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i promessi sposi

19/9/2022

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I PROMESSI SPOSI
(CAPITOLO I)
È stata scritta da ALESSANDRO MANZONI in lingua fiorentina (perché tutti i più grandi poemi furono
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I PROMESSI SPOSI (CAPITOLO I) È stata scritta da ALESSANDRO MANZONI in lingua fiorentina (perché tutti i più grandi poemi furono scritti in questa lingua) nell'800. I promessi sposi è un poema cioè un lungo racconto scritto in prosa che si articola in capitoli. La lettura di questo romanzo fu imposta nelle scuole con lo scopo di far apprendere una sola lingua a tutti visto che la maggior parte dei popolani parlava nei vari dialetti e combattere l'analfabetismo di quel periodo. Nel poema Manzoni per non incorrere nella censura usa spesso l'ANTIFRASI cioè dire l'esatto contrario di quello che si pensa in modo ironico, ad esempio la usa quando sta parlando dei soldati spagnoli "alleggerivano ai contadini il lavoro della vendemmia” “accarezzavano le spalle ai mariti e i padri". Inoltre un'altra caratteristica del narratore nel romando è che spesso va alla ricerca della complicità con i lettori ("il nostro Abbondio"), e si può notare la falsa modestia quando dice "pensino ora i miei venticinque lettori". In tutta l'opera il narratore è onnisciente cioè sa tutta la storia e lo si può vedere attraverso diversi aspetti: 1) in anzitutto fornisce il contesto storico preciso e definito (la storia si svolge nella Lombardia del 1600 sotto la dominazione spagnola. Si può dire che il romanzo sia una similitudine indiretta dove Manzoni...

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Didascalia alternativa:

analizza la Lombardia sotto una dominazione straniera per parlare dei suoi aspetti negativi infatti Manzoni visse sotto la dominazione austriaca. 2) caratterizza i personaggi (don Abbondio, Perpetua e i Bravi) in maniera più o meno dettagliata fornendo per una caratterizzazione sociale, psicologica e fisiognomica; 3) usa numerose spie linguistiche Nel romanzo si alternano fatti storici con fatti inventati, un esempio di informazioni storiche che il narratore ci dà è: la dominazione spagnola che lui stesso descrive nei particolari come una dominazione piena di corruzione e con un malgoverno, degli eventi o fatti accaduti realmente nel 600 come ad esempio i tumulti che erano delle proteste molto accese e violente dovute dall'aumento del costo del pane o la carestia di quel periodo o addirittura la peste e le grida contro i bravi degli aspetti verosimili come i vestiti e gli oggetti del 600. Invece un esempio di fatti inventati sono la creazione dei personaggi che però rispecchiano quel periodo. Il romanzo inizia con una pausa descrittiva o ritrattistica dove il narratore attraverso una descrizione a zoom del paesaggio parte da una panoramica fino ad arrivare al borgo che si trova in Lombardia vicino al lago di Como in provincia di lecco. La descrizione è minuziosa. Il campo semantico rivela molta ricchezza lessicale e l'uso di sinonimi come monti-giogaia=poggi-cucuzzolo. Durante il brano Manzoni fa delle pause che possono essere ritrattistiche quindi descrizione del paesaggio dei bravi ecc.. o possono essere delle digressioni storiche cioè delle pause dove Manzoni si sposta dall'argomento principale per approfondirne un altro come quando parla delle grida contro i bravi. Nel primo capitolo l'esordio è un divieto "questo matrimonio non sa da farsi" Aprì, rientrò, richiuse- enumerazione dei verbi Oh che birbone oh che soverchiatore oh che uomo senza timor di dio- enumerazione aclimacx PERSONAGGI DON ABBONDIO Don Abbondio è uno dei personaggi principali del romanzo, infatti nel brano viene fatta una sua caratterizzazione molto ampia a cui Manzoni dedica gran parte del primo capitolo. Il narratore fa un quadro psicologico di Don Abbondio descrivendolo come una persona abitudinaria e monotona con l'uso di frasi come "com'era solito" "dov'era solito alzare gli occhi al cielo" e che vive una vita tranquilla (svolgeva il suo dovere con calma, tranquillamente, oziosamente). Inoltre viene risaltato il suo carattere debole quando ad esempio don Abbondio appena vede i bravi prova paura e cerca una via di fuga, infatti il narratore attraverso la litote "Don Abbondio non era nato con cuor di leone" ci fa capire la sua debolezza e fragilità che si possono vedere anche durante il dialogo quando il narratore usa delle reticenze per indicare la paura del curato che balbetta e non riesce a finire le frasi dalla paura. Ancora durante il dialogo, don Abbondio è servile nei confronti dei bravi e lo si può vedere attraverso frasi come "ma lor signori..." Manzoni oltre a fare una caratterizzazione psicologica di don Abbondio la fa anche sociale dicendo sin da subito che Don Abbondio è un curato cioè il parroco del paese e vive nella curia. Inoltre può permettersi una serva Perpetua e attraverso il suo modo di parlare si capisce che è una persona colta e che sa il latino. Anche per caratterizzare socialmente Don Abbondio, Manzoni usa delle similitudini come "era un animale senza artigli e senza zanne" o ancora "era come un vaso di terracotta costretto a viaggiare in compagnia di molti altri vasi di ferro" I BRAVI I bravi possono essere considerati una figura antifrastica perché in realtà il loro nome indica l'opposto, erano cattive persone. Manzoni fa una caratterizzazione psicologica dicendo che si presentano con un atteggiamento strafottente e minaccioso che viene messo in risalto da come erano messi ovvero uno seduto "a cavalcioni sul muricciolo, con una gamba spenzolata al di fuori e l'altro piede posato sul terreno" e l'altro con le braccia conserte. Anche con loro il narratore usa le reticenze che però hanno un significato diverso di quelle che usa don Abbondio infatti queste sono delle minacce per lasciar intendere. I bravi vengono descritti anche socialmente, essendo realmente esistiti sappiamo che erano dei fuorilegge che venivano pagati da dei piccoli o grandi padroni, come Don Rodrigo, per commettere violenze al loro posto. E infine Manzoni fa una descrizione fisiognomica molto dettagliata dei bravi usando anche delle spie linguistiche dispregiative come canzonaccia e coltellaccio. I due individui avevano intorno al capo una reticella verde che cadeva sull'omero sinistro, due lunghi mustacchi arricciati in punta, una cintura di cuoio dove erano attaccate due pistole, un piccolo corno ripieno di polvere da sparo appeso al collo e un manico di coltellaccio che spuntava fuori da un taschino. Descrive anche la loro postura che hanno mentre aspettano il curato. PERPETUA Manzoni fa una descrizione sociale della Perpetua dicendo che è la serva di Don Abbondio e che faceva le faccende domestiche e viveva con lui e che non aveva mai trovato un cane che la volesse. Da quando il romanzo è diventato conosciuto il nome perpetua rappresenta un'antonomasia (figura retorica che indica un nome comune) che si riferisce a tutte le donne di compagnia che sono le governanti di un parroco. Il narratore in oltre ci dice che perpetua aveva superato i quarant'anni. In fine Manzoni fa una caratterizzazione psicologica dicendoci che era affezionata, fedele a Don Abbondio e che sapeva ubbidire e tollerare il brontolio del curato (Manzoni usa un sistema doppio di aggettivi per descrivere la Perpetua). (CAPITOLO II) Il capitolo II è un'alternanza tra narrazione (Renzo-Don Abbondio, Renzo-Perpetua, Renzo-Lucia) e pause descrittive dove avviene la caratterizzazione di Renzo e Lucia da parte di Manzoni. Questo capitolo si apre con una similitudine/ paragone tra il principe di Condè (personaggio esistito realmente) e Don Abbondio. Manzoni paragona il principe di Condè che va a dormire pensando alla battaglia che sarebbe avvenuta il giorno dopo e dorme tranquillo perché ha un piano d'azione a Don Abbondio che va a letto pensando al divieto dei bravi di Don Rodrigo e trascorre la notte quasi insogna agitatissimo perché non ha un piano d'azione. Inoltre nel secondo capitolo avviene la caratterizzazione di Renzo e Lucia RENZO Manzoni fa una caratterizzazione: fisiognomia parziale descrivendo come era vestito il giorno in cui si sarebbero dovute celebrare le nozze di matrimonio: aveva un coltello, era vestito elegante, aveva un cappello di piume colorate; fa una caratterizzazione psicologica servendosi di un ossimoro "era una lieta furia" ovvero Renzo era di indole buona ma tuttavia ha un temperamento impetuoso incline a scatti e ribellioni improvvise che Manzoni associa a vivacità unita ad un'ingenuità talvolta fanciullesca della sua giovane età (20 anni); e in fine fa una caratterizzazione sociale quando ci dice che Renzo era Orfano, aveva 20 anni, aveva ereditato dalla famiglia la professione di filatore di seta, era il proprietario di un poderetto che faceva lavorare e che lavorava lui stesso e che le sue condizioni si potevano definire agiate. LUCIA Lucia è uno dei personaggi del romanzo più apprezzati e simpatizzati da Manzoni, per questo motivo all'interno del romanzo il narratore usa spie linguistiche come casetta oppure muretto quando parla di Lucia, e sottolinea più volte la sua bellezza esteriore tanto quanto quella interiore. Manzoni fa una caratterizzazione fisiognomica parziale, dicendo che aveva una modesta bellezza che non metteva in mostra; una caratterizzazione psicologica servendosi dell'uso di moltissimi ossimori come gioia temperata, turbamento leggero, modestia un po' guerriera (personaggio che non si mette mai in mostra ma che lotta per ciò che ritiene giusto); e infine Manzoni attraverso il modo in cui era vestita Lucia il giorno del matrimonio fa una caratterizzazione sociale indiretta dicendo che era vestita come le contadine nel milanese, quindi era una paesana, era orfana senza padre Il secondo capitolo si conclude con l'annuncio di Renzo che il matrimonio non si sarebbe fatto. (CAPITOLO III) Il capitolo III ha una struttura bipartita, ovvero si suddivide in due parti che trattano scene differenti: la prima parte si svolge fuori dal paese di lecco dove Renzo si reca per incontrare il dottor Azzecca garbugli, qui avviene la presentazione dell'antefatto da dove poi si origina tutto il romanzo; mentre la seconda parte è ambientata all'interno del paese, precisamente nella casetta di Lucia dove, fra Galdino bussa alla ricerca delle noci, e dove Manzoni ci da un'informazione storica della carestia di quel periodo quando dice che "le annate vanno scarse". Questo capitolo è composto da numerose pause descrittive dove Manzoni introduce dei personaggi importanti: Fra Galdino, Agnese e Azzecca Garbugli. AGNESE Agnese è la madre di Lucia ed è una popolana che non ha mai studiato e parla usando la saggezza popolare. Manzoni fa una caratterizzazione psicologica dicendo che pur non avendo studiato era saggia e dava consigli usando proverbi popolari: io sono venuta al mondo prima di voi, il diavolo non è brutto come si dipinge ecc.. AZZECCA GARBUGLI Nel brano viene fatta la caratterizzazione sia fisiognomica, infatti viene detto che era alto, asciutto, pelato, sia fisiognomica indiretta quando dice che aveva il naso rosso infatti intende che era solito ad alzare il gomito quando beveva. Inoltre Manzoni fa una caratterizzazione sociale quando ci dice che era un avvocato, quindi appartenente ad una classe sociale alta, e attraverso la pausa descrittiva dello suo studio il narratore, quando dice che i libri di legge erano polverosi fa una caratterizzazione indiretta della persona di azzecca garbugli andando a significare che non era più aggiornato su quell'ambito come un tempo. Inoltre Manzoni fa un'ulteriore caratterizzazione del tipo di persona che era l'avvocato, dicendoci che era corrotto, infatti quando scopre che Renzo non era un bravo se ne lava le mani facendo un calco religioso (Ponzio Pilato). FRA GALDINO Essendo un frate, fra Galdino aveva fatto il voto di carità, cioè aveva rinunciato a tutti i suoi beni, e viveva di elemosina, e in questo capitolo è alla ricerca delle noci. Manzoni quindi fa una caratterizzazione sociale dicendoci che essendo un frate apparteneva ha una classe sociale bassa, e poi fa una caratterizzazione fisiognomica dicendoci che era anziano. IL MIRACOLO DELLE NOCI Nel 3 capitolo viene raccontato da Fra Galdino ad Agnese e Lucia il miracolo delle noci avvenuto grazie a Padre Maccario, un frate cappuccino che veniva stimato un santo. Questo miracolo era avvenuto nelle prossimità di un convento. (CAPITOLO IV) Il capitolo IV è caratterizzato dall'avere una struttura circolare cioè finisce nello stesso punto in cui è iniziato (inizia con il ma e finisce con il ma) e poi dall'essere quasi completamente una pausa descrittiva: inizialmente del paesaggio dove Manzoni fa una descrizione a zoom anche se minore di quella del primo capitolo: fa un paragone tra il paesaggio naturale dove la scena era lieta, il paesaggio umano dove ogni figura d'uomo rattristava lo sguardo e il paesaggio, e infine il paesaggio animale che anche esso ne risentiva della carestia di quel periodo. L'altra parte del capitolo è dedicata ad un'altra importante pausa che è un racconto retrospettivo della vita di Fra Cristoforo che inizialmente si chiamava Ludovico. Possiamo definire Fra Cristoforo come il portavoce di Manzoni poiché lui stesso lo crea a sua somiglianza con le sue stesse idee. Fra Cristoforo non è sempre stato un uomo di chiesa ma anzi da giovane commetteva delle braverie fino a un giorno in cui per un puntiglio formale (chi dovesse spostarsi a sinistra tra Ludovico e il nobile) si ritrova coinvolto in un fatto di sangue che portò ad una doppia morte: un uomo morto per lui (Cristoforo) e un uomo morto da lui (il nobile). Questo fatto da alcuni studiosi viene definito come un intervento divino, poiché Ludovico ha sempre avuto una vocazione che però andava scoperta, e questo evento fa si che avvenga da parte sua una conversione alla vita religiosa molto più profonda in confronto a quella di Don Abbondio che era diventato curiato solo per convenienza. Dopo il fatto di sangue Ludovico andò a rifugiarsi in un convento (in quel periodo godevano di diritto d'asilo), e prese il nome del suo servitore morto per lui e diede tutti i suoi beni alla famiglia di Cristoforo. Manzoni descrive Fra Cristoforo come se dentro di lui avesse due anime: una giovanile ribelle che si risveglia quando vede delle ingiustizie e una umile, ciò si può osservare dai suoi occhi "a volte sfolgoravano con vivacità repentina, come due cavalli bizzarri. Ossimoro di Fra Cristoforo= superbo ma umile Manzoni fa una caratterizzazione fisiognomica di questo personaggio dicendoci che aveva la barba bianca e lunga, la piccola corona di cappelli e poi ci dice che era un uomo più vicino ai sessanta che hai cinquant'anni. (CAPITOLO V) Il capitolo V è un alternanza tra spazi aperti e spazi chiusi e ha una struttura bipartita: la prima parte avviene nella casetta di Lucia e di Agnese, mentre nella seconda parte c'è Fra Cristoforo che va verso il palazzotto di Don Rodrigo. Il personaggio principale di questo capitolo e Fra Cristoforo (confessore di Lucia). In questo capitolo viene risaltato il carattere giovanile di rabbia verso le ingiustizie di Fra Cristoforo: "il fratte diventava di mille colori, alzava gli occhi al cielo, batteva i piedi". Nella seconda parte Fra Cristoforo si reca nel palazzotto di Don Rodrigo dove stanno desinando la cena, e rimane in piedi fino alla fine del banchetto. Durante il banchetto dove era anche presente l'avvocato Azzecca Garbugli, don Rodrigo e i suoi bravi stanno discutendo della guerra che era alle porte di Milano e se fosse giusto picchiare un ambasciatore che porta cattive notizie. (CAPITOLO VI) Il capitolo VI è strutturato in modo diverso dai precedenti poiché la tecnica usata è il continum ovvero il capitolo VI è in continuazione con il capitolo V. Insieme al capitolo VII getta le basi per un capitolo molto più rilevante, che è il capitolo VIII. Il capitolo inizia con una scena tra Don Rodrigo e Fra Cristoforo, quest'ultimo inizialmente cerca di essere umile e servile solo che poi perde le staffe a tal punto che arriva a minacciare a Don Rodrigo dicendogli "verrà un giorno" accompagnando questa frase con la mano: l'uomo nuovo coincideva con quello vecchio. successivamente nella casetta di Lucia e di Agnese stanno ideando dei disegni (progetti) per fuggire a Don Rodrigo, e Agnese propone un matrimonio a sorpresa tra i due promessi sposi. Renzo va alla ricerca di due testimoni, e sceglie Tonio (un suo caro amico) e sotto suo consiglio sceglie Gervaso che è il fratello di Tonio perché era un sempliciotto ingenuo, e non avrebbe fatto domande. Quando Renzo si reca a casa di Tonio gli trova che stavano desinando la cena che era molto povera a causa della carestia e delle annate scarse "cucinava una piccola polenta bigia" (CAPITOLO VII) Nel capitolo VII avviene l'ispezione alla casetta di Lucia da parte dei bravi e del Griso di Don Rodrigo che si travestono da mendicanti e si fanno aprire. Perlustrano la casetta in modo che non si ritrovino impreparati la sera dopo. (CAPITOLO VIII) Il capitolo VIII si chiama la notte degli imbrogli, la notte in letteratura è un topos cioè una costante che si ripete frequentemente dove avvengono le cose più strane. Questo capitolo è molto importante perché chiude la prima parte del romanzo che si svolge in un borgo di lecco, e da inizio alla seconda parte del romanzo dove avviene un cambiamento di ambiente e di trama, infatti Manzoni fa compiere un viaggio a Renzo e Lucia. il viaggio è un topos in letteratura ed è sinonimo di esperienza, formazione e di crescita personale, possiamo definirlo come metafora della vita. Il capitolo è intitolato la notte degli imbrogli perché si attuano sia quello di Lucia e Renzo (matrimonio a sorpresa) sia quello dei bravi e del Griso (rapimento di Lucia), alla fine nessuno dei due imbrogli va a buon fine poiché nel primo Lucia e titubante nel dire le parole e fa in tempo a reagine Don Abbondio, mentre il secondo non va a buon fine perché i bravi scapano perché pensano che siano stati scoperti. Alla fine del capitolo Fra Cristoforo da una lettera a Renzo che andrà a Milano alla ricerca di un monastero e un'altra a Lucia e Agnese che andranno in un convento di suore vicino a Monza dove verranno ospitate dalla monaca più importante Gertrude. Renzo quando va a Milano si ritroverà coinvolto in dei tumulti dove parteciperà attivamente e in seguito verrà arrestato. Il capitolo si conclude con una pausa riflessiva o monologo interiore, di Lucia che prende il nome di ADDIO MONTI. Questo monologo è costruito sull'anafora della parola Addio e da una tecnica a zoom dove Lucia vede i monti, la sua casa, la casa straniera, la chiesa dove era solita andare a pregare e il palazzotto di Don Rodrigo. Inoltre in questo monologo vviene la personificazione delle cose che ede come il palazzotto e infine Lucia fa un paragone tra le persone che migrano volontariamente e magari in futuro potranno rivedere la propria casa e le persone che sono costrette ad andare via dalla loro casa e non sanno se potranno mai tornarci. Alla fine di questo capitolo avviene l'esordio della seconda parte del romanzo che l'allontanamento da casa. (CAPITOLO IX) Avviene l'introduzione di un nuovo personaggio: Gertrude alla quale Manzoni inizialmente dedica 8 capitoli che poi diventeranno 2. Il narratore non prova simpatia verso questo personaggio. dentro la pausa ritrattistica Manzoni caratterizza fisiognomicamente la monaca insistendo sul contrasto della pelle bianca e guance pallidissime con il colore delle sopracciglia e occhi scuri, quindi avviene un ritratto cromatico. Inoltre la descrive come una monaca singolare e la caratterizza psicologicamente dicendo che aveva due anime. Nel capitolo Manzoni, inoltre, le associa l'ossimoro vocazione forzata, poiché lei non è diventata monaca per vocazione ma perché era stato scelto per lei dalla nascita