 1908-1909 risale un secondo e decisivo incontro, quello con le opere di Freud e con la psicoanalisi. Svevo trascorre gli anni della 1 guerra mondiale a Trieste. Si dedica al violino e alla lettura, riprende a scrivere, dedicandosi all'elaborazione della Coscienza di Zeno. Lo scrittore sembra aver abbandonato ogni sogno di gloria,quando esplode il "caso Svevo". La sua opera ottiene riconoscimenti in ambito nazionale e internazionale. Per Svevo è la coronazione di un sogno. Intanto, intensifica la sua produzione narrativa e teatrale. In particolare, si immerge nella scrittura di un quarto romanzo, Il Vecchione o Le confessioni del vegliardo, esplicita prosecuzione della Coscienza di Zeno. Il progetto resterà incompiuto: il 13 settembre 1928 muore a causa dei postumi di un incidente stradale, nei pressi di Treviso. Fa parte della "leggenda" biografica di Svevo che, ricoverato all'ospedale, abbia chiesto di poter fumare la sua vera "ultima sigaretta". IL PENSIERO E LA POETICA L'originalità della personalità di Svevo nell'ambito della tradizione letteraria italiana ha le sue radici in 3 aspetti di natura ambientale: -la collocazione geografica, cioè il rapporto con la città di Trieste; -la collocazione sociale, cioè l'appartenenza dell'autore all'alta e ricca borghesia; -la collocazione intellettuale, cioè la sua formazione e le sue frequentazioni culturali nell'ambito della realtà europea. Vivere a Trieste significava venire a contatto con alcune delle principali correnti di pensiero europeo di metà-fine 800. Il primo punto di riferimento fu Schopenhauer da cui trasse il motivo della voluntas, cioè il principio irrazionale che agisce in ogni persona e determina la "volontà", il desiderio di imporsi nella vita; l'esistenza come malattia inguaribile; il pessimismo. Da Darwin deriva la concezione della lotta per la vita e degli spietati condizionamenti ambientali: l'idea centrale è la concezione pessimistica dell'uomo inetto. Dalla teoria marxista deriva la condanna della civiltà industriale. Ma l'incontro più significativo è quello con Freud e la psicoanalisi: essi diventano lo strumento di conoscenza della persona. Fu per Svevo la scoperta di una nuova dimensione dell'essere. Al contempo egli critica la pretesa della psicanalisi di stabilire se un uomo sia malato o meno; infatti nella sua opera "La coscienza di Zeno" egli afferma che nessuno può affermare se sia Zeno malato o magari la società stessa. La formazione culturale di Svevo fu varia e complessa, infatti la sua conoscenza bilinguistica permise lui di approfondire la conoscenza di vari autori europei. L'attenzione di Svevo si sofferma tuttavia sull'interiorità dei personaggi e al complesso delle motivazioni che lo spingono ad agire, tipica della filosofia di Schopenhauer; da Nietzsche apprese anche altri concetti, ma di maggiore rilevanza è stato lo studio del filosofo russo Dostoevskij da cui apprese che la causa dell'inettitudine è l'intelligenza e la capacità di indagare e spiegare la realtà. Joyce che gli fece conoscere la narrativa inglese, il cui influsso è da collegare all'umorismo e all'ironia con cui Svevo tratteggia i comportamenti più goffi e bizzarri dei protagonisti. Adozione di nuove tecniche narrative come l'uso della struttura del racconto; infatti questo romanzo non segue un andamento cronologico ma procede secondo criteri tematici: ne deriva un'oscillazione tra passato e presente, ma anche una sfasatura tra l'lo narrante (che è narratore e protagonista insieme) e l'io narrato. La sintassi è complessa. LA COSCIENZA DI ZENO L'idea del romanzo ha le sue prime origini tra il 1908 e il 1910, quando Svevo legge in lingua originale le opere di Freud: sono gli anni in cui a Trieste si diffonde la psicoanalisi, a cui Svevo è molto interessato ed è infatti all'origine del romanzo. La composizione vera e propria della Coscienza di Zeno inizia nel 1919, frutto di un momento d'ispirazione. Il titolo è quasi una didascalia dei contenuti e del significato dell'opera: il romanzo è il racconto della vita del protagonista Zeno Cosini, un racconto la cui originalità consiste nella volontà di penetrare nella coscienza del protagonista e nello stesso tempo di partire da quella stessa coscienza come vero e proprio punto di vista. Portare in primo piano in modo così esplicito la coscienza significa sottolineare che la consapevolezza del personaggio rispetto alle proprie esperienze è il significato essenziale dell'opera. La Coscienza di Zeno si presenta come il manoscritto redatto dal protagonista Zeno Cosini, agiata commerciante di 55 anni, su incarico del suo psicanalista, al quale si è rivolto per disturbi di carattere nervoso. Il progetto terapeutico andrà incontro ad alcuni problemi. Il romanzo è organizzato in 8 capitoli. Nella Prefazione del Dottor S, lo psicanalista a cui Zeno si rivolge, annuncia la pubblicazione dell'autobiografia del suo paziente. Zeno, in prima persona, espone il compito ricevuto dal dottore di ricostruire la propria vita, ma lascia trapelare da subito il suo atteggiamento diffidente e ironico. 1 5 capitoli centrali costituiscono la vera e propria scrittura psicanalitica: Zeno sviluppa il filo dei suoi ricordi attorno a quelli che considera i nodi fondamentali della sua vita e secondo un iniziale ordine cronologico. Uno dei capitoli si concentra sul vizio del fumo: sarà primo indizio della inettitudine di Zeno. Il romanzo prosegue con la narrazione dei problematici rapporti con il padre, che raggiungono il culmine con la morte del genitore, momento di svolta dall'adolescenza alla vita adulta. Successivamente si assiste alla ricerca da parte di Zeno di una moglie e quindi del matrimonio. La vicenda si conclude felicemente e rinnova l'immagine di Zeno come consapevole inetto. Zeno realizza il suo percorso verso una condizione di rispettabilità sociale e come in ogni famiglia borghese, non tarda ad intervenire anche la figura dell'amante, Carla, una giovane donna del popolo. Vi è un capitolo dedicato alla dimensione del lavoro e dell'economia. Nodo centrale del capitolo è il rapporto con il cognato-rivale Guido: i 2 creano un'associazione commerciale che Guido porterà alla rovina e che solo Zeno riuscirà a salvare. Ma la vicenda assumerà una soluzione tragica, il suicidio di Guido; il suicidio avrebbe dovuto essere solo una messa in scena, e al funerale Zeno seguirà per errore il corteo funebre di un altro defunto. L'ottavo capitolo è suddiviso in 4 sezioni contrassegnate da date, il capitolo riferisce dei 6 mesi di psicoanalisi, della sua insoddisfazione e della decisione di abbandonarla. Nelle pagine conclusive ritorna il motivo della malattia come condizione naturale e generale dell'uomo. IL FUMO Nel passo proposto Zeno ricorda in particolare due episodi. Nel primo, quando era appena un ragazzino, fece a gara con altri due "fanciulli" a chi riusciva a fumare più sigarette l'una dopo l'altra; Zeno vinse e fu ben attento a nascondere il forte malessere provato. Nel secondo, Zeno, ventenne, nonostante una lunga malattia e il divieto del medico di fumare, non faceva altro che accendere sigarette cercando di non farsi scoprire dal padre. Da quell'esperienza continua a raccontare il simpatico protagonista la sua vita è stata costellata da continui propositi di smettere di fumare, puntualmente contraddetti dal "rito" dell'ultima sigaretta. A distanza di anni, Zeno ricorda il proprio passato non limitandosi a descrivere i suoi comportamenti del tempo, ma proponendo anche interpretazioni e giustificazioni di tali atteggiamenti maturate nel presente. Egli, dunque, non è soltanto il protagonista dei fatti raccontati, ma è anche il narratore, un narratore un po' "particolare". Il lettore, infatti, si trova di fronte a una voce narrante per nulla attendibile: Zeno può a suo piacimento "manipolare" le vicende, dire bugie, nascondere verità che gli sembrano poco gratificanti. Zeno, a differenza di quanto spera il dottor S., non riuscirà mai a vedersi "intero". La "storia" del fumo è emblematica dell'inettitudine di Zeno. Fin dai primi tentativi di fumare, egli non prova alcun piacere, anzi fastidio e malori, tuttavia si accanisce nel vizio. La sua debolezza cronica, poi, si manifesta pienamente nella "vicenda infinita" dell'ultima sigaretta. Zeno è, in realtà, malato, affetto da una malattia che non riguarda tanto il corpo quanto piuttosto il suo animo. È una "malattia interiore", un disagio psicologico, una "diversità" dagli altri. Tutto il romanzo sarà giocato su questa contrapposizione tra Zeno, malato, e le altre persone, sane. Alla fine egli comprenderà che la malattia è propria della civiltà contemporanea e si dichiarerà con orgoglio completamente guarito. Non c'è scampo dalla malattia e coloro che si reputano e sono considerati sani, in realtà, si illudono, non avendo la consapevolezza di Zeno. Il protagonista della Coscienza si differenzia profondamente dalle altre figure di "inetti" nati dalla fantasia dello stesso Svevo, Alfonzo Nitti, protagonista del romanzo Una vita, ed Emilio Brentani, protagonista di Senilità. Zeno con la sua consapevolezza e la sua ironia si "salva", mentre gli altri due personaggi finiscono con il soccombere del tutto alla loro passività, alla loro assoluta incapacità di affrontare la vita. LA MORTE DEL PADRE Zeno offre del padre un ritratto cattivo, corrosivo, che al di là dell'apparente affetto filiale rivela una profonda tensione. Si tratta di vero odio e inconsciamente spinge Zeno a ricercare in sé la sua particolare inettitudine, per contrapporsi al padre borghese. Per questa ragione tutta l'aggressività di Zeno si rivela specialmente in occasione della malattia del padre, quando vengono meno la sua forza e il suo potere. Dietro lo sgomento e il dolore del figlio affiora continuamente il desiderio che il padre muoia. Naturalmente Zeno non ammette a sé stesso questi impulsi malvagi ed anche a distanza di anni dagli eventi narrati si costruisce alibi e autoinganni, rendendo inattendibile il suo intero racconto. Come avverte il dottor S. nella prefazione del romanzo, esso contiene tante bugie quante verità: il carattere ambiguo dell'opera rivela confusamente i conflitti interiori del protagonista-narratore, ma non consente di scoprire la realtà oggettiva dei fatti. Peraltro, verità e menzogna sono indissolubili, perché fissate nelle stesse pagine, nelle stesse parole: le affermazioni di Zeno palesemente false sul piano oggettivo sono, però, vere nelle sue convinzioni. Per la sua instabilità Zeno è strumento straniante della società borghese: ciò che essa ritiene "normale" e "sano" è, ai suoi occhi, "debole" e "avvelenato". Con questo meccanismo egli muove una critica acuta del mondo borghese contemporaneo e ne mostra i limiti attraverso il ritratto del padre. Il rapporto tra Zeno e il padre è, insomma, una semplice sfaccettatura del conflitto esistenziale del protagonista con il mondo in cui vive.Zeno teme che il dottore scopra i suoi impulsi omicidi verso il padre e il suo recondito senso di colpa, perciò trasferisce su di lui il conflitto, il suo odio profondo. Il medico, con le sue certezze scientifiche e positivistiche, risulta quindi un altro bel campione di rigidezza e di immobilità borghese.